Pesca
L'attività di p., sia in mare sia in acque interne, ha sempre consentito agli esseri umani di dare un importante contributo alla propria alimentazione. L'attività di cattura è stata infatti sino a tempi recenti il principale mezzo per inserire il pesce nella dieta delle popolazioni rivierasche, e non solo di quelle. L'evoluzione positiva del livello dei redditi e dei consumi, sia in alcuni Paesi in via di sviluppo sia in quelli industrializzati, la tendenza delle diete alimentari verso l'utilizzazione di prodotti altamente proteici e la nascita delle moderne tecniche di conservazione e trasporto degli alimenti deperibili hanno dato un forte impulso alla p., sospingendola verso tecniche di cattura di tipo industriale. Il rapido depauperamento del patrimonio ittico dei mari è stato il frutto sia di tali politiche, poco attente all'esigenza di uno sfruttamento sostenibile di questa risorsa nel rispetto dell'ambiente, sia della particolare fragilità biologica delle specie che vivono nel delicato equilibrio dell'ecosistema marino, alcune delle quali hanno visto drasticamente ridursi il proprio numero. Negli ultimi decenni del 20° sec. si è quindi assistito all'adozione di politiche volte a regolare e limitare lo sforzo di p. (per es., vietando la cattura delle specie maggiormente in pericolo, inmaniera particolare nei periodi della riproduzione), e al contempo indotto a privilegiare sempre di più la strada dell'allevamento, vale a dire l'acquacoltura.
Lo stato della pesca nel mondo
È alla luce di queste considerazioni che vanno quindi interpretate le informazioni sulla produzione mondiale di pescato contenute nella tabella. Dal punto di vista geoeconomico emerge con grande evidenza il ruolo sempre più rilevante dell'Asia orientale e meridionale: tra i primi venti Paesi produttori, ben undici appartengono a quest'area, e la loro quota complessiva sul totale mondiale è salita dal 38% del 1994 al 45,6% del 2004, nonostante i forti cali del Giappone e della Corea del Sud e quello più contenuto della Thailandia.
Gli altri nove Paesi, tutti appartenenti ai continenti americano ed europeo, hanno invece visto diminuire sensibilmente la loro quota complessiva (dal 40,2% al 32%); in valore assoluto, si sono registrati aumenti soltanto tra quattro degli ultimi in graduatoria (Norvegia, Islanda, Messico e Canada).
Le cifre stanno a indicare inoltre che l'Unione Europea (UE), forte consumatrice di pescato, in termini di produzione svolge un ruolo modesto, e per di più in progressivo calo, che si prenda in considerazione l'Unione a 15 Paesi membri (com'è stata fino al 2004) o quella a 25 (calcolando quindi anche l'apporto dei 10 Paesi entrati nel 2004 a seguito del processo di allargamento dell'Unione).
È facile osservare che i principali Paesi produttori sono quelli lambiti dagli oceani. Fra questi si trovano, accanto a Paesi di forte tradizione industriale, aree che stanno vivendo una fase di tumultuoso sviluppo, in cui la crescita dei redditi richiede una disponibilità di alimenti ad alto valore nutritivo sempre crescente. Lo sviluppo economico accompagnato da una industrializzazione e modernizzazione delle attività produttive pone non pochi interrogativi sul destino dello stock ittico presente nei mari. I Paesi emergenti nel panorama ittico possono ancora beneficiare di risorse naturali relativamente abbondanti ma, se dovessero seguire i ritmi di cattura e di consumo dei Paesi di vecchia industrializzazione, metterebbero a rischio la disponibilità mondiale di risorse ittiche destinate alla cattura.
L'analisi delle caratteristiche della p. a livello mondiale svolta in base alle principali specie pescate consente di osservare che i nove decimi delle catture sono realizzati in acque marine, e che circa il 60% riguarda specie pelagiche e demersali.
Dal punto di vista dinamico, nel complesso del periodo 1994-2004 si nota un modesto aumento delle quantità catturate (+3,2%), ma se si considerano le variazioni relative ad alcuni anni (1998, 2001-2003) emerge con chiarezza quanto era stato anticipato nelle considerazioni iniziali: un progressivo depauperamento delle risorse ittiche, solo in parte compensato dall'offerta proveniente dall'acquacoltura. La FAO, per controllare lo stato di tali risorse, ha suddiviso il globo in aree di p.; prendendo in esame le tendenze registrate nel periodo 1974-2004, ha stimato che il 17% degli stock è stato sovrasfruttato, il 52% pienamente sfruttato, il 20% moderatamente sfruttato e il solo il 3% sottosfruttato. Un approfondimento dell'analisi relativa al Mar Mediterraneo ha messo in luce una situazione ancora più allarmante: in questo bacino, infatti, i quantitativi pescati dal 1995 al 2003 sono diminuiti da 1,2 milioni di t a meno di un milione. Tale flessione è da attribuirsi alla riduzione sia degli stock sia dello sforzo di pesca. La situazione del Mediterraneo è apparsa preoccupante a tal punto da indurre i Paesi dell'area a convocare a Venezia, nel 2003, una Conferenza per lo sviluppo sostenibile della p. nel Mar Mediterraneo (ISMEA 2004, p. 157).
La pesca nell'Unione Europea
In ragione della progressiva riduzione degli stock e delle politiche volte ad assicurare sistemi di p. ecocompatibili, specie nel bacino del Mediterraneo, nella UE a 15 la produzione di pescato è calata dai 6,8 milioni di t del 1994 ai 5,2 del 2004 (−23,5%). Anche se si prende in considerazione la UE a 25 la situazione non cambia: in quest'area la produzione è scesa negli stessi dieci anni da 7,6 a 5,8 milioni di t (−23,6%).
Fra i Paesi di vecchia adesione, la Danimarca e la Spagna detenevano nel 2004 le maggiori quote di prodotto pescato sul totale della UE a 25 (rispettivamente il 18,7% e il 13,8%), seguite da Regno Unito (11,2%), Francia (10,2%), Paesi Bassi (9%), Italia e Irlanda (4,9%), Svezia e Germania (4,6%), Portogallo (3,8%). L'esame dei dati dal punto di vista dinamico indica che, nella flessione della produzione della UE a 25 sopra citata, i maggiori contributi sono stati quelli di Danimarca (−41,8%), Svezia (−30,2%), Italia (−28,1%), Spagna (−26,7%), Regno Unito (−25,8%). In controtendenza le performances di Paesi Bassi (+24,3%) e Germania (+13,9%). Occorre specificare che, se si distinguono i prodotti della p. oceanica, che assicurano a Danimarca e Spagna il loro primato, da quelli più frequentemente catturati nel bacino mediterraneo (fra cui cefalopodi e altri molluschi, crostacei, pelagici e qualche demersale), per questi ultimi si vede emergere il ruolo dell'Italia, che nella graduatoria mediterranea generale si collocava infatti nel 2003 al primo posto nella cattura di pesce, con il 29% di quello complessivamente catturato da tutti i Paesi rivieraschi (ISMEA 2006a, p. 41).
Le difficoltà produttive della UE nel settore ittico e il progressivo supersfruttamento delle risorse hanno indotto la Commissione europea a dare vita a importanti politiche per la riorganizzazione e modernizzazione del sistema di p. (PCP, Politica Comune per la Pesca). Nei documenti riguardanti il settore (in particolare nel FEP, Fondo Europeo della Pesca, che sostituisce lo SFOP, Strumento Finanziario di Orientamento alla Pesca, per il periodo 2007-2013) vengono poste regole incisive per lo sfruttamento delle risorse ittiche (periodi di fermo p., divieto di alcune tecniche di cattura ecc.) e vengono stanziati aiuti agli operatori del settore a condizione che questi effettuino azioni per lo svecchiamento e razionalizzazione degli strumenti di p. (sostituzione dei vecchi battelli, modifica dei sistemi di p., creazione di nuove attività marinare, per es. il pescaturismo).
La flotta peschereccia della UE, specie quella per la p. costiera, è infatti prevalentemente composta da battelli di piccolo tonnellaggio, inadatti alla p. oceanica e molto spesso vetusti. La tendenza in atto sembra percorrere la strada del ridimensionamento numerico della flotta e della sua modernizzazione, incentivando la costruzione di battelli di maggiori dimensioni e con la possibilità di alcuni trattamenti del prodotto a bordo, quindi particolarmente adatti per la p. oceanica e d'altura. Tra il 1995 e il 2004, infatti, nella flotta peschereccia della UE a 15 il numero di battelli è calato del 17,7%, mentre il tonnellaggio complessivo solo dell'11,3%; il tonnellaggio medio per battello è quindi salito da 20,1 t a 21,7 (Commissione europea 2006, p. 13). Nel 2005, Grecia, Italia, Spagna e Portogallo detenevano il maggior numero di battelli da p. fra i Paesi della UE a 25, con quote rispettivamente del 20,4%, 16,2%, 15,3% e 11,2%, che, sommate, rappresentavano il 63,1% del totale della flotta. Analisi realizzate con altri criteri vedono tuttavia in parte modificarsi la graduatoria: se si misura infatti il tonnellaggio dei vari Paesi risultano in testa Spagna (24,0%), Regno Unito (10,8%), Francia (10,6%) e Italia (10,5%); il calcolo della potenza-motore istallata vede ai primi posti gli stessi quattro Paesi, ma in posizione diversa (Italia 16,9%, Spagna 15,5%, Francia 14,7%, Regno Unito 12,2%). Va notato che la Danimarca, al primo posto, come detto, per il pescato, è solo al settimo per i battelli e il tonnellaggio (3,7% e 4,6%), e all'ottavo per la potenza-motore (4,5%).
Sulla base dei dati presentati è possibile arguire che i maggiori problemi per quanto riguarda la riorganizzazione e modernizzazione del sistema di p. verranno proprio dai Paesi del bacino mediterraneo con modalità di cattura tradizionali e piccoli sistemi locali di approvvigionamento del pescato.
La pesca in Italia
Le caratteristiche essenziali dell'attività di p. nel nostro Paese non sono molto diverse da quelle riscontrabili nelle altre regioni mediterranee di forte tradizione marinara: una scarsa propensione alla p. oceanica; un saldo commerciale costantemente negativo (nel 2004, per es., si sono avute importazioni per 3,074 milioni di euro ed esportazioni per appena 422.000 euro); consumi pro capite al disotto della media europea (21,7 kg all'anno contro i 26,3 della UE a 15) e in lieve ma costante calo; una flotta peschereccia costituita da imbarcazioni di dimensioni modeste; numerosissimi punti di sbarco, che alimentano però prevalentemente mercati di dimensione locale, specie in alcuni periodi dell'anno.
Queste caratteristiche generali possono essere meglio specificate se si considerano anche le linee di tendenza della nostra flotta peschereccia relative agli ultimi anni del 20° sec. e ai primi del 21°. Si evidenziano una progressiva diminuzione del numero dei battelli (19.363 nel 1998, 14.504 nel 2005) e un aumento del loro tonnellaggio medio (rispettivamente 11,8 e 14,7 t, pur sempre poche rispetto alle 22,7 del complesso della UE a 25) e della potenza-motore media istallata (76 e 84,7 kW per battello), segnali evidenti di una costante modernizzazione. Sfortunatamente emerge anche la flessione delle giornate effettive di p., probabilmente connessa ai lunghi periodi di fermo p. resi necessari per il ripristino degli stock ittici. In questo quadro si registrano, com'era da attendersi, una flessione delle catture e conseguentemente una riduzione dei ricavi. Il riflesso sui prezzi di un'offerta in progressiva riduzione è rappresentato dall'aumento dei valori medi (proxi del prezzo).
Tali risultati sono la logica conseguenza di una struttura produttiva dominata da piccole attività artigianali, spesso di natura familiare, che utilizzano sistemi di p. costiera molto tradizionali, quali la p. a strascico e quella delle 'volanti'. Di conseguenza la nostra attività di p. appare prevalentemente rivolta all'area del bacino mediterraneo, salvo qualche battello di grande dimensione e appropriatamente attrezzato che pratica la p. oceanica. Le catture realizzate nel 2003 nel bacino mediterraneo dalla nostra flotta, secondo i dati dell'IREPA (Istituto di Ricerche Economiche per la Pesca e l'Acquacoltura) rielaborati dall'ISMEA (Istituto di Servizi per il Mercato Agricolo Alimentare; ISMEA 2006a), sono rappresentate per il 51,3% in peso e il 44% in valore da 8 specie (su 24 identificate), ovvero acciughe, vongole, sardine, naselli, triglie di fango, gamberi bianchi, seppie e pesci spada; le successive 16 specie identificate rappresentano il 25,5% in peso e il 28% in valore. Per valutare ulteriormente la complessità del settore e l'eterogeneità del prodotto catturato, basti considerare che la quantità di pescato rilevato sotto la voce 'altre specie' rappresenta il 23,2% in peso e il 28% in valore.
Anche nell'area mediterranea, come avviene a livello mondiale, sono state individuate dalla UE specifiche aree di p., di cui monitorare lo stato e verso cui indirizzare le azioni della politica comune della pesca. Sono stati così creati 5 RAC (Regional Advisory Committees), basati su zone geograficamente e biologicamente coerenti, tenendo anche conto dello sfruttamento degli stock: Mare del Nord, Mar Baltico, Mar Mediterraneo, Acque nord-occidentali, Acque sud-occidentali. I RAC operano in stretto contatto con gli stakeholders (i soggetti 'portatori di interessi' nei confronti di un'iniziativa economica) e i governi locali, e, in sintonia con questi, definiscono politiche settoriali e modalità di sostegno per il settore pesca.
bibliografia
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Siti: http://ec.europa.eu; www. irepa.org; www.ismea.it.