ČAJKOVSKIJ, Peter Ilič
Musicista, nato a Votkinsk nel 1840, morto a Odessa nel 1893. Figlio di un ingegnere delle miniere e di una oriunda francese, ebbe un'infanzia abbastanza felice e a dieci anni si entusiasmò ascoltando la musica del Don Giovanni di Mozart, opera alla quale serbò sempre un devoto amore. Compì gli studî di giurisprudenza dedicandosi, nelle ore libere, alla musica: a vent'anni era impiegato governativo, ma poi si mise a frequentare regolarmente il corso di composizione musicale tenuto al conservatorio di Pietroburgo dal Rubinstein e in breve tempo fece grandi progressi. Diplomatosi nel 1865, C. ottenne l'anno seguente un premio per l'Inno alla gioia composto sul famoso testo di Schiller; egli fu poi insegnante al conservatorio di Mosca sino al 1879; intanto componeva molti lavori sinfonici, lirici, pianistici, ecc., accolti quasi sempre con simpatia. L'ouverture Romeo e Giulietta (1869) gli valse un successo serio e durevole.
Il Č. compì a più riprese giri artistici in Francia, in Italia, in Germania e in altre regioni, presentandosi non solo come compositore, ma anche come direttore d'orchestra. Nel luglio 1877 sposò una giovane sua ammiratrice, ma il matrimonio risultò infelicissimo e gli sposi si divisero dopo poche settimane. Una dama intellettuale, la signora von Meck, sovvenzionò largamente il C. affinché egli potesse scrivere musica senza preoccupazioni d'ordine materiale. Alla pensione annua corrispostagli dalla Meck si aggiunse poi quella che lo zar gli elargì, a partire dal 1888, a titolo d'onore. Il supremo canto del compositore fu la Sinfonia in si minore - nota sotto l'appellativo di Patetica - diretta da lui nove giorni appena prima della sua morte, in un concerto della Società imperiale russa di musica e accolta con enorme plauso. In questa sinfonia, un po' macchinosa e corpulenta, ma strumentata con perizia, piena di idee, di slanci affettivi, di schianti dolorosi, ricca di melodie alquanto melodrammatiche, ma vive, eloquenti e d'immediato effetto, il Č. ha rivelato tutto sé stesso, assai meglio che nei suoi drammi lirici Eugenio Oneghin (1879), La Pulcella d'Orléans (1881), Mazeppa (1884) e La dama di picche (1890), che pure contengono pagine fluide e calorose.
Tra i molti lavori del Č., ci limitiamo a citare, oltre a quelli di cui abbiamo fatto parola, la 4ª e la 5ª sinfonia, che tuttora fanno parte del repertorio ordinario dei concerti orchestrali, la Marcia slava, le suites tratte dai balletti, La belle au bois dormant e Cassenoisette, il Capriccio italiano, il magniloquente e rumoroso poema sinfonico Francesca da Rimini, che si orna, nella parte centrale, di uno squisito episodio lirico, i due Quartetti per archi, le numerose romanze da camera e i pezzi pianistici, tra i quali primeggiano quelli che compongono la suite Le quattro stagioni, assai popolare. L'ultima produzione teatrale di Č., Violante, venne eseguita a Pietroburgo nel dicembre 1893, come opera postuma, ma nulla parve aggiungere alla rinomanza del maestro.
È da segnalare che il Č., pur trovandosi ripetutamente a contatto col celebre "gruppo dei cinque" ed essendo in particolar modo amico del Balakirev, non volle entrare a far parte di questo manipolo di musicisti che combattevano per un ideale d'arte strettamente nazionale: piacque a lui di restare indipendente, ma la mancanza di una ferrea disciplina spirituale e l'invincibile tendenza verso la sensualità blanda e il sentimentalismo talora ampolloso o sdolcinato, gl'impedirono di raggiungere la vetta e di assumere l'importanza di un Mussorgskij o di un Borodin.