PETRARCHISMO
. La reazione stilnovistica contro l'artificiosità di Guittone d'Arezzo e della sua scuola aveva già esaurito il suo compito allorché il Petrarca scrisse il canzoniere. Egli era troppo gran poeta per fare della poesia un mero giuoco d'arguzie, ma molti dei suoi sonetti mostrano una tendenza agli artifici della vecchia lirica. Bastino, a esempio dei suoi manierismi, le terzine del sonetto: Quel sempre acerbo ed onorato giorno, ove si dà una descrizione della bellezza femminile che doveva diventare luogo comune:
La testa or fino, e calda neve il volto,
Ebeno i cigli, e gli occhi eran due stelle,
Onde Amor l'arco non tendeva in fallo;
Perle e rose vermiglie, ove l'accolto
Dolor formava ardenti voci e belle;
Fiamma i sospir, le lagrime cristallo.
O quel sonetto: Se amor non è, che dunque è quel ch'io sento? che per i suoi ὀξύμωρα, per l'immagine nautica, per le interrogazioni retoriche doveva incontrare tanto favore fino al sec. XVIII (questo è il solo sonetto del Petrarca tradotto da Chaucer). Nulla di tipicamente petrarchesco in codeste composizioni: il secondo sonetto, per es., non fa che ripetere secondo uno schema retorico alcune delle arguzie su Amore in voga nel Medioevo. Altri clichés trovatorici che il Petrarca trasmise ai suoi imitatori sono gli eguali principî di verso, i "S'il dissi mai...", i "Son questi...", lo schema "Benedetto sia 'l giorno..." (col suo contrario), e via dicendo.
Il Petrarca rappresenta uno stadio estremo di sviluppo; come in tutti gli stadî estremi, si possono scoprire in lui i germi della decadenza, che esplose tra la fine del Quattrocento e l'inizio del Cinquecento, in una fioritura flamboyante. Il Petrarca è un punto d'arrivo, non un principio, il suo canzoniere rappresenta l'ultima trasformazione cui giungono sotto l'azione di un nuovo e tutto individuale psicologismo la teoria dell'amore e i modi del corteggiare inventati dai poeti provenzali e stilnovistici. In quanto a sottigliezza psicologica, egli era assai in anticipo rispetto ai suoi tempi, sicché era difficile per i suoi imitatori inventar nulla in questa direzione. La loro ingegnosità poteva esercitarsi nella rifinitura di particolari, in variazioni su vecchi temi. Il successo di un mediocrissimo poeta quale il famoso Serafino Aquilano alla fine del Quattrocento è solo dovuto alla sua abilità nel ripresentare, in forma condensata, concetti petrarcheschi: ciascuno dei suoi sonetti è un giuoco a sorpresa; le sue poesie sono in realtà epigrammi, onde egli riuscì popolare soprattutto coi brevi strambotti. L'intero royaume du tendre fu inventariato da Serafino e dai poeti che in un certo senso furono i suoi maestri, il Cariteo e il Tebaldeo. Imitatori del Petrarca più concettoso e meno originale, codesti poeti saccheggiarono i predecessori e misero o rimisero in voga una quantità di metafore e di paragoni che per tutto il Cinquecento e anche in seguito dovevan far le spese di ogni libro di versi. Sarebbe possibile scrivere un dizionario di motivi impiegati dai petrarchisti: le fonti ultime dei temi sono i poeti erotici latini, specialmente Ovidio, gli epigrammatici greci, i trovatori provenzali. Una lista di tali motivi si può trovare nel Libro di Natura d'Amore del platonico Mario Equicola (1525); né mancarono dizionarî d'epiteti e di concetti (per es., il Giardino degli epiteti traslati et aggiunti poetici italiani, di G. B. Spada, Bologna 1665).
L'influsso di quei "secentisti del Quattrocento" (come ben li chiamò A. D'Ancona) che furono i petrarchisti flamboyants (Caririteo, Tebaldeo, Serafino) fu assolutamente sproporzionato al loro merito di poeti. La lirica moderna, in Francia e in Inghilterra, cominciò a scriversi sulle loro orme, e in un certo senso ci si può spiegare la fortuna di quei poeti, le cui raccolte erano come enciclopedie di arguzie, in un tempo in cui l'arguzia era tenuta in alta stima negli ambienti artificiali delle corti. Per spregevoli che possano apparirci oggi le freddure di Serafino, esse avevano una precisa funzione al loro tempo, poiché facevano le spese delle civili conversazioni d'una società il cui principale interesse era la galanteria. Nella poesia venuta in voga con Serafino la concezione provenzale e petrarchesca della donna come creatura angelica era al secondo posto; il primo era interamente occupato dall'Amorino degli antichi e dalle sue birichinate (la voga per questi temi diventò immensa dopo la pubblicazione dell'Antologia Planudea). Uno dei principali temi di questi poeti è, per es.: perché Amore è dipinto cieco, nudo, alato, con la torcia, l'arco e le saette? L'aspetto e le frecce di Cupido offrirono occasione a innumerevoli freddure. Un'altra fonte di concetti era lo stato dell'amante, il suo esser privo del cuore, imprigionato nel petto dell'amata; la sua meravigliosa condizione, d'esser caldo e freddo allo stesso tempo; i fiumi di lacrime che uscivano dai suoi occhi, le raffiche di sospiri che erompevano dalla fornace del suo petto: tutte le metafore che il Petrarca aveva toccato con mano leggiera, furono prese alla lettera e trattate materialmente dal Tebaldeo e da Serafino.
Gli eccessi di questa scuola flamboyante provocarono, com'è naturale, una reazione, capeggiata da P. Bembo, il quale tuttavia non predicò un "ritorno alla natura" come, in sostanza, avevano fatto i poeti dello stil nuovo reagendo contro la concettosità guittoniana, ma semplicemente un "ritorno a Petrarca", al Petrarca poeta, distinto dal manierista. Nella quarta decade del Cinquecento, tutta l'Italia si convertì al bembismo. Si evitarono i concetti, e i canzonieri si coloraron fortemente delle teorie platoniche esposte in opere come i dialoghi di Leone Ebreo e del Bembo stesso (gli Asolani) e i trattati d'amore di cui il secolo abbondava. I sonetti della maniera di Serafino e di Tebaldeo sono in genere mediocrissimi, ma divertenti, quelli della scuola del Bembo sono di solito eccessivamente monotoni, ma impeccabili per perizia di metrica e dizione. Il loro suono affascina; ma è pressoché impossibile serbar memoria dei loro argomenti, tanto essi ricalcano frasi, rime, progressioni petrarchesche. Sonetti quali: Se 'l viver nostro è breve oscuro giorno di B. Daniello, o Quel ben, che dentro informa, e fuor riluce di B. Varchi, offrono buoni esempî del grado di relativa eccellenza raggiunto da verseggiatori senza originalità, ma con l'orecchio attento alle cadenze petrarchesche. I petrarchisti del Cinquecento sono legione: di fatto, ogni persona di qualità sapeva comporre sonetti e canzoni, sempre decorosi, spesso buoni. Lo scriver sonetti petrarcheschi era considerato requisito indispensabile non solo di gentiluomi e dame, ma anche di cortigiane; sotto l'eguale vernice brillante del platonismo di moda, si nascondevano le più diverse figure morali di poeti. Zerbinotti e cortigiane, a passeggio e nelle più svariate circostanze, ostentavano il loro "petrarchino", o edizione tascabile del canzoniere petrarchesco. Pure, nella massa di una produzione quasi meccanica (si hanno anche centoni petrarcheschi, di cui diede l'esempio il Bembo), si possono distinguere alcune mosse originali, in Giovanni della Casa, per es., che variò il ritmo del sonetto introducendo enjambements e così facendo continuare il senso senza riguardo alla divisione in quartine e terzine (sui sonetti del Della Casa il Milton modellò i suoi).
La reazione contro i "secentisti del Quattrocento" era stata in parte provocata dalla sciatteria del loro stile; d'altronde i versi dei bembisti dovettero parere troppo austeri a un'età che aveva gustato i concetti del Tebaldeo e di Serafino. Sicché, quando, poco dopo la metà del Cinquecento, sorsero nell'Italia meridionale (dove il concettismo era fiorito col Cariteo) poeti che combinavano il gusto per le arguzie con l'impeccabile stile dei bembisti, il loro successo fu immediato. L'opera dei tre poeti napoletani che godettero gran voga nell'ultimo terzo del secolo, Angelo di Costanzo, Berardino Rota e Luigi Tansillo, fu divulgata dapprima nei Fiori delle rime dei poeti illustri di G. Ruscelli, del 1558. Da questi poeti al Marino, che doveva far trionfare il concettismo per tutto un secolo, il passo fu breve.
È notevole che l'imitazione petrarchesca in Francia cominciasse sotto l'influsso della maniera di Serafino. Il Serafino francese fu il poeta lionese Maurice Scève, i dizains della cui Délie rappresentano nella poesia francese una corrente epigrammatica affine a quella degli strambotti di Serafino, benché lo Scève non partecipi della rozzezza dell'Aquilano. Philippe Desportes imitò, spesso traducendo alla lettera, il Tebaldeo e gli altri "secentisti del Quattrocento". Petrarcheggiarono Clément Marot e Mellin de Saint-Gelais che fu tra i primi a introdurre il sonetto in Francia. Col Ronsard e J. du Bellay penetró l'influsso bembista.
Per tempo cominciarono a petrarcheggiare la Spagna, con don Iñigo López de Mendoza, marchese di Santillana, nella prima metà del Quattrocento, e la Catalogna, con Auzias March e altri, attirati dall'aria di famiglia che il Petrarca aveva coi trovatori; e fu un barcellonese, J. Boscán, a introdurre in Spagna l'imitazione dei nostri lirici petrarcheggianti del Cinquecento, stimolato a ciò da A. Navagero e da Garcilaso de la Vega, che doveva poi superarlo nell'arte imitando, anzi saccheggiando i nostri poeti, soprattutto il Sannazzaro, in voga al tempo in cui Napoli fu conquistata da Ferdinando il Cattolico. Sulle orme del Boscán si misero molti, Fernando de Acuña, Gutierre de Cetina, ecc. In Portogallo, Francisco Sá de Miranda ebbe una funzione simile a quella del Boscán in Spagna, inaugurando la serie dei lirici lusitani petrarcheggianti.
In Inghilterra l'imitazione petrarchesca. cominciò con Th. Wyatt e il Surrey sotto l'influsso di Serafino; e riprese poi verso la fine del secolo con poeti che in primo luogo subivano l'influsso dei Francesi, soprattutto di Desportes. Sicché la reazione bembista fu sentita in Inghilterra in un modo molto indiretto e debole. Il Watson e sir Philip Sidney, i due padri del sonetto elisabettiano, risentono l'influsso petrarchesco attraverso la Pléiade. L'Astrophel and Stella del Sidney offre una curiosa illustrazione del ritardo con cui l'Inghilterra seguiva le mode continentali. Da una parte il Sidney echeggia la corrente antipetrarchista che aveva ispirato al Du Bellay la sua ode Contre les Pétrarquistes, pubblicata nel 1553, quando la reazione bembista contro le stravaganze di Serafino raggiunse la Francia: ma Sidney scriveva verso la fine del secolo, quando quella reazione aveva fatto il suo tempo, e Du Bellay e Ronsard si erano aggiornati all'ultima moda italiana, che era di nuovo concettosa; ed è proprio secondo questa che sono scritti i più dei sonetti di Astrophel and Stella. Ronsard, Desportes, più che i petrarchisti italiani, ispirarono i numerosissimi sonettisti elisabettiani, Thomas Lodge, Barnabe Barnes, Michael Drayton, che, mentre satireggia i clichés petrarcheschi nel suo Remedy for Love, imita d'altra parte i petrarchisti continentali, Henry Constable, ecc. Il merito di poeti come il Drayton e il Constable sta soprattutto nell'aver perfezionato la tecnica del sonetto, e preparato così la via alla raccolta di sonetti dello Shakespeare, che, insieme con Edmund Spenser, pur restando nell'atmosfera petrarchesca, seppe trovare accenti originali e toccare alte cime. Continuò la tradizione dei sonettisti elisabettiani William Drummond of Hawthornden durante il regno di Giacomo I.
Bibl.: A. Graf, Attraverso il Cinquecento, Torino 1888; M. Vinciguerra, Interpretazione del petrarchismo, Torino 1927; J. M. Berdan, A Definition of Petrarchismo, in Publications of the Modern Language Association of America, XXIV (1909); A. d'Ancona, Del secentismo nella poesia cortigiana del sec. XV, in Studi sulla letteratura italiana de' primi secoli, Ancona 1884. Per il petrarchismo in Francia vedi F. Flamini, Le lettere italiane alla corte di Francesco I, e Le rime di Odetto de la Noue e l'italianismo al tempo di Enrico III, e I plagi di Filippo Desportes, in Studi di storia letteraria, Livorno 1895; J. G. Fucilla, Sources of Du Bellay's Contres les Pétrarquistes, in Modern Philology, XXVIII (1930), e soprattutto J. Vianey, Le Pétrarquisme en France au XVIe siècle, Montpellier 1909, e la bibliografia al cap. 2° della parte 2ª del Cinquecento di F. Flamini, anche per la Spagna. Per l'Inghilterra, P. Borghesi, Petrarch and his Influence on English Literature, Bologna 1905; I. Zocco, Petrarchismo e petrarchisti in Inghilterra, Palermo 1906; M. F. Jerrold, Francesco Petrarca, Londra 1909, cap. 11° (In Petrarca's school); C. Segrè, Due petrarchisti inglesi del sec. XVI, in Relazioni letterarie fra Italia e Inghilterra, Firenze 1911. Di scarso valore il volume di A. Meozzi, Azione e diffusione della letteratura italiana in Europa (secoli XV-XVII), Pisa 1932, ove tuttavia potranno trovarsi cenni riassuntivi sulla diffusione del petrarchismo, sviluppati ora nel vol. Il petrarchismo europeo nel sec. XVI, Pisa 1934. Preziosa la bibliografia di H. Vaganay, Le sonnet en Italie et en France au XVIe siècle, Lione 1903. Per il petrarchismo del Leopardi, v. C. De Lollis, Saggi sulla forma poetica italiana dell'Ottocento, Bari 1929.