Personalita e societa
di Luciano Gallino
Personalità e società
Fin dai primi stadi del loro sviluppo le scienze sociali si sono chieste in quali modi una società forma il carattere, l'indole, il sé, l'io, la mentalità che appaiono prevalere nella sua popolazione; a che cosa sono dovute le trasformazioni di codesti tratti psichici e comportamentali entro una stessa popolazione che si osservano nel corso dell'evoluzione sociale; come si possono categorizzare le differenze dei medesimi che è dato constatare tra diverse società o nazioni o gruppi etnici; qual è l'influenza che certe forme di mentalità o di carattere, predominanti in una società, possono avere sulle sue strutture e sul suo mutamento.
Nei primi anni del Novecento il coacervo di tratti psichici presi in esame da precursori che vanno da Nicolas Malebranche a Charles-Louis de Montesquieu, da David Hume a John Stuart Mill e a Herbert Spencer, spesso riassunti in espressioni quali 'spirito generale' o 'carattere del popolo' o ancora 'carattere nazionale' (oppure 'carattere delle nazioni'), comincia a essere designato sempre più spesso col termine 'personalità' e gli studi sui rapporti fra personalità e società si fanno più sistematici. Charles H. Cooley elabora una teoria propriamente sociologica dell'io individuale attribuendo al gruppo primario e all'opinione altrui il maggior peso nella sua formazione (v. Cooley, 1902 e 1909). Georg Simmel teorizza una suggestiva analogia - richiamandosi a osservazioni che risalgono addirittura a Platone - tra le forme di interazione degli elementi psichici all'interno di uno spirito individuale e il mutuo comportamento degli individui all'interno d'una società (v. Simmel, 1908). Analizzando le lettere e la biografia di immigrati polacchi a Chicago - un caso di migrazione emblematico delle tensioni cui la personalità è sottoposta quando l'individuo si inserisce in una società radicalmente diversa - William I. Thomas e Florian Znaniecki individuano tre tipi fondamentali di personalità, denominati il filisteo, il bohémien e il creativo, contraddistinti dalla diversa capacità di adattamento al nuovo ambiente e dalla minore o maggiore apertura a future possibilità di evoluzione (v. Thomas e Znaniecki, 1918-1920). Nella imponente serie di volumi dedicati alla 'psicologia etnica' Wilhelm Wundt pone i fondamenti scientifici della comparazione tra i tipi di personalità predominanti in popoli differenti, e fornisce nel contempo un vastissimo materiale descrittivo (v. Wundt, 1911-1920³).
A fronte di simili variegati antecedenti, gli studi sui rapporti tra personalità e società compiono negli anni trenta un decisivo salto metodologico e teoretico. Anzitutto si compattano e al tempo stesso si differenziano in tre indirizzi nettamente distinti, al di fuori dei quali restano pochi lavori di sicura importanza per quest'ambito, ad esempio quelli di David Riesman.
Al di là delle pur rilevanti differenze di approccio, questi tre indirizzi hanno in comune: 1) l'impiego di teorie della personalità consolidate, laddove i loro predecessori tendevano a costruirle di volta in volta ad hoc. Inoltre tali teorie, con rare eccezioni, sono mutuate in varie forme e per vari canali dalla psicanalisi; 2) il ricorso metodico al concetto di cultura come elemento ineludibile dei processi tramite i quali si configurano i rapporti tra personalità e società; 3) la prospettiva evoluzionistica o storica.
Il primo indirizzo assume la teoria generale dell'azione come base comune per l'analisi sia del sistema 'personalità' che del sistema sociale e delle loro interazioni. Il secondo si concentra sui problemi di strutturazione e di adattamento che alla personalità individuale sono posti dalla cultura, intesa come l'insieme dei valori, delle norme, dei costumi predominanti in una società. Il terzo indirizzo degli studi sui rapporti tra personalità e società mette in primo piano quella che definisce l'involuzione culturale delle società capitalistiche avanzate, l'irrazionalità della ragione strumentale o tecnologica, le tendenze autoritarie in esse insite (il fatto di essere nata negli anni trenta ha pesato in special modo su questo indirizzo) e con ciò i conflitti e le distorsioni che esse introducono nella personalità dei loro membri.
Pur con notevoli trasformazioni rispetto alle origini, e in differente misura, tutt'e tre questi indirizzi sono ancor oggi presenti negli studi sui rapporti tra personalità e società e continuano a caratterizzarne il campo.
Secondo la concezione sistemica, che ha avuto in Talcott Parsons il suo maggior esponente, lo schema generale di riferimento della teoria dell'azione si articola, da un punto di vista analitico, in quattro sistemi: il sistema culturale, i cui elementi costitutivi sono simboli e significati; il sistema sociale, costituito da ruoli sociali tra loro interrelati e interagenti; il sistema personalità, formato da 'disposizioni del bisogno'; infine il sistema fisiologico in attività, ossia l'organismo agente. Va sottolineato che la differenziazione categorica dei quattro tipi di sistema ha valore soltanto da un punto di vista analitico: in ogni azione concreta, sia essa compiuta da un individuo o da un gruppo, sono tutti contemporaneamente presenti. Al tempo stesso essi non sono riducibili l'uno all'altro; la distinzione dei quattro sistemi, insisterà per decenni Parsons avverso alle interpretazioni in tal senso, non è una mera tautologia (v. Parsons, 1959, p. 613).
I quattro sistemi considerati formano una gerarchia di organizzazione e controllo. Il sistema psicologico, la personalità, controlla la motricità, il comportamento attuatore dell'organismo. I sistemi sociali organizzano e controllano i sistemi psicologici; i sistemi culturali orientano e controllano i sistemi sociali. Invertendo il punto di vista, ciascun sistema rappresenta una condizione per il sistema sovrastante. Un organismo relativamente efficiente è una condizione necessaria affinché la personalità possa affermare nella realtà le sue disposizioni del bisogno. Personalità adeguatamente e completamente formate sono una condizione per il funzionamento di qualsiasi sistema sociale. Infine la cultura può svolgere la sua funzione di orientamento e controllo solamente se il sistema sociale è propriamente strutturato.Sono evidenti le peculiarità di questo schema per quanto concerne i rapporti tra personalità e società. In esso la contrapposizione tradizionale di individuo e società, insieme con il dilemma, quale dei due sia da privilegiare al fine di spiegare i fenomeni sociali - dilemma risolto dall'individualismo metodologico a favore del primo elemento, e dalle varie forme di olismo a favore del secondo - appaiono privi di significato. La società - ovvero i sistemi sociali che la compongono - e la cultura sono al medesimo tempo l'ambiente per i sistemi psicologici e un loro elemento costituivo. I sistemi sociali penetrano nella personalità con le loro prescrizioni di ruolo, ma questa penetra a sua volta in essi, nel senso che fornisce loro le proprie risorse motivazionali, la propria capacità di controllo degli organismi, rendendone possibile la costruzione e il funzionamento.
Al centro dell'analisi si colloca pertanto il concetto di interpenetrazione dei diversi livelli dell'azione. Ogni azione concreta di un attore in una data situazione viene spiegata come il risultato d'un particolare tipo di relazione reciproca e d'una determinata misura di interpenetrazione di tali sistemi, ciascuno dei quali, in sé considerato, segue leggi proprie (v. Münch, 1988, p. 66). Muovendo dalla concezione parsonsiana, sviluppi innovativi del concetto di interpenetrazione tra sistemi psichici e sistemi sociali sono stati formulati da Niklas Luhmann (v., 1984), in una direzione, peraltro, che accentua fortemente l'autonomia dei secondi nella loro formazione e riproduzione autopoietica, sulla base di proprie operazioni elementari. I sistemi psichici fanno parte dell'ambiente dei sistemi sociali, e ciascuno di essi immette nell'altro la propria complessità interna precostituita; ma le operazioni onde si formano i sistemi sociali sono comunicazioni - non già processi psichici per sé, né quindi processi di coscienza (ibid., capp. VI e VII).
Rispetto alla versione originaria della concezione sistemica dei rapporti personalità/società, si tratta di una dislocazione cruciale del livello psicologico nello schema generale di riferimento della teoria dell'azione. Alla luce del predetto schema venivano infatti recuperati, e posti in primo piano come elementi costitutivi dell'agire sociale, alcuni fondamentali concetti della psicanalisi. I sistemi sociali e culturali penetrano nella personalità, concorrendo alla sua strutturazione, tramite quei canali che nel lessico freudiano sono l'Ego e il Super-Ego. L'Ego, per Freud, è composto dal precipitato di oggetti sociali perduti: persone da cui il soggetto è stato attratto, che hanno costituito per un tratto anche breve dell'esistenza il suo mondo, e che da tale mondo sono uscite. Il Super-Ego rappresenta l'interiorizzazione dell'orientamento prescrittivo d'una collettività, di regola mediato dalla famiglia in cui il soggetto viene socializzato. Nello schema sistemico queste due istanze diventano, entro il sistema psichico, componenti fondamentali dell'interscambio con i sistemi sociali e culturali, dei quali rappresentano tratti interiorizzati. L'approccio ai rapporti tra personalità e sistemi sociali seguito da Luhmann lascia intenzionalmente da parte questi contributi della psicologia dinamica.
Ma anche nella originaria concezione sistemica, laddove processi psichici di rilevanza strategica per l'inserimento della società entro la personalità sono sussunti nello schema di base, altri non meno rilevanti per la topica psicanalitica vengono lasciati nello sfondo. È stato così fornito indirettamente lo spunto ad alcune severe critiche che allo schema sistemico di ascendenza parsonsiana saranno poi levate sino ai giorni nostri. Da qui muove infatti l'accusa, rivolta alla concezione sistemica dei rapporti tra personalità e società, di essere una concezione ultrasocializzata dell'uomo. Se le componenti fondamentali della personalità derivano con larga prevalenza dall'interiorizzazione di componenti della società, all'interno della personalità - affermano i critici - viene a mancare ogni elemento di autonomia, di contrapposizione quanto meno potenziale alle prescrizioni, ai valori, agli oggetti sociali interiormente raffigurati. Nello schema freudiano, è noto, tale elemento di opposizione era formato dall'Id, il turbolento rappresentante delle pulsioni istintuali, nonché, a modo suo, indomabile nucleo di ragione biologica contrapposto alle ragioni della società e della cultura sostenute dalle altre due istanze. Nella concezione sistemica esso è formalmente presente in alcune delle formulazioni più tarde (v. Münch, 1988, p. 118), ma appare ampiamente depotenziato rispetto allo schema freudiano.Con ciò non si vuol sottintendere che la personalità nella concezione sistemica sia per definizione un sistema privo di conflitti interni. Essi sono possibili, ma non derivano dalla contrapposizione ontogenetica tra biologia e cultura, tra pulsioni endogene e rappresentazioni interiorizzate di altri significati, bensì da una socializzazione incompleta o inadeguata - ossia da una interiorizzazione mal riuscita dei valori, delle norme, dei significati della cultura trasmessa dal sistema sociale. Socializzazione incompleta significa che una delle sue fasi - di cui si dirà poco oltre - ha avuto un esito precario, o, nei casi più gravi, è stata saltata, compromettendo in modo permanente l'equilibrio tra i sottosistemi della personalità. Inadeguata è invece la socializzazione derivante dall'interiorizzazione di oggetti sociali e culturali che porterebbero l'individuo ad agire in modo conforme alle prescrizioni del sistema A, mentre se l'individuo entra nel sistema B favoriscono comportamenti che - dal punto di vista di B - appaiono tendenzialmente devianti.Componente intrinseca della concezione sistemica è un metodo per la delimitazione di tipi di personalità, che in quanto deriva da un'applicazione locale di un medesimo schema generale di riferimento consente un collegamento diretto con tipi di sistema sociale e di società.
Ogni sistema d'azione si trova di fronte a quattro imperativi funzionali: a) deve adattarsi all'ambiente mediante comportamenti autoplastici (cioè rivolti a modificare se stesso), alloplastici (diretti a modificare l'ambiente) o esotropici (ovvero esplorativi di ambienti nuovi); b) deve formulare e perseguire qualche scopo; c) deve badare all'integrazione tra le sue componenti; d) deve mirare a conservare la propria struttura latente, ovvero (nel lessico più recente delle teorie dell'autopoiesi) il proprio piano organizzativo di base.
In un sistema d'azione normalmente sviluppato codesti imperativi o problemi funzionali danno luogo a una duplice differenziazione. Da un punto di vista strutturale, danno origine ad altrettanti sottosistemi, ognuno dei quali si caratterizza per il contributo primario offerto al funzionamento del sistema come un tutto. Per contro, da un punto di vista dinamico, gli stessi problemi funzionali si riflettono in altrettante fasi di funzionamento. La variabilità delle situazioni non permette infatti ad alcun sistema di restare perpetuamente impegnato nella soluzione di un singolo problema. Nel ciclo di funzionamento del sistema si susseguiranno quindi - in un ordine che dipende tanto dalle situazioni quanto dai loro effetti sugli stati interni - fasi di attività rivolte di volta in volta all'adattamento, al perseguimento d'uno scopo, all'integrazione, alla conservazione della struttura latente e al complementare controllo delle tensioni.
Applicato al sistema psichico, tale schema genera quattro tipi base di personalità, contraddistinti dal loro orientamento nei confronti dei problemi funzionali richiamati sopra. Sotto il profilo dei valori interiorizzati nel corso della socializzazione, una personalità si caratterizza per il primato che assegna a un determinato problema piuttosto che ad altri. Si avranno così personalità che privilegiano strutturalmente l'adattamento, altre il perseguimento d'uno scopo, altre ancora l'integrazione, oppure la conservazione della struttura latente. Ogni tipo base è quindi atto a differenziarsi in sottotipi, in relazione ai valori che seguono al secondo, terzo o quarto posto il valore primario. Ciascuno di tali tipi di personalità risulterà inoltre orientato, sotto il profilo dei modi di affrontare dinamicamente le esigenze poste dalla situazione, a risolvere diversamente ciascun problema. Ad esempio, il tipo di personalità che attribuisce il massimo valore al perseguimento d'uno scopo sarà incline a risolvere i problemi di integrazione mediante il razionamento delle opportunità di gratificazione, mentre il tipo dominato dall'imperativo di mantenere la struttura latente tenderà piuttosto ad affrontare i medesimi problemi ricorrendo alla repressione dei bisogni in conflitto (v. Parsons, 1959, pp. 641 ss. e 664 ss.).Per tal via si profilano specifiche quanto differenti modalità di rapporto tra personalità e società, o, più esattamente, tra personalità, sistemi sociali e sistemi culturali. Ciò si deve al fatto che gli stessi valori d'orientamento sono parte costitutiva non solo della personalità, ma - a un diverso livello - anche dei sistemi sociali e culturali. Lo schema, si noti, non prefigura un semplice gioco di giustapposizione/contrapposizione, ovvero conformità/devianza, tra il tipo di personalità X e il tipo di società o sistema Y. Designando con A, B, C, D qualunque tipo di sistema strutturalmente orientato da uno degli imperativi/valori di base, molteplici combinazioni sono possibili. Il massimo di congruenza struttural-funzionale si avrà evidentemente nel caso in cui personalità, sistema culturale e sistema sociale sono del medesimo tipo - ad esempio A. Ma può accadere che la personalità sia di tipo A, il sistema sociale sia di tipo B, e la cultura ancora di tipo A. In questo caso la personalità appare - e interiormente si sente - legittimata dalla cultura; ma a livello di sistema sociale sarà soggetta a prescrizioni e aspettative di ruolo in conflitto con i suoi valori. Mentre se la personalità è A, e A è pure il sistema sociale, laddove la cultura è B (o C, o D), la personalità stessa sarà gratificata dalle interazioni con gli altri attori del medesimo sistema, ma apparirà e si sentirà in conflitto con i significati e i simboli della cultura.Va peraltro notato che se la personalità è di tipo A, e il sistema sociale di tipo B (o C, o D), ciò non comporta automaticamente un conflitto tra A e B. In certi casi è possibile che l'individuo con personalità A si trovi collocato in una posizione relativamente neutra del sistema sociale, dove la sua formale non-conformità non crea difficoltà nei rapporti tra i due sistemi. Oppure è possibile che il soggetto A, inserito nel sistema sociale di tipo C (o B, o D), svolga in esso una funzione innovatrice (come, ad esempio, la funzione dell'imprenditore schumpeteriano nel sistema economico), che dopo qualche tensione iniziale viene sancita positivamente da C.Pertanto, ad onta d'una certa qual schematicità, che appare inevitabilmente più manifesta in una sintesi come la presente, la concezione sistemica dei rapporti tra personalità e società rimane un apparato ordinatore di notevole efficacia per la descrizione e la comprensione di tali rapporti.
La scuola 'cultura e personalità' ha tratto origine da una reazione, attinente al merito quanto al metodo, nei confronti della nozione oggettivistica di cultura che aveva dominato la ricerca antropologica per tutto il primo terzo del Novecento. Sin dal 1917 Edward Sapir, considerato dai più come il maggior ispiratore della scuola, polemizzava con il concetto formulato da A.L. Krober di cultura come entità 'superorganica', in base al quale l'individuo appariva totalmente subordinato al suo ambiente culturale. La cultura, obiettava Sapir, non è formata solamente da tratti esteriormente osservabili, come ad esempio manufatti e comportamenti; parte inscindibile di essa sono i significati che gli individui si costruiscono mentalmente, desumendoli dalle interazioni sociali in cui sono coinvolti. Accettare la nozione di cultura proposta da Kroeber avrebbe significato dar credito a un determinismo sociale così radicale da poter essere assimilato a una religione. E commette un grave errore di metodo l'osservatore il quale deduce la presenza in una certa popolazione di determinati tratti di cultura dalle descrizioni che ne rendono gli individui, per procedere poi a ragionare sui modi in cui gli individui si adattano psichicamente a quei medesimi tratti. In una nutrita serie di saggi apparsi negli anni trenta Sapir ebbe poi a riformulare in positivo tali critiche, prospettando direttrici di ricerca che hanno influenzato un'intera generazione di antropologi (v. Sapir, 1949).
Lungo tali direttrici, intese a riportare il soggetto in primo piano quale veicolo attivo, interprete plastico, produttore creativo di tratti di cultura, anziché tabula rasa su cui la cultura inflessibilmente si inscrive, si sono successivamente sviluppati gli studi di autori quali Ruth Benedict, Cora DuBois, Margaret Mead, Ralph Linton, Clyde Kluckhohn, per menzionare solo i più noti. Una caratteristica che accomunò i membri di tale gruppo lasciando tracce profonde sull'intera scuola fu il prolungato rapporto personale, la collaborazione scientifica, e in certi casi il conflitto con importanti figure del movimento psicanalitico degli anni trenta e quaranta. Sapir per primo aveva avuto ripetuti contatti con H. S. Sullivan, un teorico post-freudiano delle trasformazioni strutturali che l'io subisce a causa delle esperienze interpersonali. Le ricerche di Mead sul carattere nazionale debbono non poco ai contatti avuti con E.H. Erikson, uno specialista d'origine tedesca di psicologia dell'età evolutiva, egli stesso autore d'un classico studio sulle modalità onde la società forma la personalità sin dai primissimi anni di vita, Childood and society (v. Erikson, 1950). Un altro psicanalista, Abram Kardiner, fu l'animatore d'un ciclo di seminari che si svolsero tra il 1936 e il 1939 presso il New York Psychoanalytic Institute con la partecipazione di Benedict, DuBois, Linton e altri antropologi culturali (v. Kardiner, 1939). Tra i materiali discussi in tali seminari ricevettero molta attenzione due ricerche condotte da Linton negli anni venti sugli indigeni delle isole Marchesi e sui Tanala del Madagascar - una circostanza che avrebbe dato particolare peso al dissenso che alcuni anni dopo proprio Linton avrebbe espresso nei confronti dell'approccio kardineriano.
Esiti importanti, e tuttora attuali, della scuola 'cultura e personalità' sono stati l'elaborazione del concetto di personalità di base, e la riformulazione in termini più rigorosi dell'antico concetto di carattere nazionale, pur dovendosi notare che parecchi autori di questa scuola hanno sovente usato i due termini come sinonimi. Così era definita la struttura della personalità di base in una delle opere più tarde di Kardiner: "Configurazione della personalità che è condivisa dalla massa dei membri della società come risultato delle esperienze che essi hanno in comune in età precoce. Essa non corrisponde alla personalità totale dell'individuo, ma piuttosto ai sistemi proiettivi o, in una terminologia diversa, ai sistemi d'atteggiamento valutativo che sono alla base della configurazione della personalità dell'individuo. Perciò è possibile che gli stessi tipi di personalità di base si riflettano in molte forme differenti di comportamento e si ritrovino in molte configurazioni di personalità diverse" (v. Kardiner e altri, 1945, p. VII).In tale definizione sono contenute varie asserzioni che rappresentano altrettante risposte preventive ad alcune delle principali critiche rivolte in seguito ai concetti di personalità di base e di carattere nazionale, a cominciare da quelle di Linton. Le asserzioni insite nella definizione di Kardiner sono: a) la personalità di base è una sezione o un sottosistema della personalità totale; b) lo stesso tipo di personalità di base può soggiacere a molti comportamenti differenti; c) la personalità di base non è una sorta di campione rappresentativo dei tratti psichici di cui consta la personalità totale, né è un sottosistema la cui struttura sia interamente determinata dal sovrasistema, ma è dato ritrovarla in personalità totali differenti. In altre parole essa è sottodeterminata dalla personalità totale: non può essere desunta per estrapolazione dagli altri sottosistemi di questa.
Risultano così svuotate in anticipo di significato varie obiezioni al concetto psicanaliticamente fondato di personalità di base, secondo le quali in una qualunque popolazione d'una certa dimensione non è seriamente proponibile l'ipotesi che esista un solo tipo di personalità; tra il tipo di personalità e il comportamento non è detto esista una relazione diretta; di fronte a situazioni in cui i loro valori comuni sono coinvolti è soltanto la presenza di un tipo comune di personalità a rendere possibile una risposta emotiva unificata. Fu questa, in specie, l'obiezione di Linton, che ridando peso al comportamento come elemento esaustivo, anziché come espressione psichicamente sottodeterminata del carattere d'una popolazione (v. Linton, 1945), ristabiliva una equiparazione tra comportamenti tipici e carattere, tra carattere e personalità, che da Freud in poi è stata abbandonata dalla maggior parte degli scienziati sociali influenzati in modo non superficiale dalla psicanalisi. Individui dotati di tipi di personalità differenti agiscono in molte situazioni allo stesso modo, perché sotto la pressione di incentivi e minacce, di compensi e deprivazioni infliggono alla propria psiche misure variabili di angoscia e altre sofferenze al fine di agire in modo conforme alla domanda sociale. I costi psichici della conformità socioculturale sono un connotato inscindibile degli studi su cultura e personalità.
L'idea di tratti comportamentali condivisi dalla maggior parte dei membri della popolazione d'un dato gruppo etnico, o nazione nel senso strettamente socio-antropologico, o di un intero paese (essendo quasi tutti gli Stati-nazione in realtà multinazionali) è invece connaturata al concetto di carattere nazionale. In questo caso, oggetto di indagine non sono gli strati profondi del sistema psichico, ma piuttosto la disposizione ad agire in un determinato modo osservabile in diversi tipi di contesti e di situazioni. Questo interesse per come gli individui si comportano, piuttosto che per il loro stato interiore, fu rafforzato dal fatto che tra la fine degli anni trenta e gli anni cinquanta, ovvero tra la seconda guerra mondiale e la guerra fredda fra Stati Uniti e Unione Sovietica, lo studio del carattere nazionale ricevette impulso da esigenze di natura politica e militare. Si trattava di comprendere, nelle parole di Margaret Mead, "il comportamento dei nemici di una nazione, dei suoi alleati, della sua stessa popolazione, e le loro reazioni di fronte ai bombardamenti, alla scarsità di cibo, alla guerra dei nervi, all'invasione, all'occupazione" (v. Mead, 1951, p. 75). Con questo intento furono prodotte importanti ricerche sul carattere nazionale giapponese (v. Benedict, 1946) e su quello dei cittadini sovietici (v. Inkeles, 1959).
Dopo questi decenni di emergenza, gli studi sui rapporti tra cultura e personalità sono poi tornati a concentrarsi su popolazioni relativamente ristrette, per lo più configurabili come distinti gruppi etnici. Al presente, l'organo specializzato nella pubblicazione di simili studi è il "Journal of psychoanalytic anthropology", ma articoli analoghi sono reperibili in molte riviste di scienze sociali. Una ricerca condotta sulle principali banche dati bibliografiche permette di localizzare agevolmente centinaia di titoli recenti.Gli studi sui rapporti tra cultura e personalità, che rimangono un dominio quasi esclusivo degli studiosi anglosassoni, meriterebbero forse una maggiore attenzione sia da parte dei ricercatori, sia dei policy makers, ove si consideri quanto in realtà sia attuale tale prospettiva di indagine. In primo luogo i concetti di personalità di base e di carattere nazionale sono un elemento misconosciuto, ma in effetti centrale, dei numerosi conflitti etnici del nostro tempo, in due sensi. Gravi errori da parte di decisori politici e militari appartenenti ad altre nazioni sono regolarmente commessi a causa della loro incomprensione della personalità di base e del carattere nazionale dei membri d'un determinato gruppo etnico, con il quale, ad esempio, stanno trattando al fine di ridurne la bellicosità o indurlo a sedersi al tavolo delle trattative. Inoltre i due concetti sono atti a descrivere e comprendere non soltanto la conoscenza scientifica della personalità o del carattere di un gruppo, ma anche gli stereotipi che un dato gruppo etnico applica a un altro. Quando il gruppo A crede rigidamente che il gruppo B, con cui è entrato in conflitto, sia formato da personalità e caratteri di tipo X, invece che di tipo Y, e viceversa per B, tali credenze incrociate - anche se del tutto false - hanno un ruolo determinante nell'orientare l'azione di A verso B, nonché di B verso A. Per tale ragione la rilevazione e la modificazione dei reciproci stereotipi personologici e caratteriologici andrebbero stabilmente incluse nelle tecniche di risoluzione dei conflitti etnici.
Un altro fattore d'attualità dei concetti di personalità di base e di carattere nazionale deriva dalla globalizzazione dei processi economici, dei flussi informativi, degli scambi culturali. Per loro tramite un numero mai visto nella storia di individui socializzati in società e culture differenti entrano quotidianamente in contatto, di persona e per via telematica, agendo e reagendo mutuamente sotto l'influsso di incalcolabili fraintendimenti emotivi, valutativi e cognitivi. Infatti l'uniformazione dei modelli organizzativi, dei lessici tecnologici, delle situazioni rappresentate dai media, induce erroneamente ciascuno a credere che a essa corrisponda una condivisione ormai universale di significati, stati emotivi e valori. I concetti di personalità di base e di carattere nazionale si richiamano al fatto che tale situazione presuppositiva è normalmente fuorviante. Qualunque tipo di messaggio, di contatto, di rappresentazione proveniente dalla cultura A, è interpretato soggettivamente dal sottosistema d'orientamento valutativo e affettivo di cui consta la personalità di base dei membri della cultura B; sistema il quale, va notato, si è formato nei primissimi stadi della socializzazione primaria ed è difficilmente modificabile in seguito. Comunicare efficacemente con l'alter culturale richiederebbe perciò, dalle due parti, la comprensione dei tratti più significativi, e significanti, delle personalità di base a confronto.
L'analisi del fascismo e del nazismo come manifestazioni patologiche della tarda società capitalistica; la critica sferzante dell'industria culturale, avviata sin dagli anni quaranta; la penetrante accusa rivolta all'illuminismo di essersi rovesciato nel suo contrario, una sorta di obnubilazione di massa; la denuncia della scienza e della tecnologia contemporanee come strutture di dominio la cui razionalità procedurale maschera l'irrazionalità dei fini; l'atteggiamento fortemente critico assunto - prima di ogni altro gruppo di intellettuali delle sinistre europee - verso il regime sovietico, visto come incarnazione d'un nuovo dispotismo burocratico. Sono stati questi alcuni dei principali punti di riferimento che hanno delimitato il campo di ricerca della teoria critica della società, la quale fu tra gli anni venti, quando fu fondato l'Istituto per la ricerca sociale, dove operarono tutti i suoi maggiori esponenti, quali M. Horkheimer, T.W. Adorno, H. Marcuse, E. Fromm, e i primi anni settanta (ma non più oggi, dato che forme di teoria critica sono coltivate in molti altri luoghi), sinonimo di Scuola di Francoforte. Entro tale vastissimo campo, non come settore affiancato agli altri, bensì come asse portante delle riflessioni della Scuola sul destino della civiltà industriale, fu sempre in primissimo piano il tema dei rapporti tra personalità e società.
Nell'ambito di questi studi la teoria critica ha rappresentato l'irruzione della storia - in questo caso non la generica storia evolutiva dell'uomo, bensì la specifica storia sociale e culturale dell'Occidente - e della teoria politica; entità di fatto assenti negli indirizzi considerati in precedenza. I varchi attraverso i quali l'irruzione ha avuto luogo sono stati l'analisi dell'autorità e della famiglia; i suoi vettori sono stati la psicanalisi e un marxismo rivisitato attraverso Hegel che assegnava alla cultura, nella determinazione delle strutture sociali, un peso non minore che all'economia. L'autorità "è molto più importante di quanto si tenda a credere", scriveva Max Horkheimer negli anni trenta, forzatamente trasferitosi a Parigi dopo l'avvento del nazismo, richiamandosi appunto a Hegel in una delle maggiori opere collettive dell'Istituto, gli Studi sull'autorità e la famiglia, cui collaborarono E. Fromm, H. Marcuse, K.A. Wittfogel e altri. In tutte le forme di società sviluppatesi nella storia predominano sul resto della popolazione o poche persone come nelle situazioni più primitive o, nelle società più avanzate, piccoli gruppi di uomini. Simili situazioni di dominio "non sono tenute in piedi soltanto dalla costrizione immediata", ma anche dalla circostanza "che gli uomini stessi hanno imparato a essere consenzienti nei loro confronti" (v. Horkheimer e altri, 1936; tr. it., pp. 21-22).In certi casi, come nella difesa dall'attacco d'un conquistatore, il comportamento autoritario può essere nell'interesse reale e cosciente di individui e gruppi. Ma in altri casi può trattarsi di rapporti sociali e di idee mantenuti artificiosamente in piedi, divenuti da tempo falsi, contrari ai reali interessi della collettività. Così si fondano paradossalmente sull'autorità tanto la sottomissione cieca e servile, quanto la consapevole disciplina di lavoro in una società in sviluppo. Solo l'analisi della situazione sociale nella sua totalità può dire se gli uomini, accettando per istinto o in modo pienamente consapevole la dipendenza delle loro esistenze, si defraudano dell'accrescimento di forze e di felicità che sarebbe a loro accessibile, oppure contribuiscono ad aumentarle per sé o per l'umanità; "se, infine, la subordinazione incondizionata a un capo politico o a un partito significa storicamente progresso o regresso" (ibid., pp. 23-24).
L'istituzione che provvede alla riproduzione dei caratteri individuali come esige la vita sociale e fornisce loro l'indispensabile attitudine al comportamento autoritario è la famiglia. La concezione protestante della famiglia - qui Horkheimer si riallaccia a Le dottrine sociali delle chiese e dei gruppi cristiani di E. Troeltsch - ha preparato il terreno per una educazione orientata alla giustificazione della realtà, alla introiezione della convinzione che chi vuole arrivare a qualcosa, chi non vuole soccombere deve imparare ad adeguarsi agli altri. "Riconoscere i fatti significa accettarli [...] In quanto il bambino rispetta nella forza paterna un rapporto morale e impara nel contempo ad amare con il cuore ciò che stabilisce esistente tramite l'intelletto, riceve il primo addestramento al rapporto borghese di autorità" (ibid., pp. 48-49).
Il corpo degli Studi sull'autorità e la famiglia consta in realtà di inchieste empiriche condotte in Germania, in Inghilterra, in Svizzera, in Austria su campioni di migliaia di impiegati, operai, educatori, tecnici, ragazzi di diversi strati sociali, disoccupati. Di essi i ricercatori intendevano rilevare come concepissero e vivessero soggettivamente le forme di autorità cui erano sottoposti nella famiglia, nella scuola, nel sistema economico. In questi capitoli sono i dati che parlano, descrivendo analogie e differenze tra gruppi sociali, nascita ed evoluzione di questo o quel movimento. Ma nello sfondo delle pagine storico-filosofiche premesse da Horkheimer a tali inchieste, insieme con quelle di Fromm e di Marcuse, sono evidenti le preoccupazioni intellettuali ed etico-politiche che avrebbero caratterizzato il ceppo germanico della teoria critica, in tema di personalità e società, sino al suo esaurimento di fatto negli anni settanta. L'opera posteriore di Jürgen Habermas, ammesso che si possa ancora farla rientrare nella teoria critica, appare infatti quasi del tutto estranea a tale specifico tema.
Analoghi quesiti saranno individuabili nell'altra grande ricerca sul campo promossa dai francofortesi, La personalità autoritaria (1950), realizzata con la collaborazione di eminenti studiosi americani negli Stati Uniti, dove l'Istituto per la ricerca sociale si era trasferito quando i nazisti nel 1940 avevano invaso la Francia. Com'era potuto accadere - tali erano i quesiti echeggianti nelle ricerche degli esuli francofortesi - che il popolo tedesco, il più civilizzato d'Europa, fosse stato di fatto consenziente con il regime nazista? È possibile che anche nella società americana, la più democratica del mondo, emergessero tendenze autoritarie, stereotipi antisemiti, forme di etnocentrismo? In base a quali meccanismi psichici milioni di uomini avevano obbedito fedelmente a ordini che essi stessi giudicavano infami? Perché gli uomini si lasciano espropriare senza reagire della loro identità e coscienza? Come può accadere che nelle società industriali avanzate, dove il benessere si è ampiamente diffuso, ma le disuguaglianze sociali sono rilevanti come non mai, sia scomparsa non soltanto l'opposizione esterna, il conflitto reale tra differenti formazioni politiche, ma pure l'opposizione interna tra istanze psichiche, tra la coscienza infelice e la speranza d'una completa liberazione delle potenzialità affettive e creative dell'individuo? Trattando quest'ultimo tema, ne L'uomo a una dimensione, pubblicato negli Stati Uniti nel 1964 ma tradotto in Europa qualche anno dopo, Marcuse avrebbe infiammato nel 'sessantotto' le università europee.
La risposta a questa costellazione di interrogativi va cercata, secondo la teoria critica, in una psicologia del profondo che sia anche una storia del profondo. Ricostruendo tale storia emergono via via i fattori che nella struttura della famiglia europea e americana, nella cultura religiosa, nella stessa cultura scientifica e tecnologica del Novecento, in quanto assegna un predominio assoluto alla ragione strumentale sulla ragione pratica, hanno favorito lo sviluppo di tipi di personalità bloccate e distorte. Sono personalità contraddistinte da un Super-Ego eccezionalmente rigido; da un Ego incapace di mediare agilmente tra pulsioni interiori e situazioni esterne; da meccanismi di difesa dalle reazioni eccessive. Personalità così strutturate predispongono l'individuo tanto a obbedire ciecamente agli ordini delle autorità costituite - ecco la Kadavergehorsam, l'obbedienza mortalmente ottusa richiesta a suo tempo ai militari tedeschi - quanto a comportarsi in modo aspramente autoritario non appena si trovi collocato nella posizione per farlo. A riprova di quanto centrale fosse per l'Istituto francofortese per la ricerca sociale tale tema, sono state condotte sino agli ultimi anni di vita dell'Istituto stesso (v. von Freyhold, 1971) ricerche a sfondo psicanalitico sulla personalità autoritaria, selettivamente mirate su campioni di diversi strati sociali per mezzo di ripetuti adattamenti della famosa Scala A - un test per misurare il grado di autoritarismo d'un individuo, inizialmente elaborato da Adorno e dai suoi collaboratori nel periodo americano.
Ai giorni nostri elementi sparsi della teoria critica - sempre per quanto attiene allo studio dei rapporti tra personalità e società - sopravvivono con un certo vigore in vari paesi. In Francia e in Italia molta attenzione ha ricevuto l'opera del filosofo greco-francese Cornelius Castoriadis. Pur dissentendo da Freud su alcuni punti cruciali del progetto psicanalitico, Castoriadis ne ha recuperato l'idea di autonomia dell'inconscio come forza creatrice di immagini presociali, ponendo la salvezza di queste alla base di un progetto politico che le contrappone al predominio esclusivo dell'immaginario sociale istituito, ovvero precostituito. L'appropriazione del sociale da parte della psiche, in cui consiste la socializzazione, non può avvenire senza costi, un dato che la gran maggioranza degli psicanalisti, compreso Freud, si ostina a ignorare occultando le componenti sociali e storiche che l'accompagnano.La società, asserisce Castoriadis, "deve preparare [...] all'individuo la possibilità di trovare, e far essere per lui, un senso nel significato sociale istituito. Ma deve anche preparargli [...] un mondo privato, non solo come cerchio minimo di attività 'autonoma' [...] ma come mondo della rappresentazione (e dell'affetto, e dell'intenzione), nel quale l'individuo rimarrà sempre da solo al centro. In altri termini, l'istituzione della società non può mai riassorbire la psiche come immaginazione radicale, e d'altra parte ciò fornisce una condizione positiva dell'esistenza e del funzionamento della società. La costituzione dell'individuo sociale non abolisce e non può abolire la creatività della psiche, la sua autoalterazione perpetua, il flusso rappresentativo come insorgenza continua di rappresentazioni altre" (v. Castoriadis, 1975; tr. it., pp. 199 e 205). Con tale difesa dell'autonoma creatività della psiche, che ove non fosse soppressa tornerebbe a vantaggio della stessa società, Castoriadis, tra i vari rappresentanti della teoria critica, appare vicino più che ad altri a H. Marcuse, il quale aveva toccato temi analoghi in Eros e civiltà (in specie nei capitoli su L'origine dell'individuo represso e L'origine della civiltà repressiva) e, ovviamente - ma con uso assai più contenuto della teoria psicanalitica -, nel già citato L'uomo a una dimensione.
Negli Stati Uniti autori e temi propri della teoria critica sono stati ripresi negli anni novanta soprattutto nel campo psicanalitico. Si distingue in tale campo la posizione dello psicanalista e docente di filosofia Joel Whitebook della New school for social research, uno dei centri americani della ricerca sociale più orientati sin dalle origini da fini di critica e di riforma sociale. Egli vede una convergenza tra la critica di Adorno alla struttura dell'Ego nelle società moderne e quelle di Lacan. Tre sono le tesi che secondo Whitebook permettono di accostare - su questo specifico punto - i due autori: "1) l'unità dell'Ego come tale è irrigidita, obbligata e coercitiva; 2) l'Ego è una struttura narcisistica (o paranoide) nella misura in cui può apprendere l'oggetto soltanto nei termini della sua propria riflessione (o delle sue proiezioni); 3) l'Ego rigidamente integrato è profondamente implicato nella volontà di potenza e nel dominio della natura" (v. Whitebook, 1995, p. 133).
A paragone di Lacan, tuttavia, Adorno avrebbe avuto il torto, ad onta delle critiche levate all'illuminismo, di non saper abbandonare fino all'ultimo due concetti tipicamente illuministici, come il concetto di razionalità e di Ego. Come in tutta la teoria critica, non si tratta qui solamente di sottigliezze metodologiche nell'analisi dei rapporti tra personalità e società, bensì di valutazioni radicalmente divergenti sul destino dell'identità e dell'autonomia dell'individuo nelle società avanzate. "Noi siamo totalmente convinti - avevano scritto Adorno e Horkheimer nella Dialettica dell'illuminismo - che la libertà sociale è inseparabile dal pensiero illuminato" - e non sono le istituzioni o le collettività a pensare in tal modo, ma gli individui.Altrove Whitebook attacca il primato dell'intersoggettività e della razionalità comunicativa teorizzato nelle opere tarde di J. Habermas rifacendosi precisamente a Castoriadis - criticato con inusitata asprezza da Habermas nel Discorso filosofico della modernità (1985). Tale primato, e l'intero fondamento della teoria habermasiana, sarebbe scosso se si dovesse ammettere che al centro del soggetto sussiste un folto intrico di processi non linguistici. Per Habermas la nozione di un inconscio prelinguistico è anatema. Tale ripulsa si fonda su una concezione errata della realtà extraconcettuale o extralinguistica come puro caos, creta amorfa, nelle parole di Castoriadis. L'inconscio è appunto una realtà extralinguistica sulla quale la società non può imporre le proprie griglie linguistiche a piacimento, non è assoggettabile a determinazioni dall'esterno. Esso possiede una intrinseca capacità imagopoietica, che fonda la possibilità di un pensiero e di un agire autenticamente autonomi e, con essi, della creazione nella storia di significati radicalmente nuovi. In tal modo Castoriadis si appropria di Freud per radicalizzare la teoria sociale mediante l'elaborazione di una teoria della creatività storica che però evita le tendenze conservatrici della psicanalisi ortodossa, "la quale tende a considerare le fantasie, e le istituzioni sociali che ne derivano, come l'eterna ripetizione di un 'vecchio miscuglio' fondato su un numero ristretto di motivi correlati a pulsioni" (v. Whitebook, 1995, pp. 167 ss. e p. 170). Non altro è stato, sin dalle origini, il principio ispiratore della ricostruzione della teoria freudiana operata dalla teoria critica.Per quanto siano ancora vitali e praticati nei centri di ricerca universitari, va detto che nessuno dei tre indirizzi in cui si articola e riassume il campo degli studi sui rapporti tra personalità e società appare avere al volgere del secolo, ad onta della permanente centralità dei temi di cui trattano, particolare rilevanza per la prassi della politica, dell'educazione, delle comunicazioni di massa, delle relazioni interculturali.
(V. anche Antropologia ed etnologia; Comportamentismo; Cultura; Organizzazione; Personalità; Psicanalisi; Psicologia sociale; Socializzazione; Teoria critica della società).
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