pervenire [indic. pres. III plur. pervegnono; cong. pres. III singol. pervegna]
Verbo adoperato dieci volte nelle opere volgari di D., quasi sempre in senso traslato. Vi è implicita normalmente l'idea di un esito a cui si giunge attraverso la gradualità di un processo: Vn XV 1 Poscia che tu pervieni a così dischernevole vista; Cv IV XVII 9 avvegna che per l'attiva [vita] si pervegna... a buona felicitade. In Pd VI 9 [il sacrosanto segno] governò 'l mondo lì di mano in mano, / e, sì cangiando, in su la mia pervenne, la nozione di gradualità è resa esplicita dalle locuzioni di mano in mano e sì cangiando, che evocano una lunga successione di imperatori, potenziando il significato terminale del verbo.
Spesso l'esito si configura propriamente come un fine: Cv I I 6 Manifestamente... può vedere chi bene considera, che pochi rimangono quelli che a l'abito [di sapere] da tutti desiderato possano pervenire; IV XXII 11 la dolcezza del sopra notato seme... a la quale molte volte cotale seme non perviene per male essere coltivato, e 12; cfr. inoltre tutti i casi di uso del verbo nelle opere latine: VE I I 3, Mn I V 4, II VIII 7, III XV 11. In Cv IV XI 9 E dico che più volte a li malvagi che a li buoni pervegnono li retaggi, legati e caduti, e così pure ai §§ 10 (due volte) e 11, il verbo acquista un'accezione tipicamente giuridico-patrimoniale (" toccare in eredità ").