PESCHIERA del Garda (così chiamata per distinguerla da altri due comuni di egual nome, l'uno nel Bresciano sul Lago d'Iseo, l'altro vicino a Milano, Peschiera Borromeo; A. T., 24-25-26)
Cittadina della provincia di Verona, a 24 km. dal capoluogo, sulla linea ferroviaria Verona-Brescia, posta all'estremità sud-orientale del Lago di Garda, tra i primi canali del Mincio, che esce dal lago e si dirige verso Mantova, tra 63 e 78 m. s. m., cinta di mura e munita di borgo e fortezza (v. sotto). Detta in epoca romana Arilica, ricordata da Dante come fortezza degli Scaligeri (Inf., XX, 70), consta d'una piazza posta lungo il lago, dalla quale si diramano alcune strade alberate verso il borgo, d'un porto lacuale con un piccolo cantiere e dal Lungomincio, mentre sulla sinistra sono alcuni edifici militari. Il comune, che è il più occidentale della provincia di Verona, al confine col Bresciano e col Mantovano, si estende su 17,58 kmq. e consta di basse ondulazioni moreniche a elementi prevalentemente calcarei, coltivate a viti, mais, frumento. Gli abitanti, che erano 2418 nel 1871 e 3121 nel 1901, erano, nel 1931, 3510, di cui un migliaio a Peschiera, gli altri in quattro vicine frazioni (Broglie e Frassine presso il laghetto di Frassine, San Benedetto nella pianura lugana, Paradiso presso le colline che costeggiano il Mincio).
Fortificazioni. - Peschiera fu certamente fortificata anche dai Romani, sia perché loro centro e deposito di materiali di navigazione del Garda (sul quale essi tenevano una flottiglia armata), sia per la sicura esistenza di due torrioni romani presso l'inizio del ponte sul Mincio. Al principio del sec. XIII fu fortificata nuovamente, e rafforzata nella prima metà del secolo successivo per opera degli Scaligeri, specialmente di Mastino II, che ne fece completare le mura e le torri, creandovi una Rocchetta. La fortezza così risultava composta da un gruppo di abitazioni civili al cui centro era una casa forte, abitazione del capitano del luogo, dove ora è il Castelletto; intorno alle abitazioni erano le mura turrite disposte su cinque lati, e nell'angolo meridionale era la Rocchetta, poi detta Rocca. La città era attraversata, come ora, dal Mincio che lasciava il gruppo principale di abitazioni sulla riva destra. Sulla metà del sec. XVI Peschiera, pervenuta sotto il dominio veneziano, fu fortificata secondo i sistemi dell'epoca, ossia la sua cinta fu terrapienata e bastionata. Ne studiò il progetto Guidobaldo della Rovere duca d'Urbino, e i lavori furono attuati da Michele Sammicheli, col nipote Giovan Girolamo e con l'ingegnere Malacrida. La nuova cinta seguì l'antica, formandosi con cinque lati e cinque baluardi, detti: Guerini, S. Marco, Contarana (forse corruzione di Contarini), Feltrin e Tognon; essa ebbe due porte: porta Verona e porta Brescia. Le murature erano ricche di epigrafi e di stemmi, abrasi in gran parte dai Francesi nel secolo XIX. Intorno al 1560 la Rocchetta scaligera fu trasformata e terrapienata per ridurla a cavaliere armato di artiglierie. Le opere difensive di Peschiera andarono soggette a frequenti e gravi guasti, tanto che verso il 1608 si procedette a importanti restauri e all'aggiunta di rivellini dinnanzi alle porte e di altre piccole opere esterne.
Dopo Campoformio, caduta la piazza nelle mani degli Austriaci, questi ne rafforzarono le difese e soprattutto aggiunsero altre importanti opere esterne lungo la strada di Brescia. Poi passò sotto il dominio dei Francesi, i quali perfezionarono le opere specialmente nel lato verso oriente, e aggiunsero i forti di Mandella Vecchia verso Verona e di Salvi Vecchia verso Brescia. Ritornata però in potere degli Austriaci, questi costruirono altri due forti presso i precedenti: Mandella Nuova e Salvi Nuova. Così Peschiera passò a costituire un robusto caposaldo del Quadrilatero (formato dalla detta e da Mantova, Legnago e Verona), il quale proteggeva la grande comunicazione della Val d'Adige con l'Austria e difendeva un'ampia zona di raccolta per le truppe di manovra. Attaccata e presa dai Piemontesi nel 1848 dopo quella campagna (v. sotto), gli Austriaci iniziarono la costruzione di altri forti intorno alle antiche difese, e cioè i forti Cappuccini, Papa, Laghetto, Saladini, Baccotto, Ardietti, Cavalcaselle, Polverina e Fucilazzo, i quali furono poi attaccati dai Franco-Piemontesi nel 1859. Passata all'Italia dopo la guerra del 1866, perdette la sua importanza. Lentamente cominciarono le demolizioni delle opere e delle mura per dare respiro all'abitato. Durante la guerra mondiale, il nome della città è ricordato per il famoso convegno (8 novembre 1917), nel quale Vittorio Emanuele III diede ferma assicurazione agli alleati, che l'esercito italiano, avrebbe difese sul Piave, con le sorti d' Italia, le fortune comuni.
Assedio di Peschiera del 1848. Fra i molti assedî sostenuti da questa fortezza, quello ad opera delle forze piemontesi durante la prima guerra per l'indipendenza d'Italia (13 aprile 31 maggio 1848) ha particolare importanza per la storia militare italiana. Dopo un primo tentativo di occupazione di viva forza della cittadella, il comando supremo sardo decideva il 28 aprile che le brigate Pinerolo e Piemonte, agli ordini del duca di Genova, investissero in formazioni serrate la fortezza entro la quale erano circa 2000 uomini e 150 bocche da fuoco, al comando del maresciallo Raht. Le forze del principe avevano ricevuto, in appoggio, alcune batterie da battaglia. Giunto il 13 maggio il parco d'assedio dell'esercito sardo (45 bocche da fuoco), il duca di Genova iniziava il bombardamento. Il 26 maggio, fatto cessare il fuoco, il comandante italiano offriva l'uscita al presidio con l'onore delle armi; ma, respinta la proposta, riprendeva il bombardamento nella notte sul 28. Nel pomeriggio del 30 - mentre più a sud, i Piemontesi conseguivano la vittoria di Goito, sul bastione Contarini, gli assediati innalzavano la bandiera bianca della resa. Nella stessa sera l'opera la "Mandella" veniva occupata da una compagnia della brigata Pinerolo; alle 7 del giorno successivo il duca di Genova entrava nella fortezza alla testa delle truppe assedianti.