Peso corporeo
In condizioni fisiologiche, il peso corporeo può essere considerato come una costante biologica. Il mantenimento a lungo termine di un peso corporeo stabile richiede l'integrità di un fine sistema di regolazione del bilancio energetico. Questa estrema precisione nel controllo della spesa energetica può essere raggiunta solo grazie all'intervento di innumerevoli fattori che si integrano in un complesso sistema di feedback, la cui ridondanza è garanzia del mantenimento dell'omeostasi ponderale ed energetica che ha conferito un vantaggio per la sopravvivenza nel corso dell'evoluzione della specie umana.
In generale, per designare la quantità di materia i fisici adottano il concetto di massa: nella legge fondamentale della dinamica la massa (m) esprime la proporzionalità tra la forza (F) impressa a un corpo e l'accelerazione (a) da questo acquisita (F = m a). Il peso di un corpo è invece espressione della forza attrattiva esercitata dalla Terra in direzione del suo centro: il peso (P) come forza viene quindi identificato dalla relazione P = m g (dove m è la massa del corpo in esame e g l'accelerazione di gravità, ritenuta costante a 9,8 m/s2 su tutta la Terra). La massa quindi esprime una proprietà di un corpo (grandezza scalare) indipendentemente dalla forza di gravità, mentre il peso (grandezza vettoriale) è legato a essa da un rapporto di proporzionalità diretta. Lo strumento con il quale il peso viene valutato è la bilancia analitica; questa, in realtà, confronta il peso che due corpi hanno nello stesso luogo. Il volume e la densità del corpo in esame rappresentano altre variabili che ne influenzano la massa e il peso. Dal punto di vista antropometrico, la misura del peso corporeo è un'operazione molto semplice, ma poco adatta, data la complessità delle strutture biologiche, a quantificare i maggiori componenti corporei: infatti, un'accurata analisi antropometrica richiederebbe non solo la misura dei singoli componenti, bensì il riconoscimento della loro struttura organizzativa.
Per l'analisi della composizione corporea è stato classicamente proposto un modello strutturato in cinque diversi livelli con complessità analitica decrescente. Nel primo livello il corpo viene visto come costituito da elementi atomici elementari, quali ossigeno, carbonio, idrogeno e altri a concentrazione minore; il secondo prende in esame i più importanti compartimenti molecolari che contribuiscono al peso corporeo, quali l'acqua, le proteine, i lipidi, i carboidrati ecc.; il terzo considera il peso corporeo come determinato dall'insieme delle cellule, dai fluidi e dai solidi extracellulari; nel quarto, organizzato in tessuti, si distinguono la componente muscolare, ossea, il tessuto adiposo e gli altri organi; il quinto, infine, considera il corpo nella sua unità e interezza e include le principali misure antropometriche, quali il peso, l'altezza, le circonferenze, gli spessori delle pliche cutanee. Al termine di questa analisi, il peso corporeo rappresenta la misura integrata di tutti i compartimenti a ogni livello di complessità dei singoli elementi compositivi.
Dal punto di vista bioenergetico, il peso corporeo è una misura piuttosto grossolana delle scorte energetiche di tutto l'organismo, benché le sue variazioni vadano di pari passo con i cambiamenti del bilancio energetico e proteico. Assieme alla misura dell'altezza, quella del peso corporeo, rappresenta un modo semplice per analizzare la congruità della crescita (v.) e dello stato nutrizionale di un soggetto durante la vita fetale, l'infanzia, la fanciullezza e la gravidanza. Nell'adulto, le variazioni ponderali oltre un certo limite possono tradire uno stato patologico o essere correlate con un più elevato tasso di mortalità ed è per questo motivo che sono state adottate delle tabelle di riferimento, mutuate dalla Metropolitan life insurance company (New York 1983), che indicano il peso 'desiderabile' rispetto al sesso, all'altezza del soggetto e alla taglia, ma dove l'uso del termine desiderabile palesa la mancanza di precisione.
Attualmente si utilizza il cosiddetto indice di massa corporea (IMC) che è il rapporto tra peso, espresso in chilogrammi, e altezza, espressa in metri al quadrato (IMC = kg/m2). L'IMC in entrambi i sessi varia in un intervallo ideale tra 19 e 27 kg/m2 che corrisponde ai valori della popolazione generale compresi tra il 25° e 75° percentile. Al pari di altri parametri biologici il peso e la composizione corporea di un qualsiasi essere vivente vengono mantenuti, dopo il raggiungimento della taglia definitiva o alla fine della sua crescita, entro limiti ben precisi con un intervallo di oscillazione minimo. Anche nell'uomo il peso corporeo sembra essere omeostaticamente controllato. Tale affermazione deriva dall'osservazione che nell'adulto esso viene mantenuto per lunghissimi periodi entro limiti molto stretti (nelle persone in buone condizioni di salute varia in ragione di 0,1 kg al giorno) e che molti bambini mantengono costante il loro peso relativo durante la crescita.
È noto che minime variazioni di una qualsiasi costante biologica, come la glicemia o la concentrazione degli ioni, la temperatura corporea o il pH del sangue, possono diventare estremamente minacciose per la vita. Per questo motivo, il nostro corpo mette in atto una serie di aggiustamenti omeostatici al fine di rendere questi parametri meno vulnerabili di fronte a qualsiasi agente esterno o interno al sistema che tenti di modificarne l'assetto primitivo o, più in generale, l'equilibrio.
Per es., per quanto riguarda l'omeostasi del peso corporeo, le persone che hanno perso peso a causa di restrizioni alimentari tendono a riguadagnarlo in breve tempo, una volta riportate in condizioni alimentari favorevoli. Alcuni studi eseguiti negli atleti olimpici hanno evidenziato che la perdita di tessuto adiposo e l'incremento in massa magra raggiunti dopo un intenso programma d'allenamento erano reversibili dopo la fine delle gare, e che simili risultati ottenuti in seguito al trattamento con anabolizzanti erano completamente cancellati e riportati allo stato iniziale una volta che questo veniva interrotto. Solo quando ci riferiamo alle variazioni ponderali che accompagnano le gravi infezioni, i traumi, l'allettamento prolungato, le neoplasie maligne o un'alimentazione qualitativamente e quantitativamente inadeguata possiamo inferire che il meccanismo omeostatico che controlla il peso non sia perfetto, ma è evidente che in simili circostanze l'incontrollata modificazione ponderale fa anch'essa parte integrante del quadro patologico.
La gravità della perdita di peso in un individuo dipende peraltro dalla sua velocità ed entità. Si suole ritenere come clinicamente significativa una perdita superiore al 10% del peso ideale nell'arco di 6 mesi. In un digiuno assoluto la velocità del calo ponderale può essere anche di 0,4 kg al giorno e la sopravvivenza non può più essere garantita nel caso in cui la perdita superi il 30% del peso iniziale. In situazioni di permanente carenza nutrizionale o in corso di malattie croniche cachetizzanti è stato visto che il peso minimo vitale è compreso tra il 48-55% del peso desiderabile o corrisponde a un IMC tra 13-15 kg/m2, allorché le riserve adipose si riducono a meno del 5% del peso corporeo e la rapida deplezione proteica conduce inesorabilmente alla morte.
È evidente da quanto finora esposto che il mantenimento di un adeguato peso corporeo è un importante determinante della sopravvivenza degli organismi superiori. Perché esso rimanga stabile per lunghi periodi è necessario che vi sia un'equivalenza tra l'energia consumata e le calorie introdotte. Nell'uomo adulto si sono sviluppati complessi meccanismi che tendono a mantenere un perfetto equilibrio tra l'introito calorico e la spesa energetica (v. energia). Deve essere inoltre sottolineato il fatto che l'equilibrio tra entrate e uscite non deve essere raggiunto soltanto in termini energetici, ma anche in termini qualitativi, in modo che la miscela dei substrati che sono ossidati corrisponda quantitativamente e qualitativamente ai substrati energetici ingeriti. Se attribuiamo al peso corporeo dignità di costante biologica, dobbiamo considerare che esso non rappresenta un'entità omogenea, poiché è costituito da vari tessuti che sono composti, in proporzione variabile, di proteine, glucidi, grassi, minerali e acqua.
Per quanto attiene a quest'ultimo componente, va ricordato che rapide variazioni del peso corporeo sono ascrivibili ad alterazioni del bilancio idrico per disidratazioni che possono, per es., aversi dopo un esercizio fisico intenso non compensato da un adeguato introito di liquidi. I sistemi di controllo dei fluidi corporei sono ben noti e permettono il ripristino del contenuto idrico in un breve lasso di tempo. Tuttavia, quando pensiamo al controllo del peso corporeo, intendiamo solitamente riferirci al mantenimento del bilancio energetico. Inoltre, poiché le scorte energetiche rappresentate dalle proteine e dai glucidi variano in maniera quantitativamente irrilevante nel tempo, la regolazione del peso corporeo è rappresentata in ultima analisi dalle variazioni della massa adiposa. Date queste premesse risulta evidente che uno squilibrio tra l'introduzione e il consumo di energia porta a variazioni del contenuto di adipe. Perciò un efficace sistema di regolazione del peso corporeo implica il fatto che la quantità di energia immagazzinata come tessuto adiposo possa tradursi in risposte adeguate al mantenimento del peso e della composizione corporei per lunghi periodi.
La teoria adipostatica del controllo del peso, e più in generale del bilancio energetico, è stata di recente ulteriormente avvalorata dalla scoperta del gene Ob e del suo prodotto peptidico, la leptina, localizzata e secreta quasi esclusivamente nel tessuto adiposo; essa costituisce un segnale di natura ormonale per il sistema nervoso centrale sullo stato delle riserve lipidiche. Infatti a livello del sistema nervoso centrale sono stati identificati recettori specifici leganti la leptina, sia a livello dei plessi coroidei sia a livello ipotalamico. Un meccanismo attraverso cui la leptina regola l'apporto alimentare e la spesa energetica è costituito dall'inibizione sulla sintesi e sul rilascio di neuropeptide Y (NPY). Sebbene tale meccanismo sia stato più volte provato nell'animale da esperimento, le ricerche recentemente compiute in topi mutanti, deficitari per il gene che codifica per l'NPY, indicherebbero che esso non è in grado di spiegare tutte le azioni della leptina sul comportamento alimentare. È pertanto possibile pensare che l'azione di questo ormone possa esplicarsi attraverso l'intervento di altri neuropeptidi quali la proopiomelanocortinina (POMC), l'ormone melanocito stimolante (αMSH, αMelanocyte stimulating hormone), l'ormone melanocito concentrante (MCH, Melanocyte concentrating hormone), la corticotropina (CRF, Corticotropin releasing factor) e l'orexina. Il sistema nervoso autonomo sicuramente rappresenta il braccio efferente di questo circuito integrato: infatti la leptina, tramite la mediazione del sistema nervoso simpatico, aumenta la spesa energetica, mentre l'NPY, agendo su specifici recettori a livello del nucleo paraventricolare dell'ipotalamo, induce una depressione dell'attività termogenetica. Se la leptina rappresenta un ormone strettamente correlato con l'entità della massa adiposa e del peso del soggetto, le relazioni esistenti tra le fluttuazioni ponderali e le variazioni dell'ormone non risultano sempre lineari. Infatti il digiuno, indipendentemente da apprezzabili variazioni ponderali, induce un rapido decremento dei livelli di leptina che può rappresentare un precoce segnale di deficit energetico al sistema nervoso centrale.
Le concentrazioni ematiche di leptina non sono quindi solo dipendenti dalla quantità di tessuto adiposo, ma verosimilmente una serie di altri fattori è chiamata in causa nella sua regolazione, indipendentemente dalla quantità di energia accumulata sotto forma di grasso. La riduzione dei livelli di leptina potrebbe essere responsabile del decremento della spesa energetica che normalmente si accompagna alla riduzione ponderale. Nell'uomo la leptina non sembra rappresentare un importante fattore di sazietà, almeno nel breve periodo, poiché le sue concentrazioni plasmatiche, al contrario di quanto succede nell'animale da esperimento, non variano dopo un pasto. È verosimile invece che essa conservi nell'uomo una piena valenza fisiologica in condizioni di deprivazione energetica come il digiuno.
La maggior parte delle persone solitamente mantiene un peso corporeo stabile adattando spontaneamente l'introduzione di calorie con la dieta a fluttuazioni della spesa energetica entro un intervallo piuttosto ampio. Ciò si ottiene attraverso un fine controllo dei meccanismi elementari che presiedono alla regolazione dell'introduzione di cibo e alla spesa energetica. Prima di prendere in esame i meccanismi che controllano il bilancio energetico e il mantenimento del peso è importante chiarire da un punto di vista terminologico il significato di appetito, fame e sazietà. L'appetito è rappresentato di norma dal desiderio di assumere un particolare tipo di cibo non sempre connesso a un suo reale bisogno e la cui ingestione si accompagna a sensazione di piacere; la fame (v.), invece, può essere definita come la sensazione che spinge un individuo a ingerire cibo senza alcuna predilezione ed è solitamente accompagnata da sensazione di leggera sofferenza. I meccanismi che scatenano la sensazione di fame non sono stati ancora ben chiariti, ma l'osservazione che sia nell'animale da esperimento sia nell'uomo una lieve riduzione dei livelli glicemici precede l'ingestione di cibo fa ritenere possibile l'esistenza di un glucosensore in stretta connessione con i centri di integrazione ipotalamici.
Con il termine di sazietà spesso ci si riferisce a due distinti momenti che si susseguono a distanza dal pasto: una fase precoce (satiation, per gli autori inglesi) che termina con la cessazione del pasto dovuta essenzialmente alla quantità di cibo ingerito, e una fase tardiva postprandiale (satiety, per gli autori inglesi) caratterizzata dall'assenza di fame. I meccanismi che regolano la seconda fase sono profondamente diversi da quelli che accompagnano la prima e implicano l'intervento di sistemi integrati di controllo situati a livello del sistema nervoso centrale. Dalla concezione dualistica di un centro che sovrintendeva al senso di fame, identificato anatomicamente nell'area ipotalamica laterale, e di un centro della sazietà, localizzato nel nucleo ventromediale, si è arrivati a definire un modello di controllo molto più evoluto e complesso, coinvolgente molte altre strutture cerebrali come la corteccia frontale e l'amigdala, le strutture troncomesencefaliche e il talamo. Segnali di varia natura e origine, come impulsi nervosi vagali afferenti, ormoni e variazione della concentrazione dei substrati circolanti, informano costantemente questi centri sullo stato energetico dell'organismo.
Numerosi neuropeptidi sono coinvolti nella regolazione dell'introito alimentare e tra questi l'NPY gioca verosimilmente il ruolo più importante. Esso viene sintetizzato nel nucleo arcuato dell'ipotalamo e le sue concentrazioni aumentano con il digiuno e l'ipoglicemia, mentre decrescono con l'assunzione di alimenti. La somministrazione di NPY induce nell'animale da esperimento una sindrome caratterizzata da obesità, insulinoresistenza e iperinsulinemia, simile a quanto è possibile osservare nella patologia spontanea. Com'è stato accennato, l'NPY non è il solo fattore che controlla il peso e il bilancio energetico, e una serie di altri neuropeptidi sono stati chiamati in causa per spiegare la fisiologia del bilancio energetico. Segnali di origine metabolica possono contribuire alla regolazione del senso sia di sazietà e sia di fame. È stato visto infatti che l'entità del metabolismo ossidativo dei maggiori macronutrienti può ridurre il senso di sazietà; ciò è stato osservato non solo per i carboidrati, ma anche, in particolari condizioni, per gli acidi grassi. Gli studi di fisiologia hanno potuto tuttavia assegnare ai vari macronutrienti una diversa priorità nell'indurre tale senso: carboidrati e proteine, somministrati sia per bocca sia per via parenterale, possiedono il maggior potere saziante, mentre i lipidi non mostrano una simile capacità.
È ancora oggetto di discussione se l'incremento del peso corporeo, o più in generale l'obesità, siano il risultato di un cronico ed eccessivo introito calorico o piuttosto della riduzione della spesa energetica. Quest'ultima consta di tre principali componenti: la spesa energetica basale, l'energia usata per sostenere l'esercizio fisico e la termogenesi indotta dagli alimenti. Negli ultimi decenni l'uso della calorimetria indiretta, che permette la stima degli scambi respiratori in continuo per più o meno lunghi periodi di tempo, ha definitivamente chiarito che la spesa energetica è, in termini assoluti, più elevata nel soggetto obeso rispetto al soggetto normopeso. Ciò sarebbe dovuto essenzialmente alla maggiore spesa energetica basale ascrivibile a un aumento della massa magra, la quale rappresenta la parte del corpo metabolicamente più attiva. Infatti, quando i dati calorimetrici vengono normalizzati per la quantità di massa magra, non si osservano più differenze nella spesa energetica basale tra individui obesi o normopeso.
Una misura della termogenesi imputabile all'attività fisica che possiamo svolgere nella vita di tutti i giorni è stata ottenuta con metodiche radioisotopiche piuttosto complesse come l'acqua doppiamente marcata. Con tale approccio sperimentale è stato visto che la spesa energetica dovuta all'attività fisica è ridotta nel soggetto obeso, indicando chiaramente che uno stile di vita sedentario può essere chiamato in causa nella genesi dell'aumento ponderale. È stato infatti provato che i soggetti con una bassa spesa energetica basale oppure con un'attività fisica ridotta tendono a guadagnare peso qualora vengano sottoposti a un regime dietetico ipercalorico.
Come accennato, gli effetti a lungo termine di variazioni del peso corporeo mostrano un certo grado di adattamento della spesa energetica e avvengono in una direzione che tende a riportare il soggetto nella condizione ponderale iniziale; così a un aumento del peso corrisponde di regola un incremento della spesa energetica, mentre a riduzioni ponderali corrispondono paralleli decrementi della spesa energetica. È degno di nota il fatto che soggetti che hanno ottenuto un calo ponderale in seguito a un regime dietetico ipocalorico mostrano una riduzione del fabbisogno calorico per il mantenimento del nuovo peso rispetto ai soggetti dello stesso peso, ma che non sono mai stati in sovrappeso e non si sono mai sottoposti ad alcun trattamento dietetico restrittivo. Risulta evidente che questi cambiamenti della spesa energetica rappresentano un meccanismo omeostatico che tenta di limitare l'incremento o il calo ponderale. Si è già affermato che conservare costanti peso e composizione corporei implica il mantenimento non solo di un adeguato bilancio energetico, ma anche di un analogo utilizzo dei principali substrati nutritivi a scopo energetico o di deposito. Quest'ultimo aspetto è di cruciale importanza poiché i singoli macronutrienti sono solitamente utilizzati o immagazzinati in compartimenti separati e la trasformazione di un substrato in un altro a scopo di deposito è un processo di scarso rilievo fisiologico. In particolare, si pensa che solo una minima percentuale dei carboidrati presenti nella dieta possa essere convertita a livello epatico in acidi grassi, rilasciati dal fegato come lipoproteine (v.) a bassissima densità ricche di trigliceridi.
È stato possibile stimare che in situazioni di iperalimentazione a base di carboidrati, indipendentemente dall'apporto di grassi nella dieta, la quantità di lipidi derivanti dalla cosiddetta lipogenesi de novo non eccede i 10-12 g al giorno. In simili condizioni di nutrizione il deposito di lipidi a livello del tessuto adiposo non può avvenire sino a che la sintesi non superi la velocità di ossidazione lipidica. La conversione di substrati glucidici in lipidi è inoltre un processo che richiede energia, per cui circa un quarto del contenuto energetico del materiale glucidico viene convertito in calore. Al contrario, il deposito dei trigliceridi nel tessuto adiposo richiede una spesa energetica molto bassa ed è per tale motivo che quest'ultima via biosintetica risulta preferenziale poiché conveniente in termini energetici. Mentre un pasto ricco di carboidrati è comunemente associato all'aumento della loro ossidazione, la risposta metabolica a un pasto ricco di grassi è essenzialmente destinata al loro deposito a livello del tessuto adiposo, senza sostanziali modificazioni della loro ossidazione. Soltanto un pasto particolarmente ricco di lipidi induce un modico aumento dell'ossidazione degli stessi, oltre al loro preferenziale stoccaggio nel tessuto adiposo. Il mantenimento di un equilibrio nel metabolismo energetico dei carboidrati e, almeno nel breve periodo, degli aminoacidi è prioritario per l'organismo. Ciò implica che nell'adulto variazioni del bilancio energetico dell'organismo non possano derivare che da cambiamenti del metabolismo dei lipidi.
L'incremento ponderale può dipendere perciò da un aumento del deposito dei lipidi della dieta nel tessuto adiposo a causa della ridotta capacità di ossidazione degli stessi. Pertanto i sistemi che controllano l'ossidazione dei lipidi sono di cruciale importanza per comprendere la regolazione del peso corporeo. P. Randle (Randle et al. 1963) osservò che la misura in cui carboidrati e lipidi vengono ossidati è legata alla loro rispettiva concentrazione. Infatti quando i livelli di acidi grassi liberi aumentano, come nell'obesità, aumenta di conseguenza la loro ossidazione a livello del muscolo a detrimento dell'ossidazione dei glucidi. I meccanismi che sottendono questi fenomeni sono complessi e prevedono l'inibizione da parte di prodotti intermedi o finali del metabolismo ossidativo degli acidi grassi di enzimi chiave del metabolismo dei carboidrati. Il peso corporeo raggiunge comunque nel soggetto obeso un punto di nuovo equilibrio nonostante il continuo surplus energetico e, in particolare, nonostante l'aumento dell'introduzione di grassi con la dieta. Sono stati descritti almeno due meccanismi omeostatici che sono correlati con le variazioni della composizione corporea allorché un individuo aumenta di peso. L'incremento della massa magra che si associa all'espansione del tessuto adiposo viene accompagnato da quello della spesa energetica basale e dunque della spesa energetica totale; esso è seguito da un aumento del rilascio in circolo degli acidi grassi liberi e della loro ossidazione periferica. L'aumento dell'ossidazione degli acidi grassi nei soggetti che hanno guadagnato peso potrebbe essere interpretato come un meccanismo lipostatico. Questo nuovo sistema di adattamento metabolico permetterebbe all'ossidazione degli acidi grassi di crescere fino a un livello tale da pareggiare l'introito di grassi con la dieta, limitando perciò l'ulteriore incremento ponderale.
Nell'individuo adulto le modificazioni del peso corporeo sono causate essenzialmente da variazioni della quantità di tessuto adiposo; in generale, l'incremento si attua per i tre quarti attraverso la deposizione di adipe e per un quarto con l'aumento consensuale della massa magra. Durante la fase in cui il tessuto adiposo cresce, si deve attuare un bilancio lipidico positivo dovuto al fatto che l'introduzione di lipidi eccede l'ossidazione degli stessi. Inoltre è evidente che un incremento del tessuto adiposo può essere determinato dal depositarsi in questa sede di più trigliceridi di quanti ne vengano rimossi attraverso i processi lipolitici. Questo può accadere per un eccesso di calorie che si depositano sotto forma di lipidi oppure a causa di un regime di vita sedentario. È da sottolineare, infine, il ruolo di determinanti genetici sulla regolazione del peso corporeo. È verosimile che uno o più geni in essa coinvolti, possano aumentare, in particolari condizioni ambientali, la suscettibilità individuale all'incremento ponderale. Ciò è stato verificato prendendo in considerazione non solo studi di popolazione, ma anche le osservazioni compiute sui bambini adottati e sui gemelli. È inoltre possibile pensare che nella filogenesi si siano selezionati geni finalisticamente deputati alla creazione di scorte energetiche sotto forma di tessuto adiposo (trifty genotype o genotipo risparmiatore) per garantire la sopravvivenza e la capacità riproduttiva in condizioni di carenza. Attualmente, l'influenza combinata di un più facile accesso al cibo e della riduzione dell'attività fisica ha reso l'espressione di questi geni non più conveniente.
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