PETITTI, Carlo Ilarione, conte di Roreto
PETITTI, Carlo Ilarione, conte di Roreto. – Nacque a Torino il 21 ottobre 1790 dal conte Giuseppe Antonio e dalla nobile Innocenza Gabriella Ferrero di Ponsiglione e Borgo d’Ales.
La sua famiglia, appartenente alla piccola nobiltà di Cherasco, aveva dato numerosi soldati e funzionari alla monarchia sabauda, ottenendo l’investitura del feudo di Roreto con il titolo comitale nel 1735. Il padre Giuseppe Antonio era controllore generale delle finanze del Regno di Sardegna.
Rimasto presto orfano di entrambi i genitori, Carlo Ilarione venne affidato prima alla tutela di uno zio, abate del Moncenisio, poi a quella del conte Alessandro di Vallesa. Iniziò gli studi a Roma, al collegio Nazareno, proseguendoli poi a Savona dal 1807 al 1809. Successivamente venne scelto dal governo napoleonico per essere educato al Pritaneo di Saint-Cyr. Tornato in Piemonte a causa delle sue precarie condizioni di salute, nel 1813 sposò Maria Teresa Gabriella Genna dei conti di Cocconato, con la quale ebbe quattro figli: Alessandro (1813-1841), Agostino (1814-1890), Maurizio (1816-1852) e Giuseppe (1824-1886).
Nel 1814 Petitti venne nominato sindaco di Cherasco, ma lasciò presto il posto per intraprendere la carriera burocratica nell’amministrazione sabauda, inizialmente come volontario nella gestione dei regi archivi di corte a Torino. Nel frattempo completò gli studi, laureandosi nel 1816 in diritto civile e canonico all’Università di Genova. Dopo avere ricoperto la carica di viceintendente generale della Savoia nel 1816, divenne ispettore di polizia a Chambéry nel 1817. Fu poi nominato intendente generale di Asti nel 1819 e quindi di Cuneo nel 1826, carica quest’ultima che conservò fino al 1831.
All’impegno come amministratore Petitti affiancò fin da quegli anni una fervente attività di studio su temi economici, sociali, politici e letterari, di cui rimase traccia nella sua vasta ed erudita produzione scritta, composta di lettere, recensioni, saggi e relazioni tecnico-statistiche.
Nel panorama politico del Piemonte preunitario Petitti emerse come tipico esponente di un conservatorismo illuminato teso alla conciliazione della libera iniziativa economica con la concessione paternalistica di interventi di natura sociale, nel quadro di un’azione volta ad ammodernare la legislazione e la macchina statale. Questo orientamento di fondo traspariva chiaramente dalla sua articolata riflessione politica, non priva di mutamenti di indirizzo intervenuti nel corso del tempo. Dall’inizio della sua attività fino al 1821 – gli anni della restaurazione dello Stato sabaudo autonomo – egli mantenne una linea moderatamente progressista, favorevole all’espansione del liberalismo e alla costruzione patriottica di un’Italia indipendente. Accolse la rivoluzione piemontese del 1821 con un certo favore, ma dopo il suo fallimento ripiegò su posizioni conservatrici, cercando di mostrarsi ai superiori come funzionario integerrimo ed estraneo alle idee liberali. In quel periodo collaborò con il foglio ultramontano di Cesare d’Azeglio, L’Amico d’Italia. Successivamente, nel corso degli anni Venti, Petitti approdò a un conservatorismo più attento alle necessarie riforme economiche e sociali; a partire da tali nuove premesse si fece sostenitore di una scienza della politica fondata sulla cognizione statistica della realtà economico-sociale, come testimoniato da alcuni suoi contributi, fra cui le Ricerche statistiche sulla città di Parigi e il Dipartimento della Senna, apparse nel 1824 su L’Amico d’Italia (V, pp. 317-336), e le Memorie statistiche intorno alla provincia d’Asti (1826), manoscritto in due volumi (conservato presso la Biblioteca Reale di Torino), in cui egli dimostrò una buona capacità critica dei dati economici e sociali relativi alla provincia da lui amministrata.
Successivamente, Petitti si mise in contatto con quei rappresentanti del mondo liberale (fra i quali Federigo Sclopis, Luigi Cibrario, Giuseppe Grassi e il coetaneo Cesare Balbo) che sostenevano la necessità di un rinnovamento nell’amministrazione sabauda, guardando con speranza alla figura di Carlo Alberto, destinato a salire al trono nel 1831. Mantenendo ferme le sue posizioni antiliberali, Petitti entrò allora come ‘consulente tecnico’ nell’entourage di Carlo Alberto, che nel 1831 lo chiamò a far parte del Consiglio di Stato, il massimo organo consultivo del Regno di Sardegna, appena costituito anche con il suo stesso sostegno. Petitti ne fu membro fino alla sua morte, all’interno della sezione finanziaria, dedicandovi la gran parte delle proprie energie e influenzando i provvedimenti di quegli anni in materia di ammodernamento dell’amministrazione statale. La sua azione all’interno del Consiglio di Stato – interrotta solo in occasione di incarichi speciali o di viaggi di studio in Italia e in molti Stati dell’Europa occidentale – riguardò molteplici questioni amministrative (dal protezionismo alle ferrovie, dalle carceri all’istruzione), e fu particolarmente intensa fino al 1836.
Petitti ebbe in quel periodo altri numerosi incarichi di prestigio, anche all’interno di importanti commissioni. Fu membro del Consiglio speciale delle strade ferrate e ispettore alle carceri, nonché avvocato presso il Magistrato d’appello di Piemonte. Nel 1836 assunse anche la vicepresidenza della Commissione superiore di statistica istituita da Carlo Alberto. Fu molto attivo anche all’interno della comunità scientifica: nel 1837 divenne socio onorario della Società scientifica di Savona e nel 1839 socio residente nazionale dell’Accademia delle scienze di Torino.
A partire dal 1838 collaborò con le più aperte riviste italiane del tempo, fra cui gli Annali di giurisprudenza, Il Subalpino, i milanesi Annali universali di statistica, le Letture di famiglia e la Rivista europea, scrivendo anche su diversi giornali italiani e francesi. Come testimoniato dal suo vasto carteggio, strinse nel frattempo amicizia o rapporti di natura scientifica con insigni studiosi, patrioti e politici del tempo: Giovan Pietro Vieusseux, Carlo Cattaneo, Vincenzo Gioberti, Cesare Balbo, Massimo d’Azeglio, Camillo Benso di Cavour. Molti i suoi interlocutori anche a livello europeo, come Louis-Auguste Blanqui, Louis-René Villermé, Karl Mittermaier, Richard Cobden, Adolphe Quetelet.
Nel 1837, all’età di quarantasette anni, Petitti aveva cominciato a pubblicare in modo organico i suoi lavori sotto forma di articoli e volumi, raccogliendo e integrando l’abbondante materiale sino allora accumulato sui diversi aspetti economici e sociali del suo tempo.
La sua prima opera a stampa, apparsa a Torino nel 1837, fu il ponderoso Saggio sul buon governo della mendicità, degli istituti di beneficenza e delle carceri, in cui, mettendo a frutto le proprie conoscenze di amministratore di due province povere come Asti e Cuneo, esaminò il problema del pauperismo e degli strumenti per contrastarlo. Respingendo il modello inglese della ‘carità legale’, in quest’opera Petitti sosteneva la necessità che lo Stato si limitasse a sorvegliare sulle opere di carità, confessionali o laiche. Allargando l’analisi ai nessi fra pauperismo e criminalità, nel 1840 Petitti pubblicò a Torino, presso l’editore Pomba, un trattato sulla questione carceraria (Della condizione attuale delle carceri e dei mezzi di migliorarla), proponendo una riforma che valorizzasse la dimensione rieducativa della pena e concedesse al recluso condizioni più vivibili.
Con il suo studio Sul lavoro de’ fanciulli nelle manifatture (Torino 1841), recensito in Italia e all’estero, Petitti fu un precursore del dibattito sulla questione sociale in Italia. Soffermandosi sugli effetti più dirompenti dello sviluppo economico moderno e dell’industrialismo, si confrontò con il modello delle inchieste parlamentari inglesi e con gli studi tedeschi e francesi, fra cui un noto saggio di Villermé sulle condizioni dei lavoratori tessili francesi. Pur criticando le conseguenze morali, sociali e sanitarie del lavoro dei fanciulli, ne riconosceva tuttavia l’ineluttabilità, limitandosi a reclamare una regolamentazione che non intaccasse l’autonomia degli imprenditori. Rispetto ai diversi problemi posti dalla nascente questione sociale, i rimedi proposti includevano anche l’educazione popolare, la previdenza e le riforme amministrative, in un’ottica che restava moderata e a tratti paternalistica.
Petitti si dedicò in quegli anni anche alle riflessioni economiche, mostrando una più spiccata propensione per le questioni pratiche, piuttosto che per i problemi teorici. Riconobbe la necessità di promuovere lo sviluppo economico italiano conciliando le esigenze del comparto agricolo con quelle del settore industriale, intendendo il progresso economico anche come incremento del benessere collettivo: egli mirava infatti a conciliare il liberismo della teoria economica classica con i principi di solidarietà sociale ricavati dalla dottrina cristiana, affidando allo Stato il compito di coordinare questi obiettivi e di garantire l’armonia sociale. Contrario a ogni vincolismo, accolse con favore l’esempio dell’unione doganale tedesca, lo Zollverein. Nel 1842 fu tra i fondatori, insieme a Cavour, dell’Associazione agraria di Torino.
Particolare interesse suscitò negli ambienti politici, italiani e stranieri, l’uscita nel 1845, presso la Tipografia Elvetica di Capolago, del suo saggio sulla convenienza della costruzione delle strade ferrate, Delle strade ferrate italiane e del migliore ordinamento di esse.
Nell’opera, grazie alla quale raggiunse l’apice della sua fama, sostenne l’importanza della costruzione di un sistema di comunicazione in grado di sviluppare il commercio, favorire l’industrializzazione e rafforzare i legami fra le diverse regioni italiane. Trattando la materia ferroviaria, Petitti smorzò le posizioni più rigidamente liberiste assunte in precedenza, riconoscendo la necessità di un intervento dello Stato nella progettazione, nel finanziamento, nella costruzione e nella gestione delle ferrovie.
Fra il 1847 e il 1848 il mutato clima politico determinato dalle aperture riformatrici del Regno di Sardegna produssero in Petitti una nuova svolta verso il liberalismo, di cui divenne nei mesi seguenti un sostenitore. Le sue riflessioni sul Risorgimento italiano, raccolte nel volume Sull’attuale condizione del Risorgimento italiano. Pensieri (Torino 1848), si collocavano sul solco del moderatismo, esprimendo una difesa del principio di libertà e dell’ordine costituzionale. Durante quei mesi completò la sua ultima opera di carattere economico, Del giuoco del lotto considerato ne’ suoi effetti morali, politici ed economici (che sarebbe uscita postuma a Torino nel 1853), per dedicarsi in seguito in maniera pressoché esclusiva a riflessioni di natura politica.
Quest’ultimo scritto conteneva una condanna del gioco del lotto come fonte di spreco e ostacolo al risparmio, un tema destinato a riemergere nella stampa democratica di fine Ottocento.
Il 3 aprile 1848 fu nominato senatore del Regno, ma il suo contributo ai lavori della Camera alta fu limitato, per una certa sua distanza dai metodi di governo della classe dirigente subalpina e per il peggioramento delle sue condizioni di salute. In quel periodo scrisse sia per il Risorgimento sia su giornali toscani come l’Opinione e la Nazione. A partire dall’autunno del 1848 le posizioni politiche di Petitti ripiegarono nuovamente verso il conservatorismo, con un parziale arretramento rispetto alle idee fino allora espresse. Non a caso formulò in quei mesi una dura condanna sia dei repubblicani mazziniani sia dei socialisti. Nel 1850 uscirono infine a Torino le sue Considerazioni sopra la necessità di una riforma de’ tributi con alcuni cenni su certe spese dello Stato, opera nella quale tornò a difendere il non intervento dello Stato nell’economia e, in particolare, nel settore ferroviario.
Negli ultimi anni della sua vita Petitti fu affetto dalla podagra, che gli impedì una piena partecipazione alla vita politica piemontese, ma non la continuazione dell’attività di scrittura.
Morì a Torino il 10 aprile 1850.
Opere. I titoli già citati sono solo una parte della vasta produzione di Petitti. La più completa bibliografia degli scritti, ricostruita da Gian Mario Bravo, è posta in appendice ai due volumi da lui curati delle Opere scelte (Torino 1969), la cui Nota critica rimane a tutt’oggi l’introduzione più completa alla produzione edita e inedita di Petitti, incluse le lettere. Le più recenti edizioni degli scritti di Petitti sono: Un progetto di riforma dell’ordinamento sabaudo, a cura di P. Casana Testore, Roma 1988; Lettere a L. Nomis di Cossilla ed a K. Mittermaier, a cura di P. Casana Testore, Torino 1989.
Fonti e Bibl.: La parte più cospicua delle carte di Petitti è conservata a Torino, presso il Museo nazionale del Risorgimento italiano, Fondo Petitti; altri documenti (lettere, relazioni e scritti di altra natura) sono conservati in vari fondi dell’Archivio di Stato di Torino; scritti e lettere di Petitti sono presenti anche in altre sedi, fra le quali: Parma, Biblioteca Palatina, Epistolario parmense; Roma, Istituto per la storia del Risorgimento italiano, Fondo azegliano. Inoltre: P.S. Mancini, Notizia della vita e degli studi di C.I. P., introduzione a C.I. Petitti, Del giuoco del lotto, cit., pp. V-XIX; Dagli albori della libertà al proclama di Moncalieri. Lettere del conte I. P. di R. a Michele Erede dal marzo 1846 all’aprile del 1850, a cura di A. Codignola, Torino 1931; V. Spreti, Enciclopedia storico-nobiliare italiana, V, Milano 1932, pp. 293 s.; Lettere di I. P. di R. a Vincenzo Gioberti (1841-1850), a cura di A. Colombo, Roma 1936; C. De Biase, C.I. P. di R. nella rivoluzione piemontese del 1821, in Nuova rivista storica, XXXIV (1950), 1-2, pp. 52-72; G.M. Bravo, Profilo intellettuale e politico di C.I. P. di R. (1790-1850), in Annali della Fondazione Luigi Einaudi, II (1968), pp. 121-183; P. Casana Testore, Un progetto di riforma dell’ordinamento statale di C.I. P. di R. (1831), in Rivista di storia del diritto italiano, 1986, vol. 59, pp. 227-320; A. Capelli, Il carcere degli intellettuali. Lettere di italiani a Karl Mittermaier (1835-1865), Milano 1993, ad ind.; M.G. Meriggi, L’invenzione della classe operaia. Conflitti di lavoro, organizzazione del lavoro e della società in Francia intorno al 1848, Milano 2002, pp. 57 s.; I. Costanza, L’amministrazione periferica dal Piemonte all’Italia (1815-1861), Roma 2012, ad ind.; Archivio storico del Senato, Banca dati multimediale I senatori d’Italia, I, Senatori del Regno di Sardegna, sub voce, http://notes9.senato.it/ Web/senregno.nsf/P_l?OpenPage (24 febbraio 2015).