PERÙ (A. T., 153-154)
Stato dell'America Meridionale, che confina a N. con l'Ecuador e la Colombia, ad E. col Brasile (stato di Amazonas e territorio dell'Acre) e la Bolivia, a S. col Chile, ed è bagnato a O. dall'Oceano Pacifico.
Sommario. - La repubblica del Perù. - Geografia: Nome (p. 873); Esplorazione (p. 874); Confini (p. 874); Rilievo (p. 874); Condizioni climatiche (p. 876); Acque continentali (p. 877); Flora e vegetazione (p. 877); Fauna (p. 878); Antropologia (p. 878); Condizioni demografiche (p. 879); Condizioni economiche (p. 880); Comunicazioni (p. 883); Commercio (p. 885). - Ordinamento: Ordinamento politico e amministrativo (p. 887); Culti (p. 887); Forze armate (p. 887); Finanze (p. 888).
Il Perù precolombiano. - Fonti (p. 888); L'impero teocratico degli Inca (p. 888); Cultura materiale (p. 890); Cultura spirituale e organizzazione (p. 891); Formazione della cultura del Perù antico (p. 893); Archeologia (p. 894); Cronologia (p. 895).
Il Perù postcolombiano. - Storia: La conquista spagnola (p. 896); Organizzazione del vicereame (p. 897); Le istituzioni e la società ispano-perusiavana (p. 898); Il Perù indipendente (p. 899). - Arte (p. 902). - Letteratura (p. 903).
LA REPUBBLICA DEL PERÙ
Geografia.
Nome. - Incerta è l'origine del nome Perù, che non era conosciuto dagl'Indiani, ma fu usato soltanto dagli Spagnoli, i quali lo applicarono a tutte le terre che conquistarono a sud di Panamá, traendolo, sembra, dal nome d'un fiumicello (Birú o Pirú) sfociante nell'oceano presso Punta Piñas a 7°34′ N., cioè poco a sud della Bahía de San Miguel (Panamá). È da notare che nella cedola reale del 1529, con la quale si concede a Francisco Pizarro la facoltà di esplorare e popolare le nuove terre scoperte, queste sono chiamate col nome di Pirú.
Esplorazione. - Nel lungo periodo della dominazione spagnola (per la scoperta e la conquista, v. appresso) i missionarî e i gesuiti contribuirono ad allargare la conoscenza del paese, ma furono sistematicamente tenuti lontani i viaggiatori stranieri, permettendosi soltanto a studiosi francesi di penetrare nell'interno a partire dal 1700. Ricordiamo tra essi Frezier che nei primi anni del secolo percorse l'altipiano del Perù e della Bolivia.
Nell'ultimo ventennio dello stesso secolo si svolse l'attività della missione geodetica presieduta dal La Condamine e quella di Felice de Azara che tra il 1781 e il 1802 studiò e descrisse tutte le provincie dell'America spagnola. Infine le esplorazioni di Alessandro v. Humboldt, che studiò in particolare i vulcani dell'Ecuador e del Perù, chiusero questo primo periodo di ricerche scientifiche.
Nel sec. XIX, durante le lotte dell'indipendenza e i continui torbidi politici che seguirono alla formazione del nuovo stato, il lavoro di esplorazione fu svolto quasi esclusivamente da viaggiatori europei e nordamericani, ma essi si applicarono soprattutto allo studio delle reliquie della antica civiltà incaica e a quello dell'etnologia. Meritano tuttavia di essere segnalati anche dal punto di vista geografico i viaggi di J.-B. Boussingault (1825-31) che visitò il Perù settentrionale, di J. B. Pentland (1826-28) che studiò la geologia e la botanica, di A. D'Orbigny che nel 1833 percorse il litorale peruviano provenendo dalla Bolivia, di E. Pöppig (1830-1831) che attraversò la Cordigliera tra Lima e Cerro de Pasco e discese lo Huallaga, di F. de Castelnau, e infine di J. J. von Tschudi che rimase nel Perù dal 1838 al 1842 e vi tornò nel 1858, dedicandosi però particolarmente a ricerche archeologiche. Nel 1850 giunse al Perù l'italiano A. Raimondi cui spetta il primo posto nella storia della geografia del paese. Egli per quarant'anni (1850-90) dedicò tutto sé stesso allo studio del Perù percorrendone successivamente tutte le provincie e consacrando i risultati della sua lunga fatica in due opere che rimangono tuttora fondamentali anche se purtroppo incompiute: El Perú, in 3 volumi, e la grande carta del Perù alla scala di1:500. o00 in 34 fogli. Dopo il 1875 si possono ricordare ancora i viaggi di W. Reiss e A. Stübel che da Pacasmayo raggiunsero lo Huallaga, e di A. Wertheman (1876-79) che studiò l'idrografia e disegnò alcune carte del Perù settentrionale. Seguirono le esplorazioni di O. Ordinaire (1885), di Y. P. James (1886) e di R. Payer (1891) miranti a trovare una facile strada tra Lima e il bassopiano orientale attraverso la Cordigliera. Importante anche l'opera di E. M. Middendorf che dimorò lunghi anni al Perù e vi compì ricerche archeologiche ed etnografiche, la cui opera però presenta notevole interesse anche per il geografo.
Contemporaneamente si svolse l'attività di studiosi peruviani, notevole in modo particolare dopo la costituzione della Società geografica fondata a Lima nel 1888. Oltre a M. F. Paz Soldán, che eseguì ricerche geografiche nel Perù settentrionale e pubblicò una geografia del Perù, ricordiamo F. Moreno, che studiò i terreni petroliferi (1891-93), R. Paz, che percorse la regione tra Riberalta e l'Inambari (1895), I. T. Caucino, che studiò la provincia di Ayacucho (1893), C. A. Pérez (1893) e F. G. Sala (1903), che esplorarono i fiumi Pichis, Palcazú, Pachitea e l'alto Ucayali, C. R. Cisneros e R. E. Gart. ía, che pubblicavano uno studio sul dipartimento di Libertad (1900), C. J. Lisson, che studiò i fossili e la loro distribuzione (1913), il Rosa Toro, che trattò dell'etnografia, e altri, mentre continuava l'opera di viaggiatori stranieri quali A. Hettner, R. Payer, W. Sievers, J. Bowman, J. A. Douglas, T. O. Bosworth, H. Gerth, H. G. Gregory, Ch. W. Douville-Fife, e altri che nel primo quarto del sec. XX studiarono specialmente la geologia e l'etnografia.
Confini. - I confini del Perù non sono ancora fissati completamente, poiché con l'Ecuador è in contestazione un vastissimo territorio tra il Marañón e lo spartiacque Napo-Putumayo. L'Ecuador, come erede della Colombia nei confini col Perù (la disputa risale al tempo della separazione dell'Ecuador dalla Colombia), pretende che le frontiere siano portate sul Marañon, come fu stabilito nel trattato di Guayaquil del 22 settembre 1829 (con le modificazioni apportate dal protocollo Pedemonte-Mosquera del 1830); il Perù, d'altro canto, avanza pretese su gran parte dell'Oriente ecuadoriano, ed esercita effettivamente la sua autorità sui bacini inferiori del Napo, del Tigre e del Pastaza. Con la Colombia sono sorte contestazioni nel 1932 per il possesso del territorio trapezoidale di Loreto e Leticia, compreso tra il Putumayo e il Rio delle Amazzoni, che il Perù aveva riconosciuto come colombiano nel trattato con la Colombia del 1922, ratificato da questa nel 1925 e dal Perù stesso nel 1927. Dopo un breve conflitto, la questione fu sottoposta alla Società delle nazioni, che decise in favore della tesi colombiana. Il confine colombiano-peruviano, lungo circa 1350 km., è segnato quindi dal fiume Putumayo fino al 70° meridiano occidentale, e poi da una linea che con direzione NE.-SO. va dal Putumayo al Rio delle Amazzoni; infine, da un tratto dell'Amazzoni fino a Tabatinga. Qui comincia il confine col Brasile, lungo 1900 km. e segnato per lungo tratto dal fiume Yavarí (Javary) e poi dalla Sierra de la Frontera. Esso fu definito, nelle linee generali, fino dal 1851; la sezione compresa tra le sorgenti dello Yavarí e il Río Acre fu fissata definitivamente nel 1909. Il confine con la Bolivia, che è segnato in parte dal Río Heath, tributario del Madre de Dios, e attraversa il Lago Titicaca, di cui è peruviana la parte occidentale, è lungo 890 km.; la sua delimitazione diede luogo a gravi controversie, specialmente per il tratto immediatamente a nord del Titicaca (regione dell'Apolobamba), che fu poi stabilito tra il 1911 e il 1913 da una commissione inglese. Ma la controversia più grave con gli stati vicini per questioni di confine è stata quella col Chile, che dal tempo della guerra del 1879-1883 teneva occupata la provincia peruviana di Tacna e Arica, nella quale dopo dieci anni si sarebbe dovuto eseguire un plebiscito per decidere della loro appartenenza definitiva. Il plebiscito non ebbe mai luogo e i due stati rimasero per lunghi anni senza rapporti diplomatici, ed anzi più volte furono sul punto di ricorrere nuovamente alle armi. La questione fu risolta, per intromissione degli Stati Uniti, solamente nel 1929: il 3 giugno di quell'anno fu firmato un trattato fra il Perù e il Chile, con il quale il confine tra i due stati (lungo circa 120 km.) veniva fissato a 10 km. a nord della ferrovia Arica-La Paz. Così Tacna è tornata al Perù, e Arica è rimasta al Chile.
Le coste peruviane hanno uno sviluppo calcolato sui 2700 km.
Superficie. - L'incertezza dei confini con l'Ecuador fa sì che la superficie del Perù sia assai variamente stimata. La cifra ufficiale è 1.365.054 kmq., ma misurazioni cartometriche recenti assegnano al Perù, pur compreso il territorio in litigio con l'Ecuador, 1.249.000 kmq. soltanto (secondo altre fonti, 1.300.000 kmq.). Comunque, il Perù per superficie è il 3° stato dell'America Meridionale, venendo dopo il Brasile e l'Argentina e occupando circa 1/14 dell'area totale di quella parte del mondo. La sua superficie corrisponde a più di 4 volte quella dell'Italia. La popolazione secondo una valutazione al gennaio 1933 ammonta a 6.600.000 ab. (4° posto tra gli stati sudamericani), 5 per kmq.
Il Perù è compreso tra 0° 10′ N. (confine peruviano-colombiano ecuadoriano alla confluenza del Sucumbios col Putumayo) e 18° 20′ S. (confine col Chile a nord di Arica), e tra 68° 40′ (confine con la Bolivia a est di Puerto Maldonado) e 81° 54′ (Punta Pariña) O.
Rilievo. - Si distinguono nel Perù tre grandi regioni, che differiscono moltissimo l'una dall'altra per condizioni di rilievo, morfologia, clima e vegetazione, in breve per le loro caratteristiche fisiche, nonché per le condizioni antropiche ed economiche. Esse sono: 1. la regione costiera,; 2. la Sierra, cioè la regione montuosa che fa parte del sistema andino; 3. la Montaña (nome che indica nel Perù la foresta amazzonica), che comprende le zone basse a oriente della Sierra, le quali fanno parte del bassopiano amazzonico.
La regione costiera è formata da una fascia di terre basse, larga al massimo 150 km. (a N.), aridissima, desertica (v. appresso). Nella sezione più settentrionale e più ampia intorno a un nucleo granitico (Cerros de Amotape) si trovano arenarie e argille cenozoiche piegate, su cui riposano conglomerati di sabbie e argille formanti il così detto Tablazo de Paita e il Deserto di Sechura, coperto da dune nella parte meridionale. Fra gli strati di arenarie e argille cenozoiche si trovano letti di sabbie petrolifere. A S. del Deserto di Sechura lȧ piana costiera va man mano restringendosi: alla latitudine di Eten è larga già soltanto 40 km., e poco a nord della foce del fiume Santa, verso 8° 30′, scompare del tutto. Nella sezione costiera che segue, la Cordigliera giunge direttamente al mare; la piana cenozoica non riappare che a mezzodì del Río de Chincha, ma tra questo e il Pativilca allo sbocco delle vallate andine i fiumi hanno formato grandi coni di deiezione che, saldatisi lateralmente l'uno all'altro, costituiscono una fascia alluvionale continua. Alcuni di questi coni hanno pendenze assai lievi, come quello del Chincha; altri, come quello del Rimac, sul quale sorge Lima, capitale del Perù, hanno pendenze notevolissime (2%), tanto che il fiume che li ha formati riesce ancora a trasportare dei ciottoli fino al mare. La vallata d'Ica che si apre a S. del Río Chincha, è chiusa tra le Cordigliere e una bassa catena costiera formata da argille bianche cenozoiche coperte in gran parte da dune sabbiose e su un ampio tratto dalle alluvioni del Río de Ica. La sezione più meridionale della regione costiera peruviana differisce notevolmente dalle precedenti per la struttura e per il clima, meno arido. Anche qui una catena costiera, che tra Mollendo e Arequipa è alta 1100 m., separa dal mare la piana cenozoica; la quale, formata da conglomerati e arenarie, presenta una sensibile inclinazione verso il mare, e si trova a notevole altezza; i corsi d'acqua vi hanno inciso valli profonde, che nell'attraversare le sieniti e le dioriti della catena costiera si mutano in vere forre. L'aspetto generale della regione costiera peruviana, che costituisce circa l'8% della superficie della repubblica, è quello desolato di un deserto, interrotto però da una serie di oasi irrigate, che l'uomo ha creato utilizzando le acque dei fiumi che vengono dalla Cordigliera: fiumi brevi di corso ma di portata copiosa. Le oasi, una quarantina, costituiscono le zone agricole più ricche del Perù (v. appresso); la loro superficie complessiva non è che il 3°6 di quella totale della regione costiera.
Le coste peruviane per lo più sono alte e compatte (in alcuni tratti, per l'azione delle correnti costiere che si dirigono da sud a nord, terminano con alte barrancas, o falesie), e fronteggiate da isolotti aridi e disabitati, importanti peraltro a causa dei giacimenti di guano che li ricoprono, i quali un tempo costituirono una delle maggiori risorse economiche del paese. Celebri furono, al riguardo, le isole Chincha, situate di fronte a Pisco.
La Sierra comprende il 65% dell'area del Perù ed è formata da un'ampia sezione del sistema andino: un complesso di vasti altipiani, d'imponenti catene, d'ampie e profonde vallate. Gli altipiani si stendono, con le loro superficie lievemente ondulate, e quindi monotone, fra 3000 e 4400 m. d'altezza, e sono dominati, da 1000-2000 m. di altezza relativa, dalle Cordigliere, coperte di nevi perenni e di ghiacciai e modellate in parte dalla assai più ampia glaciazione quaternaria. La linea spartiacque tra il Pacifico e l'Atlantico è poco accentuata: i corsi d'acqua principali hanno inciso profonde valli longitudinali, dirette da SE. a NO., parallelamente alla costa.
Nella parte settentrionale della Sierra, indicata spesso col nome di Ande del Marañón, non si trovano altipiani di grande estensione, e vi si possono distinguere tre catene principali quasi parallele, La Cordigliera Occidentale, o Blanca, formata nelle zone culminali da dioriti e da scisti e più in basso da arenarie e calcari, ha una duplice fila di creste, tra le quali s'aprono, non profonde, le valli dei piccoli affluenti di sinistra del Marañón e le alte valli di alcuni tributarî del Pacifico; talvolta la depressione intermedia si presenta come un altipiano stretto e allungato, che a partire dai 3400 m. è coperto dalla Jalca, steppa composta di fitti cespugli di graminacee dure, poco influenzata dalle variazioni stagionali. La linea di creste esterna supera quasi sempre i 4000 m., ma quella interna è assai più elevata (raggiunge i 6760 m. nell'Huascarán, la vetta più alta delle Ande del Perù) e le sue cime oltrepassano il limite delle nevi permanenti, che è in media a 4780 m. (da ciò il nome di "Blanca"), e racchiudono varî piccoli ghiacciai.
La linea di creste esterna nella parte più meridionale è separata da quella interna dalla profonda, popolosa vallata del Río Santa, detta Callejón de Huaylas; essa non oltrepassa i 5000 m. d'altezza ed è chiamata Cordigliera Negra (perché è priva di nevi permanenti). Il Santa nella sua rapida discesa (2000 m. in 150 km., tra le sorgenti e Carás) attraversa una successione di bacini coperti dalle alluvioni fluvio-glaciali provenienti dalle morene della Cordigliera Blanca. La valle del Marañón (uno dei rami sorgentiferi dell'Amazzoni) separa la Cordigliera Blanca da quella Centrale, che la valle dello Huallaga, affluente del Marañón, divide poi dalla Cordigliera Orientale.
La valle del Marañón è una profonda valle d'erosione, un po' ampia soltanto tra Lauricocha e Chuquibamba, nel tratto più elevato; nel resto è angusta e limitata da pendici assai acclivi, dove sono impossibili le colture. La vegetazione è data da xerofite (steppa e boscaglia spinosa a cactus e Bombax ceiba). Il fiume, che vi scorre precipitoso, è largo raramente più di 130 m., e in qualche punto si restringe fino a 35 m. Assai diversa è la valle dell'Huallaga, ampia, bene irrigata e relativamente ben popolata.
La Cordigliera Centrale, costituita da scisti micacei, graniti, sieniti e dioriti, coperti in gran parte da calcari e arenarie del Cretacico e, qua e là, da potenti pile di conglomerati, incisa da numerose vallate, è alta poco più di 3500 m. ed è quindi priva di nevi permanenti, ma vi si trovano tracce abbondanti della glaciazione quaternaria. La Cordigliera Orientale forma una zona montuosa di trapasso tra la Sierra e la Montaña, chiamata Ceja de montaña (ciglio della foresta), ed è coperta da foreste tropicali di montagna, caratterizzate da una grande abbondanza di palme e di epifite e che oltre i 3000 m. presentano forme atrofizzate; oppure, qua e là, da steppe erbose e da savane con cespugli a foglie caduche o perenni. Essa è ancora poco conosciuta: all'altezza di Moyobamba si trova una catena che giunge a 1600 m.; a oriente di Huánuco s'innalza un massiccio le cui creste si mantengono tra i 1600 e i 2000 m. Il complesso di rilievi che formano la Cordigliera Orientale degrada dolcemente verso le Pampas del Sacramento (vallata dell'Ucayali, altro ramo sorgentifero del Rio delle Amazzoni).
La parte meridionale delle Ande del Perù, a sud del Nodo di Pasco, è designata spesso col nome di Ande dell'Ucayali o dell'Apurimac e consta di due catene (Cordigliera Occidentale e Cordigliera Orientale) tra le quali si stende un grande altipiano (Altipiano del Perù), ondulato o percorso da basse groppe collinose e suddiviso da catene trasversali in varie sezioni (altipiani di Oroya, 3740 m.; di Huancavalica, 3780 m.; di Ayacucho, 2700 m.; di Cuzco, 3300 m., e altri minori). Quest'altipiano, come quello della Bolivia, è conosciuto comunemente col nome di Puna, parola quechúa che significa "spopolato", ed è costituito soprattutto da arenarie, calcari e, in minore misura, scisti argillosi e marne del Mesomico. Frequenti sono le intrusioni porfiriche.
Caratteristica della Puna peruviana è quella d'essere incisa da valli profonde e incassate che hanno sventrato alcuni bacini con profonde gole di erosione (quella di Cotahuasi è limitata da pareti verticali di 2000 m.), mentre la Puna boliviana è formata da bacini chiusi. Rientra tuttavia nel territorio del Perù una parte, la più settentrionale, del bacino chiuso del Titicaca. La vegetazione predominante sull'altipiano è la steppa composta per lo più da piante acauli, a foglie tomentose.
La Cordigliera Occidentale, compatta come un baluardo, con passi estremamente ardui (la ferrovia Lima-Oroya la sorpassa a 4775 m., a un'altezza, cioè, di poco inferiore a quella del Monte Bianco), è costituita anch'essa prevalentemente da scisti, calcari e arenarie del Mesozoico. A sud del 16° parallelo ha inizio la zona vulcanica detta dallo Stübel peruviano-boliviana: qui si trovano i coni vulcanici dell'Ampato (6950 m.), del Misti (6005 m.), del Chachani (6090 m.), del Pichu-Pichu (5600 m.; gli ultimi tre alle spalle di Arequipa), del Tutupaca (5500m.), dell'Ubinas, dell'Omate e altri minori. Di questi vulcani, che hanno coperto con una spessa coltre di lave e di ceneri le rocce sedimentarie di gran parte del Perù meridionale, solo il Misti (eruzioni nel 1784, 1830, 1869), l'Ubinas (eruzione nel 1867) e l'Omate (eruzione nel 1667) sono stati in attività in tempi relativamente recenti.
La Cordigliera Orientale è ancora poco conosciuta; sembra ch'essa sia costituita specialmente da graniti, dioriti e andesiti e da scisti, arenarie e conglomerati paleozoici, e formata da varie catene uniformemente orientate da NO. a SE. (Cord. di Vilcapampa, tra l'Apurimac e l'Urubamba, Ande di Carabaya, ecc.), che raggiungono i 6300 m. nel Vilcanota. Le catene più orientali fanno parte della Ceja de montaña e sono aperte in breccia dalle profonde gole (pongos) dell'Apurimac, dell'Urubamba e dei loro numerosi tributarî. A est della linea degli ultimi pongos si tr0vano colline isolate nel piano, e qualche debole ondulazione.
La Montaña si estende su circa il 27% della superficie del Perù, ed è formata superficialmente da terreni alluvionali (sabbie e argille) coperti quasi dappertutto dall'impenetrabile foresta equatoriale; le uniche vie di penetrazione in questa regione spopolatissima sono date dai numerosi corsi d'acqua. A breve distanza dalle rive di questi, regna ancora l'ignoto.
Come in tutti i paesi andini, frequentissimi sono nel Perù i terremoti, in particolare nella regione costiera, dove hanno causato talvolta disastri assai gravi, anche perché furono accompagnati spesso da maremoti. I maggiori centri sismici sono Lima (particolarmente danneggiata dai terremoti del 1687 e del 1746), Ica, Arequipa (quasi completamente distrutta nel 1868), Moquegua e Cuzco.
Condizioni climatiche. - Scarso è il materiale che si possiede per la conoscenza del clima del Perù, essendo pochissime e distribuite molto inegualmente le stazioni per le quali si dispone di osservazioni meteorologiche eseguite per una cospicua serie di anni. Si possono distinguere all'ingrosso cinque zone climatiche principali: la regione costiera, le pendici occidentali della Sierra, l'altipiano, le pendici orientali della Sierra, la Montaña. La regione costiera ha un peculiare clima desertico oceanico (che E. De Martonne nella sua classificazione chiama appunto clima peruviano), caratterizzato da forte umidità relativa dell'aria (Callao 84%, Lima 82%), precipitazioni oltremodo scarse (Chiclayo, 17 mm. annui, Trujillo 30, Lima 48; Mollendo 22), frequenti nebbie, dette garúas, temperature piuttosto uniformi (Chiclayo, a 6° 43′ S., ha una temperatura media annua di 21°,0, con 17°,5 nel mese più freddo, giugno, e 25°,7 in quello più caldo, febbraio; Trujillo, a 8° 5′, ha rispettivamente 20°,7, 17°,2 in giugno, e 25°, 1 in gennaio; Lima, a 12°4′. ha 19°,3, 16°, 1 in agosto, 23°,5 in febbraio; Mollendo, a 1°,1′, ha 18°,3, 15°,2 in agosto e 210,5 in febbraio) e relativamente basse (anomalia negativa dovuta all'influenza della fredda corrente del Perù, che scorre lungo la costa in direzione S.-N.; Bahia, nel Brasile, sulla costa atlantica e pressoché alla stessa latitudine di Lima, ha una temperatura media annua di 24°,8). Le precipitazioni cadono nei mesi estivi nella sezione settentrionale della costa, nei mesi invernali al centro e nel sud.
Sulle pendici occidentali della Sierra si trapassa, col crescere dell'altezza, dal clima della costa a quello dell'altipiano. Man mano che si sale, come ben s'intende, diminuiscono le temperature, più elevate nel Perù centrale che in quello settentrionale (qui le dense nebbie, fitte particolarmente tra 2500 e 3000 m., alimentate dalle masse di vapore provenienti dal Pacifico senza che trovino lo schermo di rilievi costieri, come avviene nel Perù centrale e meridionale, e le notevoli piogge che riescono ancora a giungervi da oriente, influiscono in senso negativo sulle temperature) e in quello meridionale (sezione, questa, aridissima, cosicché le temperature medie sono abbassate dalla forte irradiazione notturna oltre che dalla più alta latitudine). Chosica, situata a 2012 m. d'altezza sulla ferrovia Lima-Oroya, ha 18°,2 di temperatura media annua, 15°,7 in febbraio e 19°,2 in settembre; le precipitazioni (156 mm.), cadono quasi completamente nel periodo febbraio-aprile (2/3 a febbraio); La Joya, sulla ferrovia Mollendo-Arequipa-Cuzco, a 1262 m. s. m., ha 16°,9 di media annua, 15°,3 in luglio e 18°,7 in febbraio, e neppure i mm. di precipitazioni; Arequipa, a 2451 m., ha 13°,8 di media annua, 13°,1 in luglio e 14°,4 in settembre, e 106 mm. di precipitazioni, che cadono per il 90% in gennaio-marzo.
Sugli altipiani prevale un clima di montagna, analogo a quello degli altipiani della Colombia e dell'Ecuador, ma con maggiori escursioni annue delle temperature e un periodo secco nel regime delle piogge. Le temperature annue sono solitamente inferiori ai 15° anche sugli altipiani meno elevati; le piogge non abbondano e cadono prevalentemente d'estate; Caiamarca, a 6°47′ S. e a 2810 m. s. m., ha 14°,6 di temperatura media annua, 11°,9 in giugno, 15°,9 in dicembre, 1144 mm. di precipitazioni (massimo in febbraio, 234 mm.); Cuzco, a 13°27′ e a 3380 m. s. m., ha 10°,7 di temperatura annua, 8°,3 in luglio, 12°,1 in novembre, 804 mm. di precipitazioni (massimo in gennaio, 162 mm.); Puno, sul Lago Titicaca, a 15° 50′ e a 3822 m., ha rispettivamente 8°,3, 5°,8, 10°,3, e 963 mm. di precipitazioni (massimo in febbraio, 206 mm.); infine Cerro de Pasco, a 10°43′ e a ben 4350 m. s. m., ha una temperatura media annua di 5°,7, con 4°,7 in luglio e 6°,7 in gennaio, e 885 mm. di precipitazioni (massimo in gennaio, 117 mm.). Oltre i 4400 m., in media, le precipitazioni cadono allo stato solido.
Sulle pendici orientali della Sierra si passa dal clima temperato a quello subequatoriale e infine a quello equatoriale. A Santa Ana, villaggio situato a 1040 m. s. m. nella valle dell'Urubamba, la temperatura media annua è di 22°,2, e nessun mese scende sotto i 20° l'escursione tra il mese più caldo e quello più fresco è di soli 2°,2.
Nel complesso le temperature diminuiscono da N. a S.; la nebulosità è forte, essendo questa zona tutto l'anno sotto l'influsso degli alisei, che passano sopra un bassopiano umido e quindi sono carichi di vapore, e abbondanti le piogge sopra i 1800 m.; più in basso, fino ai 1500 m. circa, si ha una zona meno umida, più accentuata nel Perù meridionale che in quello settentrionale. Le pendici inferiori della Sierra hanno press'a poco lo stesso clima della Montaña, che è tipicamente equatoriale. Iquitos, infatti, a 3°45′ S. e a 106 m. s. m., ha una temperatura annua di 24°,8; 23°,4 nel mese più fresco, luglio, e 25°,8 in quello più caldo, novembre. Le piogge ammontano a 2623 mm. e sono distribuite in ogni mese, nessuno dei quali ne riceve meno di 100 mm. (minimo in agosto, 115 mm., massimo in marzo, 305). Il periodo meno umido va da giugno a novembre.
Le condizioni sanitarie sono molto diverse nelle varie parti del paese. Nella regione costiera per la penuria di acque potabili sono assai diffusi il tifo e la gastroenterite; sugli altipiani più elevati del centro e del sud hanno naturalmente grande diffusione le malattie del cuore e degli organi respiratorî; nella Montaña, la regione più malsana, la malaria, il tifo e la febbre gialla sono le malattie che fanno il maggior numero di vittime. Ottimo anche per i Bianchi è invece il clima degli altipiani meno elevati.
Acque continentali. - Poco meno dei 3/4 della superficie del Perù scolano all'Atlantico per mezzo del Rio delle Amazzoni; al versante del Pacifico appartengono solo 330.000 kmq., e 50.000 al bacino chiuso del Titicaca. La struttura orografica del paese fa sì che lo spartiacque tra i due oceani corra assai prossimo alla costa, e quindi i fiumi che scendono al Pacifico sono tutti di breve corso (nessuno supera i 400 km. di lunghezza) e assai precipitosi, discendendo essi rapidamente dalle zone elevate dove hanno origine. Alcuni nella zona arida costiera non convogliano acqua fino alla foce tutto l'anno, sia per l'assorbimento effettuato dalle plaghe sabbiose, sia per la forte evaporazione, sia per le sottrazioni causate dalle opere d'irrigazione. Essi hanno soltanto importanza per questa, e anche perché le loro valli facilitano alle vie di comunicazione la penetrazione della Sierra: ché, data la pendenza dei loro letti e il regime torrentizio (hanno le piene, spesso terribili, nei mesi estivi, mentre da agosto a ottobre, di solito, convogliano pochissima acqua o sono secchi addirittura), non ce n'è alcuno adatto alla navigazione. Tra i più notevoli si ricorderanno il Lambayeque, che irriga 40.000 ettari, il Jequetepeque, che ne irriga 30.000, il Chicama, che ne irriga 35.000, il Santa, uno dei pochi perenni, il Rimac, che attraversa la capitale Lima (cui ha dato il nome), e il Río de Mages, il più lungo tra i fiumi peruviani del Pacifico (360 km.), ma di scarsa portata.
Nel Perù ha i suoi due rami sorgentiferi il Rio delle Amazzoni: il Marañón e l'Ucayali; il primo di solito, e forse a torto, consisiderato come il principale, soprattutto perché più si avvicina allo spartiacque tra i due oceani, ha origine dal Lago Lauricocha a N. di Cerro de Pasco, ed è lungo 1350 km. Dopo avere percorso veloce una stretta valle longitudinale diretta da SE. a NO., della quale si è già parlato, si volge verso E. e attraverso il celebre Pongo de Manscriche, una gola lunga 2 km. e larga in qualche punto soli 50 m., entra in pianura, dove si fa assai largo, lento e navigabile. Lo Huallaga, suo principale affluente, gli scorre parallelo: nella parte più alta del corso, lungo nel complesso 760 km., scende di 3000 m. in soli 200 km., con molte rapide e cateratte; la navigazione a vapore può risalirlo soltanto fino a Yurimaguas.
L'Ucayali risulta dall'unione dell'Apurimac, che si origina da un laghetto dell'altipiano e scorre in una valle profonda, stretta e selvaggia, pochissimo popolata, e dell'Urubamba, che nasce presso il Passo de la Raya (questo mette in comunicazione il bacino dell'Atlantico col bacino chiuso del Titicaca) e scorre in una valle abbastanza ampia, dove si trovano resti di grandi costruzioni incaiche (tra i quali quelli della fortezza di Ollantaytambo, a N. di Cuzco). L'Ucayali, lungo dalle sorgenti dell'Apurimac 1800 km., è un fiume lento (molti meandri; scende di soli 150 m. su oltre 1000 km.), ricco di acque (oltre 2000 mc. al secondo) e ampiamente navigabile (battelli a vapore possono risalire fino al Pongo de Mainique sull'Urubamba). Appartiene al Perù la parte occidentale (4400 kmq.) del gran Lago Titicaca, situato a 3812 m. s. m. e ampio 8330 kmq., percorso da servizî di navigazione a vapore che collegano la ferrovia Mollendo-Arequipa-Puno alla boliviana Guaqui-Viacha-La Paz. Nella Sierra vi sono numerosi altri bacini lacustri, per lo più d' origine glaciale e non molto ampî (taluno, come quello di Junín, è residuo d'un lago più vasto).
Flora e vegetazione . - La zona litoranea è straordinariamente arida e appare come un immenso arenile, solcato da alcune valli coltivate; solo qua e là sulle rive del mare crescono Salicornia peruviana, alcune Salsola e Sesuvium e nell'interno della costa qualche Tillandsia, Cactacee e Argemone mexicana. Solo all'epoca delle garúas (che inumidiscono il suolo e l'ambiente nella stagione invernale) il territorio si riveste d'una effimera vegetazione a fiori appariscenti, che si spinge a 650 m. d'altezza: Ismene dai fiori odorosi, Begonia geraniifolia, Quamoclit coccinea, Valeriana officinalis e pinnata, Bomarea ornata, Commelina fasciculata, Piper chrystallinum e varie Oxalis e Solanum. Le piante legnose sono rappresentate da boschetti di Prosopis dulcis e horrida, Acacia punctata, Buddleia per lo più a forme frutescenti; sparse qua e là crescono Carpomanesia cornifolia, Schinus molle, Alnus acuminata, nelle valli che solcano l'arenile costiero, e insieme con esse si trovano: Baccharis Fevillei, Tessaria legitima, che rivestono ampie superficie di terreno, Mikania variabilis, Encelia canescens, Spilanthes diffusa, Wedelia hispida, Ambrosia peruviana, molte Composte (Galinsoga, Senecio, Gnaphalium, Eupatorium, Ageratum, Bidens, ecc.), molte Solanacee (Nicotiana paniculata e glutinosa; Datura arborea e stramonium; Physalis peruviana, prostata e angulata; Nicandra physalodes; Lycopersicum peruvianum; Cestrum; Solanum), Verbenacee, Scrofulariacee, Leguminose, ecc.
Salendo sulla Cordigliera si vede che le piante tropicali sono sostituite da quelle delle regioni temperate: le Cactacee aumentano di numero e di dimensioni, a 1200 m. s. m. appare il colossale Cereus peruvianus; si trovano poi Tillandsia usneoides, Heliotropium peruvianum, Nicotiana rustica e numerose piante tuberose: Oxalis crenata e tuberosa, Ullucus tuberosus, Tropaeolum tuberosum, Polymnia sonchifolia, ecc.; ma qui manca la rigogliosa vegetazione che cresce sulla Cordigliera orientale, per difetto dei venti umidi e piovosi.
Con l'aumentare dell'altezza varia la vegetazione, che a 3500 m. acquista un carattere alpino: mancano le Conifere; fra i rari alberi si notano Sambucus peruviana, Buddleia incana, Poylepis racemosa: abbonda la graminacea Stupa ichu, che costituisce poi la caratteristica della regione Puna. Fino ai 4200 m. s. m. diminuiscono le piante arboree, limitate solo al Sambucus e alla Polylepis, invece aumentano gli arbusti spinescenti e spinosi: Chuquiragua spinosa e microphylla, Baccharis, Bolax glebaria, ecc. Ad altezze superiori comincia la regione fredda, che è caratterizzata da una riduzione delle Fanerogame, che circa a 4500 m. s. m. scompaiono del tutto. Nel versante opposto della Cordigliera occidentale abbondano le Graminacee sociali (Stupa ichu, Deyeuxia, Bromus, Avena, Poa) che costituiscono una vegetazione stepposa la quale rappresenta un discreto pascolo: si trovano anche Baccharis, Astragalus, varie specie di Azorella, Bolax, Verbena minima, ecc.
La Cordigliera Centrale presenta una discreta vegetazione arborea costituita da Buddleia incana e Polylepis racemosa: qui crescono la Pharbitis pubescens a radici purgative, la Krameria triandra che fornisce la ratania, alcuni Solanum, Datura, parecchie Salvia, varie specie di Cassia, ecc.
Per giungere alla regione chiamata Montaña si deve attraversare la Cordigliera Orientale: qui la vegetazione ha una distribuzione analoga a quella della Cordigliera Occidentale e si osserva la stessa scarsezza di alberi. Però discendendo le pendici di essa rivolte a occidente si trova una ricca e varia vegetazione. Vi è in basso fra i 310 e i 1530 m. una regione tropicale ricca di vegetali utili: Cocos butyracea, Phytelephas macrocarpa che dà l'avorio vegetale, Carludovica palmata che fornisce le fibre per i cappelli di panama; Cedrela odorata, Swietenia, Lucuma obovata, Carpomanesia cornifolia che forniscono pregiati legnami da costruzione: nei boschi vi è il colossale Ficus gigantea, la Vanilla, parecchie Bignoniacee, numerose Aracee, parecchie Musacee, Marantacee, alcune Smilax, Bombaxceiba. Qui vive la coca (Erythroxylon coca), che si spinge fino oltre i 2000 m., e qui comincia la regione delle Cinchona ricca di specie (C. ovata, carabayensis, Humboldtiana, glandulifera, micrantha, mtida, scrobiculata) che arriva fino a 2700 m. circa. Questa regione delle piante di china occupa parte della Bolivia, attraversa tutto il Perù e giunge fino all'Ecuador. Le rocce sono rivestite da muschi e licopodi; vi si trova anche la palma Oreodoxa frigida.
Al di sopra, fino a 3315 m. vi è la regione delle Ericacee con numerose specie (Gaylussacia dependens; Vaccinium ramosissimum, floribundum, crenulatum; Gaultheria erecta e glabra; Befaria ledifolia, ecc.): oltre i 3315 metri comincia la regione alpina, la quale si spinge fino al limite delle nevi perpetue.
La zona della Montaña è quella che presenta la vegetazione più ricca del Perù, con grandi foreste dove abbondano le piante tropicali utili e con notevole ricchezza di forme vegetali.
Però oggi le Cinchona del Perù hanno scarsissima importanza per la produzione delle cortecce di china, che vengono quasi tutte dalle coltivazioni di Giava, avendo nel passato l'avidità dei raccoglitori distrutto la maggior parte delle risorse spontanee che presentava la regione.
Fauna. - La fauna peruviana include elementi caratteristici della fauna neotropicale. Tra i Mammiferi citeremo varie specie di Scimmie platirrine (Mycetes, Cebus, ecc.), molti pipistrelli tra i quali varie specie di vampiri; tra i Carnivori, varî Felini come l'ozelot, il giaguaro, ecc. Nelle zone montane si rinviene l'orso ornato, l'unica specie di orso neotropicale, diffuso anche nel Chile. Tra gli Ungulati sono varî cervi, il lama guanaco che vive a branchi sui monti. Ben rappresentati i Rosicanti tra i quali il maiale acquaiolo che vive sugli altipiani, l'aguti, varie chinchille, il segu simile a un ratto, il miopotamo e varie specie di topi. Ben rappresentati gli Sdentati, tra i quali il formichiere comune e il tamandua. Ricca di forme e di specie è l'avifauna neotropicale con i graziosi uccelli mosca, i tucani, le are, ecc. I Rettili sono anch'essi numerosi e interessanti con numerosi Sauri e Ofidî, così come gli Anfibî tra i quali il Nototrema in cui lo sviluppo delle uova si compie in una tasca dorsale della femmina. Fra gli Artropodi numerosi sono gli Insetti specialmente i Coleotteri con caratteristiche specie di longicorni e di scarabei.
Antropologia. - Gfi indigeni del Perù sono i cosiddetti Quechúa e gli Aymará. Nel giudicare del significato dei caratteri antropologici degli etni del Perù è di somma importanza tenere conto dei fatti presentati dalla Bolivia, perché più caratteristici e meglio noti. In questa regione è più chiara una divisione antropogeografica, in quanto la zona più bassa dell'altipiano andino è appunto abitata ancora dai Quechúa, mentre la regione più elevata, quella della cosiddetta Cordigliera Reale, è abitata dagli Aymará. Una missione francese guidata dal Crequi de Montfort prese delle misurazioni antropometriche abbastanza numerose in questa regione e il materiale ne fu elaborato dallo Chervin. Sennonché i criterî di analisi applicati da questo autore furono affatto insufficienti, onde ne risultò una distinzione dei due tipi o gruppi di popolazione assai meno profonda di quello che non sia in realtà. Il Sera, in base ad una analisi geografica più rigorosa, a una analisi morfologica più minuta e con migliori metodi statistici, riuscì a una differenziazione assai forte dei due tipi Quechúa e Aymará e arrivò alla conclusione che il secondo rappresenta una più antica stratificazione umana, un tempo assai più estesa, presentante un mongolismo generico, quale è dato dal primo tipo facciale dello stesso autore (Tibeto-polinesiano). Il tipo quechúa, là dove è più puro, è molto diverso da quello aymará, e per i caratteri della faccia si approssima al tipo melanesoide. Ma molti altri caratteri separano i due gruppi etnici.
Ora è noto che il linguaggio aymará retrocede innanzi al quechúa. Esso si sarebbe conservato più ampiamente in Bolivia, forse solo per la presenza d' un altipiano che costituì un luogo di rifugio. E lo stesso si può dire per il tipo antropologico aymarȧ, il quale si è conservato relativamente puro solo per le speciali condizioni d'isolamento. È lecito quindi supporre che nel Perù il tipo antropologico aymará sia stato più largamente assorbito nei gruppi etnici quechúa che ne sono stati più modificati, onde non possiamo aspettarci che in esso, e soprattutto nelle località più elevate (Cuzco), i caratteri quechúa siano puri. La differenziazione dei due tipi risulta perciò meglio dai fatti presentati dalla Bolivia.
Ecco alcune note principali dei due tipi: per la statura non passa fra Quechúa e Aymará alcuna sensibile differenza, essendo all'incirca di cm. 160. Al più i Quechua potrebbero essere più alti di 1 cm. Per l'indice schelico (45,3) gli Aymará cadono nella categoria della brachischelia (gambe corte), i Quechúa, invece, là dove sono più puri, hanno un indice schelico (48,1) di macroschelia attenuata. La larghezza della faccia è molto più sensibile fra gli Aymará, in media di 5 mm.; gli Aymará hanno un cranio cerebrale più lungo e più basso di quello quechúa. L'occhio mongolico risulta sensibilmente più frequente fra gli Aymará, che hanno anche radice del naso più depressa, altezza nasale assai più forte, fronte fortemente sfuggente e relativamente stretta, in confronto dei Quechúa. La faccia presenta differenze massime. Essa è enormemente alta negli Aymarȧ più puri, e media nei Quechúa. Avendo i primi anche forte larghezza, essi si possono dire macroprosopi. La forma ne è ovale, allungata, nei primi; rettangolare, quadrata nei secondi. Il labbro superiore è assai alto nei primi, piuttosto corto nei secondi. Il mento è sfuggente negli Aymará, ben formato nei Quechúa. Il colorito cutaneo e quello degli occhi è più chiaro negli Aymará. G.S.
Condizioni demografiche. - L'ultimo censimento peruviano è del 1876: quindi il numero attuale degli abitanti è conosciuto solo con approssimazione. Allora risultarono 2.699.000 ab., che alcune stime calcolarono saliti a 4.634.000 nel 1896, a 5.500.000 nel 1921, a 6.170.000 nel 1927 e a 6.600.000 nel 1933 (5 per kmq.). Una valutazione per il 1810 dava al Perù 1.100.000 ab.; la sua popolazione, quindi, in 120 anni si sarebbe quasi sestuplicata.
Si ritiene che il 53% della popolazione sia costituito da Meticci, il 32% da Amerindî, l'11% da Bianchi, il 2% da Negri e Mulatti e il 2% da Asiatici (Cinesi soprattutto). I Bianchi, discendenti degli antichi dominatori, vivono specie nelle maggiori città e nelle loro mani è gran parte della vita culturale, economica, politica del paese. Il recente sviluppo della regione costiera ne ha attirati. molti nelle grandi aziende agricole.
Dopo l'abolizione della schiavitù i piantatori importarono molti Canachi dalle isole Marchesi, ma il lavoro troppo gravoso, i maltrattamenti e il clima li decimarono rapidamente. Dal 1849 s'iniziò l'importazione dei Cinesi, ingaggiati talvolta con la forza, e con la forza trattenuti nel paese anche dopo lo scadere del contratto di lavoro. Essi venivano adibiti al lavoro delle piantagioni e a quello durissimo dei giacimenti di guano; per il trattamento spesso brutale cui venivano sottoposti si ebbero più volte proteste dal governo cinese: e non rari furono i casi di rivolta. A poco a poco quindi la loro importazione cessò, molti di essi tornarono in patria, altri si emanciparono e si dispersero per tutto il paese dedicandosi prevalentemente al piccolo commercio.
Tra le colonie straniere la più numerosa, probabilmente, è quella italiana, che nel 1927 contava 13.000 individui, occupati di preferenza nelle industrie e nei commerci. Essa ha avuto e ha tuttora una notevole importanza nella vita economica e culturale del Perù.
La popolazione risulta distribuita in modo molto ineguale: il 70% circa di essa vive nella Sierra, il 26% nella regione costiera, e solo il 4% nella Montaña. In questa vi sono amplissime zone completamente disabitate, specialmente nel sud, dove il dipartimento di Madre de Dios su una superficie superiore a quella della Cecoslovacchia ospita forse soltanto 5000 ab., che vivono quasi esclusivamente lungo i fiumi. Nella Sierra la popolazione si addensa sugli altipiani e nelle sezioni più ampie delle valli, e particolarmente intorno alle principali zone minerarie; nella regione costiera, nelle numerose oasi irrigate e nelle città costiere che a quelle servono di sbocco. Dei 24 dipartimenti in cui si divide lo stato, 13 hanno una densità superiore alla media dell'intero paese, con un massimo di 15 ab. per kmq. nel dipartimento di Libertad (si prescinde dal dipartimento di Callao che comprende soltanto un piccolo territorio intorno alla città omonima). Il fattore che maggiormente ha influito sul vario addensarsi della popolazione è il clima. Va notato, peraltro, che lo sfruttamento minerario ha spinto la popolazione a stabilirsi anche in zone molte elevate a clima assai rigido, che altrimenti sarebbero rimaste certamente disabitate.
La massima parte della popolazione del Perù vive in dimore sparse o in piccoli centri rurali e solo l'11% di essa abita in centri con più di 5000 abitanti. Questi sono una trentina (popolazione stimata al 1927), e ne comprendono uno con più di 100.000 ab., due con più di 50.000 e 7 con più di 20.000. Delle 10 maggiori città 4 sono nella Sierra, tutte a grande altezza (Arequipa, 58.000 ab., a 2300 m.; Cuzco, 38.000 ab., a 3360 m.; Ayacucho, 25.000 ab., a 2716 m.; Huancayo, 20.000 ab., a 3340 m.), una soltanto nella Montaña (Iquitos, 25.000 ab.) e le rimanenti nella regione costiera (Lima, la capitale, con 273.000 ab. nel 1931, e 374.000 con i sobborghi; Callao, 67.000; Chiclayo, 30.000; Trujillo, 25.000; Chincha, 20.000).
Lingua ufficiale del Perù è lo spagnolo, ma in tutto il paese è diffusissimo il quechúa, e nella estrema parte meridionale l'aymará.
Il territorio dello stato è diviso amministrativamente in 24 dipartimenti, dei quali si dà la superficie, la popolazione e il capoluogo nella tabella (p. 879).
Condizioni economiche. - Agricoltura. - Durante il periodo coloniale, per tre secoli, il Perù ha esportato esclusivamente minerali, oro e argento, che in gran copia si estraevano dai numerosi centri minerarî della Sierra (Hualgayoc, Cerro de Pasco, Yauli, Huancavelica, Castro Virreyna, Caylloma, ecc.): esportazione diretta verso la Spagna (via Panamá), che se ne arricchì, mentre il Perù ne trasse ben scarsi vantaggi. Nel sec. XIX profondi mutamenti si verificarono nell'economia del paese, sia perché i maggiori e più accessibili giacimenti minerarî cominciarono a esaurirsi, sia perché assunsero importanza sempre maggiore la produzione del guano, specialmente tra il 1840 e il 1875 (in questo periodo l'esportazione del guano fu la base dell'economia peruviana), e quella del nitrato di sodio. La guerra contro il Chile del 1879-1883 fece perdere al Perù le provincie nitratiere e provocò una terribile crisi finanziaria, che per lunghi anni paralizzò la vita della repubblica, la quale si riprese molto lentamente. Essendosi scoperti ricchi giacimenti di rame e di petrolio, questi sostituirono, nel commercio di esportazione, i metalli preziosi; negli ultimi decennî, poi, vennero rapidamente sviluppandosi alcune colture agricole (canna da zucchero e cotone).
Secondo un'indagine agraria compiuta nel 1929 sarebbero posti a coltura 1.460.000 ettari (poco più dell'1% della superficie totale), dei quali 1/3 nella zona costiera e 2/3 nella Sierra. Il cotone, indigeno del Perù (la specie Gossypium peruvianum), è coltivato nelle oasi irrigate della zona costiera, ma trova buone condizioni di vita anche in vaste zone della Montaña, dove la sua coltura potrebbe svilupparsi se non vi mancassero mano d'opera e mezzi rapidi e facili di trasporto. La produzione cominciò ad essere notevole al principio del secolo XX, e andò crescendo rapidamente da un anno all'altro; essa fu di 72.500 q. nel 1899-1900, di 261.000 q. in media nel periodo 1909-10/1913-14, di 534.000 q. nel 1926-27, di 490.000 nel 1929-30, di 507.000 nel 1930-31, di 526.000 nel 1932-33. La coltura del cotone si estende su 126.880 ettari complessivamente (di cui il 46% nel dipartimento di Lima e il 29% in quello d'Ica) e occupa circa 40.000 lavoratori; la maggiore produzione è data dalle oasi del Río de Chincha, d'Ica, di Piura, di Huaura, di Chancay e di Cañete. Le varietà coltivate sono parecchie, ma prevale quella detta Tangüis, che ha fibre bianchissime e lunghe e dà un prodotto che è dal 25 al 30% maggiore di quello delle altre varietà e costituisce circa il 75% del prodotto peruviano; seguono le varietà Egypto, Mitafifi (con fibre lunghe e setose color crema), Áspero (con fibre ruvide, molto adatte ad essere mescolate nei tessuti con la lana), Semi-áspero, ecc. La varietà Tangiüs acquista sempre più terreno a scapito delle altre. Approssimativamente il 90% della produzione peruviana di cotone viene esportato.
La canna da zucchero, coltivata su 78.000 ettari (75% nei dipartimenti di Lambayeque, Libertad e Lima), diede 4.220.000 q. nel 1929-30 e 3.878.000 nel 1930-31 (dei quali 3.300.000 esportati), in confronto con i 684.000 q. prodotti nel 1895-96 e con i 2.230.000 quintali del 1913-14. Anche la canna è coltivata nelle irrigate oasi costiere, dove è favorita dal suolo sabbioso friabile, arricchito annualmente col guano, dalle alte temperature durante tutto l'anno, dall'abbondante insolazione. La produzione media per ettato va dai 400 ai 600 q., mentre è di soli 200 q. a Cuba e di 400 alle Hawaii; ma in quelle isole il raccolto è annuale, mentre nel Perù la canna giunge a maturazione soltanto dopo 18.20 mesi. Le oasi che dànno il maggiore prodotto sono quelle del Chicama, a nord di Trujillo, e del Lambayeque. Nelle oasi costiere, soprattutto in quelle di Pacasmayo, di Chiclayo e del Lambayeque, si coltiva anche abbondantemente il riso (54.000 ettari, il 47% dei quali nel dipartimento di Lambayeque e il 23% in quello di Libertad), la cui produzione (1.362.000 quintali nel 1931-32) è peraltro insufficiente al fabbisogno del paese. Dà invece un piccolo contingente all'esportazione il caffe, coltivato anche nella regione costiera, ma soprattutto nelle valli orientali della Sierra (del Perené, del Chanchamayo, del Paucartambo), dove si ottiene buon frutto anche dal cacao (nella regione del Perené sono stati piantati 200.000 alberi di cacao). Sugli altipiani le colture prevalenti sono quelle del grano (142.150 ha., di cui il 20% nel dipartimento di Ancash, il 20% in quello di Cajamarca e il 15% in quello di Cuzco; prodotto di circa 1 milione di quintali all'anno), del mais (che è il principale alimento della popolazione; 280.400 ettari, dei quali il 25% nel dipartimento di Cajamarca e il 20% nel dipartimento di Ayacucho), delle patate (285.270 ettari: il 51% nel dip. di Puno) e dell'orzo (124.800 ha.), coltivati specialmente nelle zone sopra i 3000 m. Gli Amerindî coltivano la coca (dipartimenti di Cuzco, Ayacucho, Huánuco, ecc.) sui pendii orientali della Sierra, opportunamente terrazzati; il raccolto delle foglie, che vengono poi in gran parte esportate in Europa per l'estrazione della cocaina, si fa quattro volte l'anno. Fabbriche di cocaina si trovano pure nel paese, ed esportano annualmente sui 1500 kg. di questo alcaloide, quasi esclusivamente nel Giappone. Altre colture da ricordare sono quelle delle piante da frutto (52.000 ettari; peri nella valle dell'Urubamba, palme da datteri tra Pisco e Ica, aranci a Palpa, peschi, meli, prugni, ecc., nella Sierra), dell'olivo (dintorni di Moquegua), del tabacco (monopolio di stato), della vite (a sud di Lima e presso il confine col Chile).
La Montaña è ricca di legni pregiati, come il cedro, il mogano e il palissandro, ma lo sfuttamento non ha importanza perché ostacolato dalla mancanza di vie di comunicazione con la costa; il poco legname che si esporta scende a Iquitos, dove sono segherie, e segue poi la via dell'Amazzoni. La produzione del caucciù, un tempo assai importante (tra il 1909 e il 1919 se ne produssero in media 27.000 quintali annui), è ora insignificante per la concorrenza delle piantagioni dell'Asia meridionale; si raccoglie ancora nelle valli dell'Ucayali, dell'Huallaga, del Marañón, del Napo, dello Javary e del Putumayo. Iquitos è il centro del commercio relativo.
Altri prodotti della Montaña sono la tagua (o avorio vegetale), costituita dai duri semi di una palma (Phytelephas), la balata, sostanza simile alla guttaperca, estratta da una sapotacea, il balsamo copaive, estratto dalla Copaifera, la salsapariglia, la cassia, l'ipecacuana e altri estratti medicinali.
Allevamento del bestiame. Pesca. - Il patrimonio zootecnico del Perù è così costituito: bovini, 1,8 milioni; ovini, 11,2 milioni; capre, 638.000; cavalli, 432.000; asini, 265.000; muli, 130.000; suini, 668.000; lama, 599.000; alpaca, 608.000. I bovini, allevati per lo più ȧllo stato brado, sono numerosi nella Sierra (è al primo posto il dipartimento di Puno, che ne possiede il 14,4%, seguito dal dipartimento di Caiamarca col 13,4%); nella Montaña non reggono al clima, e qui si vanno introducendo i bufali. Benché il numero dei bovini tenda ad aumentare, la produzione di carne e di latte non è ancora suffinciente a soddisfare la richiesta del paese. L'allevamento degli ovini ha trovato ottime condizioni di sviluppo sugli altipiani (il dipartimento di Puno ne possiede il 56%); in quelli più settentrionali, dove predomina la jalca, prevale l'allevamento delle capre. Sugli altipiani è inoltre largamente diffuso l'allevamento dei lama, utilizzati come animali da soma, e degli alpaca, che dànno una lana finissima a fibre lunghe. La produzione delle lane è ragguardevole: fu di 27.000 q. nel 1896 e raggiunse un massimo, nel 1917, di 68.000 q.; negli ultimi anni si è aggirata sui 40.000 q. (42.000 nel 1931), dati per il 60% dall'alpaca e in gran parte esportati.
I cavalli sono frequenti sulla costa; nella regione montuosa prevalgono, per ovvie ragioni, i muli. I suini, per lo più di razza scadente, sono in rapido aumento.
Le acque peruviane abbondano straordinariamente di pesce, perché la fredda corrente di Humboldt è ricca di plancton: ma la pesca è esercitata con mezzi e sistemi primitivi e ha scarsa importanza. Callao e Mollendo sono i principali centri pescherecci (nel primo c'è un nucleo di pescatori siciliani). A 300-400 km. dalla costa si caccia la balena; Pisco è provvista d'impianti moderni per l'estrazione dell'olio.
Ricchezze minerarie. Come si è già detto, il petrolio e il rame hanno sostituito, nel commercio d'esportazione, i metalli preziosi e il guano. Il primo pozzo di petrolio fu forato presso Negritos, nel Perù settentrionale, immediatamente a sud della frontiera con l'Ecuador verso la fine del secolo XIX: e lì si estendono le zone petrolifere dalle quali proviene tutta la produzione peruviana: la zona di Negritos, che dà l'80% del totale e che appartiene alla International Petroleum Co., la quale possiede una grande raffineria a Talara; la zona di Lobitos; la zona di Zorritos. La produzione è salita rapidamente negli ultimi decennî: 36.500 tonnellate nel 1900, 167.300 nel 1910, 374.500 nel 1920, 1. 101.500 nel 1924 (1° anno in cui si sorpassò il milione di tonnellate), 1.656.000 nel 1930, 1.850.000 nel 1933. Assai varia è la qualità del petrolio prodotto: la maggior parte di esso dà dal 20 al 35% di gasolina, dal 16 al 36% di kerosene, dal 20 al 30% di nafta, una piccola percentuale di olî lubrificanti e una percentuale notevole di petrolio da ardere. Questo e il petrolio greggio sono molto usati nel paese dalle locomotive e dalle navi, e dànno il 70% del valore dell'esportazione totale dei prodotti petroliferi.
Tracce di petrolio si sono rinvenute nel dipartimento di Junín, sui fianchi orientali della Sierra e nella Montaña: quindi lo sviluppo che in futuro potrà prendere l'industria petrolifera nel Perù non dipende unicamente dai giacimenti costieri. Si deve considerare, peraltro, che i probabili giacimenti della Montaña si trovano in una regione non soltanto estremamente isolata, che un baluardo montuoso come le Ande separa dal Pacifico e che dista migliaia di km. dall'Atlantico, ma anche insalubre, disabitata, coperta da formidabili foreste. A ogni modo la richiesta di petrolio ognora crescente sul mercato mondiale potrà rendere possibile in avvenire lo sfruttamento anche di questi giacimenti.
Pure il rame è entrato in modo notevole nel commercio peruviano soltanto nel primo trentennio del secolo XX. Le miniere di Cerro de Pasco, Morococha e Casapalca, nel Perù centrale, dànno più del 90% del prodotto totale, che fu di 48.300 tonn. nel 1930 e di 22.900 nel 1932; esse sono sfruttate dalla nord-americana Cerro de Pasco Copper Corporation, e si trovano tutte a grande altezza (sui 4300 metri quelle di Cerro de Pasco, sui 4400 quelle di Morococha), ciò che rende particolarmente faticoso il lavoro, compiuto da Amerindî sotto la direzione di ingegneri e geologi stranieri. I giacimenti sono collegati da tronchi ferroviarî con la linea Callao-Lima-Oroya-Huancayo.
La produzione dell'argento ha avuto una ripresa con l'intensificarsi dello sfruttamento a Cerro de Pasco e a Salpo, e ora il Perù si trova al 4° posto nella produzione mondiale, dopo il Messico, gli Stati Uniti e il Canada: nel 1930 se ne produssero 482.000 kg., e, nel 1932, 209.000. Oro si trova in molte parti del paese, e le principali miniere di rame e di piombo ne dànno quantità ragguardevoli; lo sfruttamento avviene anche in alcune valli della regione amazzonica. La produzione fu di 2766 kg. nel 1930 e di 1729 kg. nel 1932. Il piombo si escava presso Casapalca, Pataz e Atocha (19.770 tonnellate nel 1930, 1200 nel 1932). A occidente di Cerro de Pasco, a Minasragra, c'è la miniera di vanadio più importante del mondo; il Perù fornisce in media l'80% del prodotto mondiale di questo minerale (447.264 chilogr. nel 1930). Una compagnia inglese lavora grandi giacimenti di borace che si trovano a Laguna de Salinas presso Arequipa (meno di 300 tonn. l'anno; ma nel 1927, 11.850 tonn.). Di ferro esistono vasti giacimenti non ancora sfruttati: quello di Marcona, tra il Río de Ica e Puerto Lomas, a una quindicina di km. dalla costa, sembra contenere 500 milioni di tonn. di minerale, che potrebbe dare dal 60 al 65% di ferro. Il carbone non scarseggia (180.000 tonn. annue), ma la maggior parte dei giacimenti è inaccessibile. Altri minerali sono lo zinco, il bismuto, l'antimonio, il mercurio. Il guano che si raccoglie sulle coste peruviane è il più apprezzato sul mercato, perché il clima arido lo preserva da perdite dell'azoto ammoniacale e dell'acido fosforico, che sono i suoi principî attivi. I giacimenti (celebri quelli delle Isole Chincha) si cominciarono a sfruttare nel 1835, ma in alcuni decennî giunsero quasi all'esaurimento. Dal 1909 furono sottoposti al monopolio dello stato; la produzione attuale si aggira sulle 80.000 tonn. annue.
Industrie. - Le industrie hanno poca importanza, se si eccettuano quelle connesse con lo sfruttamento minerario (le fonderie di rame occupano il maggior numero di persone) o con l'agricoltura. Tra queste sono da ricordare i numerosi zuccherifici e i molini di canna della regione costiera, i molini per cereali (i maggiori sono a Callao e a Lima) e le pilature di riso (Chiclayo, Lambayeque, Pacasmayo, ecc.). Recentemente si è sviluppata in modo particolare l'industria tessile, che dispone di 86.000 fusi e 4000 telai. I maggiori lanifici si trovano a Lima e a Cuzco, i più grandi cotonifici a Lima.
Si calcola che vengano prodotti annualmente 40 milioni di metri di stoffe di cotone. Molte (ma solo una dozzina grandi) sono le concerie, che forniscono all'esportazione un numero assai ragguardevole di pelli. Caratteristica di Catacaos (dipartimento di Piura) e di Eten (Lambayeque) è l'industria dei cappelli panama, che importa la materia prima (le fibre delle foglie della Carludovica palmata) dall'Ecuador.
Comunicazioni. - Le condizioni orografiche ostacolano grandemente lo sviluppo delle vie di comunicazione, e questo ha naturalmente influito in senso negativo sullo sviluppo economico e quindi demografico e politico del paese, e ha fatto sì che le tre parti che lo costituiscono siano rimaste sempre un po' estranee l'una all'altra nei loro rapporti. Le strade ordinarie per lo più sono semplici piste, e in molte regioni il traffico si fa ancora a dorso di mulo o di lama. Strade costruite con sistemi moderni si trovano soltanto nella regione costiera e in parte degli altipiani; le principali sono quelle che uniscono Lima a Callao, Lima a Lomas per Cañete, Pisco a Ica, Lima a Chiclayo, Lima a Chosica, Cuzco a La Raya, Oroya a La Merced, Ayacuho a La Mejorada. Nel 1932 le strade ordinarie avevano uno sviluppo di 19.200 km., 1800 dei quali macadamizzati. I trasporti meccanici, come ben s'intende, sono poco diffusi: al principio del 1933 circolavano soltanto 9025 veicoli a motore, dei quali 5450 vetture da turismo, 3175 autocarri, e il rimanente autobus e motociclette. Anche le ferrovie hanno scarso sviluppo e non costituiscono una rete, ma sono tronchi che collegano le oasi costiere con i porti più vicini o le zone minerarie e gli altipiani più popolati con la costa, e hanno anche scartamenti diversi. Le maggiori costruzioni ferroviarie furono eseguite nel periodo immediatamente precedente la guerra col Chile, e i capitali per esse occorrenti erano forniti dal ricavato dell'esportazione del guano. Attualmente sono destinate alle costruzioni ferroviarie le rendite del monopolio dei tabacchi, ma le necessità urgenti e il programma sono troppo vasti per potervi attendere con queste sole entrate, pei quanto rilevanti. Nel 1895 si avevano in esercizio 1300 km. di ferrovie, saliti a 1950 nel 1908, a 3067 nel 1919 e a 4522 chilometri nel 1932. Le linee principali sono esercite dalla Peruvian Corporation Ltd., e cioè: il Ferrocarril Central (Callao-Lima-Oroya-Huancayo: chilometri 399), che è la linea più importante del paese e la più alta del mondo (arriva a 4774 m.), e dalla quale si staccano tronchi per Morococha e per Barranca; il Ferrocarril del Sur (Mollendo-Arequipa-Juliaca-Cuzco, con una diramazione Juliaca-Puno: in totale 915 km.; sale a 4580 m.); la ferrovia di Trujillo (Salaverry-Trujillo-Ascope, con diramazioni per Cartavio, Menocucho, ecc.: 174 km.); la ferrovia di Chimbote (Chimbote-Carás-Huarás-Recuay: 266 km.; in parte esercita dallo stato); la ferrovia di Pacasmayo (Pacasmayo-Guadalupe, 42 km., e Pacasmayo-Chilete, I05 km.); la ferrovia Pisco-Ica (73 km.) e la Paita-Piura (96 km.). Sono amministrate dallo stato la Lima-Huacho (212 km.), l'Ilo-Moquegua (102 km.), la Cuzco-Santa Ana (170 km.), la HuancayoCastrovirreyna-Ayacucho (245 km.; è aperta al traffico ancora solo fino a Castrovirreina) e altre minori. Vi sono poi varie ferrovie private, appartenenti per lo più a compagnie minerarie; la maggiore è la Oroya-Cerro de Pasco (191 km.). Sono pure di proprietà privata le linee a trazione elettrica che uniscono Lima ai centri vicini.
Parecchie sono le ferrovie attualmente in costruzione: tra esse è da ricordare la Cerro de Pasco-Pucalpa (480 km.), che riunirà gli altipiani con l'Ucayali e che nel 1934 era costruita per una settantina di chilometri.
Le ferrovie peruviane sono tra le più ardite del mondo; la loro costruzione ha richiesto una spesa enorme e il costo del traffico è assai elevato: alto, quindi, è il prezzo dei trasporti, e questo impedisce un movimento considerevole.
La navigazione interna ha scarsa importanza, perché i corsi d'acqua navigabili si trovano soltanto nella regione orientale, la quale è spopolata ed economicamente arretratissima.
La rete fluviale navigabile da vapori è calcolata di 1500 km., dati dal Marañón-Amazzoni (dal Pongo de Manseriche in poi), dall'Ucayali (a valle di Pacaya) e dallo Huallaga (a valle di Yurimaguas). L'unico porto fluviale che ha un discreto traffico è Iquitos sull'Amazzoni, che servizî regolari di navigazione collegano con Manáos e Belém (Brasile). Iquitos, durante il periodo in cui fiorì la raccolta del caucciù, fu a uno dei primissimi posti tra i porti peruviani. Si calcola che altri 1100 km. di corsi d'acqua siano navigabili da motoscafi e dalle zattere indigene (balsas). Il Titicaca, come s'è accennato, ha servizî regolari di navigazione a vapore. La navigazione marittima, per mezzo della quale si fa quasi tutto il commercio estero del Perù, dispone di numerosi porti, solo alcuni dei quali, peraltro, sufficientemente attrezzati e con traffico notevole. Seguendo la costa da nord a Sud ricorderemo quelli di Talara (esportazione di petrolio), Paita (cotone), Pimentel ed Eten (zucchero, riso, cotone), Pacasmayo (riso, pelli, argento, rame), Salaverry (zucchero), Chimbote (rame, cotone), Callao (2/3 delle importazioni peruviane, 1/4 delle esportazioni: rame, argento, zucchero, cotone, lana), Cerro Azul (cotone), Pisco (cotone, zucchero, frutta), Mollendo (rame, argento, borace), Ilo (cotone). Nel 1931 fecero scalo nei porti peruviani 1800 navi con una stazza complessiva di 5,8 milioni di tonn. Il servizio di cabotaggio è riservato alla piccola marina mercantile peruviana.
La marina mercantile peruviana è costituita (Lloyd's Register, 1933-1934) da 19 piroscafi per tonn. lorde 38.743; 5 motonavi per tonn. 3875; 14 velieri per tonn. 17.825. In tutto: 38 navi (di stazza lorda unitaria superiore a 100 tonn.) per tonn. 59.943; la marina non è sufficiente a espletare neppure i servizî di cabotaggio del paese, per tante zone impervie del quale il mare costituisce l'unico mezzo di comunicazione. Tale deficienza, appunto, impedì per molto tempo l'adozione della riserva di cabotaggio, che fu, peraltro, attuata con legge del 15 novembre 1929. Essa non solo riserva il traffico costiero delle merci (fra queste furono espressamente inclusi i petrolî derivati, in cassette di latta o in fusti, con decreto 7 luglio 1930) alla bandiera nazionale, ma concede a questa varie altre facilitazioni. L'art. 12 della legge prevedeva, però, il ricorso alla bandiera estera nel caso che la deficienza di navi nazionali pregiudicasse l'espletamento dei servizî costieri; fu giocoforza, quindi, concedere (1929) alla chilena Compañía Sud-Americana de vapores le stesse facilitazioni di cabotaggio delle navi peruviane, dietro un versamento annuale, da parte della compagnia, d'una somma equivalente a 480 mila dollari degli Stati Uniti. Anche alla International Petroleum Co. fu concesso il privilegio di trasportare in cabotaggio petrolio e derivati, dietro compenso annuale di 50 mila soles.
Per parecchio tempo il governo escogitò misure allo scopo di promuovere la costituzione d'una compagnia di navigazione nazionale; nel 1906 venne creata la Compañia Peruviana de vapores y dique del Callao, unica compagnia peruviana, con sovvenzione annua più volte rimaneggiata; i 2/3 del capitale azionario finirono con l'appartenere allo stato. La compagnia prosperò durante il conflitto mondiale, poi decadde; un decreto del 1930 la dichiarò in liquidazione; un altro decreto (1931) la riorganizzò; l'erario le trasmise le azioni da esso possedute perché, con la vendita, pagasse i debiti; concesse altresì, come sovvenzione, le somme annuali versate dalla Compañía Sud-Americana e dalla International Petroleum Co.; stanziò in bilancio la somma necessaria per il pagamento di 38.953 dollari dovuti alla Banca d'Italia, ecc.
Sviluppo relativamente considerevole ha raggiunto la navigazione aerea. L'aviazione civile del Perù dipende dal Ministero della marina e dell'aviazione (Inspección general de aeronáutica); lo stato si è interessato allo sviluppo dell'aviazione come mezzo di trasporto rapido, specialmente in quelle zone dove la natura non permette altri mezzi di trasporto di superficie. La linea aerea che va da San Ramón a Iquitos funziona dal 1928 e ha in dotazione 5 apparecchi.
Le principali società di navigazione aerea sono: Compañia de aviación Faucett S. A.: impiega apparecchi Stinson Detroiter, monoplani a cabina a 5-7 posti, motori Wright Whirlwind e P. & W. Wasp per voli a grandi altezze; posta e passeggeri vengono trasportati tra Lima e Puerto Pizarro con servizî bisettimanali, e tra Lima e Arequipa e Tacna con servizî settimanali; Pan-American Grace Airways, Inc.: gestisce il servizio di posta e passeggeri tra il Perù e gli Stati Uniti e il Perù e l'Uruguay; gli apparecchi impiegati sono: Fairchild, trimotori Ford e Lockhead Vega; Società Peruviana per la coltivazione del cotone: eseguisce più razionalmente lo spargimento del concime per la coltura del cotone; gli apparecchi impiegati hanno motore Whirlwind da 220 cav. e trasportano 600 libbre di arseniato di calcio; l'opera richiede abilità di volo, data la bassissima quota richiesta per porre la polvere accuratamente sui campi; Compagnie Air-France: il governo peruviano ha concesso a questa società francese tutte le facilitazioni per il transito della posta aerea internazionale; la posta giunge a Tacna da Rio de Janeiro ogni venerdì e parte per l'Europa il venerdì mattina; Aerolinee nazionali del Perù: partono dalla base aerea militare di Las Palmas, per servizî commerciali e d'addestramento; impiegano apparecchi Stearman, Travelair e Boeing. Il servizio aereo comprende la linea Lima-Talara (nord) e Lima-Tacna, via Arequipa (sud).
Le poste e i telegrafi sono amministrati dalla Marconi's Wireless Telegraph Company Ltd. Nel 1931 gli uffici postali erano 1104, quelli telegrafici 383, i posti telefonici 13.245, le stazioni marconigrafiche 29. I telegrafi avevano uno sviluppo di linee di 18.900 km:; i telefoni di 71.900 km.
Tre cavi sottomarini collegano il Perù col Chile, due cavi con l'Ecuador e la Colombia.
Commercio. - Il commercio interno è ostacolato dalla difficoltà dei trasporti tra una regione e l'altra. Le oasi costiere inviano nella Sierra prodotti tropicali e ne ricevono prodotti delle zone temperate: così, ad es., i dipartimenti di Huancavelica, Ayacucho, Ancash e Cajamarca riforniscono di cereali Lima e gli altri centri della costa; ma la concorrenza fatta dalle farine straniere è assai forte e tende a far diminuire questo traffico interno. Nel commercio con l'estero la bilancia è largamente favorevole al Perù (il valore delle esportazioni supera di molto quello delle importazioni), come si può vedere nella tabella che segue, che dà il valore delle esportazioni e delle importazioni in milioni di soles (il sol, unità monetaria peruviana, vale un decimo della lira sterlina):
Negli ultimi anni dal 75 all'85% del valore delle esportazioni è stato dato da questi quattro prodotti: petrolio, rame, cotone e zucchero (vedi tabella). Seguono, ancora con valori cospicui, le lane e l'argento.
La grande massa della popolazione peruviana, costituita in assoluta prevalenza, come si è visto, da Meticci e Amerindî, ha un tenore di vita indubbiamente assai basso.
L'Amerindio rappresenta un fattore negativo nella produzione commerciale, quando non lavora nelle haciendas della costa o nelle miniere della Sierra; il poco denaro ch'egli guadagna lo spende per acquistare quasi soltanto la coca e i liquori. Questo spiega il fatto che mentre la popolazione del Perù è poco più della metà della popolazione dell'Argentina, il valore delle importazioni non è nemmeno 1/5 di quello delle importazioni argentine.
Le importazioni peruviane sono date soprattutto da prodotti manifatturati: le macchine e in genere i prodotti della metallurgia sono al primo posto, poiché i notevoli giacimenti di ferro e di carbone posseduti dal paese sono situati in zone poco accessibili della Sierra, e quindi l'industria metallurgica può dirsi inesistente. Le macchine importate in maggior numero (prevalentemente dagli Stati Uniti) riguardano l'industria mineraria; seguono quelle per le fonderie, macchine perforatrici, macchine per le industrie tessili, per l'industria dello zucchero, locomotive, pompe, macchine agricole, automobili, macchinari elettrici, ecc.
Ragguardevole è poi l'importazione di generi alimentari, specialmente grano e farine: il primo proviene per 2/3 dall'Argentina, e per il resto dal Chile e dal Canada; le farine sono acquistate negli Stati Uniti. S'importano anche lardo (dagli Stati Uniti), riso (dall'Asia orientale), frutta, carni conservate, burro, pesce, latte condensato. Benché il cotone e la lana siano tra i principali prodotti del Perù e l'industria tessile una delle sue attività più sviluppate, forte è ancora l'importazione dei cotonati e delle lanerie (dalla Gran Bretagna, dalla Germania e dall'Italia). È ancora da ricordare l'importazione del legname (quasi esclusivamente dagli Stati Uniti del Pacifico: le grandi foreste peruviane non possono ancora essere sfruttate con vantaggio), dei prodotti chimici (prevalentemente dagli Stati Uniti) e del carbone (dalla Gran Bretagna).
Gli Stati Uniti hanno una posizione dominante nei commerci del Perù, raggiunta dopo lo scoppio della guerra mondiale e l'apertura del Canale di Panamá. Nel 1931 essi ebbero il 40% del valore delle importazioni (22% nel periodo 1910-12 e 44% nel 1921-23) e il 36% di quello delle esportazioni (32% nel 1910-12 e 38% nel 1921-23). Li seguono la Gran Bretagna, che un tempo era al primo posto tanto per le importazioni (31% nel 1910-12, 17% nel 1921-23, 14% nel 1931) quanto per le esportazioni (rispettimmente: 34, 34, 22%), la Germania, il Chile, la Francia, l'Argentina, il Canada, l'Italia.
L'Italia esporta nel Perù cotonami e lanerie, paste e conserve alimentari, olio, vino, macchinarî elettrici (per un valore di 4,7 milioni di soles nel 1930 e di 3 milioni nel 1931).
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Scritti di carattere generale: J. J. von Tschudi, Peru. Reiseskizzen aus den Jahren 1838-42, S. Gallo 1846; A. Raimondi, El Perú, voll. 3, Lima 1874-79 (opera incompiuta); E. W. Middendorf, Peru, voll. 3, Berlino 1893-94; R. Enock, Peru, Londra 1908; W. Sievers, Reise in Peru und Ecuador, in Wiss. Veröff. Ges. f. Erdk. zu Leipzig, Lipsia 1914; O. Bürger, Peru. Ein Führer durch das Land, ecc., ivi 1923; G. Cumin, Perú. Condizioni naturali ed economiche, Roma 1926; H. Schwalm, Klima, Besiedelung u. Landwirtschaft in den peruanischnordbolivianischen Anden, in Ibero-amerik. Archiv, 1927, pagine 17-74, 150-196; P. Denis, Amérique du Sud, in Géographie Universelle, XV, Parigi 1927 (cfr. le pagine 284-318 del vol. II); O. M. Miller, The 1927-28 Peruvian Expedition of the American Geographical Society, in Geogr. Review, 1929, pp. 1-37; C. Troll, Peru, in Handbuch der geogr. Wissenschaft, volumne Südamerika, Potsdam 1930, pagine 350-391; G. R. Johnson, Peru from the air, New York 1930; A. Hyatt Verril, Under Peruvian Skies, Londra 1930; R. Shippee, The "Great Wall of Peru" and Other Aerial Photographic Studies by the Shippee - Johnson Peruvian Expedition, in Geographical Review, 1932, pagine 1-29; id., Lost Valleys of Peru. Results of the Shippee-Johnson Peruvian Expedition, ibid., 1932, pagine 562-81.
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Molti altri scritti di notevole interesse sono contenuti poi nel Boletin de la Sociedad Geográfica de Lima (dal 1891), nel Boletín del Cuerpo de ingenieros de minas y aguas del Perú (Lima, dal 1903), e nel Boletín de la Sociedad Geológica del Perú (Lima, dal 1925).
Ordinamento.
Ordinamento politico e amministrativo. - Il Perù è una repubblica unitaria, indipendente dalla Spagna dal 1821. Il potere esecutivo spetta al presidente, che dura in carica 5 anni; il potere legislativo al Congresso, formato dal Senato (35 membri) e dalla Camera dei deputati (110 membri). Senatori e deputati sono eletti per 5 anni. Il presidente esercita il potere esecutivo per mezzo di un gabinetto di 7 ministri (Interni, Guerra, Marina e Aviazione, Affari esteri, Giustizia e Istruzione, Finanze, Lavori pubblici).
Culti. - La grandissima maggioranza della popolazione è cattolica e la religione cattolica è la religione dello stato. Esistono però anche gruppi aderenti alle varie religioni riformate.
All'epoca della conquista spagnola i missionarî che si dedicarono alla propagazione del Vangelo tra gl'indigeni furono dapprima i domenicani, poi i francescani, gli agostiniani e, dal 1568, i gesuiti. L'Inquisizione vi fu stabilita nel 1570, abolita nel 1813, ristabilita nel 1815, abolita definitivamente nel 1820.
La prima sede vescovile eretta nel territorio del Perù fu quella di Cuzco (1536); seguì quella di Lima (1543), elevata poi a metropolitana (1546). Ora la provincia ecclesiastica di Lima ha nove suffraganei, e cioè: Cuzco, Arequipa (1577), Ayacucho o Huamanga (Huamanga, 1609; nel 1838 trasferita a Ayacucho), Cajamarca (1908), Chachapoyas (1843; già Maynas, 1805), Huánuco (1865), Huarás (1899), Puno (1861), Trujillo (1577). Vi sono inoltre i vicariati apostolici di S. León de Amázonas (1921; prefettura apostolica, 1900), Ucayali (1925; prefettura apostolica, 1900) Urubamba e Madre de Dios (1913; prefettura apostolica, 1900); e la prefettura apostolica di S. Gabriel (1921; residenza a Yurimaguas sullo Huallaga), affidati rispettivamente agli eremitani agostiniani, ai frati minori, ai domenicani, e ai passionisti.
Forze armate. - Esercito. - Il Perù possiede un esercito permanente di leva della forza bilanciata di circa 1100 ufficiali e 8000 sottufficiali e militari di truppa.
Il territorio è suddiviso in 5 regioni militari, ciascuna presidiata da una divisione. Delle 5 divisioni, 4 sono dislocate alle frontiere (equatoriana, boliviana, chilena, brasiliana), 1 nella regione della capitale.
L'esercito comprende: truppe (8 reggimenti, una compagnia montata, di fanteria; 5 reggimenti di cavalleria; 5 reggimenti, 1 batteria contraerei, di artiglieria; 4 battaglioni del genio; squadriglie d'aviazione terrestre); servizî (artiglieria, genio, aeronautica, intendenza e trasporti, sanità, ippico e veterinario, giustizia militare, geografico, regionale, collegamenti); scuole (di alti studî militari, superiore di guerra, del genio, di reclutamento ufficiali, sottufficiali, speciale per collegamenti e armi automatiche, d'aviazione).
Il servizio militare è obbligatorio, dal 21° al 50° anno d'età (3 a 4 anni nell'esercito attivo; 6 a 7 anni nella 1ª riserva; 5 anni nella 2a riserva; i rimanenti anni, nella guardia nazionale).
Durante la permanenza nella 1ª riserva, i militari possono essere chiamati alle armi per un periodo massimo complessivo di 2 mesi.
Oltre i provenienti dall'esercito attivo, appartengono: alla 1ª riserva, dal 19° al 23° anno, gli ammogliati prima della chiamata alle armi; alla 2ª riserva, dal 19° al 35° anno, i direttori titolari di scuole nazionali e municipali, i professori titolari di istituti superiori e medî, i liberi professionisti provvisti di laurea; alla guardia nazionale, dal 19° al 50° anno d'età, i cittadini che esercitano talune professioni, ovvero che si trovano in determinate condizioni di famiglia.
I militari della guardia nazionale sono tenuti soltanto a prestare servizio territoriale, limitatamente al distretto militare a cui appartiene l'unità alla quale sono assegnati.
Marina. - La marina militare peruviana, dopo avere avuto un periodo di relativo splendore nella seconda metà del sec. XIX, è attualmente composta, ad eccezione dei sommergibili, da poche unità piuttosto antiquate, ossia: 2 incrociatori protetti, Almirante Grau e Coronel Bolognesi, varati nel 1905 e rimodernati nel 1925, da 3200 tonn. e 24 nodi, armati con 2/152, 8/76 e due tubi di lancio da 450; 1 cacciatorpediniere, Teniente Rodríguez, da 490 tonn. e 28 nodi, armato con 6/47 e due tubi di lancio da 457; sei sommergibili (da R I a R 6), di cui 4 costruiti nel 1928 negli Stati Uniti, da 576/682 tonn., 14,5-9,5 nodi, armati con 4 tubi di lancio da 533 e 1 pezzo da 76; una nave-appoggio sommergibili, La Lima; tre cannoniere fluviali, America da 240 tonn., Napo e Iquitos da 60 tonn.; più alcune unità minori per uso scuola e trasporto. Gli effettivi della marina peruviana sono di circa 2000 uomini, tra ufficiali e comuni. La base navale principale è Callao; una scuola navale è a La Punta, presso Callao, e una base per sommergibili all'Isola San Lorenzo, di fronte a Callao.
Aviazione. - L'aviazione militare del Perù è stata istituita con decreto presidenziale il 20 maggio 1929. In virtù di tale decreto l'aviazione militare e l'idroaviazione vennero amalgamate in una sola arma e sotto un solo comando. L'ispettore generale dell'aeronautica esercita il controllo sull'aviazione del paese, tanto militare quanto civile.
I reparti militari sono così suddivisi: Centro d'aviazione a Las Palmas: 4ª squadriglia d'addestramento preliminare e 5ª squadriglia d'addestramento avanzato; Base d'aviazione navale ad Ancón: 1ª squadriglia d'addestramento preliminare e 2ª squadriglia d'addestramento avanzato; Forze aeree montane: base a Iquitos, 3ª squadriglia d'addestramento preliminare, 1ª squadriglia da ricognizione; Scuole di pilotaggio: scuola di pilotaggio Jorge Chavez a Las Palmas, scuola di pilotaggio e scuola d'aviazione navale ad Ancón.
Finanze. - Bilancio e debito pubblico (in milioni di soles). Al 30 giugno 1932 il debito pubblico ammontava a 532,0 milioni di soles, di cui 129,6 di debito interno e 402,4 di debito estero, contratto soprattutto con gli Stati Uniti e con la Gran Bretagna. Nel maggio 1931 il Perù ha sospeso il pagamento degl'interessi e dell'ammortamento del debito estero, condizionandone la ripresa a un miglioramento della situazione economica.
Moneta e credito. - Dal 1931 (legge 18 aprile) l'unità monetaria è il sol oro, equivalente a un decimo della lira sterlina e contenente teoricamente (in quanto non ne è prevista la coniazione) 42,1264 centigrammi d'oro fino. Dal 18 maggio 1932 il Perù ha abbandonato la base aurea sospendendo la convertibilità in oro dei biglietti.
Il Banco Central de Reserva del Perú, istituito nel 1922 (Banco de Reserva del Perú), riorganizzato secondo il parere della missione finanziaria Kemmerer nel settembre 1931 e ancora modificato nel luglio 1932, ha il privilegio dell'emissione ed è obbligato a tenere una riserva in oro, argento e carta commerciale apprezzata non inferiore al 50% dell'ammontare dei biglietti in circolazione e dei depositi. Al 9 settembre 1933 i biglietti in circolazione ammontavano a 66,4 milioni di soles, i depositi a 17,2 milioni e la riserva a 52,7 milioni.
IL PERÙ PRECOLOMBIANO
Fonti. - A ricostruire le antichità peruviane sono utilizzabili le seguenti testimonianze dirette e indirette:1. i cronisti spagnoli delle Indie, che scrissero nei secoli XVI e XVII; principalmente i militari Cieza de León (1550), Juan de Betanzos (1551), Sarmiento de Gamboa (1572) e Pedro Pizarro (1571) fratello del "Conquistador"; i geografi; gli ecclesiastici Vicente de Valverde (1541), J. de Acosta (1590), C. de Molina (1584), José de Arriaga (1621), A. de la Calancha (1638-53): Fernando de Montesinos (1644) e il napoletano Aniello Oliva (1631); i giuristi Polo de Ondegardo (1570), J. de Matienzo e J. Solórzano; infine i due scrittori meticci (indo-spagnoli) Blas Valera (1595) e Garcilaso de la Vega (1583-1613); 2. i monumenti archeologici, sia quelli tuttora giacenti nel suolo, sia quelli disotterrati e custoditi nei musei del Perù e del mondo (molti, purtroppo, in raccolte private, più o meno inaccessibili allo studioso); 3. i resti scheletrici, che servono di base all'esame antropologico, e specialmente i cranî, ad indagare la deformazione artificiale; 4. gli elementi etnografici, sia di scavo sia delle popolazioni attuali, che possono condurre, mediante rilievi etnologici, alla ricostruzione delle culture.
Quanto ai cronisti, il loro impiego impone una sottile critica interna ed esterna dei loro scritti, disseminati di errori e contraddizioni. Sono tuttora validi come elemento sussidiario di controllo, mentre fino a poco tempo fa essi costituirono l'unica testimonianza seguita dai peruvianisti, e a ciò si deve attribuire in gran parte l'oscurità che regna sulle questioni fondamentali del Perù antico. I resti archeologici sono abbondanti e dispersi; fra i più conosciuti le ceramiche e i tessuti. Ma è da condannare il criterio con cui si formarono le grandi raccolte, che fu soprattutto artistico, disdegnando e inutilizzando i vasi disadorni esumati negli scavi. Il fattore antropofisico, male adoperato da Morton e von Tschudi, potrebbe fornire qualche aiuto, ove i resti ossei fossero sempre accuratamente documentati quanto alla provenienza locale e razziale. Maggiore lume promette l'esame della deformazione artificiale del cranio, che, dopo von Tschudi e Virchow, viene ripreso dall'Imbelloni con visione corografica e criterio culturale. Ma soprattutto è necessario, se si vuole nel futuro raggiungere una certa chiarezza, applicare il metodo culturologico integralmente, e stabilire correlazioni, contatti e precedenze con l'ausilio dell'intero patrimonio dei beni culturali e non già col solo confronto della decorazione e degli stili artistici, cui finora si è dato un eccessivo valore.
L'impero teocratico degli Inca. - Quando gli Spagnoli conquistarono la regione, vi trovarono stabilita una grande unità politica, il cosiddetto impero degli Inca, denominato nella lingua del paese col nome ufficiale di Tahuantinsuyu, ossia "I quattro cantoni", o provincie. Queste erano: l'occidentale, o Cuntisuyu; la settentrionale, o Chinchaysuyu; la meridionale, o Collasuyu e la orientale o Antisuyu. Perno dei quattro quadranti era "Cuzco", capoluogo che fu insieme il focolare d'origine e il centro organizzatore dello stato Il vassallaggio alla dinastia dominatrice del Cuzco non era uniforme e di egual grado in tutta la vastità dell'impero, essendo questo il prodotto di accessioni territoriali determinate dalla conquista di genti diverse per razza e civiltà, in epoche successive. Lo stato degli Inca comprendeva il territorio che occupano attualmente gli stati moderni dell'Ecuador, Perù, Bolivia, la parte settentrionale del Chile e il nordovest dell'Argentina.
Dei 12 membri della dinastia Inca è stata data altrove una lista criticamente confrontata (v. inca), distinguendo i due periodi della loro storia dinastica, ossia gli Inca di Hurin-Cuzco e gli Inca di Hanan-Cuzco. Il primo gruppo comincia con Sinchi Rocca e comprende 4 sovrani; il secondo con Inca Rocca, quinto sovrano. Si è notato che "Sinchi" è il nome e la dignità dei primi quattro mentre dal quinto in poi prevale l'epiteto "Inca". Ora è accertato che l'organizzazione sociale dei Peruviani, già precedentemente e indipendentemente dal regime incaico, si basava, come si basa tuttora nelle zone dove prevale l'elemento indiano, sull'istituzione chiamata ayllu (di cui si discorrerà più oltre), e tanto Sinchi quanto Inca sono nomi di speciali magistrature di detta comunità prettamente indigena: il Sinchi, capo militare, di durata temporanea, a guisa del dictator; l'Inca, autorità civile, a vita; entrambe di carattere elettivo.
Non è cosa facile ricostruire storicamente quali furono le origini del potere degli Inca. Infatti, a fianco della versione di carattere epico e tradizionale tramandata, pur con alcune varianti, dai cronisti, gli scrittori moderni hanno intessuto una narrazione analitica, certamente meno frondosa e mitica, ma anche spesso artificiosa e cervellotica.
Il primo avvenimento è la fondazione di Cuzco. Secondo il racconto tradizionale esposto da P. Sarmiento de Gamboa, quattro fratelli, capi di tribù o ayares, capitanati dal maggiore, Manco Capac, usciti dalle "grotte dell'aurora" a Paccaritampu (8 km. a sud di Cuzco) con le loro quattro sorelle, discendenti tutti da uno stipite divino, "Figli del Sole", la cui volontà veniva dettata a Manco da un feticcio a forma d'uccello, Inti, partirono in cerca di terre nuove, con l'aiuto d'un bastone d'oro. Durante la peregrinazione perirono di morte violenta i tre fratelli di Manco, e fu questi che, al saggiare col bastone la feconda terra della vallata del torrente Huatanay, stabilì fermarvisi con i dieci ayllu da lui condotti, e fondarvi Hurin-Cuzco. Si designa questa narrazione dai critici col nome di "mito di Paccari-tampu". La ricostruzione moderna vuole invece che gli Inca giungessero solo in tempi posteriori a formare una stirpe. Un certo numero di ayllu, convenuti nella vallata, avrebbero fornito allo stato incipiente, successivamente, i loro Sinchi; poi uno di essi avrebbe assunto la dignità di Inca, anch'essa non sempre ereditaria, che dopo il colpo di stato dell'Inca Rocca e le riforme di Pachacutec, si saebbe trasformata in monarchia assoluta e teocratica.
A ogni modo, gl'inizî dello stato furono modestissimi. I Sinchi dovettero estendere il loro dominio non molto oltre i limiti della contrada originaria, e consolidare il loro potere sulle tribù limitrofe, malgrado le scorrerie a mano armata che si attribuiscono ai successori di Sinchi Rocca: LloqueYupanqui, Mayta Capac e Capac Yupanqui, rispettivamente fino a Vilcanota, su tutto il Collao (bacino del Lago Titicaca) e sulla costa del Pacifico, a Nasca. La consolidazione dell'egemonia su tutto questo territorio fu ottenuta solamente durante il secondo periodo dinastico, che fa capo a un sovrano di grande energia, l'Inca Rocca, celebre altresì per l'attività edilizia e civile (fornitura di acqua alla capitale, fondazione di scuole, sistemazione di nuovi rioni, ingrandimento del Cori Cancha, o tempio d'oro). Detta consolidazione seguì a un periodo eccezionalmente critico per la monarchia, causato dall'invasione degli eserciti della nazione Chanca, limitrofa, che approfittò dell'ignavia del successore di Rocca, Yahuar Huaccac. Fu il figlio di questo, Viracocha, che riuscì a salvare la dinastia e lo stato nella pianura di Anta, e fu proclamato Inca sul campo di battaglia.
Con l'avvento al potere del nono sovrano, detto Pachacutec, ossia il Riformatore, non solo si rende meno inesatta e lacunosa la ricostruzione degli eventi (periodo degli Inca semistorici), ma si apre anche il periodo dell'azione veramente continentale dello stato incaico, che ebbe ad affrontare non più unità umane mediocremente amalgamate, ma organizzazioni statali poderose, come il regno Chincha, Pachacamac e altri minori, tutti fiorenti sulla costa del Pacifico, nonché il regno del Gran Chimú, che da Barrancas giungeva fino a Tumbes. Yupanqui, suo successore, s'inoltrò ancora più al nord, conquistando l'Ecuador, e sotto lui e il sovrano seguente, Huayna Capac, furono portate le frontiere al limite massimo, anche verso il sud, assicurando il vassallaggio del Tucumán argentino e del Chile settentrionale.
Considerando la carta etnica dell'impero, è facile dedurre che i popoli dell'area andina semicivilizzati penetrarono senza grandi difficoltà nella compagine dello stato incaico, mentre le tribù più rozze del sud e dell'est opposero una resistenza irriducibile alle armi peruviane; così i Chiriguano della pianura forestale, a oriente, e i fieri Araucani del Chile. Si può parlare, dunque, d'un certo determinismo culturale che traccia a priori la cerchia dell'unità imperiale andina.
Tuttavia, pur accertati tali dati nei riguardi dell'accrescimento politico della potenza degli Inca, rimane insoluto il quesito più sostanziale, se, e in che grado, la cultura che essi rappresentano formava parte del patrimonio dei popoli che assoggettarono: tanto la cultura materiale, industriale e artistica, quanto quella economica e spirituale, specie nei rapporti con l'organizzazione della società e della religione. Il problema del periodo incaico può dunque formularsi con questo dilemma: rappresentano gli Inca l'organizzazione, per naturale sviluppo, di elementi culturali già esistenti nella popolazione del Perù preincaico (Costa, Sierra o Montaña), o sono invece gli agenti della forzata acclimazione di beni originali, provenienti da altre zone limitrofe o lontane?
La tradizione ci presenta la famiglia dinastica e il gruppo o stipite legato all'Inca, gli Orejones o "Grandi orecchi" (chiamati in tal modo per l'orecchia allungata e perforata ad arte, che ne fu il distintivo), come una minoranza di natura aristocratica, di natali divini, che opera, comanda e impone la sua volontà con un criterio di paternalismo e provvidenzialismo che escluderebbe totalmente la prima ipotesi. In fatto di religione, per esempio, è evidente che gli Inca compiono una trasformazione profonda e non esente da resistenze, che porta una massa di gruppi fervorosamente legati alla credenza animistica nella huaca propria di ciascun ayllu, allo stato uniforme di popolo eliolatrico. Ma è anche vero che la tradizione, così come ci viene tramandata, risente gli effetti d'una compilazione e d'un rimaneggiamento tardivo, che racconta a posteriori e rimanda a origini mitiche, ossia al primo periodo incaico, istituzioni, credenze e avvenimenti dell'ultimo periodo dello stato e della casta, quando cioè l'Inca e gli Orejones già avevano plasmato definitivamente la realtà politica e sociale dello stato. Tutti i cronisti spagnoli e gran parte dei peruvianisti moderni hanno preso le mosse dalla visione resa ufficiale nei tempi di Pachacutec, il quale non solamente fu autore di grandi conquiste e riforme, ma anche della totale διασκευασία della storia del Perù antico, sì che è anche oggi difficilissimo sottrarsi nella giusta misura all'inganno di prospettiva che ne è l'effetto.
Senza alcun dubbio le forme di vita civile nel Perù antico non datano dall'Inca, e occorre perciò sceverare e organizzare i dati che le varie indagini permettono di riunire intorno all'oscuro periodo preincaico. Seguendo in questa rapida ricostruzione la direzione inversa all'ordine cronologico, descriveremo in primo luogo la cultura che fu trovata dagli Spagnoli, per poi rivolgerci alle epoche anteriori: è il solo mezzo di procedere con prudenza, ossia dalle cose meglio documentate alle meno conosciute.
Cultura materiale. - Le notizie sulla civiltà del periodo incaico si riferiscono necessariamente all'ultimo stadio, quando cioè poterono esser raccolte nella narrazione scritta dei cronisti, sia dietro osservazione diretta di questi, sia in base a informazioni assunte sul luogo da fonti diverse. In generale, il giudizio che si fa oggi di tale cultura è esagerato, o in un senso o nell'altro molto più spesso nel laudativo, specialmente negli scritti d'indole letteraria. Ma anche i cronisti spagnoli peccarono già in tal senso, fuori che nel tema religioso, ed è del tutto naturale che essi, incoscientemente, circondassero le istituzioni e le gesta degli Inca d'una cornice classica, nutriti come erano di reminiscenze erudite, bibliche o classiche. Ciò non toglie però che l'imbattersi in una serie di fatti sociali di natura elevata e in una organizzazione politica la cui solidità e il fastoso cerimoniale imponevano rispetto, dovesse necessariamente causare lo stupore del conquistatore europeo, che non si aspettava di trovare tali forme di vita civile fra gl'Indiani di quella parte d'America.
Palazzi e fortezze ben costruiti di pietra lavorata, a secco e con malte, eserciti ben agguerriti e maneggevoli, industrie tessili e ceramiche fiorenti e conoscenza della metallurgia sono infatti elementi d' un inoltrato incivilimento. Il rovescio della medaglia è dato, invece, nel campo tecnico, da alcune manchevolezze che sono comuni a tutte le convivenze civilizzate del continente americano: assenza di animali da trasporto realmente validi, assenza del ferro, ignoranza della ruota, che rese impossibile ogni veicolo, e del tornio per fabbricare vasi, per non parlare dell'assenza della scrittura, che nessuno dei cronisti più avveduti confuse mai con il quipu, semplice sistema mnemonico e di registrazione. Nel campo sociale e spirituale poi, si ricordi che i Peruviani praticarono il sacrifizio umano e l'uso di parti umane (cranî, denti e pelle) come ornamento e trofeo; che era estesissima l'esibizione delle mummie per l'adorazione da parte del popolo e che l'economia e la morale, anche sessuale, dell'intero organismo dello stato, erano basate su una forma di parassitismo della classe dominante, quasi incredibile. In conclusione, ed equilibrando questi elementi sfavorevoli con i vantaggiosi, possiamo dire che i Peruviani furono sorpresi dalla conquista in una condizione di semibarbarie, durante la consolidazione d'un regime statale complesso ed efficace ed in possesso di alcune industrie, come la tessile e la figulina, realmente adulte e raffinate, frutto d'una vera specializzazione artistica.
La conquista degli uomini di Cuzco portò la diffusione della lingua quechúa (chiamata da essi runa-simi) a spese delle altre anteriormente esistenti, fra cui principalissima la lingua colla, propria del Collao e conosciuta erroneamente col nome di aymará. Quanto vi fosse di affinità fra le tribù di lingua quechúa e colla, in origine, è cosa oggi molto difficile a definire, per i continui prestiti linguistici e i vastissimi scambî culturali che trasformarono le condizioni d'un tempo; per ciò che riguarda le due lingue, pare che siano due dialetti affini. Somaticamente la differenza dei due popoli non è molto sensibile.
Gli abitanti dell'impero, secondo il censimento ordinato dal viceré Francisco de Toledo (1569-1581), erano 11.000.000; la città di Cuzco ne contava all'incirca 40.000 e 200.000 la contrada centrale della potenza incaica, detta dai cronisti "nazione incaica"; si calcola però che solo 20 o 30 mila appartenessero alla casta privilegiata degli Orejones, il cui numero, favorito dalla poligamia degli Inca, era venuto aumentando continuamente.
Per la loro economia i Quechúa appartengono a un ciclo di agricoltori superiori, non già per il loro strumento agricolo, che fu una rozza vanga di legno, ma per l'irrigazione artificiale a mezzo di canali e di complicati sistemi di terrazze sui fianchi dei monti (andenes), indizî chiari di agricoltura intensiva. Piante coltivate nel Perù furono i fagioli (purutu), i peperoni, la quinoa (un cereale molto sostanzioso), la patata, la patata dolce, e varî frutti, ma sopra tutto il granoturco, vera base dell'alimentazione dei Quechúa. L'agave e la coca, anch'esse coltivate, davano prodotti inebrianti e stimolanti. La pesca era regolata, anzi limitata, da speciali funzionarî; la caccia addirittura proibita, e riservata per una immensa battuta organizzata ufficialmente ogni anno (chacu), e diretta personalmente dal Sapa Inca o da un suo luogotenente. L'allevamento di animali domestici comprendeva alcuni gallinacei, il coniglio d'India, e l'alcu (una specie di cane) e, principalissime, greggi di lama e vigogne, queste per carne e lana, quelle anche per il trasporto di piccole some, non superiori a 35 chili.
Per l'abitazione, sono da distinguere tre tipi:1. i tugurî e le capanne del volgo, di piccole dimensioni, costruiti di canne e di ciottoli sovrapposti a secco (pirca) o di grossi mattoni cotti al sole (adobes), e coperti di giunchi; 2. le case di adobes o di pietra della classe dominante, talora a due piani, col tetto a terrazza; 3. gli edifici statali, come santuarî, palazzi dell'Inca, conventi e piazzeforti, che spesso assumono importanza monumentale.
Il vestito si componeva essenzialmente d'una tunica e di un poncho sovrapposto; per le donne invece di un rettangolo a guisa di scialle. Frequente l'uso del tupu, o spillone a testa piatta, più o meno adorno e ricco, destinato a fissare le parti del vestiario. Nastri per sostenere i capelli, di tessuto o di metallo, collari di denti o pietre lavorate, placche pettorali, orecchini, braccialetti, dischi di legno o di fine terracotta per il lobo dell'orecchio; in alcune provincie pendenti nasali; copricapi di varî modelli, alcuni molto complicati e a flagelli radiali, con piume e applicazioni metalliche, completavano l'ornamento personale. L'usuta, o sandalo, più o meno riccamente costruito, era la calzatura comune.
Le armi, specialmente mazze, clave e spadoni a due mani, erano di un legno durissimo (chonta); usatissime le mazze con un capo di pietra e di bronzo, a sei e otto punte, a guisa di stella, o col capo rotondo o prismatico; frequenti la fionda e l'arco, nonché la lancia, ma soprattutto il propulsore, macchina semplice atta a lanciare proiettili da getto e frecce.
Nella tecnica, accanto all'utilizzazione del metallo erano in onore due grandi attività industriali: la ceramica e il tessuto. S'impiegavano l'oro e l'argento per fabbricare oggetti d' ornamento personale, gioielli, pettorali, ecc., ma anche per statuette, idoletti, coltelli a lama semilunare (tumi) usati nel culto, e vasi cilindrici (d'argento) con protomi umane a naso aquilino; il rame per fabbricare oggetti di toletta, pinze da depilare, spilloni, ecc., ma principalmente armi, accette di varie forme, teste di mazze stellate.
I tessuti peruviani, le cui varietà più delicate eguagliano e forse superano i migliori prodotti dei popoli di altre civiltà, sono a base di varie fibre tessili: il cotone, l'agave e la lana; il primo più comune nelle terre calde, o yungas, l'ultimo nei settori d'allevamento della vigogna e congeneri. Il tessuto peruviano, per la sua tecnica, s'avvicina piuttosto al sistema di fabbricazione di tappeti che a quello delle tele; il telaio era di piccole dimensioni e fissato al suolo orizzontalmente; nella colorazione si usavano colori minerali, vegetali e animali che si sono mostrati tanto solidi da sopravvivere al lungo sotterramento nelle sepolture da cui oggi si esumano tuniche e mantelli; comunissimo trovarvi esemplari dei fusi con cui si filava la lana di vigogna, di legno graziosamente graffito, con collaretto di legno o terracotta.
Ma la ceramica è il vero campo di specializzazione artistica dei Peruviani, e si può dire che solamente dalle fabbriche dell'Attica e di Ruvo siano uscite creazioni figuline d'una delicatezza paragonabile a quelle del Perù, sia delle varie zone della costa sia dell'altipiano. La perfezione della sagoma, la cottura, la vernice e la decorazione ne fanno dei veri gioielli. La loro immensa varietà e lo stile peculiare di ciascuna regione sono stati finora la principale base per stabilire la preistoria e la cronologia del Perù antico. Siccome però l'epoca degli Inca non rappresenta un progresso, ma piuttosto una decadenza dell'industria ceramica, e dovendo noi isolare dalle anteriori le creazioni di questo periodo, si descriveranno vasi di Cuzco tentando di distinguere le varie regioni archeologiche.
Cultura spirituale e organizzazione. - Fondamento e cellula d'ogni entità sociale fu - ed è tuttora - nel Perù l'ayllu, nucleo presieduto da un curaca. Le varie descrizioni che ci sono pervenute, essendo contraddittorie, oppongono una certa difficoltà ad intendere che cosa fosse, sostanzialmente, l'ayllu: da alcune fonti viene definito come un gruppo gentilizio, paragonabile alla gens romana, da altre invece come un gruppo numerico di 100 famiglie, capace di dare all'esercito cento uomini d'arme; anche per questa interpretazione i commentatori rimontano alla centuria romana. Attualmente l'ayllu è piuttosto un gruppo economico e giuridico tenuto insieme dall'unità del territorio agricolo usufruito in comune. Tuttavia, se si dispongono le diverse entità descritte dai cronisti in una successione cronologica, si prospetta storicamente il problema, con grande vantaggio per la chiarezza: pare infatti che l'ayllu fosse in principio un clan gentilizio distinto col nome del progenitore putativo (totem?), che subì in seguito l'influenza dell'organizzazione amministrativa operata dall'Inca, e specialmente dal riformatore Pachacutec, il quale appoggiò con fervore il consolidamento d' un nuovo ente superfamiliare, composto di cento famiglie nominali (pachaca). La riforma fu applicata in modo completo nella ricostruzione - fatta appunto da Pachacutec - della "nazione Inca", con centro in Cuzco, sulla base dei vecchi ayllu incaici tradizionali. Gruppi di 5 centurie o pachaca costituirono la pichca-pachaca; di 10, la huaranca, e così via, fino al multiplo di 10.000 famiglie (hunu) governato da un curaca. Generalmente quattro curaca superiori formavano, con i loro sudditi, ciascuna delle quattro provincie costituenti, come abbiamo visto, l'impero, e il Sapa Inca occupava la sommità della piramide.
Intento dell'Inca era precipuamente di creare, attraverso gli interposti centri di controllo, una maneggevolezza estrema delle singole unità o cellule, senza perturbare più del necessario ciascuna di esse nella sua struttura interna, e di contemporaneamente servirsi dell'organizzazione totale per i fini della monarchia, ossia per la leva militare e per il mantenimento economico della classe dirigente. Più che l'antico regime dell'ayllu totemico, veniva ad essere utile all'Inca il riconoscimento d'un nucleo legato al territorio e al villaggio. La terra utilizzabile che era propria di ciascuna comunità, chiamata marca, fu divisa in tre porzioni: il prodotto della prima spettava al sacerdozio, quello della seconda all'Inca e alla burocrazia, e la terza al villaggio. La proprietà della terra si conservava, giuridicamente, nelle mani dell'Inca, e un suo ufficiale ne distribuiva le parcelle a ciascun capofamiglia. Due furono le fonti che permisero di finanziare - invece della moneta - il mantenimento della dinastia e dell'immensa macchina amministrativa: la confisca di generi e materie prime o manufatte prodotte dalla classe volgare, e il sistema della corvée, o prestazione obbligatoria di lavoro; entrambe rigorosamente controllate da un nugolo di ufficiali. Il prodotto spettante all'Inca e al sacerdozio si conservava in appositi magazzini di stato disseminati per ogni dove. Tutti i cittadini erano obbligati al lavoro materiale, tranne i funzionarî e i sacerdoti; lo stesso Inca non disdegnava mostrarsi, in occasioni speciali, a lavorare la terra, per conservare alla coltivazione un significato onorifico e religioso.
La religione dell'impero fu un sincretismo di grande complessità, quale si trova spesso nelle nazioni messe insieme mediante la conquista militare. Religione ufficiale dello stato fu il culto del Sole, Inti, capostipite della famiglia e del clan regnante, e fonte prima dell'origine giuridica della monarchia, nonché del carattere teocratico dei suoi atti, considerati da tutti come emanazione della volontà divina, o solare. In suo nome era stato eretto fin dal primo giorno, dai fondatori di Cuzco, il primo edificio della città, Inti Cancha, o recinto del Sole, che poi divenne Cori Cancha, o tempio d'oro, a causa delle ricchezze auree accumulate.
L'espansione del culto del Sole fu opera del clan Inca, contemporaneamente con la sua marcia di conquista, ma i culti preesistenti non poterono essere estirpati, e continuarono sempre la loro esistenza, all'ombra del culto di stato. Troviamo perciò anche in epoche inoltrate residui dell'antico culto degli ayllu, che veneravano più spesso il serpente, il condor e il puma; altri ayllu onoravano invece pietre, rocce, fiumi e laghi come loro progenitori, ossia pacarisca. Meno precisa è l'applicazione della parola huaca, usatissima da indigeni e storici, e adoperata a designare oggetti molto diversi fra loro: templi, idoli, colline, mummie, vasi funebri e sepolture: infine, tutto ciò che è misterioso o temuto o sacro; è indice di remote istituzioni o credenze affini al mana, e anche di un culto dei morti già fissato ab antiquo nel Perù. Caratteri salienti ne sono il disseccamento in caverne, a volte dopo una sommaria estrazione delle viscere ed esposizione al fuoco, e deposito della salma in speciali sepolcri, infagottata insieme con la suppellettile in "pacchetti" funebri, spesso arieggianti a busti.
È senza dubbio difficile ordinare le varie componenti del sincretismo finale in una successione storica d'influenze etniche religiose. Alcuni critici moderni hanno preteso che, essendo il predominio della religione solare effetto dell'egemonia del clan Inca, il che è indiscusso, in origine il Sole non fosse altro che il totem di detto clan, né più né meno come il puma lo fu dei Chanca e lo smeraldo dei Manta. Osserviamo che la ontologia solare degli Inca non presenta una struttura così semplice come quella di un totem, ma una vera costruzione astrologica, e il Sole vi appare contornato da una corte composta della Luna, delle stelle, dei pianeti e di varie costellazioni figurate. Dobbiamo perciò ammettere nel Perù l'esistenza d'una forma di aspetto totemico, cui si sovrappose una vera religione astrologica. Ma anche gli altri gruppi di carattere più o meno nazionale, ad ogni modo superiori all'organizzazione del clan totemico, che erano riusciti a svilupparsi, nella costa e sull'altipiano, in epoca anteriore all'egemonia inca, avevano elaborato forme religiose superiori alla totemica. I Colla, con il creatore e tesmoforo Viracocha, che venne poi attratto e inglobato nel pantheon di Cuzco; la teocrazia della costa, con il creatore e patrono Pachacamac. Spiritualizzazioni dei fenomeni naturali furono inoltre le varie mama: Pachamama (Madre Terra), Mamacocha (il Mare), Chu comama (il Fuoco); Illa, Katekil, Pihuarao e Tonapa rappresentarono entità meteorologiche diverse. Una serie di invenzioni mitiche, a base di genealogie divine, fu imbastita dalla fantasia dei sacerdoti incaici allo scopo di saldare in una costruzione compatta i varî enti, nella misura che lo permettevano le così diverse origini dei sistemi. Dove non poterono subordinare gli antichi culti, gli Inca si contentarono d'imporre la concomitanza del proprio, e troviamo tuttora accanto all'antico santuario di Pachacamac il relativamente moderno tempio del Sole con annesso convento delle Vergini di Inti.
Una serie di dignità sacerdotali, che discende dal sommo Villac Humu fino ai modesti Yana, Villac, amministra il culto. Si ebbero inoltre indovini, anche per l'interpretazione dei lampi e per gli uccelli. Fu praticata la confessione dei peccati, risalente verosimilmente alla civiltà preincaica. Il monachismo fu piuttosto un'istituzione femminile. Mentre per gli uomini si conosce solo una specie di anacoreti, per le donne si ebbero veri e proprî conventi, dove si recludevano le fanciulle più belle o le più nobili, scelte d'ufficio da tutte le provincie, e governate da matrone o istruttrici (mamacuna); erano denominate "vergini o serve del Sole". Tremila se ne contavano nella sola città di Cuzco. In molte occasioni quelle case del Sole furono convertite in luoghi di sollazzo per il Sapa Inca e per i suoi familiari. Generalmente nei conventi si attendeva a lavori femminili e pratiche di culto, ma è evidente che nei particolari (conservazione del fuoco, castighi contro le vergini impudiche, fabbricazione di cibi e bevande cerimoniali, ecc.) la tradizione scritta dei cronisti si rivela strettamente modellata su quella delle vestali di Roma antica.
Concludendo, dobbiamo ritenere falsa la visione d'una civiltà peruviana costruita tutt'a un tratto, di sana pianta, dai dominatori di Cuzco. Vecchi autori, come Robertson e V. H. Prescott, appoggiandosi ai cronisti, sostennero appunto che furono gli Inca a stabilire non solo la religione, lo stato e la civiltà, dopo avere assoggettato una popolazione ch'era in uno stato di assoluta barbarie, ma anche il regime del comunismo agrario ed economico trovato dagli Spagnoli, e che perciò questo era di loro esclusiva invenzione e creazione. Abbiamo visto, invece, che la religione presenta un aspetto complesso in estremo, un vero sincretismo riguardo al culto e all'ontologia: nella parte mitica si può parlare, tutt'al più, di una più o meno salda composizione a posteriori di materiali mitici preesistenti. In quanto al collettivismo, valenti specialisti hanno dimostrato che esso non sorse da un atto di volontà o da una speculazione di economisti, per il semplice fatto che le prime comunità che abitavano la regione praticavano già in origine, come altri popoli, una vita in comune, limitata economicamente dai confini e dalle risorse della terra usufruita dal nucleo gentilizio.
Ora però non si deve cadere nell'eccesso opposto, esagerando la portata di questi fatti negativi, col non assegnare valore alcuno al compito degli Inca. Nel campo religioso ricorderemo che la dominazione del culto astrologico si presenta come una vera conquista, nel senso di universalità, atta a superare le forrne chiuse del clan e ad aprire le menti a più vaste aspirazioni. Nel campo economico e statale non deve sfuggirci il fatto che gli Inca seppero profittare delle istituzioni elementari già esistenti nell'ayllu, a vantaggio d'una costituzione infinitamente più vasta e complicata, e ciò è indizio di ampia visione ed energia realizzatrice, anche ammettendo che essi trovarono in qualche luogo già stabiliti alcuni organismi statali, come i regni e le teocrazie della costa e la problematica nazione colla. In altri termini, se è innegabile che l'economia collettiva era già peculiare delle cellule originali di vita civile, gli ayllu, vanno però ascritti agli Inca il proposito e l'impresa di creare uno stato poderoso e coerente, atto a sfruttare tale forma di rendimento.
A questo fine, sono ammirevoli le provvidenze tecniche escogitate per rendere manovrabili le masse umane di così immenso territorio e facilitare la circolazione di ordini, vettovaglie ed eserciti. Prima di tutto la viabilità: grandi vie ben mantenute da personale stabile si aprivano a ventaglio da Cuzco e giungevano agli estremi confini dell'impero; sorprendente il tracciato costiero che da Quito giunge al Chile, e quello interno che segue invece il corridoio interandino, fino a Tucumán. Molti tronchi delle strade incaiche sono ancora transitabili; il passaggio dei fiumi e delle gole montagnose si praticava mediante ponti sospesi. Un sistema di corrieri (chasqui) disposti a coppie, a intervalli fissi, lungo queste strade, permetteva la trasmissione di ordini e notizie con una celerità meravigliosa; inoltre periodiche abitazioni di ricovero e fortini (tampu) erano disseminati lungo le grandi arterie.
Formazione della cultura del Perù antico. - Il nome ufficiale dello stato incaico, Tahuantinsuyu, e la sua divisione nei quattro cantoni che abbiamo innanzi nominati, risponde a criteri politico-amministrativi, e in parte anche etnici e storici, mentre dal lato spirituale può connettersi alla orientazione nello spazio, poiché è accertato che in determinate cerimonie l'ufficiante si rivolgeva, da Cuzco, verso i quattro suyu come ai quattro punti cardinali.
Viceversa, rispetto alla geografia descrittiva e alla umana, questa quadruplice divisione non ha alcuna applicazione. Infatti la divisione del Perù in grandi regioni climatiche e morfologiche è ternaria, e comprende le tre zone che i Peruviani distinguono con i nomi di Costa, Sierra e Montaña.
La diversità degli ambienti geografici è senza dubbio imponente nei suoi riflessi con la vita umana, e molti scrittori, specialmente quelli che si studiano di sostenere la genesi e differenziazione in situ della civiltà peruviana, si appoggiano alle diverse condizioni climatiche e quindi economiche per spiegare le discrepanze fra le varie culture locali anteriori all'unificazione del grande stato incaico. Ma un esame più minuzioso ha dimostrato che non esiste una sola di esse che si sia svolta in completo isolamento, e che anzi la loro formazione è caratterizzata da una influenza reciproca che ha lasciato inoppugnabili prove; dal punto di vista antropogeografico, inoltre, nessuno dei tre settori, Costa, Sierra e Montaña, può considerarsi un compartimento chiuso, e tra l'uno e l'altro si è effettuata una più o meno attiva circolazione. Importante soprattutto è la relazione fra Costa e Sierra, vero nocciolo della questione genetica della cultura peruviana. Nella Costa, il contatto fra le varie oasi abitabili è impossibile per via diretta, trattandosi di valli fluviali trasversali alla Cordigliera e separate da zone desertiche; ma la comunicazione è assicurata invece con la Sierra, per mezzo dei valichi andini. La Sierra poi è una successione di varî recinti intercomunicanti dall'estremo nord all'estremo sud, e funziona come un vero corridoio per la circolazione di uomini e di beni. Ecco dunque sufficientemente chiare le ragioni della diffusione più larga e facile degli stili in tutto il settore della Sierra, e anche delle differenze tecniche e stilistiche che troviamo negli sviluppi delle varie contrade della Costa, benché tutte legate da alcune impronte fondamentali comuni.
Rimane pur sempre il problema della precedenza reciproca, che, ridotto ai suoi termini essenziali, si può formulare così: furono le arti della Costa anteriori a quelle della Sierra, o viceversa le creazioni della Sierra, più antiche, rigurgitarono attraverso i valichi montani verso il mare? Si tratta realmente del più discusso dilemma della preistoria peruviana, le cui conseguenze sono incalcolabili per la cronologia locale, e, in una cerchia più vasta, per delineare il quadro d'insieme di tutta l'archeologia sudamericana. Argomenti in pro dell'una e dell'altra idea sono stati addotti in abbondanza. Julio C. Tello sostiene la priorità della Sierra. Nella Sierra appunto si sarebbe generata la cultura ch'egli chiama Arcaica Andina, o Megalitica, rappresentata da Tiahuanaco I e Chavín. Avrebbero dato origine a detta cultura popoli autoctoni adattati ottimamente all'ambiente semiarido della Sierra, le cui risorse erano date dalla pastorizia e dall'agricoltura.
I loro sviluppi artistici sarebbero stati trapiantati nei settori della Costa, nella quale discesero posteriormente a specializzare le colture proprie di terre calde (yunga). Prove archeologiche ne sarebbero le tracce dello stile di Chavín trovate a Iambayeque, negl'immondezzai di Ancón e nei cimiteri di Paracas.
Invece Max Uhle, cui l'archeologia sudamericana deve le prime applicazioni del metodo stratigrafico, è fautore della priorità della Costa. L'Uhle scavò nel 1896 sulla costa del Perù le fondamenta del tempio di Pachacamac, e poté contare 4 strati successivi: il più profondo di tipo tiahuanaco, quello superficiale dello stile di Cuzco, ossia incaico. Eseguite nuove campagne di scavo nei varî settori della Costa, distinse i tre stili di protonasca (valli meridionali), protolima (valli del centro) e protochimú (valli settentrionali), che giunsero a peculiari sviluppi partendo da un fondo comune, rappresentato dal primo di essi; questi tre stili della Costa o, per meglio dire, lo strato archeologico che li contiene, riposa direttamente su uno strato di cultura inferiore, di pescatori primitivi, paragonabili ai Fuegini dell'estremo australe del continente. Il fatto poi che i mattoni dei muri più antichi del tempio di Pachacamac, rinvenuti al disotto dello strato che contiene resti del tipo tiahuanaco, hanno dato frammenti di ceramica protolima, conduce l'Uhle ad affermare che i tre tipi della Costa sono anteriori a Tiahuanaco, rappresentante cospicuo dell'arte dell'altipiano.
Riassumendo la controversia sulla priorità cronologica fra Costa e Sierra, come viene svolta dai due più autorevoli e moderni campioni dei due concetti antinomici, si vede che la posizione del Tello riposa su un postulato iniziale, che lo conduce a condannare, come assurdo "che una primitiva popolazione di pescatori della costa avesse abbandonato la sua abituale occupazione della pesca, per sostituirla con la coltivazione di piante oriunde della Montaña e della Sierra". Tale trapasso da un'economia di pescatori a quella di agricoltori è, infatti, un assurdo etnologico, ma il Tello non vede che non è necessario postularlo, se liberiamo il nostro spirito dal pregiudizio che le varie forme economiche dovettero svilupparsi sul luogo in serie successiva, l'una dall'altra. Quando, poi, il Tello immagina una civiltà propria della Sierra, che si sarebbe sviluppata colà, spontaneamente, sia nella direzione pastorale sia in quella dell'agricoltura intensiva, afferma una stranezza etnologica non minore di quella che dianzi ha ripudiato.
L'Uhle, al contrario, basando la sua costruzione sull'osservazione oggettiva dei risultati dello scavo, non dà luogo a critiche di carattere teorico, ma solo al desiderio di accertare e controllare le relazioni stratigrafiche da lui descritte. Negli ultimi anni sono da segnalare gli assaggi del nordamericano A.L. Kroeber, e sebbene questi con somma prudenza tenda a rimandare il verdetto a tempi futuri, è evidente tuttavia che il sistema dell'Uhle nei suoi punti fondamentali resta confermato.
Le culture stabilite col mezzo dell'analisi delle creazioni artistiche, specialmente ceramiche, possono raggrupparsi nel seguente modo: Costa:1. valli del sud, con lo stile protonasca o nasca I, e i due periodi di Ica; 2. valli del centro con gli stili protolima (Nievería) e Recuay; 3. valli del nord, con protochimú altrimenti detto chimú I (Trujillo), e chimú tardivo, o chimú II (Chanchán). Sierra, con gli stili di Chavín e Tiahuanaco I, seguito da Tiahuanaco II o Epigono. Infine lo stile incaico, o di Cuzco.
Archeologia. - Valli del sud. - La ceramica di Nasca ha per caratteri essenziali uno spiccato senso del colore e un marcato convenzionalismo nei soggetti della decorazione. Colori resistenti: rosso, giallo, nero, bianco e marrone, con tendenza ai toni oscuri; una solida vernice li conserva ancor oggi freschi e brillanti. I soggetti dipinti sono a volte fiori, uccelli e pesci, torsi e facce umane o filze di cranî-trofeo, ma molto più spesso una figura immaginaria, stranamente complessa, risultante dall'aggregazione di segmenti e appendici teriomorfi a una faccia umana centrale, d'aspetto mostruoso, con la lingua penzoloni e spesso i quattro canini esageratamente lunghi e minacciosi, che viene definita comunemente un "millepiedi" mitico, ma in cui è evidente la derivazione dalla figura felino-gorgonica che forma la base di quasi tutta l'iconografia del Perù, ed è legata all'iconografia del Messico, dell'Indonesia, e anche dell'Asia meridionale e del Mediterraneo. Spesso questo mostro brandisce uno o due scettri e delle teste-trofeo; appare non solo nella decorazione delle terrecotte, ma anche, e abbondantemente, nel tessuto, assumendo forme più o meno umanizzate. La stilizzazione dei vasi protonasca tende al disegno geometrico, ma non così intensamente come nell'arte di Ica, cronologicamente posteriore (v. ica). La successione degli stili nelle valli meridionali è la seguente: Nasca, Epigono di Tiahuanaco Ica e arte di Cuzco, o incaico.
Valli del centro. - Alla civiltà dei primitivi pescatori della Costa, si sovrappone, senza gradi intermedî, l'arte detta dall'Uhle protolima, di cui sono esponenti il cimitero di Nieveria e le sepolture delle valli di Lima e Chillon, con una ceramica di grandi giarre e vasi a decorazione piuttosto geometrica, che mostra dipendenza dal "millepiedi" di Nasca. Si stende sulla regione centrale anche lo stile Epigono di Tiahuanaco, e posteriormente, da Chicama fino al Lurin, regna un modello ceramico a decorazione rosso-bianco-nera, che mostra tracce di parentela con la figulina d'argilla bianca di Recuay, con una schematizzazione elegante e quasi lineare, ispirata al disegno d'un dragone.
Valli del nord. - Qui troviamo la prima civiltà chimú, con grandi costruzioni a piramide tronca, che sostenevano templi ed edifici, e grande ricchezza di tessuti e vasi. Lo stile ceramico protochimú si distingue dal protonasca per un senso coloristico assai più povero, ma, in compenso, per un disegno e una decorazione molto più sicuri e naturalistici. I vasi sono fregiati nel ventre da vere vignette a contorno lineare e da zone di tinta unita, che rappresentano scene della vita giornaliera, come caccia, pesca, combattimenti e giuochi, che sono preziose allo scopo di ricostruire i costumi, gli arnesi e le armi. Le forme dei vasi sono per lo più globulari, e il disegno è tracciato in color seppia sul fondo crema dell'argilla; due anse laterali disposte a guisa di staffa si uniscono superiormente all'imboccatura, anch'essa tubolare. Conosciutissimi sono i vasi ritratto, veri capolavori che riproducono fedelmente, oltre ai tratti del viso, anche cicatrici, mutilazioni patologiche, la deformazione della testa, il sorriso e le varie espressioni dell'animo. Un terzo gruppo di terrecotte (vasicapanna) ritraggono in miniatura le curiose forme dell'abitazione. Non mancano vasi a figura gorgonica, spesso in rilievo e circondati da pannocchie di granoturco. A questo ciclo protochimú segue la seconda epoca chimú, in cui fioriscono i palazzi di Chanchán dalle pareti decorate a stucco; la ceramica di questo periodo è di bucchero nero, lucido, e in essa la "vignetta" viene sostituita dal rilievo; sono vasi di forma variabilissima, decorati con fregi a bassorilievo o più spesso con sculture sovrapposte, a tutto tondo, che rappresentano scene della vita giornaliera, non escluse le più realistiche né le licenziose.
Sierra. - Le due stazioni principali dell'arte della Sierra sono Tiahuanaco e Chavín. La prima, a sud del Lago Titicaca, è famosa per i resti di costruzioni petree con sculture d' uno stile peculiare, riferibili a due epoche successive: Tiahuanaco I (recinto minore) e II o classico (i monoliti, la cosiddetta "Porta del Sole") la cui influenza rifluisce sulla Costa a costituire lo stile Epigono di Uhle; ha inoltre una ceramica che per il disegno e il colore si rivela strettamente connessa con la protonasca, con la differenza specifica che, mentre questa tende a delineare contorni curvilinei, a Tiahuanaco imperano la linea retta e gli angoli. Anche Chavín presenta esemplari notevoli di scultura ornamentale della pietra (il famoso monolito Raimondi e la stele del tempio sotterraneo), il cui soggetto è sempre il mostro felino-gorgonico di cui si è parlato, ma reso con una espressione notevolmente più selvaggia e ferina che a Tiahuanaco, dove la figura appare umanizzata. A buon diritto l'Uhle, combattendo le idee del Tello, sostiene l'anteriorità cronologica di Chavín su Tiahuanaco, e li pone entrambi in dipendenza stilistica dal protonasca. È evidente che, a cominciare da C. R. Markham, gli scrittori hanno pagato un esagerato tributo al concetto dell'"arte megalitica", commettendo il doppio errore di chiamare megalitici i resti dell'altipiano nel senso stretto che adopera l'archeologia del mondo antico, e di dimenticare che le costruzioni megalitiche dell'Eurasia sono ben lungi dall'avere un'antichità ancestrale, essendo datate all'epoca del bronzo o dei suoi primordî.
La ceramica quechúa o di Cuzco, di regola di terracotta rossa, ha il suo modello più caratteristico in un vaso apodo, a fondo conico, di dimensioni assai variabili, a volte ben grandi, che i primi classificatori battezzarono col nome di "ariballo", per la loro imperfetta conoscenza del la ceramica classica, e che oggi si continua a chiamare con sì impropria denominazione. Piuttosto sobria e geometrica ne è la decorazione, disposta a registri verticali; detto modello si trova in tutte le regioni che subirono l'influenza incaica, dall'Ecuador al Chile e all'Argentina, e scarseggia solamente lungo la costa, dove anche durante l'apogeo degli uomini di Cuzco perdurarono le fiorenti arti regionali (Chimú II, Valli del centro e Ica) sostenute dalle costituzioni politiche incorporate dagli Inca più recenti, e che diedero allo stato un carattere più prossimo a una confederazione che a un impero.
Cronologia. - Se la cronologia relativa delle varie civiltà del Perù esce - come si è visto - appena ora dall'ombra, è ben naturale che, in materia di cronologia assoluta, vi sia la più sfrenata anarchia, e ogni scrittore lasci sbizzarrire il proprio temperamento. In generale il pubblico favorisce e consacra gli assertori di fantastiche antichità. Vediamo così il Posnansky postulare - sulla base d' un preteso calcolo astronomico - la cifra enorme di 13.000 anni per Tiahuanaco. Il Tello, da Lima, prende in esame la tradizione indigena tramandata dai cronisti Ayala (1613) e B. de Salinas (1630), di quattro epoche successive, dei Vari Viracocha Runa, Vari, Purún e Auca Runa, che assegnerebbe da 5300 a 3600 anni complessivi al periodo peruviano che precedette gli Inca, mentre si tratta - con tutta evidenza - d'una forma locale del mito delle quattro creazioni successive e di quattro razze umane (Runa vuol dire appunto "uomini"), che è caratteristica di alcuni popoli dell'Asia e dei Messicani.
L'Uhle, in base alla durata media di 500 anni delle culture del Mediterraneo orientale, traccia il seguente quadro cronologico: culture protocostiere, fra il 200 e il 700 d. C.; Tiahuanaco, dal 500 d. C. al 1000; l'incaica, fra il 1300 e il 1500. In quanto agli Inca è facile situare i 12 regni nei due o tre secoli che precedettero la conquista. La lista di Montesinos, unico discorde fra i cronisti, che annovera un centinaio di sovrani, aggruppati in successive dinastie, è da ritenersi, malgrado gli sforzi fatti recentemente per riabilitarla, un errore di compilazione. Il Montesinos raccolse in varî luoghi nomi e tradizioni provinciali sugli Inca, e poi li mise tutti in fila, senza elidere le corrispondenze; ciò spiega le molte lacune delle sue Mem0rias che constano di troppi nomi, spesso ripetuti, e pochi fatti storici. Lo schema cronologico dell'Uhle ha il gran merito di tracciare la successione: 1. civiltà protocostiere, 2. altipiano, 3. civiltà regionali, che si mostra atta ad orientarci sul periodo anteriore all'incaico. L'assegnazione concreta delle cifre che indicano gli anni è, tuttavia, affatto provvisoria, e lascia l'adito a futuri ritocchi. Il punto debole dell'Uhle è l'avere dato eccessivo valore al concetto delle cosiddette "culture" del Perù, dove è evidente che, se gli stili furono molti, le "culture" furono invece in minor numero. E infatti, dopo gli scavi di Kroeber (1926), Olson (1930) e Doering (1932) si comincia a fare strada la convinzione che Tiahuanaco ed Epigono, cronologicamente assimilati, non siano se non contemporanei del Protonasca. In questo senso ebbe dunque ragione il Seler, quando affermò che alcuni dei suoi tipi schematici non dovevano ritenersi successivi, ma contemporanei.
Le civiltà così distinte, inoltre, non avranno senso pieno finché non saranno scoperti i nessi che le uniscono alle varie fasi culturali: i Primitivi, gli Agricoltori, i Cacciatori-pastori e i Costruttori di stati. Infine occorre saldare lo schema peruviano, continuando il lodevole tentativo dell'Uhle e di W. Lehmann, con lo schema maya-messicano. In quanto poi al monogenismo o poligenismo della preistoria peruviana, sarà utile lasciare i racconti subiettivi a base di trasformazioni economiche ed artistiche locali, e fissare i cardini degli spostamenti umani che portarono alla Costa le piramidi tronche dell'America istmica e le mazze a stella della Melanesia, all'Altipiano le sculture e le stele di Colombia, a Chavín e Tiahuanaco, entrando probabilmente da Aija e Nepena, il mostro felino-gorgonico del Messico e dell'Eurasia, e a Cuzco le genealogie dinastiche dei Vichingi del Pacifico.
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IL PERÙ POSTCOLOMBIANO
Storia.
La conquista spagnola. - Il paese che gli Spagnoli chiamarono Perù costituiva all'epoca della scoperta il cuore dell'impero degli Inca. Creazione politica relativamente recente, cui aveva spianato la via qualche secolo prima la dominazione dei Pirhuas, organizzatori dell'ultimo impero preincaico, il Tahuantinsuyu (ossia "I quattro cantoni") o Incap Runam ("Vassalli dell'Inca"), come era chiamato dagl'indigeni, aveva toccato il suo apogeo col regno quarantennale di Huayna Capac. Dopo la morte di questo, che avvenne nel 1325, una fiera lotta per la successione al trono tra il figlio legittimo Huáscar, proclamato Inca a Cuzco, e il figlio naturale Atabaliba (l'Atahualpa degli Spagnoli), che dopo quattro anni riusciva a impadronirsi del competitore, ne scuoteva e indeboliva la compagine. Di questo stato di cose appunto approfittavano gli Spagnoli di Panamá per impadronirsi d'un paese, delle cui favolose ricchezze aurifere era giunta loro da anni notizia e della cui costa, detta vagamente "del Birú", aveva già cominciato nel 1522 la ricognizione (nella sua qualità di visitador general delle Indie) un soldato animoso di Pedrarias Dávila (il governatore spagnolo di Darien), Pascual de Andagoya, regidor di Panamá. Nell'impossibilità fisica di continuare l'impresa per un malanno capitatogli, l'Andagoya acconsentiva - previo avviso conforme del governatore Pedrarias - che altri a proprie spese la tentassero: Francisco Pizarro (v.), e il suo indivisibile compagno e socio d'affari Diego d'Almagro. Anello d'unione fra i due novelli Damone e Pizia ("un uomo solo in due corpi" li definiva un contemporaneo) era colui che aveva tirato su e lanciato l'Almagro, cioè il domenicano Fernando de Luque, maestro di scuola a Panamá: uomo molto accetto al governatore, egli otteneva dal Pedrarias il permesso di conquistare l'impero del "Figlio del Sole n. Comunicatisi i tre con la stessa ostia consacrata, a simboleggiare la parità assoluta fra essi, iniziarono fin dal 1524 da Panamá e continuarono nel triennio successivo i primi tentativi ed approcci lungo la costa sudamericana del Pacifico sino e oltre la linea equinoziale; ma le difficoltà dell'impresa consigliarono i tre soci di rivolgersi direttamente alla corte spagnola per ottenere, con un incarico ufficiale, più larghi consensi e aiuti. Incaricato della bisogna era il Pizarro, che recatosi in Spagna stringeva con la corona le capitolazioni del 26 luglio 1529, pensando alla posizione propria più che alla consacrata eguaglianza con i soci di Panamá; donde - subito al suo ritorno a Panamá - i primi malumori fra il Pizarro, designato capo dell'impresa, e l'Almagro, finanziatore e organizzatore di essa: urti e dissidî che avrebbero portato fin d'allora alla rottura fra i due, senza l'intervento conciliatore del terzo, il Luque. Così fra incertezze e difficoltà finanziarie e morali s'iniziava definitivamente dal Pizarro nel gennaio 1531 con tre vascelli, tre monaci e 180 uomini (144 a piedi e 36 a cavallo), l'impresa sbalorditiva. Non v'era un programma politico-militare ben definito; ma non mancava certo un piano generale d'azione, venuto via via maturandosi nella mente dell'audace condottiero con la conoscenza dell'ambiente spagnolo di Panamá, con gl'insegnamenti tratti dalle conversazioni di Siviglia con Fernando Cortés, con le informazioni infinite, soprattutto attinte sui luoghi, circa lo stato delle cose al Perù.
Approfittando di esse e sfruttando il senso di mistico terrore dei Peruviani per questi uomini soprannaturali, che venivano dal mare, cavalcavano animali ignoti e portavano la folgore e il tuono, il Pizarro, lasciata sulla costa per ogni evenienza una cinquantina di uomini agli ordini di Antonio Navarro, a principio dell'autunno del 1532 scalava risolutamente la Sierra (le vie incaiche erano a guisa di scale più che di strade), puntando su Caiamarca, nelle cui vicinanze stava accampato col suo esercito l'Inca Atahualpa. Entrato due mesi dopo, il 15 novembre 1532, nella città deserta di abitanti, egli invita alla sua presenza, nominalmente per fare atto di sottomissione, ma realmente per catturarlo, il "Figlio del Sole". Questi, dopo qualche incertezza, si fa condurre su un letto d'oro massiccio, con un seguito di 5 0 6 mila uomini in apparenza disarmati, alla residenza del Pizarro. Lo accoglie in essa il padre Vicente Valverde, elemosiniere della spedizione, che - la croce in una mano e il breviario nell'altra - gli notifica la presa di possesso del suo impero da parte del re di Spagna in conformità con l'investitura papale. Il breve dialogo, riferito in varî modi dai contemporanei, terminava (pare) con un gesto di ribellione dell'Inca, che avrebbe - secondo alcuni - scagliato al suolo il breviario. Il Valverde allora si ritira per abboccarsi col Pizarro; e, pochi minuti dopo, una scarica micidiale si abbatte sul recinto: per testimonianza degli stessi Spagnoli, non meno di 2000 (c'è chi dice 2800) Peruviani cadevano fulminati; degli Spagnoli uno solo casualmente ferito, lo stesso Pizarro, colpito di stocco alla mano per proteggere Atahualpa secondo alcuni, per strappargli l'emblema d'oro che portava, secondo altri. L'Inca veniva catturato ed i superstiti fuggivano terrorizzati, spargendo il timor panico nel campo peruviano, che si dissolveva, il disordine e l'anarchia nel paese. In un quarto d'ora l'onnipotenza del "Figlio del Sole" era crollata e l'impero splendente del Tahuantinsuyu era fatto preda d'un pugno di avventurieri rapaci. Semplice avventuriero, anziché politico, si rivelava invero il conquistador, sacrificando all'odio dei suoi l'Inca catturato, invece di servirsene per l'organizzazione del nuovo dominio. Invano Atahualpa aveva fatto riempire d'oro, sino all'altezza della sua persona, una stanza larga 22 piedi e lunga 17, prezzo moralmente se non formalmente pattuito per il suo riscatto e da ripartirsi fra i tristi eroi di Cajamarca; ché il malcontento dei delusi seguaci di Almagro, sopraggiunto da San Miguel de Piura con 150 soldati e 84 cavalli a rivendicare la sua parte di dominio e di bottino, chiedeva un capro espiatorio della non equa divisione della preda (1.326.539 pesos d'oro e 52.000 marchi d'argento). S'imbastiva un processo non meno iniquo che risibile contro Atahualpa, accusato di fomentare movimenti antispagnoli, e lo si condannava a morte, lasciandogli la scelta fra la conversione e il capestro oppure fra il paganesimo avito e il rogo: optava naturalmente per la morte meno crudele e, ricevuto il battesimo, veniva strangolato e sepolto con i maggiori onori nella chiesa di Cajamarca. Si chiudeva così il truce prologo della conquista peruviana e il 15 novembre 1533 gli Spagnoli, saliti già a 500, entravano a Cuzco (centro storico e politico del caduto Tahuantinsuyu) di cui Fernando de Luque era fatto vescovo, a spogliarne dell'oro bramato templi e palazzi, a violarne le tombe e massacrarne gli abitanti. Nella spartizione del bottino tra i rispettivi seguaci, trovava nuovi odî di cui alimentarsi il dissidio tra il governatore generale della Nuova Castiglia, Pizarro, fatto marchese di Atavillos e ridisceso verso la costa a fondarvi - dopo Trujillo - la Ciudad de los Reyes (la Città dei re, Lima sul Rimac, 1535), e Almagro, rimasto da padrone al Cuzco e fatto "maresciallo del Perù" e adelantado (governatore di frontiera) della Nuova Toledo, il territorio ancora da occupare estendentesi per 200 leghe al sud della frontiera peruviana. Persuaso finalmente dal socio a muovere su questo, l'Almagro, con 570 Spagnoli e 1500 indiani fornitigli da Manco II Capac Yupanqui (il nuovo Inca legittimo riconosciuto dagli Spagnoli, ma affidato in Cuzco alle vigilanti cure dei feroci fratelli di Pizarro), attraversava le Montagne Nevose e dal pianoro di Copiapo prendeva solennemente possesso del Chile in nome di Carlo V. Delusi però lui e i suoi nella speranza di trovarvi i grandi tesori del Perù, al principio del 1537 tornavano in questo paese, che nel frattempo si era sollevato contro gli Spagnoli. Almagro si getta rabbioso su Spagnoli e Indiani, per farsi unico signore del paese; ma nella strettura delle Salinas, presso Cuzco, il 6 aprile 1538 viene sconfitto dalle armi di Pizarro: alla sconfitta segue una strage sul campo stesso di battaglia e l'Almagro, fatto prigioniero e sottoposto a processo, viene tre mesi dopo strangolato in carcere e portato quindi sulla pubblica piazza per essere decapitato. La lotta fra i due primi caudillos del Perù era finita; ma più accanita e feroce si faceva quella fra i loro seguaci e partigiani, tra pizarrismo e almagrismo. Vittima di essa cadeva dopo tre anni (26 giugno 1541) lo stesso Pizarro, assassinato in Lima nel suo palazzo da congiurati, che mettevano al suo posto il figlio naturale dell'adelantado, Diego de Almagro el Mozo (il Giovane). La riscossa dei pizarristi con Alonso de Alvarado (il quale a legalizzarla si appoggia su un giudice inquirente, mandato poco prima al Perù dalla corte a dirimervi le contese fra le due fazioni, Cristoforo Vaca de Castro) trionfa nel sanguinoso combattimento di Chupas (550 almagristi contro più di 600 pizarristi). L'almagrismo è debellato e lo stesso Almagro il Giovane, risparmiato in un primo momento, è poi giustiziato; ma il pericolo per la tranquillità pubblica viene ora dal pizarrismo e dal suo capo Gonzalo Pizarro, che apertamente taccia il re d'ingratitudine e contrasta il potere al suo rappresentante legittimo, Vaca de Castro.
La conquista intanto si è allargata immensamente. Da Quito (2640 km. da Cuzco), dove gli Spagnoli erano entrati fino dal 1534, un luogotenente di Pizarro, il Belnalcázar, procedeva su Pasto e sul Popayán, dove fondava Guayaquil, penetrava nella vallata del Cauca e in quella di Bogotá, si spingeva fino al Mare delle Antille; dall'Ecuador attuale Gonzalo Pizarro era arrivato sulle rive del Napo e Orellana raggiungeva il fiume delle Amazzoni; l'Alto Perù veniva esplorato sino alle frontiere del Gran Chaco; nel Chile Pietro di Valdivia si spingeva sino alle rive del Mapocho e fondava Santiago (1541). Le minuscole guarnigioni costituivano i primi nuclei delle future città spagnole, mentre le terre venivano assegnate in amministrazione e godimento utile al tempo stesso a conquistadores e ad avventurieri d'ogni specie in concessioni enormi dette repartimientos o (quando erano riconfermate agli eredi dei primi concessionarî) encomiendas, con larghe facoltà di reclutamento coattivo degl'indigeni a fini di lavoro (agricolo, minerario, trasporti in specie), con facoltà (a meglio sfruttarli) di vendere loro merci e prodotti d'ogni sorta a prezzi di monopolio e d'impero a un tempo. Carlo V, spinto anche dalle pressioni dell'elemento ecclesiastico impensierito della rapida distruzione degl'indigeni, emanava allora in Madrid, col nome di Nuove Leggi, delle ordinanze (1542) intese a dare ordine al conquistato paese: si costituiva con esse il Vicereame del Perù e si adottavano misure intese a proteggere gl'indigeni dallo sfruttamento omicida degli encomanderos spagnoli. Primo viceré mandato al Perù nel 1543 per applicare le nuove leggi fu Blasco Núñez Vela, che procedette così irruentemente e sanguinariamente nella bisogna da scatenare la ribellione degli encomanderos, i quali, non riusciti a trarre dalla propria Vaca de Castro, trovarono in Gonzalo Pizarro il loro degno esponente: il viceré, caduto prigioniero in combattimento contro di questo, venne strangolato per volontà del maestro di campo di Pizarro, il feroce Francisco de Carvaial, "il demonio delle Ande", com'era chiamato, di cui il viceré aveva ucciso il fratello. Allora Pedro de la Gasca fu dalla corte inviato al Perù con ampî poteri in veste e titolo di presidente dell'Audienza reale di Ciudad de Los Reyes (Lima). Revocate per il momento le disposizioni più ostiche agli encomanderos e scalzato per tal modo il potere del Pizarro, il La Gasca si avanza contro di lui con le forze lealiste raccolte lungo la costa e con quelle portateli dal Chile da Pedro de Valdivia. La forte posizione di Sacsahuana, sulla quale Pizarro conta di sbarrargli il passo, non viene mantenuta dal migliaio di pizarristi demoralizzati e vinti prima di combattere (9 aprile 1548). L'ultimo dei Pizarro, deciso a finire dignitosamente la torbida vita, si avvia al campo del La Gasca "per morire da cristiano" (dicono i contemporanei) e, condannato a morte con altri dodici caporioni, subisce la pena "con gran dignità, senza proferire parola". Anche il pizarrismo era finito e con l'esposizione sulla piazza di Lima della testa del "traditore Gonzalo Pizarro" finiva il periodo anarcoide della conquista: il Perù cessava d'essere un accampamento per diventare anche di fatto un vicereame spagnolo.
Organizzazione del vicereame. - L'instaurazione dell'ordine nuovo iniziata dal La Gasca, che prima di partire procedeva (tenendola però nascosta sino alla sua partenza) ad una riorganizzazione dei repartimientos ridotti di numero e di privilegi, veniva dopo brevi governi vicereali o presidenziali completata dal viceré Andrés Hurtado de Mendoza marchese di Cañete (1556-1561), il quale riuniva la prudenza e l'astuzia del La Gasca con l'energica e spregiudicata ostinazione di Blasco Núñez. Egli rimandava in Spagna o spediva alla ricerca e conquista di nuove terre o, se del caso, giustiziava senza pietà i più turbolenti dei conquistatori; mentre cercava di risolvere il problema politico fondamentale posto dalla conquista ma non ancora risolto. L'impero incaico era stato brutalmente rovesciato col terrore; ma il potere dell'Inca continuava a dominare spiritualmente il paese. Assassinato da un almagrista (Gomez Pérez) rifugiatosi presso di lui l'Inca legittimo Manco Capac, e morto quel Cristóbal Paullo, proclive agli Spagnoli, che il La Gasca gli aveva dato a successore, continuava a regnare venerato, dal suo recesso montano di Vilcacamba, un figlio del primo, Sairi Tupac. Il Mendoza riusciva ad intavolare trattative con lui ed a convincerlo a ridursi a Lima, dove gli assegnò una rendita di 20.000 ducati sulle encomiende di Sacsahuana e Yucay, insieme col titolo di adelantado. Non confacendogli anzi il clima fisico e, peggio, quello politico della residenza di Ciudad de Los Reyes, il viceré gli permise di andare a Cuzco, dove l'Inca, battezzato col nome di Diego, moriva tre anni dopo la sottomissione. La costruzione vicereale di cui il marchese di Cañete aveva posto le basi, si sviluppava rapidamente in pochi anni col viceré Francisco de Toledo, conte di Oropesa (1569-1881). Con lui veniva brutalmente tagliato il nodo gordiano, che il Cañete s'illudeva di avere sciolto: la persistenza di quella corte incaica, sia pure nominale, di Vilcacamba, "rifugio di ladroni", "covo del lupo" (dicevano gli Spagnoli), che costituiva l'ultimo inviolato sacrario degl'idoli religiosi e dello spirito nazionale indiano che alimentava di vane speranze l'irrequietudine del popolo vinto e veniva utilizzato dagli Spagnoli rivoltosi. Bisognava stanarne quel Tupac Amaru, figlio anche lui di Manco Capac, che vi regnava. Una colonna mista di Spagnoli e indigeni, entrata in Vilcacamba di sorpresa, s' impadroniva dell'Inca; un processo formalmente legale lo condannava a morte come "tiranno e traditore" e la testa di lui, discendente legittimo del più grande degli Inca, Huayna Capac, rotolava dal patibolo sulla piazza di Cuzco, come quella d'un qualunque avventuriero, d'un Almagro o d'un Pizarro o d'un Carvaial (1571). La tragedia colpiva l'anima del popolo indiano ben più della fine di Atahualpa, usurpatore, in fondo, del trono incaico: Tupac Amaru restava nei secoli l'eroe della razza oppressa e il suo patibolo il Calvario e il simbolo della resurrezione. Quando, due secoli dopo, sotto il governo del viceré Manuel Guirior (1770-1780), grande promotore del progresso intellettuale del Perù e ottimo amministratore, ma vittima del fiscalismo feroce del visitatore generale Areche, mandato al Perù come soprintendente della hacienda o gestione finanziaria, il cacicco di Tungasuca, don José Gabriel Condorcanqui, allevato tra creoli ma rivendicante la sua origine incaica, attizzerà contro i metodi della politica indigena spagnola e gli abusi e soprusi dei relativi esecutori, più che contro la Spagna, la tragica fiammata di quella specie di jacquerie india soffocata nel sangue (si calcola che circa 80.000 Indiani vi lasciassero la vita) dopo avere coperto di rovine e di stragi l'Alto e il Basso Perù; l'ultimo eroe nazionale indiano riprenderà il nome di Tupac Amaru e nel 1781 consacrerà a Cuzco con una morte anche più tragica dell'antenato lontano (sarà tirato a coda di cavallo, squartato e strangolato) il breve sogno di resurrezione della sua razza, se non forse (secondo alcuni almeno) quello più vasto e luminoso d'un Perù indio-iberico indipendente.
L'amministrazione di Francisco de Toledo non segna però soltanto la fine materiale e spirituale della dominazione incaica sul Perù; ma anche il coronamento, si può dire, della costruzione vicereale spagnola durata poi per quasi tre secoli. Mentre invero con le sue famose ordenanzas adottate dopo aver visitato minutamente nello spazio d'un quinquennio il paese, gettava le basi dell'organizzazione amministrativa locale; egli - a migliorare la sorte degl'indigeni, se non a risolvere radicalmente il problema indigeno - ne organizzava le relazioni col governo e con l'elemento dominante sulla base di più equi tributi (riscossione di essi da parte dei cacicchi o capi indigeni), d'una maggiore giustizia, d'una più effettiva e umana evangelizzazione (mirabile l'opera civile e umana di vecchi e nuovi ordini religiosi), d'una politica infine più favorevole a essi nel campo fondiario (richiamo coattivo e concentrazione dell'elemento spagnolo di preferenza nella città per lasciare più libera la campagna a quello indigeno) e in quello del lavoro. A quest'ultimo riguardo egli abolì il caotico e anarchico sistema di lavoro obbligatorio imposto agl'indigeni da tante autorità diverse (udienze, corregidores urbani, alcaldi e ufficiali regi, giù giù sino agli encomanderos) e per cento lavori diversi, e istituì invece una specie di coscrizione civile generale (la mita), con la ripartizione degl'indigeni sottoposti ad essa - mita privilegiata del mercurio, dell'argento, dell'oro; mita secondaria della terra arata, della vigna, della coca, ecc., sulla base della consistenza demografica delle varie regioni, in limiti quantitativi (da 1/7 a 1/5 della popolazione maschile atta al lavoro a seconda le varie mitas) - e con norme ben stabilite. Il problema indigeno era per il Solone peruviano un problema di terre: tolta all'indio la terra coltivabile per darla allo spagnolo, quella servitù, che in linea di diritto la corona, la Chiesa, i viceré volevano abolita, diventava in linea di fatto inevitabile; e con essa fatale la distruzione di quella razza indigena che pure per ragioni politiche ed economiche, non meno che religiose e umane, si voleva sinceramente salvare.
Però fra la conquista spagnola e l'amministrazione dell'Oropesa un fattore nuovo era venuto a complicare e dominare ormai completamente il problema indigeno: lo sviluppo rapido, cioè, dell'industria mineraria e con esso il problema della mano d'opera a fini non più agricoli soltanto, ma anche e soprattutto minerarî. Al vecchio Perù agricolo degli Inca era succeduto quello minerario degli Spagnoli.
Nel 1544 certamente - ma è probabile anche prima - si scopriva l'ammasso argentifero del cerro di Potosí e nel 1545 si creava la Villa Imperial de Potosí; col 1564 s'iniziava lo sfruttamento delle miniere di mercurio di Huancavelica e sorgeva per esse tra il monte e il fiume omonimo la Villa Rica de Oropesa; subito dopo Pedro Fernández de Velasco introduceva al Perù, nella produzione dell'argento, il nuovo metodo dell'amalgamazione (col mercurio), in luogo della fusione, scoperto poco prima (1554) nelle miniere messicane di Pachuca da Bartolomeo de Medina, e s'inaugurava la politica spagnola di associare l'argento al mercurio nel campo del lavoro (mita dell'argento e mita del mercurio) non meno che in quello economico-finanziario (libera la produzione dell'argento, ma monopolizzata quella pregiudiziale del mercurio). Argento e mercurio diventeranno così due poli dell'economia, i due fini massimi della dominazione iberica al Perù, e Potosí e Huancavelica arricchiranno, ma anche spopoleranno, il Perù con un sistema di lavoro troppo comodo al capitalismo minerario per essere abbandonato (nel 1603 Potosí impiegava 30.000 indigeni fra salariati e indios de cédula de repartimiento o mitayos, ma 5 di questi costavano su per giù al coltivatore delle miniere come un solo indiano salariato).
Così la servitù indiana attraverso la mita (ancora in piedi al principio del sec. XIX) e altre forme di lavoro, coatto in sostanza anche se formalmente libero (quello in particolare dei Janaconas, indiani esenti dalla mita e dal tributo, ma costretti in compenso a lavorare la terra del proprietario, tenendone per sé un piccolo appezzamento soltanto), come attraverso il repartimiento forzoso (ripartizione fra gl'Indiani della circoscrizione delle merci che i correadores - i funzionarî amministrativi locali sostituiti sempre più largamente agli encomanderos e chiamati da un viceré di spirito "dittonghi di commercianti e giudici"- facevano all'inizio della loro gestione e attuavano poi a prezzo di mille angherie anche se non sempre con profitti ad essa adeguati), si perpetuava al Perù, nonostante le contrarie intenzioni del governo, la condanna della Chiesa, le proclamazioni solenni della corona. Ancora nel 1657 il Padilla osava fare sulla condizione degl'indigeni delle rivelazioni, che riempivano d'orrore e spingevano a promulgare nuove e non meno vane leggi di protezione indigena (1664). Soltanto verso la fine del Settecento, repressa spietatamente la sollevazione indiana del Condorcanqui, l'amministrazione del viceré Jáuregui y Aldecoa (1780-84) si darà seriamente a studiare le cause del malcontento indiano e i rimedî relativi; e quelle dei successori Teodoro de Croix (1784-90) e Francisco Gil y Lemos (1790-96) cercheranno di migliorare le sorti della razza oppressa, col nuovo riordinamento amministrativo e tributario del vicereame promosso dalle ordenanzas regie del 28 gennaio 1782 (soppressione dei corregidores; divisione del vicereame in sette, salite poi ad otto, intendenze, suddivise alla loro volta in partidos; abolizione delle forme più odiose di entrate fiscali e loro sostituzione con altre meno vessatorie).
Le istituzioni e la società ispano-peruviana. - Il vicereame del Perù abbracciava nei secoli XVI e XVII la massima parte del Sud-America spagnolo: col sec. XVIII però esso andava via via restringendosi con la creazione del vicereame della Nuova Granada (1739) e più tardi (1778) del vicereame di Buenos Aires, comprendente anche l'Alto Perù, e della capitaneria generale di Santiago del Chile (1778). Sottoposto strettamente e direttamente alla corona di Castiglia prima ancora che al governo della monarchia spagnola, organo legislativo e giudiziario supremo dell'amministrazione centrale era per esso il Consejo supremo da Indias con la sua Camera reale (Cámara da Indias), incaricata fra l'altro del patronato delle chiese coloniali i cui capi, anche se confermati dal papato, saranno così designati dalla corona e da essa direttamente verranno a dipendere.
Nella seconda metà del Settecento soltanto, con la creazione sotto Carlo III di Borbone d'uno speciale ministero per le colonie, il Consiglio supremo delle Indie verrà perdendo la sua importanza e autonomia. L'altro organo fondamentale dell'amministrazione centrale era costituito dalla Casa de la Contratación, una specie di camera di commercio e tribunale commerciale ad un tempo per le colonie, sedente a Siviglia, trasportata a Cadice nel 1717 e soppressa soltanto nel 1790.
Il governo coloniale era affidato a un viceré, dapprima triennale, poi (sec. XVIII) quinquennale; capo civile e militare supremo di nome, ma di fatto nulla-più d'un fastoso commissario regio, incaricato di sorvegliare un'ammìnistrazione, la nomina dei cui capi era riservata alla corona. Soggetto durante la carica all'eventuale ispezione (visita) di commissarî del governo centrale (visitadores) e sottoposto, uscito da essa, ad una specie d'inchiesta (residencia) condotta sul luogo da un giurista designato dal Consiglio delle Indie, il viceré ("gigante di bronzo dai piedi di creta", come si autodefiniva il marchese di Montesclaros) vedeva limitato il suo potere da quello dell'Udienza reale di Ciudad de Los Reyes (Lima), corpo politico di controllo e di consultazione (oltre e più ancora che tribunale vicereale supremo), composto di membri nominati dalla corona e con essa direttamente corrispondenti, davanti al quale erano appellabili le decisioni del viceré. Una specie di Corte dei conti (Tribunal de cuenta) e una Camera del tesoro (Cajareal) erano preposte all'amministrazione finanziaria del vicereame. Questa (la Real Hacienda) costituiva la parte più delicata delle funzioni del viceré: le altre, se gli avanzavano tempo e voglia, erano la politica indigena in quanto difensore degl'indigeni, gli affari del culto in quanto patrono vicereale delle chiese, la difesa militare in quanto capitano generale e ammiraglio. Il territorio del vicereame non rientrante sotto la giurisdizione diretta dell'Udienza reale di Lima, era ripartito fra le Udienze ordinarie (nel sec. XVII Charcas, Quito e Chile), organi giurisdizionali-amministrativi dipendenti direttamente dal governo vicereale e con esso solo comunicanti. Sotto le Udienze stavano i governi (gobiernos), i distretti di corregidor (corregimientos), le castellanie (alcaldias mayores). Nessuna partecipazione degli abitanti all'amministrazione locale, tranne nelle città, alla cui amministrazione presiedevano consigli municipali (cabildos) costituiti, oltre che di alcades, di regidores elettivi e dotati nei primi tempi di fueros analoghi a quelli delle città metropolitane. Dal punto di vista militare tutti i coloni, in linea di principio, erano soldati e costituivano delle milizie permanenti; ma queste, di carattere puramente locale anziché inquadrate in un'organizzazione unitaria, male armate e ripartite a seconda della razza o della professione o della condizione sociale, pure ascendendo il numero loro sulla carta a cifre cospicue (nei primi del sec. XVIII 100.000 uomini di sola fanteria), non erano buone in realtà che per le spedizioni contro gli indios bravos (indigeni non sottomessi) o per il mantenimento dell'ordine pubblico. Con la seconda metà del sec. XVIII soltanto si stabiliranno truppe regolari (tropes veteranas) accanto alle milizie provinciali e a quelle rurali e urbane. Cabildos e milizie provinciali comunque, per la loro stessa costituzione in prevalenza creola e meticcia, rappresenteranno l'elemento nazionale dominato di fronte a quello spagnolo dominatore, al quale soltanto sono riservati gli uffici superiori civili, militari e perfino ecclesiastici.
Una posizione di prim'ordine aveva infine la Chiesa anche dopo, a non dire prima, della riscossa del potere regio contro i suoi privilegi durante le amministrazioni vicereali del conte di Superunda (1745-1761) e più ancora di Manuel Amat y Junient (1761-1771), che cacciava dal Perù i gesuiti, e il venir meno della potenza dell'Inquisizione; immense le sue proprietà, che costituivano una manomorta di estensione enorme (la sola proprietà edilizia di essa nella sola Lima abbracciava nel 1790 1135 edifici su un totale urbano di 3941); grandi i suoi privilegi giurisdizionali e civili; formidabili le sue entrate (la decima fra esse), superiori nel 1788 alla metà delle entrate pubbliche del vicereame (2.294.000 pesos di fronte a 3.959.065).
Dal punto di vista economico, massimo, a non dire unico, obiettivo della Spagna al Perù era la produzione mineraria, per i proventi da essa assicurati al fisco, prima ancora che per i lucri conseguibili dai privati; trascurata invece l'agricoltura, la quale con l'abbandono e la rovina delle opere d'irrigazione dell'epoca incaica da una parte, col regime fondiario a base di encomienda, manomorta e maggiorasco e con la rarefazione crescente della mano d'opera indigena dall'altra, veniva col dominio spagnolo regredendo; ostacolata indirettamente, quando non proibita direttamente, ogni forma di industria manifatturiera; sorvegliato infine gelosamente e imbavagliato il commercio. Era questo riservato di nome ai nazionali (anzi, fino al 1775, ai soli Castigliani), ma monopolizzato di fatto dalla Universidad de mercadores, la potentissima corporazione mercantile di Lima, riconosciuta definitivamente nel 1627 e retta dal Consulado de Lima costituito di un priore e due consoli, con l'assistenza di un certo numero di deputati, eletti dai mercanti. Tale commercio veniva fatto attraverso l'Istmo di Panamá, dove arrivavano dalla Spagna e per essa ripartivano le merci destinate al Perù o da esso provenienti. Era adibito alla bisogna un convoglio speciale, la cosiddetta "flotta dei galeoni" che partiva annualmente dal porto di Siviglia (col 1720 da quello di Cadice) e faceva capo a Porto Bello: da Porto Bello a Panamá, dove arrivava il naviglio peruviano, le merci erano portate a dorso di mulo. Il commercio diretto del Perù con le altre colonie americane della stessa Spagna venne proclamato libero nel 1774 soltanto, e ancora più tardi (nel 1788) quello fra il Callao (porto di Lima) e 13 porti spagnoli: ma bisognava attendere altri 20 anni, fino al 1808, perché s'instaurasse una piena libertà di commercio tra il Perù e la stessa madrepatria.
In questo ordinamento vicereale, che segregava gelosamente il Perù dal resto del mondo, persino ispano-americano, e nel quale sotto le apparenze dell'accentramento unitario stava l'anarchia prodotta dall'immunità di ceti, d'istituti, d'individui, e l'esclusione dei nativi (creoli compresi) da ogni partecipazione alla vita politica e perfino amministrativa, si accompagnavano la mancanza di libertà individuale e l'intolleranza religiosa rappresentata, come nella metropoli, dall'Inquisizione; e si veniva plasmando nel corso di quasi tre secoli la società ispano-peruviana. Verso la fine di tale periodo, nel 1790 (secondo dati ufficiali dell'epoca), il Perù comprendeva 1.300.000 abitanti (di essi 800.000 indigeni, 200.000 tra creoli e Spagnoli, 300.000 meticci) ripartiti fra 10 città (massima fra esse Lima con 52.000 ab. di cui 17.000 tra creoli e Spagnoli, il resto Negri, Indî, meticci, zambos e mulatti), 481 doctrinas e 963 pueblos: il vicereame ritraeva (nel 1788) 3.959.065 pesos di entrate, mentre doveva spenderne 4.638.937 e mandare per di più annualmente alla madrepatria somme cospicue (nel 1802 e 1803 per non meno di 2 milioni di pesos; nel 1804 per 1.200.000), il che spiega con lo stato cronicamente malsano delle finanze pubbliche lo sfruttamento fiscale, accanto all'oppressivo assoggettamento politico, del paese. La base della società ispano-peruviana era costituita dalla razza indiana decimata, sfruttata e conculcata con la servitù del lavoro esistente ancora di fatto accanto alla schiavitù dei Negri importati dall'Africa (v'erano allora 40.000 schiavi); il vertice di essa da quell'oligarchia economica, costituita dalla proprietà fondiaria dell'impresa mineraria e della corporazione dei mercanti, la quale si sovrapponeva, insieme con la Chiesa, al potere vicino ma nominale del viceré, per non dire a quello lontano della corona.
Il Perù indipendente. - Nonostante la decadenza e la trascuranza della madrepatria, il Perù costituiva pur sempre, all'aprirsi del sec. XIX, il centro politico, morale e militare della Spagna nel continente sudamericano; e ciò - insieme col maggiore isolamento geografico, politico ed economico - spiega come il movimento d'indipendenza al Perù si svolga più tardi degli altri paesi sudamericani, tanto da apparire, più che un moto originale, un contraccolpo degli avvenimenti di questi. Non già che mancasse anche al Perù, col malcontento generale, quell'aspirazione vaga ad una società nuova, di cui erano testimonianze e lievito al tempo stesso voci e atti individuali e sporadici di ribellione (notevole la cospirazione dell'Aguilar, giustiziato insieme con l'Ubalde nel 1806); ma il peso delle istituzioni tradizionali, il lealismo monarchico, i legami del sangue, l'incognita degl'Indî, prevalevano di gran lunga sulle tendenze secessionistiche, e il vicereame del Perù non solo poteva nei due primi decennî dell'Ottocento superare la crisi del regime metropolitano, ma anche - ricuperando l'Alto Perù - minacciare la stessa Buenos Aires a sud-est, fare al sud una campagna di riconquista del territorio chileno, mantenere al nord l'obbedienza di Quito e Guayaquil. Solo quando la Spagna avrà perduto il Chile (1818) e le forze colombiane del Bolívar si saranno impadronite dell'Ecuador (1822), la sorte della Spagna nel Perù sarà decisa.
Emancipatosi invero il Chile con le vittorie di Chacabuco e di Maypo del 1817 e 1818, la piccola marina di esso agli ordini di lord Cochrane, nel 1820 getta 5000 Argentino-Chileni, al comando del generale argentino San Martín, l'eroe di Chacabuco, sulle coste del Perù; il 28 luglio 1812 le milizie liberatrici s'impadroniscono di Lima e tra l'entusiasmo popolare vi proclamano l'indipendenza del paese, di cui il 3 agosto successivo lo stesso San Martín è acclamato "dittatore supremo". Il 20 settembre 1822 il San Martín rassegna i suoi poteri e il Congresso, in cui è passato il potere sovrano, elegge nel febbraio 1823 a presidente della neonata repubblica l'energico ma poco abile José de la Riva-Agüero, che viene poco dopo deposto. La resistenza spagnola però, incoraggiata e aiutata dalle mene dei realisti, continua a Callao come nell'interno del paese; rendendosi così necessario ai patrioti l'aiuto e l'intervento colombiano. Simone Bolívar muove su Lima nel settembre 1823, organizza le forze militari peruviane e riporta il 6 agosto 1824 a Junín, presso Chinchaicocha, una segnalata vittoria su quelle vicereali, che vengono poi definitivamente sconfitte ad Ayacucho il 9 dicembre 1824 dal luogotenente di Bolívar, il generale Sucre, da lui lasciato al Perù. La disperata carica, con la quale i 6000 uomini del Sucre tentano di aprirsi un varco tra i 10.000 veterani spagnoli del viceré La Serna, si converte nella brillante vittoria, con la quale - arresosi il viceré e infrante le sue forze - cessa di fatto la dominazione spagnola al Perù; anche se una vana resistenza locale continua a Callao col Rodil sino al 22 gennaio 1826 e nessun riconoscimento formale dell'indipendenza viene al Perù da parte della Spagna.
Con l'indipendenza, il Perù non riacquistava però la sua unità storico-geografica: l'Alto Perù, agognato dalle neonate repubbliche del Río de la Plata e del Perù, da ambedue lasciato (formalmente almeno) libero di decidere della propria sorte, nel congresso di Chuquisaca si proclamava invece indipendente col nome di Bolivia (11 agosto 1825). Né d'altra parte riusciva al Bolívar, infrantosi nel congresso ispano-americano del 1826 il più grande sogno d'una federazione sudamericana analoga a quella nordamericana, di costituire per lo meno una più ristretta confederazione tra Perù, Bolivia e Colombia con una capitale unica e un capo unico a vita con poteri dittatoriali. Le forze centrifughe del separatismo provinciale e del personalismo, ereditate dal dominio spagnolo, trionfarono al Perù non meno che negli altri paesi: quantunque esso pure, sotto la pressione delle baionette colombiane, avesse adottato (al pari di Quito e Guayaquil) la costituzione di tipo monarchico più che repubblicano della Bolivia, cioè il famoso Código boliviano, opera di ispirazione personale dello stesso Bolívar.
Non appena invero il Libertador si allontanava dal paese (settembre 1826), lasciandone il governo allo scaltro generale Andrés Santa Cruz, un meticcio boliviano di Guarina, come presidente del Consiglio supremo, il fermento già vivo contro le spadroneggianti soldatesche libertadoras della Colombia scoppiava in ribellione aperta. Nel marzo 1827 esse venivano scacciate e un cabildo provvisorio chiedeva e otteneva dal Santa Cruz la convocazione d'un Congresso, il quale, abrogata la carta di Bolívar un "imposta (diceva) colla violenza e adottata contro la volontà del popolo", il 16 giugno 1827 ristabiliva provvisoriamente (la nuova si avrà nel 1828) la costituzione del 1823: in luogo del Santa Cruz dimissionario veniva eletto a presidente José de La Mar, il generale che aveva comandato ad Ayacucho le forze peruviane. Costui, esposto all'interno agli attacchi dei bolivaristi e minacciato all'esterno dai preparativi militari del generale Sucre, presidente della Bolivia, faceva invadere questa dal generale Gamarra con 5000 uomini per rovesciare lì pure, insieme con la costituzione, il presidente bolivarista. Col trattato di Piquiza (6 luglio 1828) il Sucre si ritirava dalla Bolivia, dopo avervi però designato a succedergli l'avversario della fazione trionfante al Perù, il generale Santa Cruz.
Il La Mar moveva allora contro la stessa Colombia per il possesso delle provincie di Jaén e los Maynas, che a lui - nativo di Guayaquil - era necessario per avere titolo alla presidenza del Perù, secondo la nuova costituzione del 1828; ma veniva vinto a Portete de Tarqui, in provincia di Quito, il 25 febbraio 1829 e doveva capitolare a Girón. Della disgrazia di lui approfittava per catturarlo ed imbarcarlo per l'America Centrale, il generale Gamarra; mentre in Lima un complice di questo, il La Fuente, s'impadroniva del potere e convocava un'assemblea con la segreta speranza d'essere eletto alla presidenza. Questa toccava invece per quattro anni nell'agosto del 1829 al Gamarra, lo zambo dissimulatore e astuto il quale doveva la sua fortuna e il suo ascendente soprattutto alle grazie della moglie, un'amazzone bella e intrepida che sollevava il fanatismo delle soldatesche e del popolo: al La Fuente non restava che la vicepresidenza.
Dopo avere esercitato il potere a favore di amici e clienti, il Gamarra male si adattò nel 1833 a lasciarlo; e l'anarchia militare riprese più viva tra colpi di mano, pronunciamenti della capitale, dittature più o meno effimere e presidenze più o meno legali; mentre dalla Bolivia, dove col 1829 è riuscito ad afferrare stabilmente e con buoni risultati il potere, il Santa Cruz riprende il disegno, non privo di nobiltà anche se da lui, come da ogni buon caudillo, perseguito a fini personali soltanto, di riunire l'Alto col Basso Perù, immischiandosi nelle vicende interne di quest'ultimo. Accordatosi col presidente peruviano Orbegoso e vinto a Yanacocha il rivale di questo, Gamarra, il Santa Cruz viene vinto a sua volta ad Uchumayu dal nuovo presidente Salaverry, il focoso soldato di Ayacucho e sdegnoso poeta popolare, nativo di Lima, ma oriundo basco. Riprende però la sua rivincita a Socabaya e, fatto prigioniero il Salaverry, lo fa pochi giorni dopo fucilare in Arequipa; delitto che commuove, nonché il Perù, l'intera America Meridionale. Nell'ottobre del 1836 si proclama ad ogni modo la confederazione boliviano-peruviana col Santa Cruz come "maresciallo protettore"; finché questi - avversato anche dall'Argentina e dal Chile - non viene vinto a Yungay il 20 gennaio 1839 dai Chileni, entrati nel Perù agli ordini del Bulnes, e dai Peruviani del Gamarra. Questi, ritornato alla presidenza peruviana, riprende per conto proprio i disegni unionisti del Santa Cruz; ma, immischiatosi nelle lotte interne della Bolivia ed entrato in essa, viene sconfitto dal vicepresidente boliviano Ballivian nella battaglia di Ingavi, in cui perde la vita (18 novembre 1841). Si succedono rapidamente al potere, dopo di lui, il generale Torrico e il generale Vidal (1843) e quindi (aprile 1843-aprile 1845) un rigido dottrinario, di tendenze dittatoriali, il Vivanco; finché non riesce all'oppositore di questo, un caudillo di Tarapacá, antico capitano dell'esercito spagnolo, passato, dopo la sconfitta di Chacabuco, dalla parte degl'insorti e distintosi ad Azacucho, Ramón Castilla, di dominare con le armi la situazione e da assertore pugnace della legalità (come era stato fino allora) di ottenere da regolari elezioni la presidenza.
Con la presidenza del "Gran Maresciallo" (1845-1851) il Perù Comincia finalmente ad avere, con la sensazione della stabilità e Continuità politica, un'azione di governo rivolta al progresso civile ed economico del paese (telegrafi, 1847; e poi, 1851, ferrovia tra Lima e Callao; consolidamento del debito interno e servizio di quello estero, ecc.) e vede alla fine di essa il potere passare legalmente e pacificamente (era questa la prima volta che avveniva ciò) nelle mani del successore, il generale José Rufino Echenique. Alla presidenza di questo, notevole per la sua politica liberoscambista e per gl'incoraggiamenti all'immigrazione europea, ma turbata da un conflitto con gli Stati Uniti per le isole Lobos (tuttavia felicemente appianato) e da movimenti insurrezionali (l'ultimo dei quali capeggiato dallo stesso Castilla), succederà una seconda presidenza Castilla (1858-1862). Più che per l'emancipazione degli schiavi e l'abolizione del tributo degl'Indî, misure più nominali che reali adottate per controbilanciare gli eccessi politici della dittatura, la seconda presidenza Castilla è notevole per l'opera riformatrice (abolizione della pena di morte, soppressione dei fueros ecclesiastici e militari e delle decime, ecc.) della Convenzione sotto di lui radunatasi, ma con lui ben presto venuta in urto e da lui sciolta dopo averne ottenuto lo strumento migliore per fabbricarsi più docili assemblee, il suffragio universale: frutto di essa la nuova costituzione del 10 novembre 1860, che fissava in 4 anni il periodo presidenziale e stabiliva una divisione netta fra i tre poteri: esecutivo, legislativo, giudiziario. In conformità con questa si avevano le elezioni del 1862 e la presidenza del generale Miguel San Román, che moriva poco dopo e veniva sostituito col vicepresidente generale Juan Antonio Pezet, sotto il quale scoppiava la guerra aperta con la Spagna. Sorto un conflitto tra cittadini peruviani e sudditi spagnoli e rimasti uccisi alcuni di questi, la Spagna, che col tempo si era rassegnata a stringere col Perù relazioni di carattere consolare ma non diplomatico, inviava nella strana veste di "commissario speciale" ad appianarvi la vertenza il Salazar y Mazarredo, che come tale non veniva naturalmente riconosciuto dal Perù.
La Spagna allora mandava nel 1862 una piccola squadra agli ordini dell'ammiraglio Pinzón ad occupare le isole Chincha; occupazione che, venendo incautamente presentata sotto l'aspetto di rivendicazione di diritti spagnoli non estinti, sollevava un vespaio in tutte le nazioni ispano-americane, e spingeva il governo spagnolo a sostituire il Pinzón con l'ammiraglio Pareja. Un accordo stipulato fra questo e il generale Vivanco a bordo della Città di Madrid e ratificato il 2 febbraio 1865 dal presidente Pezet, sconfessava bensì la caratteristica politico-territoriale dell'occupazione spagnola, ma in tutto il resto era sfavorevole al Perù, che insorgeva col colonnello Mariano Ignacio Prado, prefetto di Arequipa. Nel novembre 1865, rovesciato il Pezet e deposto dall'elemento militare il vicepresidente generale Canseco, renitente ad accettare con la dittatura la guerra, assumeva la dittatura il Prado. Questi rigettava il trattato Pareja Vivanco e nel gennaio 1866 dichiarava guerra alla Spagna in unione col Chile, di cui pure la Spagna aveva nel frattempo bloccato i porti perché solidarizzante col Perù.
Bombardato alla fine di marzo senza ragione il porto chileno indifeso di Valparaiso, e senza successo il 2 maggio quello peruviano di Callao, il nuovo ammiraglio spagnolo Méndez Nuñez toglieva il blocco (9 maggio 1866) e si ritirava dalle acque del Perù. Le ostilità non si rinnovavano ma bisognava arrivare all'11 aprile 1871 per avere, grazie alla mediazione degli Stati Uniti, l'armistizio di Washington di durata non definita; e, più tardi ancora, al 14 agosto 1879, perché Spagna e Perù potessero contrattualmente chiamarsi nazioni amiche. Continuava intanto all'interno per quanto combattuta dal colonnello José Balta e dal Canseco (sostenuto dall'antico e popolarissimo presidente Castilla, suo cognato), la dittatura moralizzatrice del Prado. Rovesciata la quale nel 1867 e rimesso al potere il Canseco, veniva eletto presidente l'anno dopo il Balta, uomo violento ma fermo e grande promotore dello sviluppo economico d'un paese di più d'un milione e mezzo di kmq. di superficie e di circa 3.000.000 di ab., che tre secoli di dominazione spagnola e mezzo secolo di guerre e rivoluzioni continue avevano mantenuto a un livello quanto mai basso di vita economica e civile, se pure se ne eccettui la elegante e mondana capitale Lima, "el paraíso de muieres". S'intensifica lo sfruttamento dei giacimenti costieri di guano, iniziato col 1840 (da 5000 tonn. nel 1848 si passava a 600.000 nel 1872) e quello dei nitrati (l'esportazione di essi nel 1875 arriverà alle 300 e più mila tonn.); si costruiscono febbrilmente ferrovie, che nel 1880 arriveranno ai 1500 km.; si scavano nuove miniere d'oro (Huacho, 1871); si fanno grandi lavori pubblici: le entrate fiscali del guano e dei nitrati rimangono inferiori alla bisogna e col moltiplicarsi dei debiti esteri (1869, 1870, 1872) il debito pubblico sale paurosamente. Alla fine della sua presidenza il Balta viene assassinato in un pazzesco tentativo dittatoriale del suo ministro della Guerra Gutiérrez, al quale egli non vuole prestarsi; ma si tratta soltanto di un episodio e la vita politica ritorna subito alla normalità col presidente neoeletto, il democratico Manuel Pardo (1872-76), statista onesto e illuminato. Si aveva con lui un laborioso processo di revisione e risanamento dell'amministrazione, una cura più larga per l'istruzione pubblica, una più sistematica valorizzazione agricola del paese, grazie in particolare all'immigrazione di coolies cinesi e giapponesi (fra il 1860 e il 1872 se ne erano stanziati al Perù oltre 50.000), regolata con accordi internazionali; ma, non ostante la migliore volontà, non si riusciva a rimediare agli effetti della politica finanziaria del Balta. Il bene avviato rinnovamento civile ed economico del paese urtava però disgraziatamente, durante la presidenza del suo successore, generale M. I. Prado (1876-79), in una nuova guerra esterna: la cosiddetta "guerra del Pacifico" (1879-84), combattuta a causa di quella regione costiera, allora boliviana, dell'Atacama, su cui si appuntavano, con la cupidigia, le estreme speranze finanziarie del Perù, ora che i suoi giacimenti di guano erano prossimi ad esaurirsi. Però una convenzione del 1866 stipulata dal Chile con la Bolivia per lo sfruttamento economico in comune del territorio fra il 23° e il 25° parallelo e la ripartizione fra i due stati dei relativi proventi fiscali, pure fissando la frontiera boliviana chilena al 24° parallelo, non aveva tardato a trasformare tale regione in una dipendenza economica e sociale del Chile con l'afflusso di emigranti e capitali chileni. Né basta: la Bolivia, la cui storia non era stata sino dai primi giorni dell'indipendenza che una "lotta geografica" col Perù, non aveva sul Pacifico che quel balcone territoriale con Antofagasta, Mejillones e Cobija come vie d'accesso; ché la parte migliore del paese, estendentesi sino al 10° di lat. sud, era tributaria commercialmente del Perù, padrone del porto di Mollendo. Mentre così il Perù era interessato allo sviluppo del traffico boliviano nella direzione di Mollendo non meno che ansioso di annettersi la costa boliviana, la Bolivia, nonché adattarsi alla sua situazione economico-giuridica, rivendicava contro il Chile l'intera zona salnitrifera fino al 26° parallelo: in ciò essa veniva naturalmente appoggiata dal Perù, che nel 1873 le garantiva in un trattato di alleanza l'integrità territoriale, riservando però a sé soltanto il giudizio sulle condizioni d'intervento in un eventuale conflitto.
Quando perciò il Perù, avendo imposto un dazio d'uscita sul salnitro col risultato di vedere l'esportazione boliviana disertare i suoi porti a favore di quelli chileni, chiese alla Bolivia d'imporre essa pure dazî di uscita sui salnitri dell'Atacama, la Bolivia accettava la proposta peruviana, nonostante le disposizioni in contrario d'un accordo stretto da essa nel 1874 col Chile. Questo, allora, dichiarata rotta la convenzione chileno-boliviana in vigore, occupava militarmente e si annetteva l'intero territorio boliviano posto al sud del 23° parallelo (5 aprile 1879). Era la guerra, sul cui esito trionfale Bolivia e Perù non nutrivano il minimo dubbio; ma che vide invece le forze navali del Chile, senza confronto superiori, padroneggiare ben presto le coste nemiche (nonostante le lepidezze, troncate dalla morte, del comandante peruviano Grau col suo vascello-fantasma, lo Huáscar) e le truppe chilene non solo invadere la Bolivia, ma sbarcare a Pisagua e battere a Dolores il 19 novembre 1879 quelle riunite dei due presidenti della coalizione nemica (il Prado e il Daza). La sconfitta, com'era facile prevedere, sconvolgeva politicamente i paesi vinti, rovesciandone i presidenti per fare luogo a dittatori (il generale Piérola nel Perù; il generale Campero in Bolivia); mentre le forze chilene, sviluppando il loro piano, puntavano su Lima e La Paz, isolandole dalle forze peruviane e boliviane concentrate nelle regioni di Arica e di Tacna. Riportata a Tacna il 25 maggio 1880 una vittoria decisiva ed arresasi due settimane dopo Arica, i Chileni potevano alla metà di gennaio del 1881 entrare in Lima, dopo avere tolto sanguinosamente ai Peruviani le posizioni ritenute inespugnabili di Chorrillos e Miraflores difese da 22.000 uomini. La lotta tuttavia continuava per altri due anni, nonostante i tentativi di mediazione (nordamericana) e di pace, avvelenando anche per il futuro i rapporti fra le due nazioni; finché non si veniva il 20 ottobre 1883 alla stipulazione del trattato chileno-peruviano di Ancón (ratificato però il 28 marzo 1884). Per esso il Perù non solo doveva cedere definitivamente al vincitore Tarapacȧ, che era in sostanza un campo minerario da tempo sfruttato con braccia e capitali chileni; ma anche provvisoriamente (per dieci anni) quelle provincie settentrionali di Tacna ed Arica, che pure non avendo una grande importanza economica erano con i loro 30.000 ab. e la loro posizione strategica parte integrante della vita nazionale peruviana, salvo decidere dopo il decennio, in base a un plebiscito popolare, se dovessero ritornare al Perù o rimanere definitivamente al Chile. Nel frattempo però la questione, lungi dall'avviarsi a soluzione, veniva a complicarsi ancor più attraverso la clausola del tardivo trattato di pace fra il Chile e la Bolivia (lo scambio delle ratifiche relative si aveva solo il 30 aprile 1898, pur essendo la guerra cessata con la tregua di Santiago del 29 novembre 1884), che toglieva bensì alla Bolivia l'intera zona costiera sul Pacifico, ma le garantiva un accesso all'Oceano o mediante trasferimento ad essa di Tacna ed Arica, se fossero rimaste al Chile, o mediante cessione d'un altro tratto della costa. Un protocollo addizionale chileno-peruviano del 26 gennaio 1894, relativo alle modalità del plebiscito, forniva anzi per il Chile argomento ulteriore di dilazione; cosicché la questione di Tacna ed Arica, lungi dal venire risolta, nonostante perfino un arbitrato della regina reggente di Spagna, a bell'arte arenatosi nelle secche parlamentari del Chile, veniva inasprendosi ancor più, turbando gli stessi rapporti fra Perù e Bolivia, dopo la (momentanea per lo meno) sistemazione nel 1904 della vertenza fra il Chile e la Bolivia su basi diverse da quelle del 1895 (compensi economico-finanziarî e ferroviarî - La Paz-Arica - anziché territoriali): la Bolivia nel 1919-20 portava la questione davanti alla Società delle nazioni, mentre il Perù, che si accostava nel frattempo all'Argentina, riponeva le sue speranze soprattutto nella politica nordamericana del Pacifico, interessata all'amicizia con il Perù.
La guerra del Pacifico (1879-1884) e la prosecuzione semisecolare di essa (1885-1929) sul terreno politico-diplomatico avevano, naturalmente, la più larga ed aspra ripercussione nella politica interna del Perù, identificantesi dolorosamente ancora una volta con la lotta dei partiti, anzi delle fazioni personali. Durante la guerra, le sconfitte militari prima, le imposizioni poi dei Chileni invasori, che occuparono per due anni la capitale, provocavano successivamente la caduta del presidente generale Prado (1879) e del suo successore generale Piérola (1881) non meno che del Calderón, creato sotto la protezione delle stesse baionette chilene (1881); finché nel 1883 veniva eletto, col consenso del Chile, il generale Iglesias per negoziare la pace. Compiuto questo duro dovere, egli abdicava, e saliva una prima volta (1886) alla presidenza, col favore pubblico, l'uomo della resistenza e dell'onore nazionale, il generale Cáceres, che doveva liquidare a prezzo di onerosi sacrifici (cessione a privati dell'esercizio ferroviario e dello sfruttamento del guano) le conseguenze finanziarie della guerra.
Dopo l'amministrazione (1890-94) di R. M. Bermúdez, il Cáceres ritornava una seconda volta al potere, ma col sistema inveterato del colpo di mano, della cuartelada; finché i due partiti dominanti (il civile e il democratico) non si riunivano insieme per rovesciarlo nel marzo 1895.
Con i successori, in particolare con Nicolas de Piérola (1895-1899) e col nemico politico e personale di lui, José Pardo y Barreda (1904-1908), figlio di Manuel Pardo, uomini di opposte tendenze ma di pari fattività e capacità, si apriva per il Perù un'epoca di lavoro e progresso notevole nel campo finanziario ed economico; ma non per questo disarmava la bassa politica delle fazioni personali (i Piérola contro i Pardo e viceversa), cui nella mancanza d'una differenziazione di programmi e d'una idealità politica si erano ridotti, diversi solo per il nome, i varî partiti: civile, costituzionale, democratico, liberale, ecc. Alla prima presidenza Pardo y Barreda succedeva quella di Augusto Bernardino Leguía, pure appartenente al partito civile. Questo metteva radici; la tradizione civile di Manuel Pardo s'imponeva; il Perù cominciava a ribellarsi al caudillismo: bisognava dunque finirla col civilismo e i suoi esponenti. Ed ecco il famigerato sabado negro, in cui i fratelli dell'ex-presidente Nicola Piérola, senza un piano politico preordinato, sorprendono nel suo gabinetto di lavoro e traggono a ludibrio per le vie della capitale stupita o indifferente, fin sotto la statua equestre del Bolívar, il presidente Leguía; il quale per un caso soltanto ha salva la vita e può reprimere la turpe e ridicola rivolta; approfittando anzi di essa per liquidare il pierolismo. Liquidati però i Piérola, la lotta si accende nello stesso civilismo, i cui capi si dividono e combattono: ora è la volta dei Pardo contro i Leguía. Eletto presidente del Congresso, nella mancanza di risultati legali delle elezioni del 1912, il Billinghurst e rovesciato questo nel 1914 da un ramo del civilismo insorto, la presidenza - dopo un anno e mezzo di dittatura del colonnello Oscar E. Benavides - tornava nel 1915 a José Pardo y Barreda in un periodo di grande prosperità economica provocata dalla guerra mondiale (richiesta crescente di zucchero, cotone e rame); e, deposto il Pardo nel 1919, di nuovo al Leguía, sotto il quale un'assemblea costituente dava una nuova costituzione al Perù (18 gennaio 1920) in luogo di quella del 1860. Il Leguía poteva questa volta, con provvedimenti molto discussi, mantenersi al potere sino al 1930, quando veniva egli pure deposto; e si succedevano allora in soli sei mesi (fine d'agosto 1930 - primi di marzo 1931) ben quattro presidenti (Ponce, Sánchez Cerro, Leoncio Elías, Jiménez); finché non riusciva ad uno di questi, il generale Sánchez Cerro, di ritornare per un più lungo periodo alla presidenza (8 dicembre 1931-30 aprile 1933), ma per perdervi poi la vita. Pochi giorni prima del suo assassinio, un'assemblea costituente dava al Perù una nuova costituzione (9 aprile 1933), e in base ad essa saliva di nuovo al potere il generale Benavides per un termine presidenziale scadente con l'8 dicembre 1936.
Fatto confortante però in mezzo alla turbinosa vicenda delle fazioni politiche è nella storia più recente del Perù il costante progresso economico-demografico all'interno, che si completa con la sistemazione dei confini nei rapporti con l'estero.
Alla base della vita peruviana restava ancora, come all'epoca della conquista, la massa indiana; e di questa il Perù (risultati vani gli sforzi fatti, dopo la guerra mondiale in specie, per incoraggiare l'immigrazione europea di massa) cercava negli ultimi anni sia di elevare le condizioni di vita (nel 1927 si abolivano le ultime sopravvivenze di peonaggio, avanzo della servitù della gleba), sia di promuovere l'assimilazione sociale con la razza creola dominante.
Quello che l'antica razza dominata si rivelava ogni giorno più durante l'ultimo mezzo secolo nell'assetto demografico del Perù, si rivelava l'agricoltura nell'assetto economico: base indefettibile la prima della nuova nazionalità; base ogni giorno più larga e sicura della nuova economia del paese la seconda. Territorio, dopo la conquista spagnola e il decadimento dell'antica agricoltura incaica, essenzialmente - a non dire esclusivamente - minerario, con la sua produzione straordinaria d'argento, di mercurio e d'oro, cui intorno al 1840 si aggiungeva quella del guano e più tardi del salnitro; il Perù nella seconda metà dell'Ottocento ritornava progressivamente all'agricoltura, per quanto arretrata, nelle haciendas o grandi proprietà non meno che nelle chacras o piccole tenute. Ma era la coltura irrigua in specie, che dischiudeva i più vasti orizzonti in materia, con le ricche coltivazioni alimentari (zucchero in specie) e industriali (cotone); al tempo stesso che nella produzione mineraria ai metalli preziosi, signori e tiranni per secoli, si accompagnavano ogni giorno più metalli meno nobili, ma più utili e benefici per uno sviluppo economico più vario e armonico del paese (rame, antracite, petrolio, ecc.). La guerra mondiale, con la sua crescente richiesta di zucchero e cotone in specie da una parte, di rame dall'altra, dava un impulso straordinario, per quanto momentaneo e artificioso, all'economia agricola e mineraria del Perù, del cui progresso materiale nell'ultimo mezzo secolo sono indici non dubbî lo sviluppo commerciale e quello finanziario.
Al consolidamento economico e finanziario si accompagnava nell'ultimo trentennio quello territoriale. Si componeva anzitutto grazie alla ripresa amichevole nel 1928 dei negoziati diretti fra le due repubbliche, l'acre disputa semisecolare fra Perù e Chile per le provincie di Tacna e Arica: l'accordo di Lima del 3 giugno 1929 restituiva Tacna al Perù, mentre lasciava Arica al Chile. Onorevolmente risolta veniva del pari nel 1912 la questione dei confini con la Bolivia, stabilendosi in linea di massima (in un accordo diretto fra i due paesi) la linea di confine che segue in gran parte il corso del Río Heath. Altrettanto avveniva nel 1927 per i rapporti in materia fra il Perù e il Brasile. Insolute invece rimanevano fino al 1933 le questioni di confine tra Perù ed Ecuador per la regione alto-amazzonica, ricca di caucciù, legname e forse anche oro, situata al nord del Marañón; per quanto - sottratte ad una precedente mediazione collettiva dei tre maggiori stati americani, Stati Uniti, Brasile, Argentina, per affidarle ai negoziati diretti fra i due paesi interessati - esse pure si avviassero a soluzione. Ultima e più movimentata, nonostante gli accordi formali al riguardo, rimaneva la vertenza fra Perù e Colombia per gli stessi territorî alto-amazzonici così ricchi di promesse economiche.
Col trattato Salomón-Lozano del 1927, ratificato dal Perù lo stesso anno e dalla Colombia nel 1928, il primo cedeva alla seconda un territorio di circa 113.000 kmq. di superficie; ma il 1° settembre 1932 elementi borghesi, movendo dalla città peruviana di Iquitos (a valle del confluente Ucayali-Marañón), occupavano quella colombiana di Leticia e domandavano una revisione del trattato: ad appianare il conflitto, i due stati venivano il 25 maggio 1933 a Ginevra ad un accordo.
In virtù di tale accordo una commissione della Società delle nazioni assumeva il 23 giugno 1933 l'amministrazione di Leticia nell'attesa che i negoziati diretti fra le due potenze, da iniziarsi a Rio de Janeiro nell'ottobre, ne avessero decisa la sorte. La questione è stata risolta in favore della Colombia.
Bibl.: W. H. Prescott, History of the conquest of P., New York 1847; B. Menéndez, Manuel de geografía y estadistica del Perù, Parigi 1862; A. Chérot, Le Pérou: productions, guano, commerce, finances, ..., ivi 1876; A. Duffield, Peru in the Guano age, Londra 1877; C. R. Markham, Hist. of Peru, Chicago 1892; A. Deberle, Histoire de l'Amérique du Sud depuis la conquête jusqu'à nos jours, 3ª ed., a cura di A. Milhaud, Parigi 1897; M. R. right, The Old and New peru, Filadelfia e Londra 1909; P. Martin, Peru of the XXh Century, Londra 1911; C. Wiesse, Las civilisaciones primitivas del Perú, Lima 1913; id., Historia del Perú, ivi 1918; H. Urteago, Colección de historiadores clásicos del Perú (I), ivi 1918; C. Pereyra, Historia de América española, VII, Madrid 1925; Garcia Calderón, Constitución Códigos y Leyes del Perú, Lima 1929; P.A. Means, Fall of the Inca Empire and the Spanish Rule in Peru 1530-1780, New York 1932; M. de Mendiburu, Diccion. Histórico-Biográfico del Perú, Callao 1874-1890 (nuova edizione con note di Evaristo San Cristóval, in 10 volumi, I e II, Lima 1932).
Arte.
Anche nel Perù, come negli altri stati sudamericani, l'occupazione spagnola introdusse uno stile architettonico straordinariamente ricco e sovraccarico. Ne sono caratteristici esempî le cattedrali di Lima e di Arequipa, il convento della Mercede e la chiesa della Compagnia di Gesù a Cuzco. Generalmente la facciata delle chiese è molto lunga e bassa, interrotta da due torri massicce, i portali spesso decorati tutto intorno da un'ornamentazione fittissima e minuta di pietra o di stucco. L'architettura profana, molto semplice, assume un aspetto pittoresco per i cortili e chiostri, a portici e logge sovrapposte, e per la dovizia di balconcini e verande leggiere o pesanti, lisce o adorne di intagli e intarsî.
Tra gli edifici profani sono particolarmente degni di menzione a Lima la casa della Perricholi, l'amante del viceré Amat, e il palazzo del marchese di Torre Tagle, del sec. XVIII, ora sede del Ministero degli esteri, magnificamente conservato con i suoi soffitti a cassettoni, intarsî lignei e decorazione a piastrelle maiolicate.
L'attività molto intensa degl'intagliatori in legno ebbe modo di esplicarsi non soltanto nelle verande e nei soffitti delle case, ma specialmente negli altari e nei pulpiti delle chiese, sfolgoranti di ricche dorature. Citiamo gli altari delle chiese di S. Marcello e di S. Pietro a Lima, l'altare maggiore della chiesa di S. Agostino a Trujillo, il pulpito di quest'ultima chiesa e, soprattutto, quello ricchissimo, della chiesa di S. Biagio a Cuzco. Capolavoro dell'intaglio peruviano è il coro di San Biagio a Cuzco.
La pittura peruviana del periodo coloniale è priva di caratteri proprî. Gli artisti si limitarono a imitare i quadri di scuola fiamminga, spagnola e italiana che furono importati nel Perù per ornare gli altari delle chiese che si costruirono sin dal 1535 a Lima e nelle altre città peruviane. Tra i pittori operosi nel Perù vanno ricordati Mateo Pérez de Alesio, nato e morto a Roma (circa 1547-1600), ma probabilmente d' origine spagnola, Matías Maestre, autore di alcune Madonne nel Museo di storia nazionale di Lima, dell'Apoteosi di Santa Rosa e di San Toribio nella cappella del cimitero di Lima, Juan Moyen, Cristóbal Lozano, Angelino Medoro, Luis Espínola y Villavicencio, Francisco Martínez, Simón Inca, Andrés Ruiz de Seravia, Pedro Díaz, cui si devono, tra altro, una Santa Rosa (1810), un San Francesco Solano e parecchi quadri di Madonne nel museo di Lima. Noti pittori peruviani del sec. XIX sono: Ignacio Merino, nato nel 1818 a S. Miguel de Piura, morto nel 1876 a Parigi, dove visse più di venti anni (quadri suoi, in buona parte di soggetto atorico, al museo di Lima), Luis Montero (circa 1830-1868), scolaro di I. Merino e M. Fortuny (la sua opera principale nel museo di Lima: I funerali di Atahualpa) e Francisco Lazo, scolaro a Parigi prima di P. Delaroche, poi di De Claize. Fra gli scultori del sec. XIX emergono Gaspar Ricardo Suárez e Tamborini, quest'ultimo noto per le sue sculture in legno.
Anche oggi, come nel sec. XIX, la pittura e la scultura subiscono prevalentemente l'influsso dell'arte francese.
V. tavv. CXCIII-CCVIII e tav. a colori.
Letteratura.
Durante il periodo coloniale il Perù conobbe gli splendori del suo viceregno, che contribuì anche a mantenere e consolidare la cultura. S'intende che le prime manifestazioni letterarie si limitano a romances anonimi e a cronache di carattere descrittivo anche se composte in forma di poemi. Insieme col Messico, il Perù fu la colonia spagnola che conservò più vivi e continui i contatti con la madrepatria non soltanto per tramite libresco, ma anche e specialmente per il diretto intervento dei letterati castigliani. Nella seconda metà del Cinquecento fioriva a Lima l'università e si organizzava la stampa; e alla fine del secolo si pubblicava anche una delle opere più personali e più profondamente americane delle letterature coloniali: la storia di Garcilaso Inca de La Vega, meticcio e nativo proprio di Cuzco. Delle sue tre composizioni, più che la Florida del Inca e la Historia general del Perú, rimane singolarmente originale quella dei Comentarios reales que tratan del origen de los Incas; prosa di carattere narrativo e novellistico che per la prima volta rievoca con atteggiamento utopistico e preromantico l'antica civiltà peruviana, con un gusto per la tradizione locale che si tramuta spesso in lirica immaginazione. Purtroppo l'esperienza di Garcilaso andò smarrita, e durante il sec. XVII imperversò una strabocchevole fioritura lirico-occasionale secondo la moda spagnola e in corrispondenza all'inerzia spirituale della colonia. Quegli scrittori che si distaccano dalla folla anonima, vanno considerati in margine alla vita propriamente peruviana, per lo più nati ed educati nella Spagna e soltanto peruviani per elezione o per dimora provvisoria. Certo, fra tutti, offre una personalità distinta il domenicano Diego de Ojeda, nato e vissuto a Siviglia, ma trasferitosi nei conventi peruviani in piena maturità di vita e di spirito: il suo poema, Cristiada, raggiunge una fusione dell'elemento culturale classico con l'ispirazione seriamente religiosa che difficilmente è stata raggiunta da altri; ma per quanto riguarda la cultura coloniale esso si rivela del tutto appartato. Nella decadenza a cui si avviavano gli studî letterarî a Lima, portò un certo risveglio ed esercitò una benefica influenza il viceré Francisco de Borja, principe di Esquilace. Del periodo gongorista si salva soltanto la produzione che attinge più liberamente all'elemento popolare e istruttivo, specie negli aspetti festosi e bonarî, come appunto si può dire della produzione poetica di Juan del Valle y Caviedes (morto nel 1692). Complessivamente la cultura umanistica, l'estetica secentista e l'accademismo arcadico non potevano favorire l'autonomia della letteratura peruviana, né tanto meno differenziarla da quella spagnola.
Col Settecento si formano le accademie e si allargano gl'interessi e le curiosità per il mondo scientifico in generale, che servì in certo qual modo anche di correttivo alla pura letteratura. Tuttavia soltanto durante la seconda metà del secolo, con la progressiva penetrazione di idealità filosofiche, umanitarie e nazionali, si suscitava un fermento di pensiero che rinnovava interamente la vita spirituale, anche se gl'ingegni spesero le loro migliori energie nella realtà pratico-politica più che nell'attività letteraria.
Raggiunta l'indipendenza nazionale, il Perù non si rivelò subito maturo ad esercitare le libertà politiche e civili; nel difetto di uomini di governo e di forti personalità spirituali, la cultura stessa del paese non riuscì ad organizzarsi né ad esprimere opere letterarie che riflettessero i nuovi problemi a cui la nazione era chiamata. Nei primi anni le energie si dispersero nelle piccole lotte dei partiti e nell'alternativa di dittature instabili. Fenomeno, in realtà, generale a quasi tutte le giovani repubbliche sudamericane, che però nel Perù assunse un carattere di crisi profonda e di sterilità spirituale. Una prima disciplina alla vita politica, che si ripercosse favorevolmente anche nell'attività più propriamente letteraria, fu data dal forte e continuo governo di Ramón Castilla. Certo la produzione libresca, in questa prima metà dell'Ottocento, rimase ancora legata alla polemica politica e giornalistica, e il più delle volte si limitò a scopi d'ordine pratico: la satira, l'invettiva, l'oratoria sono le forme più diffuse e il loro atteggiamento penetra anche nelle opere più esplicitamente poetiche. Del resto, i letterati sono per la maggior parte uomini politici, diplomatici, giornalisti, che non sempre discriminano le loro diverse attività; fondano giornali, dirigono partiti, collaborano alle riforme costituzionali, conoscono le vie dell'esilio e qualche volta anche della prigione, portano dagli altri paesi americani e non di rado anche dall'Europa esperienze e correnti più vitali. La personalità più complessa di questo periodo, Felipe Pardo y Aliaga (1806-1868), per quanto di cultura classicheggiante, tipo fine Settecento, non si sottrae a quei caratteri autobiografici ed empirici così largamente diffusi. Tuttavia in lui, più che in altri, le tendenze satirico-pedagogiche riuscirono a rivelare un particolare temperamento lirico fatto di compostezza, di ordine, di decoro. Tanto nella lirica quanto nel teatro comico le sue aspirazioni moraleggianti sono spesso intuite e superate con senso d'arte, per quanto non sia difficile rintracciare nella sua produzione i modelli spagnoli: Lista e Moratín soprattutto, che gli furono familiari. Con Pardo y Aliaga nella letteratura peruviana s'immettevano, o assumevano maggiore consistenza, contenuto e forme varie - liriche, drammatiche, narrative - fra cui quei quadri di costumi (El espejo de mi tierra, 1840) che avranno tanta fortuna: Fu più duratura la sensibilità satirica e comica, specie nell'opera di Manuel A. Segura (1805-1871), di statura morale e artistica inferiore al Pardo y Aliaga, ma con un gusto teatrale così gioviale e furbesco che riuscì a creare tipi e caratteri con il valore di vere e proprie maschere, spesso derivate direttamente dagli strati popolari e provinciali, con doviziosa fertilità d'immaginazione e con un felice senso realistico.
Ma il rinnovamento più decisivo venne dalla cultura romantica, più atta ad accogliere e interpretare quel momento tumultuoso, ribelle e insoddisfatto che attraversavano allora i giovani stati del America Meridionale. E ai modelli spagnoli si sostituisce l'influenza del pensiero e della poesia francesi, che con più o meno dispiegata energia continueranno ad agire nel determinare gli orientamenti letterarî del Perù e in genere dell'America Latina: romanticismo, naturalismo, parnassianismo e simbolismo penetrarono sempre da Parigi. Se però è evidente che gl'impulsi vennero dal di fuori - e fra tutti fece da tramite principale Fernando Velarde (1821-1880), di vita e di spiriti largamente americani, ma vissuto parecchi anni a Lima, dove diffuse il gusto della poesia - è altrettanto vero che i letterati indigeni vi si adeguarono per una conformità di sentimenti e di aspirazioni, tanto che riuscirono ad esprimere voci personali e aspetti schiettamente locali: il più solitario è Manuel Castillo (1814-1870), vissuto lontano dalla città, e chiuso nella sua alpestre Arequipa, con una intuizione storico-leggendaria della patria e un senso malinconico e pittorico della natura. Aperto a più diverse esperienze è Manuel N. Corpancho (1830-1863), mosso sempre da un'ansia di viaggi e di lontananze, con una prospettiva grandiosa e travagliata della vita ch'egli espresse nel teatro (El poeta cruzado, 1848), nell'epica (il poema Magallanes, 1853) nella lirica (Ensayos poéticos, 1854); ma nella schiera non poco numerosa di questi poeti, per la maggior parte ricchi di temperamento e di contenuto, come Carlo A. Salaverry (1831-1890), Clemente Althaus (1835-1881), Arnoldo Márquez (1830-1904), Luis Benjamín Cisneros (1837-1904), Carlos G. Amézaga (morto nel 1906), Ricardo Rossel (1841-1909), ecc., si distingue Pedro Paz Soldán y Unanue (1839-1895), che si firmò con lo pseudonimo "Juan de Arona", forse il più originale, certo il più vigoroso. In lui il romanticismo iniziale si tempera via via con un atteggiamento umoristico che lascia intravvedere una particolare visione della vita, in fondo insoddisfatta e ansiosa di rifugiarsi in un'esistenza idillica e bucolica: non per nulla tradusse Virgilio e Ovidio, dopo avere raggiunto gli accenti satirici più amari con El Chispazo, giornale d'ironia politica. Anche egli, come succedeva agli spiriti più pensosi della schietta realtà peruviana, scrisse alcuni Cuadros y episodios peruanos (riuniti nel 1867), fatti di arguzia e di nativa semplicità. È in questo genere che il Perù ha avuto il suo maggiore scrittore: Ricardo Palma (1833-1919), che nelle sue Tradiciones peruanas (1863-1899) ha creato un tipo particolare di narrazione, legata non solo alla vita "tradizionale" della propria terra, ma anche a quelle forme stilistiche, fra descrittive e umoristiche, che sono consuete nella letteratura peruviana. Il Palma, ricercando e raccogliendo tutto il patrimonio aneddotico-storico, leggendario e locale del Perù, ne ha rivelato gli aspetti indigeni, sociali, psicologici più tipici, elevando alla sua patria il maggiore e il più originale monumento culturale.
All'arte narrativa autonoma, conchiusa nell'unità stilistica della novella e del romanzo, attesero soprattutto le donne; alcune scrittrici sono tra le più vigorose della letteratura peruviana e qualcuna ha un'esperienza che supera i limiti della propria terra: Juana Manuela Gorriti (1818-1896), che divise la sua vita e la sua attività fra la Bolivia e il Perù, ma che a Lima maturò le sue pagine più squisite, si muove fra un desiderio di rievocazione storico-leggendaria (La Quena, 1845) e un'aspirazione alle libertà politiche e civili (Sueños - realidades, 1865). Ad analoghe predilezioni romantiche s'ispira la prosa di Clorinda Matto de Turner (1854-1909), specie nel suo romanzo assai noto Aves de nido, apologia commossa e vigorosa della razza indigena. Forse lo stile più personale è quello di Mercedes Cabello de Carbonero, che accettò l'ispirazione naturalista con forte adesione ai problemi sociali ed etici della sua terra.
Negli ultimi anni la cultura del Perù, allontanandosi dal tipo dei cuadros de costumbre e delle tradiciones che ormai avevano esaurito il loro contenuto umano, non è riuscita ad organizzarsi e a creare un particolare ambiente letterario: soltanto attraverso l'attività critica di Francisco García Calderón si sono potuti ristabilire nuovi contatti con la vita spirituale internazionale, sebbene ancora allo stato riflesso.
Bibl.: M. Menéndez y Pelayo, Historia de la poesía hispano-americana, II, Madrid 1913; V. García Calderón, Del Romanticismo al Modernismo, Parigi 1910; id., La literatura peruana, in Revue hispanique, XXI; A. Coester, Historia literaria de la América española, Madrid 1929 (traduzione di R. Tovar).