pesare
In D. il verbo compare quasi esclusivamente nel suo uso intransitivo; e vale quindi " aver peso ", " essere pesante ", " gravare ", in senso proprio e, più spesso, in metafora. In senso proprio, con valore pregnante, in If XXIII 120 [Caifa] Attraversato è, nudo, ne la via / ... ed è mestier ch'el senta / qualunque passa, come pesa, pria: " la pena di Caifas aggiunge a quella degli altri ipocriti... il contrappasso della crocifissione... ché le cappe, indirettamente, pesano anche su di lui " (Porena); " tutta l'ipocrisia del mondo gravita su di lui " (Pietrobono). Quest'uso ricompare in Detto 418 quanto pesa un cantaro (il ‛ cantaro ' equivale a circa mezzo quintale).
In Pd V 61, nell'esporre la dottrina dei voti, Beatrice spiega che qualunque cosa tanto pesa / per suo valor che tragga ogne bilancia, / sodisfar non si può con altra spesa: l'oggetto che pesi tanto da far traboccare qualunque bilancia dalla sua parte, non può avere equivalente. V'è implicito passaggio all'uso metaforico nei contesti pur materiali di Pg XIII 138 e XIX 104. Nel primo caso D., pensando alla sua natura superba, immagina in anticipo di dover sostenere i massi che gravano sulle spalle dei superbi: Troppa è... la paura ond'è sospesa / l'anima mia del tormento di sotto, / che già lo 'ncarco di là giù mi pesa. Più efficace ancora l'immagine dell'altro luogo del Purgatorio, in cui il pontefice Adriano V confessa: Un mese e poco più prova' io come / pesa il gran manto a chi dal fango il guarda, / che piuma sembran tutte l'altre some; " che risale, attraverso una fonte intermedia, a Giovanni di Salisbury Policr. VIII XXIII " mantum... tantae... molis ut robustissimos premat terat et comminuat humeros " (B. Bosco, D. vicino, Caltanissetta-Roma 1966, 378 ss.).
Decisamente metaforico l'uso delle altre occorrenze. In Fiore XLIV 10 [Socrate] tutto... facea igual pesare, nel senso che considerava equivalente, o meglio indifferente, il bene e il male della vita: bene e mal mettea in una bilanza (v. 9), sanza prenderne gioia né pesanza (v. 11). Con il complemento di termine p., come impersonale, vale " rincrescere ", " dolersi ", " dispiacersi " e finanche " pentirsi " di qualcosa, ed è in genere seguito da un complemento introdotto da ‛ di '. Cfr. Rime LXVII 46 L'imagine di questa donna siede / su ne la mente ancora / ... e non le pesa del mal ch'ella vede; così in Vn IV 1 (a molti amici pesava de la mia vista) e XXXVII 2 (questa donna... non mira voi, se non in quanto le pesa de la gloriosa donna di cui piangere solete); altrove é invece seguito da una proposizione soggettiva: Fiore CXLVI 8 ciò mi pesa ch'i' non fu' saputa (" mi addolora il fatto di... ", " mi pento di non essere stata saggia ") o da un infinito sostantivato, in funzione di soggetto (non ti pesi il cantare, in Detto 417), finché in alcuni casi la cosa di cui ci si addolora funge da soggetto: il senso è allora in genere più concretamente profondo, il tono più grave, più seriamente meditativo. Si veda If VI 59 Ciacco, il tuo affanno / mi pesa sì, ch'a lagrimar mi 'nvita: " alla maggiore umanità di questi peccatori minori corrisponde una pena, un'angoscia... da parte di Dante... Qui, d'altronde, lo spettacolo è tale da fare pesante il cuore, è la tristezza che dà voglia di piangere " (Steiner); l'espressione, forse proprio per merito del verbo p., così opportunamente unito ad affanno, sembra a molti commentatori più efficace dell'analoga frase in If V 116-117.
In If XIII 51 Virgilio si scusa con Pier della Vigna: la cosa incredibile mi fece / indurlo [D.] ad ovra ch'a me stesso pesa, che " addolora " me, moralmente, come fa soffrire te, fisicamente, e quindi " rincresce " forse più a me che a te. In X 81 Farinata predice a D.: tu saprai quanto quell'arte pesa, " imparerai quanto sia dura per gli esuli l'arte di tornare in patria " (Chimenz); ma l'arte cui allude il ghibellino non solo è " dura ", " difficile ", ma anche " dolorosa ", " fonte di amarezze, di angosce, di lutti ", sì che il ricordo veramente ‛ pesa ' fin nell'Inferno, e tormenta più che questo letto (v. 78).
In Rime LXII 7 ('l mal d'Amor non è pesante il sesto / ver ch'è dolce lo ben) il participio presente è usato come aggettivo, con valore predicativo.
Due sole sono le occorrenze in cui p. è transitivo. In senso proprio in Pd IX 57 Troppo sarebbe larga la bigoncia / che ricevesse il sangue ferrarese, / e stanco chi 'l pesasse a oncia a oncia, dove va notato l'uso di bigoncia, e dell'espressione ‛ p. a oncia a oncia '. In Fiore Cv 8 Falsembiante afferma di " giudicare " il mondo intero secondo un suo metro (a tale accezione figurata si è giunti dal senso proprio di " misurare il peso "): tutto 'l mondo peso a mia bilancia.