PERTURBAZIONI
. Se due corpi celesti di forma sferica, omogenei o a strati sferici omogenei concentrici, si muovono nel vuoto sotto l'influenza della sola reciproca attrazione newtoniana, la traiettoria descritta dal centro di uno di essi P intorno al centro dell'altro P0 è una conica che ha il fuoco in P0 ed è percorsa secondo la legge delle aree. Ma se uno dei due corpi fosse schiacciato, o se essi risentissero l'azione resistente di un mezzo entro cui il moto avviene, oppure se essi fossero soggetti anche all'attrazione di un terzo corpo, o comunque se agisse una forza estranea alla reciproca attrazione dei due, allora l'orbita relativa non sarebbe più esattamente una conica, né la velocità areolare del raggio vettore sarebbe rigorosamente costante. Se P è un pianeta o una cometa e P0 è il Sole, oppure se P è un satellite e P0 è il rispettivo pianeta, l'attrazione reciproca dei due corpi è di gran lunga preponderante su ogni altra azione, sicché la posizione e la velocità effettive di P al tempo generico t poco differiranno dalla posizione e dalla velocità che P avrebbe allo stesso tempo t se a un istante iniziale t0 fosse venuta a cessare ogni influenza estranea a quell'attrazione reciproca. Pertanto il moto effettivo di P si dice perturbato e quello ipotetico dovuto alla sola attrazione fra P0 e P si dice per contrapposto non perturbato; e perturbazioni si dicono le differenze tra le quantità che definiscono il primo moto e quelle che definiscono il secondo.
Fra le quantità da considerare allo scopo si presentano più naturalmente le coordinate di P e le componenti della sua velocità in un sistema di assi cartesiani ortogonali con l'origine in P0 e di direzione invariabile. Date queste sei grandezze per un tempo t0, insieme con le masse dei due corpi, e supposto che a questo tempo t0 cessi ogni azione perturbatrice, resta determinata l'orbita che sarebbe descritta da P intorno a P0 e possono quindi essere dedotte quelle sei medesime grandezze non perturbate per una successione di tempi t susseguenti a t0 e delimitanti intervalli da scegliersi abbastanza piccoli (v. orbita). All'istante iniziale t0 la forza perturbatrice applicata in P sarà perfettamente nota in grandezza e direzione e, ritenendola costante per il primo di quegl'intervalli di tempo, si potranno dedurre le variazioni che essa produce nella velocità di P e quindi nella posizione che esso occupa alla fine del detto intervallo. Nota questa posizione, sarà similmente determinata la forza perturbatrice ad essa relativa e che si riterrà costante per tutto il secondo intervallo di tempo; si ricaverà così l'esatta posizione di P alla fine di questo, e così via. È questo il principio su cui si fonda uno dei metodi per il calcolo delle perturbazioni; esso dicesi metodo di variazione delle coordinate, che possono essere sia le coordinate cartesiane, sia quelle polari. Il metodo r essenzialmente numerico, poiché la sua trattazione analitica, stabilite le formule differenziali fondamentali, si diffonde più di tutto sulle particolarità dell'applicazione delle quadrature meccaniche e sugli artifici da adottare onde semplificare al massimo il calcolo. Il moto perturbato rimane così determinato passo per passo, ma il procedimento non dà alcuna indicazione analitica sulla forma della reale traiettoria percorsa da P.
In luogo delle sei quantità dianzi considerate, coordinate e componenti della velocità di P, possono essere usati per il calcolo delle perturbazioni i sei elementi dell'orbita o altre analoghe grandezze che rimangano costanti nel caso dei due corpi isolati. Si noti infatti che, non solo per l'istante iniziale t0, ma per ogni altro tempo t la posizione e la velocità del punto P nel suo moto effettivo determinano l'orbita kepleriana che esso seguirebbe se a questo tempo t le perturbazioni venissero a cessare; si può quindi dire che, istante per istante, P percorre una conica anche nel moto perturbato, purché si consideri tale conica continuamente variabile. Essa dicesi orbita osculatrice alla vera traiettoria di P nel punto da questo occupato, o al tempo t corrispondente. Ora gli elementi dell'orbita osculatrice, o analoghe quantità che nel moto non perturbato sono costanti, presentano solo variazioni lentissime quando le perturbazioni sono piccole; e, per determinare queste perturbazioni, è quindi particolarmente conveniente seguire i metodi di variazione degli elementi o dei parametri o delle costanti di integrazione, che precisamente si servono delle derivate rispetto al tempo di questi elementi o di questi parametri. In tal caso possono essere seguiti, però, due procedimenti affatto distinti. L'uno, più semplice, conduce ad espressioni delle derivate, in funzione degli elementi stessi e delle componenti della forza perturbatrice, alle quali si possono applicare i calcoli numerici delle quadrature meccaniche, come nei metodi di variazione delle coordinate. In via di massima, cioè, tali derivate si ritengono costanti per intervalli di tempo relativamente brevi e, noti gli elementi ad un istante iniziale, esse ne determinano i nuovi valori per la fine del primo intervallo; ciò permette di calcolare le derivate stesse per l'intervallo successivo e quindi gli elementi alla fine di questo e così via. Questo procedimento è puramente numerico, come il precedente, e benché, rispetto a quest'ultimo, si presti al calcolo delle perturbazioni per un più ampio intervallo di tempo, non può essere prolungato oltre certi limiti. Si sogliono denominare perturbazioni speciali quelle che si calcolano con questi metodi di variazione delle coordinate o di variazione degli elementi, appoggiati alle quadrature numeriche.
L'altro procedimento si propone di esprimere le medesime derivate degli elementi ancora in funzione di questi, ma inoltre in funzione esplicita del tempo, così da poter eseguire l'integrazione; esso conduce al calcolo delle cosiddette perturbazioni generali. La sua trattazione analitica è delle più complesse e non permette di giungere a formule finite che in casi particolarissimi. In via ordinaria bisogna ricorrere a sviluppi in serie, i quali risolvono il problema solo approssimativamente; ma l'approssimazione può essere spinta avanti quanto è necessario, potendosi ritenere le serie convergenti in tutti i casi pratici. Tale procedimento analitico permette di calcolare la posizione del corpo celeste, che si considera, anche a grandi distanze di tempo da noi, passate e future, e di meglio studiare le caratteristiche del moto perturbato.
La teoria delle perturbazioni fu svolta già da Newton da un punto di vista geometrico; dalla metà del secolo XVIII alla fine del XIX essa costituì l'argomento principale della meccanica celeste e fu oggetto di studio e d'applicazione da parte dei più eminenti astronomi matematici; di questi citeremo, dopo Newton, il solo Lagrange, al quale è dovuto il metodo di variazione degli elementi.
Perturbazioni speciali; considerazioni geometriche. - Per il calcolo delle perturbazioni speciali si suole decomporre la forza perturbatrice che agisce sull'unità di massa del corpo P, in moto relativamente a P0, secondo tre direzioni ad angolo retto tra loro. Consideriamo in particolare la componente ortogonale al piano del moto, che indicheremo con W e riterremo positiva se dalla sua direzione il moto di P apparirà diretto (antiorario). La componente W, agendo per un tempuscolo infinitesimo dt, quando si convenga di trascurare gl'infinitesimi d'ordine superiore, esercita la stessa influenza di un impulso istantaneo Wdt, calcolato per l'istante iniziale t di quel tempuscolo (v. impulso). Essa imprime dunque a P una velocità infinitesima di uguale direzione e verso di W e di eguale valore Wat dell'impulso, ed essendo ortogonale al piano dell'orbita osculatrice, non altera il raggio vettore P0P né in grandezza, né in direzione. Così pure, componendosi con la velocità di P, non ne altera né l'intensità, né l'angolo che essa fa con il raggio vettore (sempre trascurando gl'infinitesimi d' ordine superiore) e solo la devia dal piano osculatore in P di un angolo infinitesimo, determinato in valore e segno da Wdt/V, se V è l'intensità della velocità stessa. Ne segue che l'orbita osculatrice non è modificata né di forma, né di dimensioni; ed invece, nel tempuscolo dt considerato, il suo piano ruota intorno al raggio vettore P0P di un angolo che, dovendo essere misurato su un piano perpendicolare al detto raggio vettore, è dato da Wdt/V1, dove V1 designa appunto la componente della velocità di P normale a P0P. Usando qui le notazioni e la rappresentazione sferica adoperate per la voce orbita, sarà V1 = rdv = c/r, ed il piano dell'orbita (o il suo cerchio massimo ??? U che lo rappresenta sulla sfera) roterà intorno al raggio vettore (o intorno al punto U) di un angolo dU = rWdt/c (fig.1). Ne consegue che il nodo ??? si porterà in una nuova posizione ???′, alterando la longitudine ϑ del nodo di ???′ = dϑ. e l'inclinazione i dell'orbita di U ???′ J − U ??? J = di. Essa altererà pure la distanza u = ??? U dell'astro dal nodo, ma solo per lo spostamento dell'origine, e similmente la distanza ω del perielio dal nodo senza che però varino nel piano dell'orbita la linea degli apsidi e l'anomalia vera. Le formule differenziali della trigonometria sferica, applicate al triangolo I ??? U, in cui il lato I U e l'angolo ??? I U non variano e l'angolo I U ??? subisce l'incremento dU, dànno per i due elementi variabili ϑ e i:
e quindi
Poiché la componente della forza perturbatrice situata nel piano del moto non altera la posizione di questo piano, le due formule dànno l'intera espressione delle derivate rapporto al tempo dei due elementi ϑ ed i, che lo determinano, e sono quelle che si usano per il calcolo delle perturbazioni speciali in questi due elementi, previa determinazione della componente ortogonale W della forza perturbatrice per unità di massa.
Le espressioni delle derivate degli altri elementi sono assai più complesse particolarmente per il sesto elemento, cinematico, al quale si sostituisce ordinariamente l'anomalia media che lo contiene. Rimandiamo pertanto per la loro determinazione e per il loro uso ai trattati speciali di astronomia teorica e di meccanica celeste, e ci limitiamo a completare l'argomento con alcune considerazioni geometriche di carattere qualitativo, restando nell'ipotesi di un'orbita ellittica. Consideriamo dunque in secondo luogo la componente tangenziale T della forza perturbatrice, che riterremo positiva nel verso del moto, e osserviamo anche qui che, a meno di effetti infinitesimi di secondo ordine, l'azione che essa esercita durante un tempuscolo infinitesimo dt equivale a un impulso istantaneo Tdt sull'unità di massa impresso all'istante t; esso ha per conseguenza una eguale variazione della velocità V di P, ma nessuna alterazione istantanea del raggio vettore r. Poiché V ed r sono legate al semiasse maggiore a dell'ellisse osculatrice dalla relazione (integrale delle forze vive):
così la componente tangenziale T provoca una variazione del semiasse maggiore a dello stesso suo segno. Essendo poi la variazione di V2 eguale a 2 VTdt, la variazione provocata da una medesima componente perturbatrice T è massima quando P si trova al perielio, essendo allora massima V. La stessa componente tangenziale T, che modifica l'intensità V della velocità, non ne fa però variare la direzione e poiché essa non altera istantaneamente il raggio vettore P0P = r1 né in grandezza, né in direzione, deve restare invariata anche la direziorie del raggio vettore Pl'= ri che va al secondo fuoco e che deve formare con la tangente un angolo eguale a quello di P0P (fig. 2); inoltre, dovendo essere r1 − 2 a − r, la variazione di 2 a reca un'eguale variazione di r1 e quindi uno spostamento del fuoco F e della linea degli apsidi P0F rispettivamente in F′ e P0F′. Per un egual valore di T la rotazione della linea degli apsidi è di segno contrario per due posizioni di P simmetriche rispetto all'asse maggiore; è nulla se P trovasi al perielio o all'afelio; ed è massima in due posizioni simmetriche, prossime ai punti K ed L in cui r1 è normale all'asse e situate fra K od L e il perielio. Lo spostamento di F in F′ fa cambiare AB = 2 a in A′B′ = 2a + FF′ e P0F in P0F′; quindi l'eccentricità e varierà da P0F/AB a P0F′/A′B′. Se P è al perielio, per T positivo il numeratore e il denominatore del rapporto, che dà l'eccentricità, cresconoo dello stesso importo, ma il detto rapporto è minore di uno e quindi l'eccentricità cresce; se P è all'afelio, P0F diminuisce di quanto AB cresce e l'eccentricità diminuisce; se P è alle estremità dell'asse minore l'eccentricità rimane invariata.
Una delle cause più semplici, dal punto di vista teorico, di perturbazione per un movimento ellittico si ha quando il moto avviene in un mezzo resistente. La forza perturbatrice si riduce alla sola sua componente tangenziale negativa e possiede la stessa grandezza per punti simmetrici rispetto all'asse maggiore. Scende da quanto s'è detto qui sopra: 1. che il piano del moto rimane invariato; 2. che l'asse maggiore continua a diminuire; 3. che la linea degli apsidi oscilla periodicamente intorno ad una posizione media, spostandosi indietro relativamente al senso del moto nel 1° e 2° quadrante, contati dal perielio, e spostandosi avanti nel 3° e 4°; 4. che l'eccentricità diminuisce finché il pianeta è nel 1° e 4° quadrante e cresce nel 2° e 3°, potendosi però avere per questo elemento esatto compenso, o no.
Consideriamo infine la componente normale N della forza perturbatrice unitaria, cioè quella situata nel piano del moto e perpendicolare alla tangente; e riteniamola positiva se è diretta verso l'interno dell'orbita. In un tempuscolo dt essa imprime a P una velocità Ndt che componendosi con la velocità di P non ne altera la grandezza V, ma soltanto la direzione. Restando V ed r invariati, giacché al solito sostituiamo all'azione continua durante il tempuscolo un impulso infinitesimo iniziale, scende dalla (1) che il semiasse maggiore a non varia per effetto di questa componente normale. Il raggio vettore r1, che va al secondo fuoco F (fig. 3), resterà dunque anch'esso inalterato in lunghezza, ma roterà di un angolo doppio di quello di cui ha rotato la velocità; e il conseguente spostamento del detto fuoco farà rotare la linea degli apsidi. Se N è positivo, questa rotazione è nel senso del moto quando P sta sull'arco LAK dell'orbita e in senso contrario se P sta sull'arco KBL essa è nulla se P è in K o in L; è eguale e di segno contrario per le due posizioni perielia e afelia. Per effetto di questa componente normale V, infine, l'eccentricità e = P0F/AB varia proporzionalmente a P0F, restando AB invariato; ed è facile riconoscere dalla figura che, se N è positivo, l'eccentricità diminuisce quando il pianeta va dal perielio all'alelio ed aumenta quando va dall'aíelio al perielio; la variazione è nulla in questi due punti; per punti simmetrici rispetto all'asse minore, a parità di N e di intervallo di tempo e a maggior ragione a parità di N e di arco percorso, essa è maggiore nel 2° e 3° quadrante che nel 1° e 4°.
Perturbazioni generali; sviluppi analitici. - Per dare un'idea del procedimento analitico con il quale si calcolano le perturbazioni generali, consideriamo quelle esercitate da un pianeta P1 sul moto di un pianeta P attorno al Sole P0. Dette m0, m1, m le masse dei tre corpi P0, P1, P; r1 ed r le distanze di P0 da P1 e da P, e ρ quella di P1 da P; indicati quindi con (P1 −P0)/r1, (P0 − P)/r, (P1− P)/ρ tre vettori unitarî secondo i quali sono rispettivamente orientate le forze esercitate da P1 su P0, da P0 su P e da P1 su P, le accelerazioni assolute A, A0 di P e P0, per le attrazioni che essi risentono, sono:
e quindi l'accelerazione di P, relativa a P0, è:
Il moto è kepleriano quando esiste il solo primo termine del secondo membro; la forza perturbatrice, espressa dal secondo termine, è dunque la differenza geometrica tra le attrazioni che il pianeta perturbatore P1 esercita sull'unità di massa del pianeta perturbato P e rispettivamente del Sole P0. Indicando con x, y, z, x1, y1, z1 le coordinate di P, P1 in un sistema di assi di direzione invariabile con l'origine nel Soìe P0, la precedente equazione vettoriale equnale a tre equazioni scalari, delle quali la prima è
e le altre due si ottengono da questa sostituendo le lettere y e z alla x. Ponendo
l'equazione precedente si può scrivere:
R dicesi la funzione perturbatrice.
Sostituiamo alla precedente equazione del 2° ordine il sistema del 1° ordine:
e immaginiamo scritte similmente le altre quattro equazioni che si ottengono scambiando la lettera x in y e in z. Si hanno così sei equazioni differenziali di primo ordine nelle incognite x, y, z, x′, y′, z′, cioè nelle tre coordinate del punto e nelle tre componenti della sua velocità. Ma s'è già detto che, date queste sei grandezze relative a un istante t, restano pure determinati per il medesimo istante i sei elementi dell'orbita osculatrice e reciprocamente; noi possiamo dunque proporci:1. di sostituire alle sei incognite x, y, z, x′, y′, z′, i sei elementi dell'orbita che designeremo uniformemente con E1, E2, ..., E6, o quantità analoghe, costanti nel caso dei due soli corpi P, P0; 2. di ricavare dalle sei equazioni differenziali di primo ordine in queste nuove incognite le loro sei derivate prime rispetto al tempo. Un elevato e laborioso procedimento analitico conduce a risultati assai complessi che possono essere tuttavia espressi schematicamente da formole del tipo:
nelle quali la sommatoria non si estende a tutte e sei le derivate della funzione perturbatrice rispetto alle nuove variabili, ma solo ad una o due, o al più a tre di esse. Né la R, né queste sue derivate possono però esprimersi in termini finiti per le E; per applicare la precedente, necessita invece ricorrere a sviluppi in serie della funzione perturbatrice, ciò che è particolarmente laborioso per la sua parte principale 1/ρ. Per darne un'idea schematica possiamo osservare che, detto ϕ l'angolo PP0 P1 del triangolo dei tre corpi, si ha:
e quindi
Supposta l'orbita di P1 tutta esterna a quella di P, e cioè supposto sempre r/r1〈 1, questa espressione può essere sviluppata in serie trigonometrica secondo i coseni dei multipli di ϕ, con coefficienti che sono serie di potenze del rapporto r/r1; lo sviluppo sarà cioè del tipo:
dove q ed s dovranno assumere ogni valore intero da 0 a + ∞. Ora, se le due orbite fossero circolari, complanari e non perturbate, il rapporto r/r1 = a/ai sarebbe costante e l'angolo ϕ, differenza delle due anomalie medie M, M1, si calcolerebbe con le formole:
essendo n, n1 i due moti medî diurni, e T, T1 due tempi nei quali M, M1 si annullano. Ma se consideriamo orbite ellittiche e non complanari, il rapporto r/r1 è eguale al prodotto del rapporto a/a1 per una funzione delle due eccentricità e, e1 e delle due anomalie eccentriche, funzioni a loro volta delle eccentricità e delle anomalie medie M, M1; 1/r1 è pure funzione di a1, e1, M1 ed infine l'angolo ϕ è una funzione delle anomalie vere o, in luogo di queste, delle eccentricità e delle anomalie medie, delle longitudini del nodo ϑ, ϑ1, delle distanze del perielio dal nodo ω, ω1 e dell'inclinazione I fra i piani delle due orbite, la quale potrà essere definita mediante una sua funzione, per es. sen2 (1/2). iìeneralmente le due eccentricità e, e1 e questa inclinazione sono piccole; possiamo allora sviluppare ciascuno dei tre fattori che compaiono nei singoli termini dello sviluppo precedente in serie di potenze di quelle quantità e, e1, x2 (I/2), da cui il fattore dipende. Verranno allora a comparire prodotti di seni e coseni di multipli di M, di M1, di M − M1, accompagnati o no da multipli delle longitudini dei nodi e delle distanze dei perielî dai rispettivi nodi. Questi prodotti, con formule ben note di trigonometria, si potranno trasformare in somme di seni e coseni, il cui arco sarà la somma algebrica di multipli di ϑ, ϑ1, ω, ω1, M, M1. Lo sviluppo del secondo termine in parentesi dell'espressione della funzione perturbatrice, che si può scrivere (rr1 cos ϕ)/r13, non dà origine a difficoltà; e in definitiva lo sviluppo della funzione perturbatrice sarà del tipo:
dove p, q, l, m assumono tutti i valori interi positivi da o a + ∞; i, i1 tutti i valori interi positivi o negativi da −∞ a + ∞, e dove K, I, D, M, M1 sono funzioni note degli elementi delle due orbite, M ed M1 contenendo in più linearmente il tempo. Le Verrier ha calcolato un tale sviluppo fino ai termini del 7° ordine inclusivo in e, e1, sen2(I/2); e, per indicare quanto un tale calcolo sia laborioso, basterà dire che il solo risultato scritto per disteso occupa 54 fogli in quarto del volume I degli Annalî dell'Osservatorio di Parigi. Quando si abbia un tale sviluppo, diviene facile calcolare le derivate di R rapporto ai sei elementi e formare con esse, secondo le (2), le derivate degli elementi stessi rapporto al tempo. Una qualunque di queste derivate risulterà espressa mediante una serie di eguale tipo di quella che dà R, con il fattore k2m1 comune a tutti i termini, ma con coefficienti K ed archi D diversi da quelli di R e differenti tra loro per le derivate relative a elementi diversi. Avremo p. es.
Ora la massa m1 del pianeta perturbatore è sempre una piccola grandezza. Se noi facciamo in prima approssimazione m1 = 0, otteniamo a = a0, con a0 costante, e similmente per tutti gli altri elementi., come sappiamo, la soluzione per il problema dei due corpi P0, P, supposti sottratti ad ogni azione esterna. Ritenendo ora m1 diverso da zero, qualora volessimo integrare l'equazione ora scritta, ed insieme le altre cinque, dovremmo tener conto che gli elementi dell'orbita che entrano in ogni termine della serie dei secondi membri sono funzioni del tempo; ma il fatto che le loro derivate sono dell'ordine di m1 ci insegna che, se noi attribuiamo ad essi i valori costanti a0, e0... della prima approssimazione trascureremo soltanto piccole grandezze del secondo ordine riguardo alla massa perturbatrice. L'integrazione si esegue allora immediatamente; ed è evidente che, se nei secondi membri si sostituiscono le espressioni degli elementi da essa ottenuti, una nuova integrazione terrà conto anche dei termini di secondo ordine in riguardo alle masse perturbatrici, e così via. Nella seconda approssimazione, tenendo conto che il secondo membro della (4) dipende dal tempo t, in quanto sotto la funzione seno o coseno del termine generale entra la somma algebrica iM + i1M1, e quindi il termine (in + i1 n1) t, otterremo integrando:
L'espressione è ancora del tipo dello sviluppo (3) della funzione perturbatrice e degli sviluppi (4) delle derivate degli elementi, salvo il cambiamento del seno in coseno e viceversa e la comparsa del divisore in + i1 n1. Però i termini in (4) per i quali sono i = i1 = 0, assumono valori costanti e, dettane σ la somma, i corrispondenti termini in (5) devono essere sostituiti dall'integrale σt. Esso si dice termine secolare. Può anche presentarsi il caso che in + i1 n1 sia molto prossimo a zero per essere i1 ed i1 di segno contrario e numericamente proporzionali, in via approssimativa, a n1, n. In tal caso occorre un notevole intervallo di tempo perché (in + i1 n1) t, che compare sotto il coseno o il seno, varî di 2π e il termine si dice allora a lungo periodo; l'esempio più saliente si ha per Giove e Saturno con i = 2, i1 = −5 e con il conseguente periodo di circa 900 anni. La presenza del piccolo denominatore in + i1 n1 rende poi la perturbazione dipendente da questo termine più grande di quanto sarebbe da aspettarsi per l'ordine delle potenze di e, e1, sen2 (I/2) che in esso si presentano. I rimanenti termini si dicono a periodo normale o a corto periodo. Nelle approssimazioni successive si presentano termini secolari che contengono anche la seconda, la terza... potenza del tempo e termini secolari misti, nei quali queste potenze rimangono moltiplicate per funzioni periodiche del tempo. E però da notare che perturbazioni secolari vere e proprie in realtà non esistono; l'insieme dei termini contenenti le potenze del tempo può essere considerato, ad es., allo stesso modo dell'insieme delle successive potenze dispari dell'arco x dello sviluppo in serie che dà sen x. Quei termini secolari corrispondono invece a perturbazioni, il cui periodo è di molte migliaia o anche di milioni di anni. Le ricerche di Laplace e di Lagrange mostrarono che le variazioni dovute a queste perturbazioni secolari, benché notevoli, non alterano la distribuzione generale del sistema solare. Il Gauss, per dedurre queste perturbazioni secolari, suppone la massa di ogni pianeta distribuita lungo la sua orbita ellittica in un sottile anello di sezione costante e di densità inversamente proporzionale alla corrispondente velocità del pianeta; egli indica il modo di calcolare l'azione che ogni anello materiale risente dagli altri e come esso vari di forma e di posizione per tale azione.
Le migliaia di termini periodici delle perturbazioni che furono calcolate per i pianeti, per i satelliti e per le comete e che trovano conferma nell'osservazione, costituiscono la miglior prova della legge di Newton che è a base della teoria.
Bibl.: Per le perturbazioni speciali, v. la bibl. di orbita; per tutto l'argomento: F. Tisserand, Traité de mécanique celeste, voll. 2, Parigi 1888-90; C. L. Charlier, Die Mechanik des Himmels, voll. 2, Lipsia 1902-07; H. Poincaré, Leçons de mécanique céleste, Parigi 1905-07; F. R. Moulton, An introduction to celestial mecanics, 2ª ed., Londra 1914, e ed. tedesca, Lipsia 1927; H. Andoyer, Cours de mécanique céleste, voll. 2, Parigi 1923-26.