Peru
Stato dell’America Meridionale.
Il territorio del P. odierno comprende la massima parte dell’area culturale in cui, nel corso di quasi tre millenni, si svilupparono le maggiori civiltà dell’America Meridionale, ultima delle quali fu l’estesissimo impero incaico fronteggiato e sconfitto dai conquistatori spagnoli nel 1532-36. Tra gli aspetti più caratteristici delle antiche civiltà peruviane vanno annoverati le grandi opere di terrazzamento e di canalizzazione per l’agricoltura intensiva, l’architettura monumentale, l’estesissima rete di strade, i tessuti di straordinaria qualità, le raffinate realizzazioni in ceramica policroma, l’arte dei metalli (rame, oro, argento e bronzo) e i centri oracolari meta di pellegrinaggi. Le prime tracce di popolamento umano risalgono al 15.000 a.C. circa, e riguardano gruppi di cacciatori-raccoglitori nomadi. A partire dal 5000 a.C. iniziò il lento processo di domesticazione delle piante che portò gradualmente al sorgere di comunità stanziali agricole lungo la costa e nelle vallate, mentre nell’area montuosa aveva luogo l’addomesticamento del lama e della cavia. Alla fine della fase preceramica (2000 a.C.) esistevano già centri stabili in cui si erigevano grandi tumuli e complessi cerimoniali (El Praiso, Aspero, La Galgada). Contemporaneamente alla comparsa della ceramica (1800-900 a.C.) si venne affermando il modello culturale che dominò il P. durante l’Orizzonte antico (900-200 a.C.), caratterizzato da opere di irrigazione, importanti complessi religiosi e un’arte plastica, detta di Chavín. Con il Periodo intermedio antico (200 a.C.-500 d.C.) si registrano la comparsa dei metalli, grandi opere idrauliche e l’affermarsi di stili regionali. Sulle coste, da N a S, si svilupparono rispettivamente le culture Moche (cui appartiene tra l’altro una ricca produzione ceramica), di Lima e di Nazca. Contemporaneamente, sull’altopiano meridionale sorsero la civiltà di Recuay e Tiwanaku. In questo periodo comparve l’impiego del bronzo e sorsero città fortificate. L’Orizzonte medio (500-900) fu il periodo in cui si sviluppò nella zona di Ayacucho la cultura Huari, che assunse un forte carattere urbano e iniziò a espandersi in forma coercitiva in tutta l’area andina. Nacque e si sviluppò così il primo impero andino, che arrivò a controllare quella che successivamente sarebbe divenuta l’area iniziale dell’impero inca. Nel Periodo intermedio recente (900-1440) si sviluppò la cultura Chimú. La capitale Chanchan fu probabilmente la più grande città preispanica dell’America Meridionale: comprendeva 10 cittadelle, cinte ciascuna di alte mura ornate esternamente di bassorilievi e internamente di affreschi. Per quanto riguarda le arti, particolarmente pregevole fu l’artigianato dei metalli, mentre l’abbondantissima produzione ceramica non raggiunse più i vertici di quella mochica. L’Orizzonte recente (1440-1532) corrisponde all’evoluzione dell’impero inca, la cui irresistibile espansione iniziò dalla valle montana di Cuzco sotto il regno di Pachacúti e in pochi decenni travolse dapprima i colli del bacino del Titicaca, poi il regno di Chimú e i Cañarí a N, spingendosi a S fino al fiume Maule, in Cile.
La notizia dell’esistenza del P., diffusa a Panamá dopo la spedizione di Pascual de Andagoya (1522), spinse F. Pizarro, D. de Almagro e F. de Luque all’esplorazione della costa meridionale del Pacifico (1524). Raggiunta Tumbes nel 1527, Pizarro venne a conoscenza della guerra civile scoppiata nell’impero inca dopo che Huáscar, figlio e successore di Huayna Cápac, era stato spodestato dal fratellastro Atahualpa. Tornato in Spagna e autorizzato da Carlo V a conquistare il P. (1529), Pizarro partì da Panamá nel 1531 e avanzò fino a Cajamarca dove catturò Atahualpa e ne decimò l’esercito (1532). Uccisi sia Huáscar, fautore della resistenza, sia Atahualpa, Pizarro s’impadronì di Cuzco e impose sul trono Manco Cápac II; questi, dapprima disposto a collaborare, di fronte a violenze e saccheggi perpetrati dagli spagnoli, approfittò dell’assenza di Pizarro e Almagro per assediare Cuzco (1536-37); costretto a ripiegare sulla Sierra, mantenne il controllo solo sulla regione di Vilcabamba. Mentre i confini della colonia si estendevano grazie alle spedizioni dei luogotenenti di Pizarro, scoppiarono contrasti tra i conquistadores: insoddisfatto dei compensi ottenuti, Almagro occupò Cuzco (1537), di cui rivendicava la giurisdizione; sconfitto e ucciso (1538), fu vendicato dal figlio, Diego el Mozo, che uccise Pizarro nel 1541. Desiderosa di sottoporre a maggior controllo la colonia, la Corona costituì nel 1542 il vicereame del P. e l’audiencia di Lima. Il tentativo del viceré B. Nuñez Vela di applicare le Leyes nuevas, che vietavano la trasmissione ereditaria dell’encomienda, portò alla ribellione degli encomenderos guidati da G. Pizarro; questi fece assassinare il viceré, ma fu sconfitto dal presidente dell’audiencia, P. de la Gasca (1548). Le violenze che accompagnarono la conquista e le malattie arrivate dall’Europa causarono la decimazione della popolazione, che scese da 7 a 1,4 milioni di individui nel 1570; ciò indusse gli spagnoli a impiegare schiavi neri nelle aree agricole. L’organizzazione politico-amministrativa della colonia fu opera del viceré F. de Toledo (1565-81); ai capi indigeni (caciques) furono riconosciuti rango nobiliare e privilegi e fu affidato il compito di raccogliere il tributo dagli indios e di controllare il loro lavoro; fu introdotta la figura del corregidor che cumulava le funzioni di amministratore, poliziotto e giudice. Dopo la scoperta di giacimenti argentiferi a Potosí (1545) e di mercurio a Huancavelica (1563), il settore minerario divenne preponderante in P.; per assicurare la manodopera, de Toledo ricorse alla mita: un settimo dei maschi tra i 18 e i 50 anni era obbligato a lavorare per un anno in miniera per un salario infimo. Altrettanto dure erano le condizioni di lavoro negli obrajes, in cui si producevano soprattutto tessuti in lana e cotone; in molti casi gli indios dovettero offrirsi volontariamente alle haciendas e agli obrajes per far fronte ai debiti contratti con i corregidores. Il regresso demografico degli indios continuò fino alla fine del 17° sec., mentre la recessione economica fu aggravata poi dalle riforme dei Borbone nel 18° sec.: la creazione dei vicereami di Nueva Granada e del Rio della Plata sottrasse al P. i principali mercati di sbocco e approvvigionamento, oltre alle miniere più ricche nel territorio dell’audiencia di Charcas. Inoltre, la proclamazione della libertà di commercio tra i domini spagnoli (1778) pose fine al monopolio di Lima; lo sviluppo dell’economia di piantagione sul litorale e l’estendersi del sistema delle haciendas ai margini della Sierra aumentarono le tensioni etniche e sociali, sfociate in sanguinose rivolte con protagonisti neri, mulatti e indios: nel 1730 A. Calatayud attaccò Potosí ma fu sconfitto e decapitato; fallì la sommossa di Oruro (1737-39) per la restaurazione dell’impero incaico e l’abolizione della mita; nel 1742 J.S. Atahualpa occupò la giungla di Tarma e tenne testa alle truppe vicereali fino al 1761. La sollevazione più importante fu guidata da J.G. Condorcanqui, che assediò Cuzco alla testa di migliaia di indios; la rivolta proseguì fino al 1782, quando gli insorti furono respinti da La Paz.
L’indipendenza giunse infine dall’esterno a opera di J. de San Martín, che nel 1820 salpò dal porto cileno di Valparaíso alla testa di 4500 uomini. Il 28 luglio 1821 a Lima fu proclamata l’indipendenza. Assunti i pieni poteri e il titolo di protector, San Martín abolì la tratta degli schiavi, il tributo indigeno, la mita e ogni altra prestazione lavorativa forzata, e applicò una legislazione durissima contro gli spagnoli; inviso ai liberali locali per i suoi progetti monarchici e incapace di liberare definitivamente il Paese dai realisti, San Martín, dopo aver incontrato S. Bolívar a Guayaquil nel luglio 1822, gli lasciò campo libero e abbandonò il Perù. Giunto a Lima nel 1823 e assunti i pieni poteri, Bolívar organizzò un nuovo esercito che sconfisse gli spagnoli. Fallito il tentativo di creare una federazione delle Ande, comprendente P., Colombia e Bolivia (come decise di chiamarsi l’Alto P.), nel 1826 Bolívar tornò in Colombia. Al termine della prolungata guerra di liberazione, un’élite di proprietari terrieri e alti funzionari creoli costituì la nuova classe dirigente, mentre il commercio internazionale e le attività imprenditoriali divennero competenza quasi esclusiva degli stranieri. Gli indios rimasero esclusi da qualsiasi progresso economico o sociale. Molti indiani della Sierra lasciarono le comunità per lavorare come peones nelle haciendas o come salariati giornalieri nelle piantagioni della costa, senza però integrarsi al resto della popolazione. Il P. rimase alla mercé di caudillos locali, incapaci di imporre stabilmente la propria autorità; il generale A. Gamarra fu il solo, tra gli otto presidenti succedutisi tra il 1826 e il 1836, a completare il suo mandato. I conflitti territoriali con Bolivia, Cile e Colombia fecero subito da sfondo a una già forte instabilità politica del Paese, che si prolungò sino a buona parte del 20° sec., con ripetuti colpi di Stato.
Paese ricco di materie prime, il P. fu già dall’indipendenza oggetto di interessi stranieri e contrasti sociali tra una maggioranza povera e una minoranza ricca. In questo contesto va situata la posizione dei militari, garanti di un ordine politico instaurato attraverso dittature di cui le ultime furono quella di J.V. Alvarado (1968-75) e F.M. Bermúdez (1975-80). Con la Costituzione del 1979, il P. diede avvio a un complesso processo di democratizzazione, reso arduo dal perdurare di contraddizioni e problemi irrisolti. La povertà e le forti disuguaglianze sociali, un ingente debito estero, l’incombente presenza di un esercito potente, il radicamento di organizzazioni guerrigliere e terroristiche e gli enormi interessi legati al traffico della droga mettevano infatti a dura prova il cammino delle nuove istituzioni democratiche. Il ritorno al potere dei civili portò alla presidenza F. Belaúnde Terry (1980-85), leader di Azione popolare (AP), e A. García Pérez (1985-90), di Azione popolare rivoluzionaria americana (APRA). Entrambi dovettero lottare contro la crisi economica e la guerriglia maoista di Sendero Luminoso e del Movimiento revolucionario Túpac Amaru (MRTA). Espressione di queste difficoltà fu anche la vicenda politica che segnò la vita del P. negli anni Novanta, legata all’ascesa, alla gestione del potere e alla caduta del presidente A. Fujimori, del movimento Cambio 90, eletto per la prima volta nel 1990. Fujimori varò una durissima manovra economica e avviò la privatizzazione delle principali imprese statali. Nel 1992, col sostegno dell’esercito, sciolse il Parlamento per presiedere un autoritario governo di emergenza. Il fenomeno del terrorismo, apparentemente debellato nel 1992 con la cattura dei capi di Sendero Luminoso e del MRTA, riprese nel corso del 1994. L’affermazione, ottenuta nelle elezioni del 1995, consentì a Fujimori di proseguire nel suo progetto di rafforzamento del potere esecutivo. Sul piano economico, i costi sociali della politica di liberalizzazioni di Fujimori sembrarono minarne la popolarità, già incrinata dagli scandali che avevano coinvolto alti funzionari governativi. Nel 1998, incurante delle sempre più numerose denunce per la violazione dei diritti umani avanzate da molte organizzazioni internazionali, Fujimori ottenne dal Parlamento la delega a emanare misure contro la criminalità che estendevano le leggi antiterrorismo a una numerosa serie di altri reati, ma soprattutto limitavano il potere dei tribunali civili ampliando quello dei tribunali militari. Sul piano internazionale, grazie alla mediazione di Argentina, Brasile, Cile e Stati Uniti, nel 1998 il P. firmò un trattato di pace con l’Ecuador che, dopo 50 anni, risolveva il contenzioso riguardante la zona della Cordigliera del Condor. Le elezioni presidenziali del 2000, in un clima di forte mobilitazione, videro una contestata vittoria di Fujimori, che dovette però lasciare la presidenza e il P. a seguito delle proteste popolari causate dalle accuse di brogli e corruzione. Le elezioni presidenziali del 2001 furono vinte da A. Toledo, del movimento Perú posible, primo capo di Stato di origine indigena. Egli lanciò un vasto piano di lotta contro la povertà, ma dovette fronteggiare una grave situazione economica e sociale, con ondate di scioperi e un ritorno all’azione dei guerriglieri di Sendero Luminoso. Al principio del 2005 le tensioni sfociarono in un tentativo di sollevazione militare nel Sud del Paese, presto soffocato. Le elezioni del 2006 videro il ritorno alla presidenza di García Pérez, promotore di un vasto progetto di modernizzazione.