PERSONIFICAZIONE
Siamo soliti parlare di "personificazione" ogni qualvolta si attribuisce carattere di personalità ad una cosa o ad un concetto astratto. Il concetto non è antico, bensì di origine umanistica; esso proviene dal termine greco προσωποποιία (latino: personarum confictio), espressione del gergo teatrale, e significava che le parole pronunziate da uno ripetevano ciò che diceva un'altra persona, che poteva rappresentare "gli avi" oppure "la patria". Ma accanto a questo genere di p. scientemente adottata, troviamo presso i Greci un'abbondanza di p. inconsapevoli; ad esse, considerate nell'odierno stretto senso della parola, non spetta questo nome, essendo state tutte scelte nella grande mitologia generale ed equamente affiancate alle antiche divinità ed eroi, i quali dal canto loro presentano i caratteri di ciò che oggi chiamiamo "personificazione". La scienza più antica (J. Grimm, H. Usener) ha considerato questa unificazione sostanzialmente fondata e, quindi, anche la conseguente derivazione di tutti gli dèi ed eroi da p., per cui le sole differenze esistenti consistevano nel maggiore o minore numero di concetti di cui era composta una "divinità". Per contro, la scienza più moderna (W. F. Otto, K. Reinhardt) ha attribuito all'elemento religioso effettivo una efficacia particolare, che sussiste indipendentemente dalla facoltà umane della p., donde la diversità radicale tra le figure del mito nella loro intima essenza e le personificazioni. Tuttavia, poiché gli stessi Greci non percepivano queste differenze, spesso ci riesce difficile tracciare una retta linea di demarcazione e così pure distinguere presso i Greci la p. "incosciente" da quella "cosciente" nei loro dèi ed eroi, "concetto" e "persona" erano sempre coesistenti, per cui era possibile dare la precedenza sia all'uno sia all'altra. Nella sola epoca a noi intelligibile, quando poesia ed arte si occupano degli dèi e della mitologia, si rivela costante la tendenza di accentuare maggiormente l'astrazione, sino a ottenere una specie di fusione delle diversità esistenti tra persona e concetto e finalmente poter creare nuovi personaggi mitici dai concetti.
Temi è una dea e allo stesso tempo la p. dell'ordinamento giuridico; figure quali Hypnos, Thanatos, Plutone, le Horai e le Cariti, pur mantenendo immutabile il rispettivo significato mitologico, vengono sempre strettamente collegate al loro "concetto"; più tardi, a fianco dell'antichissimo Eros viene posto Anteros, accanto ad Afrodite Peitho.
La tendenza all'astrazione non è stata ugualmente intensa in tutti i periodi; Omero accanto alle divinità individuali conosceva solo pochi "concetti", quall Eris, Ate, Deimos e Phobos, mentre Esiodo introdusse nella sua Teogonia (211 ss.) un intero sistema di astrazioni come figlie della Notte e, per altro, appare anche più propenso alla personificazione. Tra i poeti tragici, Eschilo ha introdotto sulle scene il maggior numero di concetti astratti, Sofode il minore; Euripide, nel prologo del suo Eracle personificò la forna nella figura di Lyssa. Ma anche nelle opere di questi poeti, sia tragedie sia commedie, queste figure sono sempre strettamente collegate con la vecchia e rispettata mitologia. Né si tratta di prodotti dell'immaginazione poetica; quando Senofonte (Mein., ii, 1, 21-34) fa narrare da Prodico la storia di Ercole al bivio, in cui ᾿Αρετή e Κακία sono personificate da figure femminili, egli si appoggia certamente a tradizioni anonime più antiche. Con la penetrazione dell'interpretazione razionale della religione, dalla fine del V sec. le astrazioni cominciarono ad introdursi nel mito e nella religione in numero sempre crescente. La pace è venerata nel culto come Eirene, in fine anche Demokratia, Demos e Tyche. La retorica e la filosofia ellenistica ricorrevano volentieri a concetti personificati per una migliore organizzazione dei loro complicati sistemi. Sino dai primordi l'arte figurativa ha dedicato particolare attenzione alla raffigurazione dei concetti astratti nella rappresentazione di personaggi mitici, sino a quando furono superate dalla poesia che a sua volta introduceva nuove personificazioni. Thanatos e Hypnos sono raffigurati sull'Arca di Kypselos come efebi tra le braccia della Notte, nero il primo, bianco il secondo (Paus., v, 18, 1), quindi vi comparivano Dike, Eris e Phobos.
L'aspirazione di designare chiaramente le astrazioni personificate ricorrendo a qualsiasi evidente rapporto alla loro essenza, si è sviluppata assai presto: lo stesso Geras è rappresentato come vecchio e malandato, Kosmos è sileno; naturalmente, queste rappresentazioni variavano secondo il gusto predominante dell'epoca: così Hypnos appare in forma di piccolo demone alato, di bell'adolescente ed infine (a partire dal periodo alessandrino) di uomo barbato dormente. Ad alcuni esseri mitici, che in origine avevano carattere scarsamente individuale, l'arte figurativa ha saputo attribuire lineamenti durevoli, tratti dalla propria epoca; la figura di Eros è stata scolpita nell'Atene dei "παίδες καλοί" nel VI e V sec.; "se al IV sec. fosse spettato il compito di ideare la figure del dio dell'Amore, forse un essere femmile sarebbe stato scelto allo scopo" (A. von Salis); le divinità del mare e dei fiumi, le ninfe e le nereidi sono diventate "personificazioni" soltanto ad opera dell'arte figurativa; Eirene, Tyche e Pothos sarebbero rimasti inimmaginabili senza Kephisodotos, Eutychides e Skopas. Persino i concetti geografici furono rappresentati nell'arte greca: Asia appare sul vaso di Dario, a Napoli; Cirene e Libya hanno lunga tradizione nell'arte. Pausania vide in Olimpia due gruppi di statue contenenti numerose p. di località (v, 22, 5; x, 13, 6). L'arte figurativa ha dato forma alle astrazioni al seguito di Dioniso (Komos, Tragodìa, Dithyrambos, Eudaimonia, Pothos) e di Afrodite (Armonia, Himeros, Peitho), ancora oggi visibili nella pittura vascolare; in un rilievo, Boulè appare accanto ad Atena; sul vaso di Assteas si vede Mania vicina ad un Eracle infuriato, Apate figura sul vaso di Dario, a Napoli. Anche i grandi maestri dell'età classica si sono occupati delle personificazioni: oltre alle opere già menzionate, occorre ricordare il Kairos di Lisippo, la Aretè e la Hellas di Euphranor, la Calunnia e la Guerra incatenata di Apelle, la Tragedia e la Commedia di Aetion. Nell'ellenismo, anche l'erudizione appare nella concezione dell'arte: sul rilievo di Archelaos di Priene con l'apoteosi di Omero compaiono Iliade e Odissea, Chronos e Oikoumene, Mythos, Sophia, Poesis, Physis ed altre astrazioni ancora; nell'ellenismo troviamo anche statue dell'Iliade e dell'Odissea come figure femminili con corazza. Tutta questa tradizione fu poi assorbita e sviluppata dall'arte romana. Occasionalmente gli Etruschi hanno preso dai Greci p. di località greche in scene mitologiche, ma dovettero rimanere estranei al fenomeno della vera e propria p., poiché le figure mitiche greche da essi riprese erano sempre già raffigurate come persone concrete; conseguentemente, non tradussero "nomi significativi" quale Γαλήνη per quello di una nereide, bensì lo trascrissero in etrusco: Calaina (specchio a Orvieto). Data la nostra scarsa conoscenza del vero modo di pensare etrusco, non siamo in grado di distinguere con certezza le p. che eventualmente potrebbero risultare di loro esclusiva creazione; possiamo accennare al fatto che amavano attribuire ai demoni infernali lineamenti spaventosi (Tomba dell'Orco), ciò che tuttavia non significa vera e propria personificazione; v. allegoria.
Bibl.: Per le singole p. vedi le note corrispondenti; inoltre, per Eros: A. von Salis, Die Kunst der Griechen, Lpsia 1922, p. 212 ss. - Iliade e Odissea: H. A. Thompson, in Hesperia, XXIII, 1954, p. 62 ss.; L. Deubner, in Roscher, III, 2, 1902-909, c. 2068 ss.; F. Stössl, in Pauly-Wissowa, XIX, i, 1937, c. 1042 ss.; W. Amelung, Personifizierung des Lebens in der Natur, Monaco 1888; W. F. Otto, Theophania, Amburgo 1956 p. 76 ss.; K. Reinhardt, in Vermächtnis der Antike, 1960, p. 7 ss.; F. W. Hamdorf, Kultpersonifikationen, Diss., Heidelberg 1961 (in corso di stampa). Cfr. anche la bibliografia sotto la voce allegoria.
(H. Sichtermann)
2. - La fantasia umana, immedesimandosi con la natura, personifica monti, fiumi, mari, paesi e città, per poi venerarli. L'illuminismo greco aveva corroso e distrutto la pia ingenuità arcaica. I numina insieme con le grandi divinità avevano perso i loro poteri. Alla fede devota si era sostituito il pensiero astratto, alle pie p. le fredde, concettose allegorie, che coscientemente esprimono cose diverse da quanto intendono. L'arte e la poesia ellenistiche rappresentano l'eloquente testimonianza di questo mutamento. Il popolo romano, invece, animato dal suo spirito conservativo, fedele ai "costumi dei padri", rivela sin nel sec. I a. C. l'impulso a personificare, già manifesto nelle comunità greche arcaiche; ma, dotato di minor fantasia, si limita a personificare la realtà quotidiana e i principi della vita pubblica. A Roma, come già in Grecia, le p. entrano in strette relazioni con le divinità dello Stato, che esse alla loro volta collegano più solidamente al mondo e all'attività dei mortali.
Così Libertas divenuta dopo la cacciata dei re il concetto fondamentale della res publica romana sta in strette relazioni con Giove, il quale assume l'epiteto libertas; altrettanto si dica per Fides, la divinità della fedeltà, per cui egli vien detto Fidius. Salus in origine è la generica p. del bene pubblico e si subordina al vecchio, ma presto dimenticato dio Semo Sancus. Iuventus, p. della gioventù che va crescendo, trova il luogo del suo culto in un'edicola della Minerva capitolina. La coppia divina Honos e Virtus è strettamente collegata a Marte. Felicitas la divinità protettrice del Silla feìlix si unisce a Venere, prima madre dei Giulî. La Pudicitia, la divinità del buon costume e dell'onore muliebre, si identifica con la Fortuna muliebris. Concordia si pone accanto a Giunone; lo dimostrano gli attributi che va assumendo. Victoria - come per i Greci - è l'accompagnatrice di Giove. La sostituzione di questa p. sul verso delle monete agli dèi consueti, e particolarmente alla dea Roma, ordinata dai triumviri monetali, ne attesta l'importanza, ancor più accentuata da una leggenda esplicativa.
Un mutamento decisivo avviene sotto il governo di Augusto: è ormai l'immagine dell'imperatore che occupa il verso della moneta, mentre le p. dominano sul retro, ma non possono straniarsi dalla figura del sovrano: esse rispecchiano, in qualità di numina, le forze sublimi emanate dal sovrano. Non sono figure allegoriche di idee astratte, ma come in epoca anteriore gli dèi della Repubblica sono in intima armonia con l'attuale "divinità". L'imperatore è il loro dio tutelare, posizione documentata dagli epiteti di augusta, augustorum, ecc. Dobbiamo pensare al sovrano e al suo governo anche quando troviamo le apposizioni di p(opuli) R(omani) o publica, ecc. accanto al nome della personificazione. Il sovrano, vicario terreno dei celesti, mediatore tra cielo e terra, è signore anche dei concetti astratti prodotti dalla vita statale, delle aspirazioni, delle speranze, delle res expetendae, per dirla con Cicerone. Le sue virtù sono esemplari, le sue gesta feconde di benedizioni. Tutte le riforme di Augusto che in sostanza altro non sono se non una approfondita rinnovazione della romanità antica, del mos maiorum - e che altro rappresenta la Constantia delle monete di Claudio? - sono basate sulla Pietas. Originariamente essa era la p. dei rapporti amichevoli e affettuosi tra uomo e uomo e mantenne a lungo questo significato. Ma con il culto del padre adottivo, elevato a divinità, il Divus Iulius - Augusto sulle monete appariva come suo figlio - il concetto di Pietas si amplia sino a significare per eccellenza l'affettuosa venerazione degli dèi, divenendo in questa sua nuova accezione, la base religiosa dell'opera di Augusto. Rinnovazione di antichi culti, creazione di nuovi, cerimonie in onore degli dèi, ricordo della religiosità degli avi, del pio Enea (Pius Aeneas) per esempio, ecco le caratteristiche di questa pietas dell'imperatore, che è anche pontifex maximus. Dopo di lui gli imperatori fanno a gara nel rappresentare la propria religiosità, specie Antonino, detto per primo Pius. Anche senza leggenda esplicativa si riconosce la p. della Pietas nella donna che eleva le mani al cielo in atto di pregare o spandere grani d'incenso sulle fiamme dell'altare. Ancor prima dell'avvento di Augusto, la Dea Roma godeva della venerazione comune; ora ottiene l'epiteto di aeterna, a cui si ricollega la p. dell'Aeternitas. Accennano al passato le rappresentazioni di Zeus bambino con la nutrice Amalthea, del pio Enea e di Romolo, mentre l'apposizione p(opuli R(omani) o imperi si rivolgono all'avvenire. Essa porta i simboli dell'eternità: il sole e la luna, la fenice, il grifone. La falce della luna con delle stelle, il capricorno, simbolo astronomico della nascita di Augusto, simboleggiano la durata eterna dell'Impero. Anche questo concetto si amplia: eterni sono, in senso anche superiore, gli imperatori o i membri della casa imperiale trapassati. La fantasia inesausta tenta, specie sotto Antonino Pio, di rappresentare l'eternità della consorte Faustina, deceduta e divinizzata; essa, l'aeterna, continua a provvedere alla sua Roma e viene venerata sugli altari e nei templi.
Da questa "idea" dell'Impero romano sorgono le virtù proprie alla personalità imperiale, particolarmente la Virtus. Originariamente venerata insieme con Honos, ben presto diventa una p. autonoma. Comprende tutte le qualità che un uomo deve possedere, secondo la concezione greca, Virtus è la forza attiva che conquista il cielo (Hor., Carm., iii, 21 ss.). Anch'essa è aeterna, come Roma, alla quale le sue rappresentazioni sono tanto simili da non poterle distinguere senza una espressa leggenda esplicativa. La Virtus è strettamente collegata a Giove, a Marte, quindi al Sole e ad Ercole, eroe assunto da Traiano in poi a modello della virtù attiva: il suo nome finisce col rientrare tra i titoli imperiali ufficiali. Da questa Virtus Augusti deriva la Victoria, inseparabile anch'essa dalla persona del sovrano. In piedi - talvolta sul globo terrestre - in cammino, in volo, dentro o sopra la biga, la triga, la quadriga, ovunque essa appaia, è riconoscibile anche senza iscrizione, dalle ali e dai suoi attributi, corona e palma. Pure essa è detta aeterna o Victoria p (opuli)R(omani), sovente i nomi dei popoli vinti ne commentano le gesta. Non privo d'importanza il fatto che il principe abbia in mano la statuetta della Vittoria, seguendo l'uso di Giove, di cui egli è il vicario terreno, e di altre divinità: Marte, Minerva, Ercole, Roma e Pace. L'attività pratica dell'imperatore è accompagnata dalla Providentia, base dell'opera benefica svolta dall'imperatore all'interno ed evidente in molteplici forme, per esempio nella cura annonae, nella cura dell'agricoltura e, adottando tempestivamente l'uomo "migliore", nell'assicurare la continuità dell'Impero. A questa Providentia Augusti, rappresentata in modo caratteristico da una donna che indica con il dito o con un bastoncino il globo terrestre posto ai suoi piedi, si associa la Providentia Deorum, la Previdenza, il principio universale dello stoicismo, incarnato anch'esso nell'imperatore romano. La sua presenza illumina una moneta di Pertinace: la Providentia eleva la destra verso una stella, e si tocca il petto con la sinistra con gesto devoto: la provvidenza dell'imperatore si subordina a quella degli dèi. Questa devota subordinazione, in cui si afferma la Moderatio imperiale dà origine alle benedizioni, emanate anch'esse dalla Mens laudanda dell'imperatore: lo assiste nella sua opera Ops, l'antichissima divinità delle messi, divenuta la protettrice dell'imperatore con l'epiteto di divina. Condizione necessaria ad ogni bene è la Pax Romana che, con un ramo d'olivo e lo scettro, esprime l'idea della conservazione di questo prezioso bene all'umanità per opera del sovrano; inoltre essa viene onorata particolarmente con gli epiteti aeterna, fundata, populi Romani, publica.
Il rapporto ideale tra imperatore e cittadino romano, tanto dell'Urbe quanto dell'Orbe, si rispecchia nella rappresentazione della Libertas. Sembra un paradosso in una monarchia assoluta, ma se ricordiamo che già Augusto si disse restitutor o vindex della libertà, che guidò d'ufficio, essendo tribunus plebis, il tribunato, istituzione rivoluzionaria, comprenderemo le rappresentazioni della libertà: il berretto frigio (della libertà) del popolo e lo scettro dell'imperatore in mano, ecco la libertas Augusti. Sotto la protezione imperiale stanno tanto l'austera Iustitia, quanto Clementia, Patientia, Indulgentia, con gli attributi e gli atteggiamenti, specie della destra tesa a concedere la grazia. Ponderando aequum et bonum attenuano l'eccessivo rigore del summum ius, impedendogli di degenerare in summa iniuria. Si associano Securitas e Tranquillitas: la prima garantisce la spensieratezza e la tranquilla sicurezza consentite dal governo dell' imperatore. Essa vien per lo più rappresentata in atteggiamento rilasciato, leggero. Securitas esprime per mezzo di simboli "marittimi": timone, nave, delfini, la fiducia della popolazione nei trasporti marittimi dell'imperatore, sia che incroci personalmente sul mare, sia che le sue navi annonarie si dirigano al porto di Ostia. Sul rifornimento in pane della capitale puntano le speranze e i timori degli abitanti di Roma. Questi sentimenti e la fiducia dell'aiuto imperiale si concretano nella p. dell'Annona Augusti, alla quale si tributa un culto. Annona, la cui figurazione, già collegata a Cerere, dea delle messi, resasi poi autonoma vien dotata di spighe e di cornucopia, vien posta accanto ad una nave, testimoniando quanto il popolo sappia apprezzare anche questo lato dell'attività imperiale. Accanto ad Annona troviamo Liberalitas, la p. della spontanea generosità dell'imperatore, della quale usufruiscono particolarmente i cittadini bisognosi di assistenza. Lo stesso imperatore presiede talvolta le espressive composizioni della donazione (congiarium); compare allora nel seguito del sovrano Liberalitas con la cornucopia e - cosa tipicamente romana - con la tessera, una specie di scontrino da riscossione, talaltra compare la sola Liberalitas con i consueti attributi. Le iscrizioni segnano accuratamente il numero dei congiaria ordinati da ogni imperatore. I giochi stessi sono un dono di questi: la sua generosità vien rappresentata da Munificentia e Iucunditas, mentre Laetitia e Hilaritas esprimono la gratitudine popolare. Ad assicurare l'incontrastato corso del traffico ormai mondiale compare la vecchia dea del giuramento: Fides, trasformata propriamente nella p. del "credito commerciale", che assicura al commercio una nuova fioritura. Fiori in un cesto ecco gli attributi di questa fides publica. Naturalmente mantiene accanto al nuovo anche l'antico significato di giuramento; nella fides militum vien raffigurato il giuramento alla bandiera, il sacramento del soldato vi trova la sua personificazione.
Il credito riposa su una valuta sicura, che riscuote l'incondizionata fiducia del mercante in qualsiasi luogo dell'Impero. Essa trova la sua espressione personale in Aequitas, garantita dall'imperatore, cioè nella "parità" del peso, del volume (circonferenza) e della lega del metallo delle monete. Concetto che sviluppandosi personifica, da Commodo in poi, i tre metalli monetarî - oro, argento, bronzo - separatamente, pur rappresentandoli in gruppo.
Non sono soltanto questi beni, prevalentemente materiali, del popolo che l'imperatore custodisce, anche i principî ideali debbono garantire la stabilità dell'Impero. Prima la Concordia, che ora, - contrariamente a quanto avveniva in età repubblicana - non rispecchia l'aspirazione all'accordo tra le classi sociali, ma vien elevata a concordia Augusti, cioè a divinità, che sotto la guida dell'imperatore si estende equamente su tutti i membri, spesso discordi dell'immensa comunità statale, siano essi cittadini, il senato, i soldati, le province o anche i matrimoni della casa imperiale. Queste nozze sono benedette da Giunone stessa, alla quale va sostituendosi Concordia con i medesimi attributi: coppa dei sacrifici e scettro e molteplice uso di statuette della Spes, dea della speranza, che esprime l'attesa del popolo in una numerosa prole per assicurare la continuità della casa imperiale e con essa dell'Impero. Questo concetto vien espresso ancor più chiaramente nella rappresentazione della Fecunditas delle imperatrici. È sottinteso che la consorte dell'imperatore debba rispondere alle imposizioni della Pudicitia. Nelle figurazioni di questa p. si rinnova l'antichissimo ideale della matrona romana: veli e gesto della mano portata alle labbra per intimare silenzio. L'imperatrice è la sposa del pontifex maximus, la sua unione con il sovrano è un "sacro" connubio, che impone anche a lui la Pudicitia.
Il benessere fisico e spirituale del sovrano è la premessa necessaria a tutte queste virtù proprie all'imperatore e alle felici conseguenze che ne derivano; a conservare questo stato sono dedicati tutti gli augurî, i "voti" e i "sacrifici" di tutto l'Impero espressi tutti quanti nella personificazione di Salus; essa non è più soltanto l'originaria salus publica della Repubblica, è divenuta ora salus Augusti. Il serpente di Esculapio, a cui la stessa Salus porge il cibo in una coppa votiva è simbolo eloquente della conservazione e vitalità dell'imperatore. La sua salute è la salute del mondo intero; è assicurata la salus generis humani. La stessa mutevole Fortuna si pone al servizio del sovrano; la statua della dea sta nel suo cubiculum; per lo più poggia sul globo terrestre, essa è bona, manens e florens. Accompagna l'imperatore in guerra e lo riporta redux a casa. La volontà del sovrano ne regola l'alterno gioco. Ma vi è ancora una p. che, per numero di rappresentazioni, supera di gran lunga tutte le altre, eccetto la Vittoria: è Felicitas. Cicerone (De lege Manilia, 47 ss.) ne parla solo con timorosa riverenza: Silla fu il primo a dirsi felix; Cesare era convinto della propria felicitas. Essa non indica né "felice successo" nè "buona fortuna", bensì numen; accanto alla virtus costituisce elemento congenito all'essere e all'agire dell'imperatore; egli non "ha" fortuna, egli "è" la fortuna, per quanto questo concetto sia oggi per noi difficilmente comprensibile. Su un incredibile numero di monete Felicitas tiene il caduceo, il bastone a foggia di serpente di Hermes, che svia ogni sciagura, e la cornucopia. Conferendole gli epiteti di temporum e saeculi, lo spirito di p. romano raggiunge l'apogeo, in quanto felicitas saeculi o temporum indica niente meno che il sorgere di una nuova èra, di un nuovo saeculum aureum, nella cui passata esistenza si credeva e il cui ritorno per opera del principe si auspicava. Già Virgilio (Ecl., iv) ricollegava alla "nascita del bambino" l'attesa di un "nuovo secolo"; ora sono nuovamente dei bambini che sulle monete, specie sotto gli Antonini, preannunciano l'avvento di un novum saeculum. Pallida eco di questa escatologia terrena compare, sotto Eliogabalo, Abundantia, in atto di rovesciare una cornucopia, e sotto Decio Ubertas, con gli attributi della fertilità. Va spegnendosi poi nel sec. III con il decadere della potenza imperiale la necessità di personificare. I vecchi motivi vengon bensì usati, ma è scomparsa la loro vitalità. Decio, Gallieno, Claudio II, Tacito e Aureliano fanno qui e lì nuovi tentativi, ma le p. nel senso originale della parola cessano per sempre. Il sorgere di emblemi e rappresentazioni cristiani sulle monete tolgono ogni possibilità di sviluppo al desiderio di personificazione.
Bibl.: F. G. Welcker, Götterlehre, Gottinga 1857, p. 72; H. Usener, Gotternamen, Bonn 1896; L. Deubner, in Roscher, III, 2, 1902-1909, c. 2068 ss., s. v. Personifikationen; G. Wissowa, Religion und Kultus der Römer, II, Monaco 1912, p. 327 ss.; O. Kern, Religion der Griechen, Berlino 1926; W. F. Otto, Götter Griechenlands, II, Francoforte 1934; E. Peterich, Theologie der Hellenen, Lipsia 1938, p. 142 ss.; M. P. Nillson, Geschichte d. gr. Religion, Monaco 1941, p. 172; K. Reinhardt, Pesonifikation und Allegorie, in Vermächtnis der Antike Kunst, Heidelberg 1950; M. Grant, Roman Imperial Money, Londra 1954, p. 148 ss.; U. v. Wilamowitz, Glaube der Hellenen, I, Stoccarda 1959, pp. 26; 343.
(W. Köhler)