Personalità animali
Secondo la definizione di Hans Eysenck, uno dei padri fondatori della psicologia della personalità umana, questa può essere descritta come la più o meno stabile e durevole organizzazione del carattere, dell’intelletto e del fisico di un individuo, che ne determina l’adattamento all’ambiente. Lo studio della psicologia della personalità ha radici antiche e ha subito un notevole sviluppo nel corso del 20° secolo. La rilevanza scientifica delle differenze comportamentali esistenti tra gli individui è dunque ormai universalmente riconosciuta e ampiamente accettata nella ricerca in campo umano. Inoltre, la conoscenza delle basi neurobiologiche della personalità umana è notevolmente avanzata, anche grazie agli sviluppi di strategie non invasive, come le tecniche di risonanza magnetica e di imaging cerebrale, che hanno contribuito a identificarne i correlati neuroanatomici. La valutazione della genetica della personalità è stata anch’essa oggetto di molti anni di ricerche e ha beneficiato dei progressi compiuti nel sequenziamento del DNA (DeoxyriboNucleic Acid), dunque nella conoscenza del genoma umano. I risultati ottenuti dal complesso di questi studi hanno a loro volta stimolato un numero crescente di ricerche finalizzate a definire il ruolo delle differenze di personalità nell’insorgenza e manifestazione di numerose patologie umane.
In contrasto con la lunga tradizione degli studi in ambito umano, la scienza delle personalità animali ha avuto un notevole sviluppo soltanto nell’ultimo decennio. Eppure la presenza di una varietà comportamentale che si mantiene nel tempo e in differenti contesti e che si manifesta tra individui della stessa specie anche a parità di sesso, età e condizioni ambientali, è un fenomeno noto ed evidente a tutti coloro – ricercatori, allevatori o proprietari di specie domestiche – che si trovino a contatto con animali non umani.
Tuttavia, il valore biologico di tale variabilità intraspecifica negli animali è stato solo recentemente riconosciuto, essendo stata questa a lungo considerata come il prodotto di misurazioni inadeguate o non accurate, e dunque l’espressione di una sorta di indesiderato ‘rumore di fondo’. Gli inizi del 21° sec. hanno coinciso con il fiorire di numerosi studi mirati a investigare in profondità la natura e la funzione delle individualità comportamentali intraspecifiche in vari gruppi e specie di animali, dagli insetti ai mammiferi. Non tutti gli studi, in realtà, hanno utilizzato apertamente l’espressione personalità animali: alcuni autori preferiscono invece riferirsi a profili, sindromi o strategie comportamentali. Tuttavia, al di là delle differenze terminologiche specifiche, spesso collegate anche alle diverse discipline coinvolte, quali la neurobiologia, la zoologia, la psicologia comparata e l’ecologia, tali ricerche hanno evidenziato come il concetto di personalità non possa essere oggi considerato una prerogativa della sola specie umana.
Utilizzando come punto di partenza la definizione della psicologia classica, si può quindi estendere il concetto di personalità all’ambito degli animali non umani, intendendolo come l’organizzazione dinamica dei sistemi psicofisici di un individuo che è responsabile del suo adattamento all’ambiente. Da tale definizione si evince come la personalità, tanto nell’animale quanto nell’uomo, sia strettamente connessa al comportamento da cui viene dedotta, specialmente in quelle espressioni che risultano consistenti nel tempo e in diversi contesti, rappresentando però un concetto di ordine più elevato e complesso. La personalità in senso lato si riferisce quindi al modo in cui un individuo risponde al proprio ambiente e ai motivi di tale risposta (Capitanio 2008).
Valutazione delle personalità animali: categorie e strategie
La valutazione delle personalità animali pone problemi molto complessi dal punto di vista metodologico e interpretativo, problemi al centro di un dibattito che continua tuttora in modo acceso. Innanzi tutto, è possibile valutare le personalità animali con metodi simili a quelli impiegati per gli umani? Uno strumento ampiamente utilizzato negli studi di personalità umane è il cosiddetto modello a cinque fattori (five factor model) secondo cui la personalità può essere descritta attraverso cinque principali categorie, ciascuna con due poli opposti, e ogni categoria riassume molteplici tratti che, per la psicologia classica, corrispondono alle disposizioni dell’individuo a rispondere all’ambiente.
Le categorie (e i principali tratti corrispondenti) possono essere illustrate nel seguente modo: nevroticità/stabilità emotiva (ansietà/sicurezza); affabilità/antagonismo (cooperazione/aggressività); estroversione/introversione (socievolezza, audacia/timidezza); coscienziosità/impulsività (accuratezza/mancanza di autodisciplina); apertura/chiusura all’esperienza (curiosità, creatività/mancanza di interessi).
Secondo alcuni autori, è possibile utilizzare questo modello per studiare le personalità animali, poiché la maggior parte dei tratti da esso descritti può essere riscontrata in un gran numero di specie non umane (Gosling 2001). La nevroticità, sotto forma, per es., di ansietà, si può osservare ogniqualvolta un individuo sia posto di fronte a una situazione conflittuale, come nel caso della scelta tra l’esplorazione di un luogo sconosciuto e la paura di essere predato. L’antagonismo rappresenta una delle categorie più ampiamente valutate all’interno della ricerca animale, poiché gli studi sull’aggressività godono di una lunghissima e illustre tradizione. Comportamenti aggressivi contro cospecifici o predatori possono essere, infatti, agevolmente osservati nella maggioranza delle specie animali non umane, in forma sia spontanea sia indotta. La timidezza è facilmente riscontrabile negli animali, considerandola in senso lato come la ridotta disponibilità a esplorare il mondo esterno. In questo senso, si può reputare ‘timido’ il paguro posto fuori dall’acqua che si ritira rapidamente nella propria conchiglia tanto quanto l’uccello che stenta a uscire dalla propria gabbia lasciata aperta. L’impulsività può essere riscontrata ogniqualvolta un animale preferisca raggiungere un obiettivo di bassa qualità in fretta (per es., poco cibo), piuttosto che impiegare un tempo più lungo per ottenerne uno migliore. Comportamenti ascrivibili alla categoria di coscienziosità/impulsività sono stati descritti in dettaglio nei primati, nei roditori e negli insetti. Negli animali può essere osservata perfino l’apertura all’esperienza, almeno in forma di curiosità verso nuovi oggetti, mentre caratteristiche come creatività e immaginazione sono ovviamente riscontrabili esclusivamente nell’uomo.
Beneficiando del fatto che negli animali non umani si possono osservare tratti comportamentali analoghi a quelli umani, il modello a cinque fattori è stato ampiamente utilizzato per effettuare studi di personalità in più di 60 specie, dai molluschi ai primati. Questo modello è stato applicato per valutare differenze di personalità tra individui non solo della stessa specie, ma anche di specie differenti. Sulla base di quest’ultimo tipo di analisi, lo psicologo Samuel D. Gosling ha concluso che i primi tre fattori, ovvero la nevroticità, l’affabilità e l’estroversione, sono le categorie che presentano il più alto grado di generalizzazione, in quanto riscontrabili in molte specie, alcune anche evolutivamente molto distanti, come i calamari (Euprymna tasmanica) e gli scimpanzé (Pan troglodytes). L’utilizzo di paragoni tra specie diverse ha anche consentito di analizzare la filogenesi di alcune categorie: studi condotti nei lupi (Canis lupus) e nei cani (Canis familiaris) hanno, per es., dimostrato la presenza della categoria di estroversione in entrambe le specie, suggerendo che la sua apparizione sia avvenuta in maniera indipendente dal processo di domesticazione.
L’applicazione del modello a cinque fattori alle specie non umane è stato aspramente criticato da alcuni autori, in quanto considerato a elevato rischio di antropomorfismo (Uher 2008). La critica mossa a tale approccio di tipo top-down (ovvero che parte dall’uomo e va verso gli altri animali) è di accentrare tutta l’attenzione sui comportamenti prossimi a quelli dell’uomo, tralasciando le caratteristiche specie-specifiche. Tuttavia, proprio l’uso del modello a cinque fattori si è rivelato efficace nell’evidenziare l’influenza delle caratteristiche ecologiche di ogni specie sulla natura e sull’espressione di alcuni tipi di personalità. Lo stesso Gosling ha evidenziato, per es., come la categoria di nevroticità presentasse una polarità sesso-specifica opposta negli umani e nelle iene (Crocuta crocuta) e come questo fenomeno fosse ricollegabile alle diverse caratteristiche sociali delle due specie. I maschi presentavano una tendenza alla paura più marcata rispetto alle femmine, soltanto nella specie caratterizzata da una società matriarcale, ovvero le iene; il risultato contrario veniva invece osservato negli esseri umani. Questo esempio evidenzia quanto sia importante considerare sempre il contesto ecologico di ciascuna specie, visto il valore adattativo delle differenze di personalità, concetto che verrà ampiamente sviluppato in seguito.
Un approccio di tipo diverso alla valutazione delle personalità animali consiste nel focalizzarsi sulla definizione delle strategie per mezzo delle quali un individuo interagisce con il suo ambiente. Questo approccio ha portato, per es., all’elaborazione del concetto di strategie alternative, che si riferiscono alla presenza di due o più varianti comportamentali aventi la stessa funzione, quali l’accoppiamento o l’ottenimento di cibo (Brockmann 2001). Alcune strategie alternative sono irreversibili come, per es., nel comportamento riproduttivo di una specie di salmone (Oncorhynchus kisutch), in cui alcuni maschi hanno denti molto sviluppati e combattono per l’accesso alle femmine, mentre altri mancano di caratteri sessuali secondari e riescono ad accoppiarsi ‘sgusciando’ tra gli altri maschi fino a raggiungere le femmine. Altre strategie di questo tipo sono invece considerate reversibili. Se ne può trovare un significativo esempio nelle vespe scavatrici (Sphex ichneumoneus), che possono alternare secondo convenienza due tecniche di nidificazione: lo scavo ex novo del nido o l’utilizzo di nidi altrui.
Tuttavia, il concetto di strategie alternative non esaurisce la complessità dell’idea di personalità, che non può essere limitata a un singolo tipo di comportamento, ma deve poter descrivere l’approccio generale dell’individuo alle sfide che l’ambiente gli pone. Per questa ragione, molti studi sulle personalità animali si sono concentrati sulla definizione delle modalità con le quali un individuo reagisce a situazioni stressanti, poiché in queste condizioni le differenze comportamentali individuali emergono con maggiore nettezza e si esprimono in forme facilmente quantificabili. Tale approccio ha portato al concetto di strategie di risposta, ovvero le coping strategies (Koolhaas 2008). È importante notare che le strategie di risposta sono considerate dai più come analoghi animali delle personalità umane e non in antagonismo con l’utilizzo delle categorie. Va sottolineato che i due concetti, in realtà, sono sovrapponibili: un individuo caratterizzato da alti livelli di nevroticità avrà strategie di risposta meno efficaci, rispondendo a un ambiente stressante in maniera ansiosa. Al contrario, un estroverso attuerà una strategia più efficace, per es., cercando il supporto sociale dei suoi cospecifici. Sia il concetto di categorie sia quello di strategie di risposta non si focalizzano su un solo elemento comportamentale, come il concetto di strategie alternative, ma si basano sulla considerazione di molteplici comportamenti che siano intercorrelati.
La descrizione più generale di strategie di risposta ne prevede due principali tipi: uno proattivo, che consiste in una forte tendenza a prendere l’iniziativa in risposta ai cambiamenti e agli stimoli ambientali, accompagnato da elevati livelli di aggressività, e uno reattivo, che si realizza in una risposta piuttosto passiva ed è associato alla ridotta espressione di comportamenti aggressivi (Koolhaas 2008). La presenza di personalità ascrivibili a tali tipi generali di strategie è stata evidenziata e caratterizzata in dettaglio in numerose specie, sia di laboratorio sia selvatiche, inclusi pesci, mammiferi e uccelli.
In effetti, negli ultimi dieci anni, una parte imponente degli studi di personalità è stata condotta sugli uccelli, in particolare sulla cinciallegra (Parus major). La maggior parte di questi animali trascorre tutta la propria esistenza nella medesima foresta, rendendo dunque agevole il monitoraggio dell’intera popolazione nel corso degli anni, inclusa la registrazione delle condizioni di salute e degli esiti della riproduzione dei vari esemplari. Questa specie si presta anche molto bene a studi di laboratorio. Proprio la combinazione di esperimenti in natura e in laboratorio ha dimostrato come le cinciallegre abbiano personalità coerenti, che rimangono stabili per anni (Groothuis, Carere 2005). Per es., si possono distinguere soggetti rapidi nell’esaminare nuovi oggetti o nuovi ambienti (tipi fast) e soggetti più timidi che si dimostrano invece lenti (tipi slow). I tipi veloci sono anche più aggressivi e sperimentano uno stress minore quando vengono maneggiati dagli scienziati.
Studi effettuati da ricercatori dell’Università di Groningen, nei Paesi Bassi, hanno suggerito l’esistenza di una sorta di equilibrio fra i due tipi di personalità delle cinciallegre, basato sulle loro relative frequenze all’interno della popolazione (Groothuis, Carere 2005). Nel caso in cui i soggetti lenti siano la maggioranza, i pochi esemplari veloci possono raggiungere facilmente il vertice gerarchico. Tuttavia, a causa dell’elevata aggressività degli individui veloci, questa condizione conduce alla moltiplicazione dei conflitti, determinando l’allontanamento degli individui sconfitti. Tale situazione può però consentire ai pochi esemplari lenti di prosperare a loro volta, contribuendo al mantenimento dell’equilibrio tra le diverse strategie di risposta.
Considerazioni metodologiche
La psicologia della personalità è studiata nel campo umano attraverso l’utilizzo di osservazioni dirette del comportamento e di valutazioni indirette tramite questionari e interviste. Quest’ultimo metodo di investigazione consente di ottenere in maniera rapida una grande quantità di dati e ha contribuito notevolmente allo sviluppo delle teorie della personalità nella psicologia umana. Ovviamente l’impiego di questionari è precluso agli studi negli animali non umani, che devono quindi basarsi soltanto sull’osservazione dei comportamenti spontanei, espressi nell’habitat naturale, in cattività o in condizioni sperimentali controllate.
La valutazione della personalità negli animali può essere ottenuta tramite la misurazione di specifici comportamenti che si correlano per definire una categoria o un tipo di strategia di risposta, oppure tramite l’assegnazione da parte di osservatori umani di un punteggio (rating) all’interno di una certa categoria di personalità. L’esame delle strategie di risposta si basa esclusivamente sulla misurazione di specifici comportamenti, per es., l’analisi della latenza all’attacco di una preda, o la velocità di esplorazione di un nuovo ambiente. Tale approccio metodologico ha il vantaggio di ottimizzare la riproducibilità e validità generale dei risultati ottenuti.
Tuttavia, numerosi studi di personalità hanno utilizzato il secondo approccio, assegnando a ciascun animale un punteggio alto, medio o basso nelle categorie del modello a cinque fattori. Quest’ultimo tipo di quantificazione è stato ampiamente utilizzato negli studi sui primati, dove ha consentito di ottenere una grande quantità di dati, effettuando valutazioni di personalità su larga scala. L’assegnazione di punteggi di personalità può risultare però più difficoltosa nel caso di specie che esprimano un repertorio comportamentale meno vario, oppure in specie evolutivamente distanti dall’uomo, come i molluschi o gli insetti, per le quali l’astrazione concettuale risulta più difficile all’osservatore umano. Inoltre, l’utilizzo di punteggi rischia di aggravare il problema della soggettività della misurazione e di stimolare le accuse di antropomorfismo spesso mosse agli studi sulle personalità animali. In tal caso, è possibile tuttavia adottare alcuni accorgimenti come, per esempio, effettuare l’assegnazione dei punteggi tramite più osservatori indipendenti tra loro e ripetere le osservazioni comportamentali in molteplici contesti.
Personalità e selezione naturale
Come è possibile evincere dagli esempi finora riportati, gli studi di personalità animali possono essere condotti sia effettuando confronti tra specie diverse sia all’interno di una singola specie. Gli studi interspecifici sono stati utilizzati ampiamente per capire l’origine filogenetica di alcuni specifici tratti di personalità. Analisi intraspecifiche hanno d’altronde consentito notevoli avanzamenti nella comprensione delle basi biologiche della personalità.
Sia gli studi inter- sia quelli intraspecie hanno contribuito e contribuiscono tuttora a chiarire il valore adattativo di specifiche forme di personalità, evidenziando l’importanza del contesto ecologico. Differenze di personalità possono essere osservate, per es., tra specie caratterizzate dallo sfruttamento di tipi diversi di risorse: la curiosità può conferire un vantaggio adattativo a specie le cui fonti di cibo variano spesso. D’altra parte, all’interno della stessa specie un tipo di personalità può essere più o meno vantaggioso a seconda delle condizioni ambientali. In generale, una strategia di risposta proattiva sarà vantaggiosa in condizioni ambientali stabili, mentre una strategia reattiva lo sarà in condizioni variabili e imprevedibili. Fattori come la densità di popolazione o la disponibilità di spazio o delle fonti di cibo saranno dunque fattori critici nell’influenzare il successo di una specifica strategia di risposta. Studi di laboratorio condotti sulle api operaie (Apis mellifera) hanno dimostrato come il successo, in termini di raccolta di nettare, di una personalità lenta/accurata (poche visite, distanti nel tempo, ma a fiori ricchi di nettare) rispetto a una veloce/non accurata (molte visite ravvicinate, ma anche a fiori poveri oppure privi di nettare) dipenda dalle condizioni ambientali. Quando le api sono poste in una situazione in cui fiori artificiali con nettare e fiori artificiali con acqua sono presenti nella stessa proporzione, la personalità veloce e non accurata ottiene più successo di quella lenta. Il risultato opposto si riscontra nella condizione in cui i fiori con nettare siano invece in minoranza. La coesistenza di individui con personalità diverse nella stessa colonia consentirebbe dunque di massimizzare il successo, rispondendo a diverse situazioni ambientali. Le conclusioni ottenute nelle api dai ricercatori James Burns e Adrian Dyer sono state dedotte anche da studi in altre specie e su altri tipi di personalità, e possono spiegare perché non siamo tutti tipi audaci e veloci. È infatti evidente come in specifici contesti ecologici essere timidi o paurosi, o lenti e poco reattivi possa rappresentare un vantaggio adattativo. Analisi del comportamento di cinciallegre hanno dimostrato come la variabilità di comportamento individuale sia sistematicamente correlata al successo riproduttivo, o fitness, con diversi optima a seconda delle condizioni ambientali. L’insieme di questi dati ha contribuito a risolvere uno dei problemi teorici che ha lungamente caratterizzato la ricerca sulle personalità animali, ovvero il motivo per il quale nel corso dell’evoluzione si sia conservata la varietà di strategie, invece di selezionarne un tipo soltanto, quello più adattativo.
Un altro dubbio fondamentale riguarda la comprensione del motivo per cui un individuo non cambia continuamente da una personalità all’altra a seconda delle necessità. Non è infatti facile capire come mai la selezione naturale abbia favorito il mantenimento di tipi comportamentali ben definiti, quando la totale flessibilità di comportamento consentirebbe un adattamento costante al mutare delle condizioni ambientali.
È stato innanzitutto ipotizzato che la limitazione della flessibilità di personalità possa rispondere all’esigenza di specializzarsi in una specifica strategia e di contenere il rischio, in termini anche di dispendio energetico, correlato al cambiamento di personalità. Inoltre, è stato elaborato un vero e proprio modello teorico coadiuvato da simulazioni al computer per spiegare il ruolo evolutivo delle personalità animali (Wolf, van Doorn, Leimar, Weissing 2007). Questo modello utilizza l’esempio di ricerca del rischio, una categoria comportamentale che racchiude molti dei tratti di personalità riscontrati in varie specie animali. L’evoluzione di diverse personalità in termini di ricerca del rischio dipenderebbe da differenze nelle aspettative di fitness futura, ovvero dalla coesistenza di strategie di riproduzione anticipata oppure tardiva. Individui che si riproducono in giovane età hanno, infatti, lo svantaggio di avere risorse maggiormente limitate, corrono dunque più rischi e hanno minore aspettative di fitness futura rispetto agli individui che optano invece per una riproduzione tardiva.
Questo modello gode del grande vantaggio di spiegare la coesistenza di differenti personalità e il motivo per cui non sempre queste si evolvono. Esso consente anche di ipotizzare che le personalità possano a loro volta mediare transizioni da una strategia riproduttiva all’altra. Ciò accadrebbe qualora un individuo proattivo che si riproduce anticipatamente riuscisse a ottenere accesso alle risorse e le sue possibilità di riprodursi con successo in futuro diventassero di conseguenza alte. Avrebbe allora senso per l’individuo cambiare strategia riproduttiva, scegliendone una di tipo tardivo e adottando anche le annesse caratteristiche comportamentali. È dunque evidente come vi sia ancora spazio per compiere ulteriori sforzi teorici che illustrino al meglio la dinamicità del rapporto tra strategie riproduttive e comportamento.
L’importanza della neuroendocrinologia
Le diverse personalità animali corrispondono non solo a distinti profili comportamentali, ma anche a differenti caratteristiche neuroendocrine (Koolhaas 2008). La valutazione della risposta allo stress rappresenta in effetti un aspetto cruciale della caratterizzazione delle personalità animali. Individui che mostrano una strategia di risposta di tipo reattivo presentano una marcata reattività parasimpatica, ovvero una marcata risposta bradicardica alla presentazione di uno stimolo stressante improvviso. Essi sono anche caratterizzati da un’iperreattività del sistema ipotalamico-pituitario-surrenalico (HPA, Hypothalamic Pituitary Adrenal) che, negli individui reattivi, subisce un’eccessiva attivazione in risposta a situazioni stressanti, di tipo sia acuto sia cronico. Tuttavia, l’esistenza di una vera e propria correlazione tra reattività dell’asse HPA e strategia di risposta è stata oggetto di accesa discussione scientifica. Alcuni studi hanno, infatti, riportato come la presenza di tale correlazione dipenda dal tipo di stimolo stressante, e hanno piuttosto suggerito che la reattività sia più direttamente correlata all’emotività.
L’idea al momento più comunemente accettata è che le differenti risposte neuroendocrine siano una conseguenza e non la causa di tipi diversi di strategie di risposta (Koolhaas 2008). Questa ipotesi è supportata dall’evidenza che il legame tra attività HPA e strategia dipende dal successo di quest’ultima nel contesto specifico. Un individuo proattivo dimostrerà una reattività del proprio asse HPA addirittura più elevata di un soggetto reattivo in circostanze in cui lo stile proattivo si riveli inadeguato, per es. in caso di sconfitta in seguito a uno scontro aggressivo.
Le basi biologiche della personalità
Le basi biologiche della personalità sono un tema di ricerca antico: già nel 2° sec. a.C. Galeno di Pergamo sosteneva che i quattro tipi di personalità (melancolico, collerico, sanguigno, flemmatico), originariamente definiti da Ippocrate, erano dovuti a un eccesso di quattro rispettivi fluidi corporei (bile nera, bile gialla, sangue, flegma). Da allora proprio gli studi animali hanno consentito notevoli passi avanti nella comprensione delle basi neuroanatomiche e neurochimiche di specifiche risposte comportamentali. Basta pensare alle scoperte del ruolo del sistema dopaminergico nel controllo dell’impulsività e della ricerca della novità, o di quello serotoninergico nella modulazione delle risposte emotive e aggressive. In effetti, questioni etiche e metodologiche fanno sì che la ricerca in campo animale sia in grado di fornire dati preziosi riguardanti la biologia della personalità, che sarebbe impossibile ottenere nell’uomo. Inoltre, la possibilità di variare in maniera controllata la genetica e l’ambiente degli animali in cattività ha evidenziato come tali fattori siano cruciali nel determinare l’insorgenza e la manifestazione delle diverse forme di personalità.
Il ruolo dei geni
Esperimenti genetici replicati e incroci condotti in varie specie di mammiferi e uccelli hanno rivelato l’ereditarietà di molti tipi di personalità, suggerendo quindi che la loro origine abbia una forte componente genetica. Numerosi studi sulle personalità animali hanno utilizzato tecniche di selezione psicogenetica, ovvero di selezione genetica sulla base di specifici aspetti comportamentali. Queste ricerche hanno adottato linee o ceppi che mostrano profili comportamentali consistenti attraverso varie generazioni, come le cinciallegre veloci e lente, o i topi (Mus musculus) a breve o lunga latenza all’attacco aggressivo.
Un esempio molto ben studiato nei mammiferi è rappresentato dalle linee di ratti (Rattus norvegicus) ad alti e bassi livelli di evitamento attivo, rispettivamente Roman high avoidance (RHA) e Roman low avoidance (RLA). Queste linee sono state selezionate originariamente nella seconda metà del secolo scorso, a Roma, da Giorgio Bignami e Daniel Bovet sulla base del loro rendimento nel test di evitamento attivo. Durante questo test l’animale deve apprendere l’associazione tra uno stimolo neutro, per es. un suono, e uno stimolo negativo, come uno shock elettrico, e utilizzarla per evitare quest’ultimo. Tali linee sono anche contraddistinte da altre caratteristiche comportamentali, cosicché si considera che il tipo RLA individua una strategia di risposta di tipo reattivo, ovvero caratterizzata da alti livelli plasmatici di corticosterone (l’equivalente nei roditori del cortisolo umano, principale mediatore della risposta allo stress), ed è più ansioso. Al contrario, i ratti RHA mostrano ridotta reattività allo stress, bassi livelli di ansietà e maggiore impulsività, sintetizzabili come una strategia di tipo proattivo (Steimer, Driscoll 2005).
Ulteriori studi hanno cercato di promuovere la conoscenza della genetica della personalità, tentando di identificare le sequenze geniche che possano svolgere un ruolo critico nel modulare l’espressione di specifici tratti della personalità. Il potenziale coinvolgimento di un certo gene può essere, per es., rivelato dall’associazione tra la sua variazione (polimorfismo) e un tipo di personalità. Studi condotti in varie specie, compreso l’uomo, hanno evidenziato l’importanza dei polimorfismi di alcuni geni coinvolti nella funzionalità del sistema serotoninergico, sia nella degradazione della serotonina (dovuta all’enzima monoamminoossidasi A, MAOA), sia nel riassorbimento di questo neurotrasmettitore a livello presinaptico (effettuato dal trasportatore della serotonina, SERT, SERotonin Transporter). È stato infatti dimostrato che il grado di variabilità in questi geni è direttamente correlato al grado di aggressività. Uno studio effettuato nei macachi dai gruppi di ricerca di Jens Wendland e di Stephen J. Suomi ha evidenziato la presenza di alta variabilità nei geni per MAOA e SERT nelle specie più aggressive (Macaca mulatta), ma non in quelle più tolleranti (Macaca sylvanus, thibetana e arctoides), caratterizzate da omogeneità all’elica (Wendland, Lesch, Newman et al. 2006).
Al contrario, lo stesso studio non ha riscontrato alcuna relazione tra aggressività e polimorfismo del gene codificante per il recettore D4 della dopamina, altro neurotrasmettitore fondamentale per la modulazione di alcuni tipi di strategie di risposta. Il polimorfismo di questo recettore si correla invece con un tipo di personalità riscontrata nelle cinciallegre: i ricercatori dell’università di Groningen hanno infatti dimostrato il legame di questo fattore con l’espressione di tratti di curiosità e impulsività.
È stato, inoltre, possibile valutare il percorso filogenetico di alcune sequenze geniche coinvolte nell’espressione di specifiche personalità animali, attraverso l’utilizzo di confronti interspecie. Studi genetici basati sul paragone tra varie specie di mammiferi, incluso l’uomo, hanno stimato, per es., che la regione polimorfica codificante per il trasportatore della serotonina sarebbe stata introdotta nel genoma circa quaranta milioni di anni fa.
Il ruolo dell’ambiente
I fattori genetici non sono ovviamente i soli responsabili della modulazione della personalità. L’ambiente in cui l’individuo nasce e si sviluppa contribuisce enormemente a influenzare il tipo di personalità che verrà espressa nel corso della vita. L’importanza di fattori ambientali ed ecologici, come la distribuzione delle risorse e la densità di popolazione, è stata già ampiamente discussa. Tuttavia, altri fattori ambientali svolgono un ruolo fondamentale nel regolare lo sviluppo delle diverse personalità animali.
La madre rappresenta il primo elemento ambientale del piccolo, nonché uno dei più cruciali. Studi di laboratorio condotti su diversi animali, inclusi roditori e primati, hanno evidenziato come la separazione cronica dalla madre durante l’infanzia alteri la reattività emotiva, la socievolezza e l’aggressività in età adulta, e induca un’iperreattività neuroendocrina allo stress (Levine 2005). La qualità delle cure materne nei primi periodi di vita esercita anche una forte influenza sullo sviluppo successivo della personalità, in particolare sugli aspetti di emotività e socialità. Questi ultimi possono essere migliorati, in animali da laboratorio, dalla disponibilità di cure materne che riproducano il più possibile le condizioni presenti in natura. Per es., primati allevati da surrogati materni animati presentano personalità caratterizzate da livelli più marcati di socievolezza di quelli allevati da surrogati inanimati. E, ancora, topi di laboratorio allevati da più madri (communal nesting) mostrano da adulti un comportamento meno aggressivo e ridotta ansietà di quelli allevati da una singola madre (Branchi 2009).
L’ambiente può influenzare lo sviluppo delle personalità animali non soltanto attraverso le cure materne. La presenza di stimoli di tipo sia sociale sia non sociale nell’ambiente in cui l’individuo cresce può infatti essere determinante nello sviluppo della sua personalità da adulto. Gli studi sugli animali di laboratorio hanno, infatti, provato che animali (soprattutto roditori, ma anche primati) cresciuti in gabbie arricchite dalla presenza di giochi, ruote girevoli e rifugi mostrano ridotta emotività e spiccata socialità in età adulta (Pietropaolo, Branchi, Cirulli et al. 2004). Al contrario, individui cresciuti in isolamento sociale si dimostrano più aggressivi di quelli allevati in gruppo. È interessante notare come l’efficacia di queste manipolazioni ambientali sia riscontrabile durante tutta la vita dell’individuo, ma risulti più marcata durante alcuni periodi della giovinezza, detti anche periodi sensibili. Tali periodi sono, infatti, caratterizzati da un’elevata plasticità neurocomportamentale, ovvero da una marcata capacità del sistema nervoso di rispondere agli stimoli ambientali.
Numerose ipotesi sono state formulate riguardo ai meccanismi biologici che potrebbero mediare la modulazione ambientale dello sviluppo della personalità. Come già accennato, il sistema neuroendocrino e l’asse HPA in particolare svolgono sicuramente un ruolo importante nel mediare gli effetti dell’ambiente sul sistema nervoso centrale e quindi sul comportamento. Altri elementi la cui funzione nella plasticità neurocomportamentale è stata a lungo analizzata sono i fattori di crescita o neurotrofine, in particolare il fattore di crescita nervoso (NGF, Nerve Growth Factor) e il fattore di crescita encefalo-derivato (BDNF, Brain-Derived Neurotrophic Factor). Gli effetti comportamentali di numerose manipolazioni ambientali sono infatti associati con alterazioni dei livelli di NGF e BDNF in varie aree cerebrali. Tale risultato è stato riscontrato in seguito a manipolazioni dell’ambiente neonatale (Branchi 2009), come per il communal nesting o la separazione materna, ma anche dell’ambiente postnatale tardo, mediante l’arricchimento ambientale, l’esercizio fisico o l’isolamento sociale. Le neurotrofine sarebbero infatti particolarmente cruciali nella regolazione del comportamento sociale e aggressivo: livelli elevati di NGF e ridotti di BDNF sono stati, infatti, riscontrati nell’ipotalamo di topi socialmente subordinati (Pietropaolo, Branchi, Cirulli et al. 2004).
Infine, i fattori ambientali sono in grado di interagire in maniera dinamica con la predisposizione genetica a sviluppare un tipo specifico di personalità. Queste interazioni gene-ambiente sono state trascurate in passato, quando si riteneva che le strategie alternative irreversibili fossero geneticamente determinate, mentre quelle reversibili fossero indotte da fattori ambientali. Con il superamento di tale ingiustificata distinzione, un vasto numero di ricerche ha invece valutato negli ultimi anni il ruolo delle interazioni geni-ambiente sulla personalità. Studi sulle cinciallegre hanno dimostrato come la riduzione delle risorse possa influenzare profondamente la differenziazione delle linee lente e veloci (Carere, Drent, Koolhaas, Groothuis 2005). Il razionamento del cibo determina, infatti, una riduzione della crescita corporea più marcata nella progenie di individui veloci. È inoltre interessante notare come questa manipolazione ambientale interagisca con fattori ontogenetici: in seguito alla riduzione di cibo la differenziazione tra le due strategie di risposta scompare in età giovanile, ma ricompare in età adulta.
Studi sulle interazioni geni-ambiente sono stati condotti in dettaglio anche sulle note linee di ratti RHA e RLA (Steimer, Driscoll 2005). Innanzi tutto, tali esperimenti hanno confermato l’importanza di considerare le interazioni tra personalità e fasi dello sviluppo, come suggerito dagli studi condotti sulle cinciallegre. Nonostante alcuni aspetti comportamentali differiscano tra le due linee già alla nascita si può osservare la differenziazione completa solo a partire dalla pubertà. Questi risultati sottolineano il ruolo centrale svolto dal controllo ormonale, ma anche dall’esperienza, per es. sotto forma di maturazione delle competenze sociali. Inoltre, gli esperimenti condotti su questi ratti hanno confermato l’importanza delle interazioni gene-ambiente sulle caratteristiche comportamentali e neuroendocrine di vari tipi di personalità. La stimolazione ambientale, sotto forma sia di arricchimento sia di manipolazione neonatale (handling), è in grado di modificare il profilo comportamentale di ratti di entrambe le linee. In particolare, l’arricchimento aumenta la predisposizione all’esplorazione e il trattamento di handling diminuisce la tendenza alla paura e alla reattività emotiva. Tuttavia, la linea RHA risulta più sensibile agli effetti sia comportamentali sia endocrini della manipolazione neonatale, che evidentemente devono essere modulati criticamente dalle caratteristiche genetiche e dalla risposta allo stress di ciascuna linea.
Applicazioni degli studi condottisulle personalità animali
Capire l’uomo
Come già accennato in precedenza, gli studi animali consentono di valutare il significato e il percorso evolutivo dei diversi tipi di personalità e, dunque, anche di ricercare le origini della personalità umana. L’esistenza di categorie di personalità comuni all’uomo e ad altre specie ha anche suggerito la presenza di una base biologica comune. Gli studi animali sono indispensabili in questo senso, poiché consentono analisi delle cause genetiche e ambientali, nonché dei meccanismi neurobiologici associati, che sarebbero impraticabili nella specie umana, per ragioni di tipo sia etico sia pratico.
Il progresso recente degli studi sulle personalità animali ha anche stimolato la rilettura critica di parte della psicologia e psichiatria umane. È stato ipotizzato, per es., che alcune sindromi cliniche possano in realtà essere interpretate come il riflesso di strategie alternative (Troisi 2005). Sembra questo il caso della sindrome antisociale, che potrebbe essere considerata come un’alternativa alla strategia di cooperazione, piuttosto che una patologia. La strategia antisociale garantirebbe, infatti, un successo evolutivo paragonabile a quello dei soggetti non sociopatici, seguendo uno schema simile a quello descritto in precedenza per le strategie alternative osservate in alcune specie di salmoni. Questa idea sarebbe supportata dall’osservazione secondo cui la maggior parte dei soggetti affetti da sindrome antisociale conduce quasi tutta la propria esistenza senza diagnosi né trattamenti, e ha un successo riproduttivo simile a quello degli individui normali.
Indipendentemente dalle interpretazioni della cosiddetta psichiatria evolutiva, alcuni autori hanno auspicato che la psicologia della personalità umana acquisisca un approccio più etologico, affrontando la tematica in base ai quesiti elaborati dall’etologo Nikolaas Tinbergen di funzione, causa, sviluppo ontogenetico e filogenesi (Nettle 2008). Questo suggerimento ha notevoli ripercussioni sul piano metodologico, promuovendo l’osservazione diretta di comportamenti spontanei a discapito della descrizione indiretta tramite questionari o interviste.
È interessante notare come tale approccio bottom-up (dall’animale all’uomo) sia speculare a quello prima descritto riguardo al modello dei cinque fattori. Eppure i due approcci possono completarsi a vicenda e potrebbero essere efficacemente combinati, com’è stato suggerito da vari autori. In effetti, è sempre più evidente come la conoscenza profonda di un tema così complesso quale la personalità debba avvalersi del continuo passaggio dall’uomo all’animale e viceversa.
Ancora una volta, occorre sottolineare che l’estrapolazione dall’animale all’uomo deve tenere in considerazione le caratteristiche socioecologiche delle diverse specie. Per es., studi sulla socievolezza potranno beneficiare maggiormente di paragoni con specie altamente sociali, come i leoni, piuttosto che con specie geneticamente più vicine, ma meno sociali, come gli oranghi. Allo stesso modo, estrapolazioni riguardanti il nesso tra personalità e risposta allo stress potranno essere più agevoli e informative se basate su specie esposte a fattori stressanti che siano simili a quelli riscontrati nel mondo umano, ovvero stress di tipo cronico e di natura prettamente sociale. Un ottimo esempio è fornito dai babbuini del Serengeti (Papio anubis), studiati e splendidamente raccontati da Robert M. Sapolsky (2001).
Personalità e salute
Un’evidente derivazione dell’applicazione degli studi animali alla psicobiologia dell’uomo consiste nell’analizzare la relazione tra personalità e insorgenza di malattie. È ormai accertato come la comparsa di svariate patologie sia dovuta alla ridotta capacità di un individuo di adattarsi a circostanze stressanti, e sia dunque attribuibile a un’infruttuosa interazione tra personalità e ambiente. È altrettanto noto come specifiche caratteristiche della personalità di un individuo possano influenzare le sue capacità di rispondere ai trattamenti terapeutici. L’importanza di capire il nesso tra personalità e salute può dunque aprire la strada a migliori interventi di prevenzione e a trattamenti sia farmacologici sia psicologici.
Esperimenti condotti su numerose specie animali hanno messo in luce come vi sia una forte interconnessione tra personalità e propensione a contrarre malattie: si è rilevato, per es., che, tra i primati, gli individui più socievoli hanno una risposta immunitaria più efficiente all’inoculazione di agenti infettivi virali rispetto a quelli meno socievoli. Ratti che esprimono strategie proattive sono più vulnerabili all’induzione sperimentale di patologie autoimmuni, quale l’encefalite allergica. È interessante notare come studi condotti sugli esseri umani, tra soldati dell’esercito statunitense, abbiano raggiunto conclusioni simili, dimostrando associazioni significative tra aggressività e risposta immunitaria.
È stato suggerito che l’aumentata vulnerabilità dei tipi proattivi possa essere legata all’iperreattività del sistema simpatico e dell’asse HPA, nonché all’aumento della produzione di citochine proinfiammatorie. In effetti, è probabile che i diversi profili neuroendocrini dei due tipi comportamentali siano fortemente coinvolti nella differente tendenza a contrarre malattie. La psiconeuroimmunologia ha infatti ormai accertato come il sistema simpatico e l’asse HPA giochino un ruolo cruciale di comunicazione tra il sistema nervoso e quello immunitario. Studi di laboratorio sui topi hanno, per es., dimostrato che le differenze di personalità sono una variabile fondamentale per spiegare lo sviluppo di tumori in seguito all’esperienza di forti stress sociali, probabilmente a causa di diversità nei processi di angiogenesi e nell’attività di elementi immunitari specializzati, quali le cellule natural killers.
Le varie personalità sono anche collegate a un diverso grado di rischio di sviluppare patologie specifiche. Gli individui caratterizzati da strategie di risposta proattive possiedono livelli plasmatici elevati di adrenalina e noradrenalina ed elevati valori di pressione e battito cardiaco. Questi risultati suggeriscono quindi che personalità proattive e aggressive siano più esposte al rischio di sviluppare disturbi cardiocircolatori, quali ipertensione e arterosclerosi. Individui con personalità proattive hanno anche maggiore probabilità di sviluppare ulcere gastriche in seguito all’esposizione a stimoli stressanti. Per es., nelle colonie di ratti, i dominanti, ovvero gli individui proattivi, sviluppano ulcere gastriche in seguito alla perdita di status sociale. È stato anche osservato in diverse specie in cattività come la personalità proattiva sia associata a una maggiore propensione a sviluppare stereotipie, ossia comportamenti ripetuti e senza funzione apparente (per es., il girare su sé stessi). Ciò sarebbe dovuto a un elevato rilascio di dopamina che caratterizza questa strategia di risposta, dal momento che molti studi hanno evidenziato il controllo dopaminergico delle stereotipie. La relazione tra personalità e sviluppo delle stereotipie è di duplice interesse. Innanzitutto, queste ultime sono considerate un indice di ridotto benessere negli animali in cattività, aspetto che verrà discusso in dettaglio in seguito. Inoltre, esse sono osservate nell’uomo in corrispondenza di vari disordini psichiatrici, per es. la schizofrenia, e nei relativi modelli animali. Gli studi su animali possono quindi contribuire a investigare il legame tra personalità e propensione a sviluppare specifiche patologie neuropsichiatriche. Secondo studi condotti sui topi di laboratorio, gli individui reattivi hanno maggiori probabilità di sviluppare alterazioni comportamentali simili ai sintomi mostrati dagli umani affetti da sindromi depressive e di ansietà.
È importante notare come la relazione tra personalità e disturbi neuropsichiatrici abbia ricevuto un’attenzione crescente negli ultimi anni, anche a causa del notevole utilizzo di modelli animali nelle ricerche centrate su questo tipo di patologie. Particolare attenzione è stata riservata all’elevata reattività allo stress come fattore di rischio per molte sindromi neuropsichiatriche. Una visione sempre più accreditata ipotizza, infatti, che l’esposizione a eventi stressanti possa rappresentare il fattore scatenante per la manifestazione di alcune patologie, come la schizofrenia o la depressione, che resterebbero altrimenti latenti anche in individui con predisposizione genetica. Questa ipotesi, che ha portato all’elaborazione di un vero e proprio modello (two-hit model), evidenzia la complessità dei processi di sviluppo delle patologie nervose, che sono regolati da una combinazione di fattori genetici, ambientali e ontogenetici.
Personalità e animali domestici, di allevamentoe di laboratorio
Un’applicazione pratica molto immediata dello studio delle personalità animali riguarda gli animali domestici da compagnia o da lavoro. Studi recenti di personalità sono stati utilizzati nei canili per ottimizzare la riuscita delle adozioni, perfezionando l’abbinamento della personalità canina con le necessità e le caratteristiche del potenziale padrone. Strategie di selezione e di incroci specifici possono essere adottate dagli allevatori di cani di razza per selezionare o accentuare alcuni tratti di personalità, a seconda delle esigenze. Da alcuni recenti studi condotti in Svezia da Kenth Svartberg, è emerso che determinati aspetti della personalità, per es. l’estroversione, sono correlati alle capacità di addestramento in cani da caccia o da pastore (Svartberg, Tapper, Temrin et al. 2005). Queste osservazioni hanno addirittura convinto l’Associazione svedese per i cani da lavoro (SWDA, Swedish Working Dog Association) a utilizzare un test di mentalità canina per poter valutare la personalità dei cani e dunque delineare la tecnica di addestramento ottimale per ciascun tipo di animale.
Studiare le varie personalità ha anche importanti implicazioni per la valutazione del benessere degli animali in cattività. Per sua definizione, infatti, il benessere animale è correlato agli stati emotivi dell’individuo e alla sua esposizione e conseguente reazione a fonti di stress. È quindi di immediata comprensione la connessione tra personalità e benessere animale, vista la relazione tra tipi di personalità e profili neuroendocrini, come già descritto in precedenza. Le applicazioni degli studi di personalità al benessere animale sono molteplici. Innanzi tutto, la comprensione delle basi biologiche delle personalità animali può consentire di intensificare in modo selettivo l’allevamento di personalità più consone al mantenimento in cattività, per es. poco aggressive e ansiose, e con ridotta risposta allo stress. È possibile promuovere l’insorgenza di personalità del genere, per es. migliorando le condizioni ambientali in cui gli animali sono allevati e mantenuti, tramite arricchimento ambientale, sociale o aumento delle cure materne. Ovviamente è anche possibile trarre vantaggio dalla conoscenza dei fattori genetici coinvolti nella modulazione della personalità, per es. selezionando ceppi più consoni alle condizioni di cattività. In ogni caso, il fine ultimo di questi accorgimenti dovrà essere l’ottimizzazione del benessere animale. Questo obiettivo riveste notevole importanza non solo etica, ma anche pratica, considerando il profondo e dimostrato legame tra benessere degli animali di laboratorio e d’allevamento e, rispettivamente, la qualità dei dati sperimentali e dei prodotti così ottenuti.
Idee per il futuro
È evidente dunque come lo studio delle personalità animali sia un campo di ricerca scientifica emergente che promette notevoli sviluppi, purché si adotti un approccio sempre più multidimensionale. Gli studi futuri dovranno, infatti, fondere e combinare gli approcci provenienti da diverse discipline, come la psicologia classica, le neuroscienze, l’ecologia.
Dal punto di vista metodologico, uno degli scopi primari delle ricerche future deve consistere nel ridurre il più possibile le distanze tra uomo e animale. Per questa ragione, occorrerà impegnarsi al meglio per aumentare il valore traslazionale dei test comportamentali esistenti, per renderli in grado di valutare tratti di personalità il più possibile simili nell’uomo e negli animali. È inoltre importante sottolineare come future analisi debbano tenere conto, ovunque sia possibile, non solo di animali in cattività e in condizioni di laboratorio, ma anche nel loro ambiente naturale. La combinazione di condizioni sperimentali e naturali è infatti preziosa, innanzi tutto perché la cattività e la selezione genetica a essa spesso associata possono ridurre notevolmente la variabilità comportamentale, limitando l’identificazione di alcuni tipi di personalità. Infine, gli studi in natura sono necessari per poter valutare l’impatto di quei fattori ecologici in grado di modulare la personalità.
Dal punto di vista teorico sono numerose le sfide che le ricerche future dovranno affrontare per riuscire a chiarire la natura e la funzione delle personalità animali. Gli specifici meccanismi attraverso i quali la personalità influenza il sistema neuroendocrino e immunitario potranno essere compresi, per es., traendo vantaggio dai progressi continui compiuti dalle tecniche di biologia e genetica molecolari. Allo stesso modo sarà possibile far luce sulla genetica della personalità, espandendo la conoscenza dei geni coinvolti nella modulazione delle diverse strategie di risposta tramite i progressi ottenuti nell’utilizzo di mappe genetiche. Nell’era della genomica non si dovrà però trascurare l’importanza dei fattori ambientali e delle loro interazioni con quelli genetici, processi i cui specifici meccanismi di base richiedono tuttora un’esauriente spiegazione. Particolare attenzione, infine, dovrà essere posta nell’evitare pericolosi approcci deterministi, ricordando sempre che personalità non vuol dire destino (Capitanio 2008).
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