Vedi PETRA dell'anno: 1965 - 1996
PETRA (v. vol. VI, p. 96)
Le indagini archeologiche e le molteplici discussioni degli ultimi trent'anni hanno profondamente mutato il quadro delle conoscenze su Petra. Oltre ai controversi studi specifici sulle evidenze più note della città (ovvero le tombe rupestri), numerose sono le novità sull'area urbana apportate dalla scoperta di importanti edifici pubblici e religiosi.
Per quanto riguarda le linee generali dello sviluppo della città, oltre al preesistente stanziamento edomita a Umm el-Biyāra, l'arrivo dei Nabatei non sembra aver comportato, per un lungo periodo di tempo, la nascita di una città vera e propria né tanto meno la realizzazione di strutture monumentali.
Tale ipotesi, oltre a spiegare gli sporadici rinvenimenti di ceramica ellenistica e la totale assenza di edifici per quest'epoca, ha trovato una sostanziale conferma negli scavi condotti nel centro della città, a ez-Zantur, dove le prime abitazioni costruite (risalenti non oltre la metà del I sec. a.C. e peraltro di breve durata) sono precedute da una fase di occupazione priva di strutture murarie, ritenuta pertinente a un insediamento di tipo nomade. A questa fase «proto-urbana» risalgono inoltre semplici tombe rupestri ubicate sul pendio occidentale dell'altura di Khubtha e sulla parete rocciosa opposta dello wādī Musa, in seguito obliterate rispettivamente da alcune case e dal teatro.
A partire dalla metà del I sec. a.C., con il compimento della sedentarizzazione dei Nabatei, iniziò lo sviluppo dell'impianto urbano di Petra. Tra le prime opere furono realizzati con tutta probabilità il ponte e lo sbarramento all'estremità orientale del Slq e quindi i due sistemi di canalizzazione dello wādī Musa, uno tagliato nella roccia e l'altro costituito da condutture fittili.
A questo periodo risale inoltre la prima fase di Qaṣr el-Bint, testimoniata da alcuni lacerti murarî e materiali architettonici rimpiegati nelle fondazioni dell'edificio attualmente visibile e ipoteticamente attribuita a Oboda III (29/8-9 a.C.).
Grazie all'instaurazione della pax romana e ai cospicui proventi ottenuti dal commercio carovaniero, P. divenne in breve tempo una città grandiosa. La maggiore attività edilizia si manifestò probabilmente durante il regno di Areta IV (9 a.C.-40 d.C.): in questi anni infatti furono realizzati il teatro, il c.d. Tempio dei Leoni Alati e la fase principale di Qaṣr el-Bint con il relativo tèmenos.
Al momento, gli elementi noti sono ancora scarsi per poter definire con esattezza il quadro urbanistico complessivo. I quartieri abitativi sono stati indagati in minima parte, mentre scavi d'emergenza al di fuori del Sīq hanno messo in luce fornaci utilizzate sino al periodo bizantino, per cui non è da escludere che le attività artigianali e industriali fossero dislocate in quartieri periferici.
È verosimile che la conquista romana non mutò radicalmente la vita di P., che rimase un importante nodo amministrativo e centro militare sino al III sec. d.C. La progressiva riduzione di importanza ebbe comunque come epilogo il terremoto del 19 maggio 363, i cui effetti disastrosi sono ora documentati, oltre che dalle fonti scritte, anche dall'evidenza archeologica.
Nel periodo bizantino le testimonianze di vita sembrano suggerire un coagulamento dell'area urbana: Qaṣr el-Bint fu tramutato in una chiesa, come anche la Tomba dell'Urna (di questa trasformazione rimane la dedica dipinta del 446/447 d.C.); ulteriori terremoti (551 d.C.; 747 d.C.) distrussero definitivamente P., occupata in seguito solo dalla temporanea presenza del fortilizio crociato.
Qaṣr Bint Fira 'un. - Gli scavi hanno dimostrato che il tempio sorgeva all'interno di un vasto tèmenos, del quale l'arco a tre fornici sull'estremità occidentale della via colonnata costituiva il propileo di ingresso. Lungo il muro meridionale del recinto sacro correva una banchina nella quale fu rinvenuta, inglobata come materiale di reimpiego, una base di statua dedicata ad Areta IV, al quale è verosimilmente da attribuire una fase del tempio. È infatti molto probabile che durante il suo regno l'edificio sia stato radicalmente ricostruito (materiali di reimpiego nelle fondazioni suggeriscono comunque una fase più antica), e a questo periodo rimanda del resto lo stile delle pitture a imitazione marmorea (attribuite al periodo giulio-claudio) che decoravano i muri del tempio.
Teatro. - L'edificio è stato scavato completamente negli anni '60 e restaurato. Esso aveva la cavea in tre ordini, divisa in sei cunei e quasi completamente ricavata nella roccia (fattore che condizionò la forma generale e il numero dei sedili), come lo era anche l'orchestra, a pianta semicircolare (diam. 25,20 m). Le pàrodoi erano costruite e coperte da volte a botte, mentre la scena era in parte tagliata nella roccia, ornata da elementi architettonici di tradizione locale e da sculture, tra le quali una statua di Eracle in marmo, probabilmente di officina neoattica.
I dati di scavo consentono di porre la realizzazione del monumento al regno di Areta IV (per cui quello di P. costituirebbe una singolare attestazione di teatro romano al di fuori dell'impero), con diversi rifacimenti sino al momento della sua distruzione, dovuta al terremoto del 363 d.C.
Tempio dei Leoni Alati. - Dopo gli scavi condotti tra il 1974 e il 1978, l'edificio presso l'arco a tre fornici tradizionalmente designato come Ginnasio Superiore si è rivelato essere in realtà un complesso templare. L'ingresso era sulla Via Colonnata, dove un ponte (probabilmente coperto) superava lo wādī Musa e portava a un'area colonnata a pianta pressoché quadrata di 85 m per lato. Sul fondo, oltre una corte, era il tempio vero e proprio (m 17,42 X 17,42), articolato in un portico in antis e in una cella. Quest'ultima, pavimentata con lastre di calcare locale, aveva i muri interni decorati con profonde nicchie delimitate da semicolonne, in corrispondenza delle quali erano due file di colonne con capitelli di tipo nabateo. Sul fondo era un altare (alt. 1,31 m), pavimentato con lastre di marmo bianco e nero, munito di due scale, con una piccola cripta accessibile dal retro; la struttura era inoltre circondata da colonne, sulle quali erano capitelli figurati con leoni alati accovacciati, che hanno dato il nome al complesso.
All'esterno del tempio, sul lato O, tra i varí ambienti annessi, tre vani erano destinati a ospitare attività artigianali legate alla manutenzione del complesso. In particolare, un vano serviva per la rifinitura di oggetti metallici, un altro come deposito di materiali impiegati per l'esecuzione di pitture (sono stati rinvenuti vasi con colori) e un terzo come laboratorio di scultori. In quest'ultimo sono state rinvenute centinaia di scarti di lavorazione, tra i quali quattro lastre di un'epigrafe datata al trentottesimo anno di regno di Areta IV (27/28 d.C.) e interpretata come iscrizione dedicatoria del complesso.
Nella sua prima fase il tempio era riccamente decorato, ma successivamente le raffigurazioni che ornavano le nicchie della cella (motivi floreali, eroti) furono deliberatamente obliterate da pitture monocromatiche e i capitelli figurati furono lisciati e stuccati, probabilmente a seguito del riemergere della tradizione aniconica nabatea, forse in connessione del sorgere di sentimenti antiromani.
Sulla base di alcuni indizi, è stato recentemente proposto che il tempio fosse dedicato ad Allât o ad al-'Uzzā, divinità più probabili rispetto ad Atargatis, come si era suggerito in un primo momento.
« Tempio Sud». - Dalla parte opposta della Via Colonnata (quella meridionale), in posizione dominante, sono le rovine del «Tempio Sud» o «Grande Tempio» (m 40 X 28), individuato nel 1921, ma mai indagato a fondo: sono in corso scavi affidati a una missione americana.
Da un propileo monumentale, con gradinata, si accede a un primo ampio recinto; sul lato di fondo di quest'ultimo, attraverso una gradinata molto più ampia della precedente, si sale a un secondo recinto (recinto sacro superiore), al cui centro era il tempio vero e proprio, rivestito di stucco bianco. L'edificio è crollato a causa di un terremoto; ma i materiali rinvenuti sono abbondantissimi. Numerosi, fra l'altro, i frammenti di decorazione architettonica: alcuni capitelli, caratterizzati da elaborati motivi floreali, appaiono inquadrabili nell'arte nabatea dell'inizio del I sec. d.C.
Tombe. - Numerosi sono stati gli interventi che hanno tentato di dare un inquadramento tipologico e cronologico alle necropoli di Petra. Dopo la prima tipologia di Domaszeswki (1904) e le indicazioni cronologiche date dalle tombe rupestri di Medā'in Sāliḥ (datate epigraficamente tra l'1 e il 76 d.C.), osservazioni stilistiche generali e contributi sui singoli monumenti hanno più volte riaperto la questione, proponendo datazioni sensibilmente diverse (dal periodo assiro a quello ellenistico per le tombe «a pilone», dal periodo ellenistico al II sec. d.C. per la Khazne). Le cause principali di tali differenze sono costituite dalla rarità delle iscrizioni dedicatorie sopravvissute (con indicazioni temporali peraltro contraddittorie) e soprattutto dall'originalità dell'architettura rupestre di P., contraddistinta da una forte commistione di componenti egiziane e orientali con una scarsa presenza di elementi greci, tale da risultare priva di confronti significativi.
La migliore definizione dello sviluppo storico della città e i nuovi dati provenienti dagli scavi dell'area urbana hanno portato alla conclusione che le tombe principali sono da ascriversi al I sec. d.C., il periodo di maggior importanza di Petra. Tale datazione è confermata del resto dagli studi sui singoli elementi decorativi, sulla cui base è stato dimostrato che l'iscrizione dedicatoria del mausoleo di Sextus Florentinus (governatore d'Arabia nel 127 d.C.), a lungo considerata un punto fermo per la cronologia delle tombe della città, fu in realtà incisa su un monumento più antico, realizzato con tutta probabilità agli inizî del I sec. d.C.
Riguardo alle evidenze maggiori, il monumento più noto di P., la Khazne, è stato oggetto di numerosi studi che hanno evidenziato le sue peculiarità rispetto alle altre tombe della città: solo in questo caso, infatti, si possono riscontrare capitelli corintizzanti (con volute floreali intrecciate in luogo dei calici e delle elici) e soprattutto rilievi figurati di ispirazione greca. Questi ultimi rimangono di incerta interpretazione: al primo piano, gli dei accompagnati da cavalli potrebbero essere sia i Dioscuri sia divinità eroiche locali, mentre i due gruppi di divinità femminili del secondo ordine richiamano le Nìkai e le Amazzoni, come sembrano indicare le ali per le une e l'ascia e la corta tunica per le altre.
L'insieme di questi elementi sembra tradire in generale una marcata influenza alessandrina, ipotesi che trova una certa conferma nella divinità femminile recante la cornucopia al centro della thòlos superiore, paragonabile a raffigurazioni di regine tolemaiche designate con l'epiteto Agathè Tyche. Un'ulteriore conferma in questo senso proviene infine dall'acroterio del timpano del primo ordine, costituito dal disco solare con spighe di grano, simbolo prima della dea egizia Ḥatḥor e quindi di Iside, pertinente con tutta probabilità alla figura femminile (oggi molto rovinata) scolpita in alto. Tale presenza rimane controversa, data la natura funeraria del monumento, ma potrebbe forse indicare che l'edificio fungeva anche come luogo di culto del defunto e della divinità, analogamente a quanto si può riscontrare per alcune tombe di Medā'in Sāliḥ, consacrate - come ricordano le iscrizioni - al dio Dūšarā.
Per quanto riguarda la datazione, le notevoli influenze ellenistiche riscontrabili a livello compositivo e decorativo e la sostanziale assenza degli elementi più tipici dell'arte nabatea sembrano suggerire che la Khazne sia stata uno dei primi monumenti della città, da porre con tutta probabilità tra il I sec. a.C. e gli inizî del I sec. d.C., sebbene rimanga ancora incerta l'identificazione del dinasta a cui la tomba era dedicata.
Gli altri mausolei maggiori di P., pur presentando un'analoga impostazione compositiva, si differenziano sensibilmente dalla Khazne, indicando un graduale distacco dalla tradizione ellenistica: così se nella Tomba Corinzia si può ancora registrare la presenza dei capitelli corinzi, ed-Deir presenta tutti i motivi peculiari della decorazione architettonica locale, come i capitelli nabatei, il fregio dorico con metope riempite da dischi rotondi, ecc. Riguardo a quest'ultimo monumento, si è supposto che si tratti della tomba di Rabbel II, ultimo re di P. prima dell'annessione romana (proposta suffragata tra l'altro anche da analogie con la coeva porta di Bostra), mentre la Tomba Corinzia è stata attribuita in via ipotetica a Malichos II.
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