PETROLCHIMICA
. Parte della chimica che si occupa della produzione di composti a partire, come materia prima, da prodotti petroliferi. La p. è nata dalle ricerche condotte durante e subito dopo la prima guerra mondiale, ma il suo vero sviluppo si è verificato dopo la seconda guerra mondiale. L'importanza assunta dalla p. si può dedurre dall'aumento degli investimenti in questo settore, indicato dai dati della tabella 1 che riassume (in milioni di dollari S. U. A.) i capitali che sono stati impiegati nell'industria petrolchimica nei principali paesi di Europa durante questi ultimi anni.
L'importanza assunta dai varî prodotti petrolchimici è indicata dai dati della tab. 2 che riporta (in milioni di t) la produzione negli S. U. A.; i prodotti petrolchimici rappresentano circa il 30% di tutta la produzione chimica.
L'enorme sviluppo della p. trova la sua ragione nella disponibilità sempre crescente di materie prime, rappresentate dai gas naturali o dai varî prodotti e sottoprodotti delle raffinerie di petrolio, dalla più facile disponibilità di tali prodotti e dai loro prezzi abbastanza stabili. Parte dei prodotti oggi ottenuti dalla p. si ricavavano in passato da prodotti o da sottoprodotti agricoli soggetti a continue fluttuazioni di prezzo o dal catrame di distillazione del carbon fossile, non sempre facilmente disponibile.
Significativi sono i dati della tab. 3 che riporta le materie prime di base usate dall'industria chimica organica in Germania nel 1959 ripartite fra quelle provenienti dal carbone e dal petrolio; la percentuale di queste ultime, pari al 24% nel 1957, è salita al 29% nel 1958 ed al 40% nel 1959.
I prodotti di partenza per l'industria petrolchimica possono essere o già presenti nel petrolio, e quindi venire separati da esso mediante processi per lo più fisici (distillazione, estrazione con solvente, ecc.), o venire prodotti nei varî trattamenti (reforming, cracking) come è il caso ad es. dei composti aromatici e di quelli insaturi, inizialmente presenti solo in piccola percentuale o addirittura assenti nelle varie frazioni del petrolio.
Il migliaio e più di composti ottenuti dalla p. derivano da un numero molto limitato di sostanze o meglio da poche classi di composti, quali paraffine a basso peso molecolare (metano, etano, ecc.), olefine (etilene, propilene), diolefine (butadiene), acetilene, composti naftenici, aromatici (benzene, toluene, xilene, ecc.). I processi di produzione dei varî composti a partire dalle materie prime di natura petrolifera sono svariatissimi, però essi fanno ricorso sostanzialmente ad un numero limitato di reazioni, quali:
a) Ossidazioni (v.), con aria o con ossigeno in fase liquida o gassosa, in presenza o no di catalizzatori. Esempî sono dati dall'ossidazione dell'etilene ad ossido di etilene, del cicloesano ad acido adipico, dell'acetaldeide ad acido acetico, del p-xilene ad acido tereftalico.
b) Clorurazione, al fine di sostituire con l'alogeno atomi di idrogeno (formazione ad es. di cloruro di metile da metano e cloro) o addizionare atomi di alogeno a composti non saturi.
c) Idrogenazione di composti non saturi nei corrispondenti saturi (preparazione del butandiolo) o ritluzione di gruppi aldeidici (alcool butilico da aldeide crotonica) o chetonici, ecc.
d) Condensazione, che può verificarsi con o senza eliminazione di molecole (di acqua, di idracidi, ecc.). Si hanno reazioni di condensazione nel caso di formazione di metilammine (da metanolo ed ammoniaca), di acroleina (da formaldeide ed acetaldeide), di esteri (da un acido ed un alcool), ecc.
e) Addizione a legami insaturi: così l'etilene può addizionare una molecola di acqua con formazione di alcool etilico, molecole di acido cloridrico o di cloro dando cloroetileni, una molecola di acido cianidrico con formazione di nitrile etilico, ecc.
f) Deidrogenazione: eliminazione cioè di atomi d'idrogeno con formazione di legami multipli (butadiene dal butilene, stirene dall'etilbenzene, benzene dal cicloesano, acetone dall'alcool isopropilico, ecc.). Analogamente si possono eliminare i costituenti di una molecola d'acqua (formazione di dimetiletere dal metanolo, del butadiene dal butandiolo, ecc.) o di idracido (preparazione del cloruro di vinile dal dicloroetilene, ecc.).
g) Idrolisi, cioè azione di una molecola d'acqua su di un sale con formazione di un alcool e di un acido (così dagli alchilsolfati si ha acido solforico ed un alcool, dal cloruro amilico, alcool amilico ed acido cloridrico, ecc.).
h) Polimerizzazione (v.), con la quale si possono preparare da composti non saturi numerosi prodotti di notevole interesse industriale (gomme, resine, ecc.).
i) Alchilazione (v.), cioè l'addizione di un radicale alchilico ad un composto aromatico (preparazione di dodecilbenzene per l'industria dei detergenti o formazione di composti alifatici a catena ramificata per benzine ad alto numero di ottano, ecc.).
I prodotti petrolchimici si possono classificare in base alle diverse materie prime dalle quali essi prendono origine.
Metano. - Rappresenta il principale costituente della maggior parte dei gas naturali; poiché le impurezze che di solito l'accompagnano (idrogeno solforato, anidride carbonica) possono essere allontanate facilmente, lo si può avere quindi abbastanza puro. Dai gas di raffineria si ottiene metano accompagnato da altri idrocarburi e da idrogeno, per lo più difficili da separare. Il principale impiego chimico del metano è rappresentato dalla sua conversione nella miscela ossido di carbonio-idrogeno per la sintesi dell'ammoniaca, del metanolo, ecc. In Italia i consumi di metano per sintesi chimica sono andati rapidamente espandendosi in questi ultimi anni: da 239.000 t nel 1956 si è passati a 262.000 nel 1957 e a 655.o00 nel 1958.
In particolare l'importanza assunta dal metano per la preparazione di gas di sintesi si può dedurre dai dati della tabella seguente che dà le percentuali delle diverse fonti della materia prima per la sintesi dell'ammoniaca in Italia in questi ultimi anni.
La miscela ossido di carbonio-idrogeno, materia prima di diversi processi di sintesi, si può preparare partendo oltre che da coke (gas d'acqua) anche da idrocarburi saturi per trattamento con vapore ad alta temperatura in presenza di catalizzatore o per loro parziale ossidazione con ossigeno. L'idrocarburo più largamente usato è il metano, però si può partire anche da paraffine a più alto peso molecolare. Il primo processo può avvenire attraverso la reazione
l'equilibrio si sposta verso destra al crescere della temperatura come risulta dalla tab. 5.
Con rapporti equimolecolari di metano e vapore la temperatura optimum è fra gli 800 ed i 1000 °C; la reazione si compie a pressione atmosferica (un aumento di pressione sarebbe sfavorevole ai fini del processo) facendo passare la miscela gassosa in un apparecchio di reazione formato da più tubi riscaldati a mezzo di gas e riempiti internamente di catalizzatore. Usando paraffine superiori (propano, ecc.) si verifica una maggiore tendenza alla formazione di residui carboniosi; si ottiene inoltre un gas a contenuto di ossido di carbonio più elevato. Il calore necessario alla reazione endotermica fra metano e vapore può essere dato dalla combustione di una parte del metano all'interno dell'apparecchio di reazione anziché all'esterno. In tal caso si ammette che l'andamento della reazione sia tale da fare avvenire prima la completa combustione di una parte del metano; l'anidride carbonica ed il vapore d'acqua formatisi reagirebbero col restante metano portando ad una miscela di ossido di carbonio ed idrogeno; l'insieme di queste reazioni si realizza, sempre fra 800 e 1000 °C, in presenza di nichel come catalizzatore. La composizione dei gas all'uscita è all'incirca CO 23-25%, H2 69-70%, CO2 5-7%, CH4 0,2%. Si può anche operare il rifornimento di calore anziché mediante combustione di parte del metano all'interno dell'apparecchio di reazione anche mediante forni rigenerativi, cioè portando la miscela vapore-metano a contatto con una massa di materiale refrattario preventivamente riscaldata per contatto diretto con i prodotti di combustione di metano con aria. Si è attivamente cercato di utilizzare il metano, oltre che per preparare la miscela H2 + CO, trasformandolo in prodotti organici (alcoli, acidi aldeidi, ecc.) per ossidazione diretta con ossigeno o a mezzo di altri agenti ossidanti. L'ossidazione con ossigeno presenta diverse difficoltà pratiche: formazione di miscele esplosive (ciò che costringe a lavorare con un eccesso di aria o di metano, ottenendosi nel primo caso miscele troppo diluite nei prodotti desiderati e nel secondo conversioni parziali del metano), formazione di diversi composti non sempre facili da separare, rese di solito basse. Dal metano per ossidazione con ossigeno in presenza di catalizzatori, a seconda della temperatura (sempre superiore a 250 °C) e della pressione, si può avere metanolo o formaldeide. Entrambi questi prodotti si possono ottenere ossidando gas naturali con aria a temperatura e pressione moderata (circa 450 °C e 20 atm) su catalizzatore a base di fosfati di alluminio ed ossido di rame. Si può ottenere un gas contenente circa il 35% di metanolo, 25% di formaldeide e 5-6% di acetaldeide.
Un'altra reazione del metano sfruttata industrialmente è la sua clorurazione; facendo combinare i due gas, a seconda del loro rapporto, si possono avere miscele più o meno ricche nei prodotti di clorurazione, da cloruro di metile a tetracloruro di carbonio.
La nitrazione del metano per mezzo di acido nitrico in fase gassosa a oltre 475 °C dà nitrometano, CH3NO2, che ha interesse come combustibile per razzi e come intermedio per la preparazione di diversi composti organici.
Paraffine a basso peso molecolare. - Si ottengono dai gas naturali o dai gas di raffineria. Etano e propano, presenti nei gas naturali, vengono di solito usati per la preparazione di etilene mediante processi di cracking; prodotti ossigenati si hanno per ossidazione di gas petroliferi liquefatti (propano-butano).
L'ossidazione degli omologhi superiori del metano presenta difficoltà decrescenti all'aumentare del peso molecolare dell'idrocarburo; l'ossidazione di solito è accompagnata da rottura della catena per cui si ha una resa relativamente bassa nei prodotti aventi un numero di atomi di carbonio uguale a quello dell'idrocarburo di partenza. La pressione di solito fa aumentare la resa nei varî prodotti. Ossidando una miscela di propano-butano a temperature intorno ai 400 °C e pressioni fino a 20 atm si ottiene una miscela di metanolo, formaldeide, acetaldeide, acido acetico, alcool propilico, metiletilchetone, ossido di etilene, propilene, ecc.
L'ossidazione di paraffirne superiori in fase liquida, a temperature di 100-180 °C e pressioni di 10-20 atm, porta ad una miscela formata da acidi organici, alcooli e chetoni. Il processo è stato largamente applicato in Germania partendo da paraffine a 20-30 atomi di carbonio ottenendo una vasta gamma di prodotti. Anche la clorurazione delle paraffine superiori è più semplice di quella del metano. L'etano per trattamento con cloro in difetto a 300-500 °C dà cloruro di etile; se si è in presenza anche di etilene, quest'ultimo nelle stesse condizioni non si clorura, però esso può reagire coll'acido cloridrico formatosi dando a sua volta cloruro di etile; è così possibile trasformare la frazione dei gas di raffineria formata da etano ed etilene completamente in cloruro di etile, inviando i gas alla clorurazione con cloro a caldo; il cloruro di etile formatosi si condensa per raffreddamento; l'etilene e l'acido cloridrico proveniente dalla reazione precedente si combinano in un secondo reattore.
La clorurazione degli idrocarburi superiori (propano, butano, pentano, ecc.) porta ad una molteplicità di prodotti a diverso grado di clorurazione o con lo stesso numero di atomi di cloro ma in posizioni differenti, che non possono essere separati facilmente gli uni dagli altri e trovano impiego come solventi, come intermedî in sintesi chimiche (specie per tensioattivi), come plastificanti, come agenti ininfiammabili, come dielettrici, ecc. Anche per ciò che riguarda la nitrazione, gli idrocarburi omologhi superiori del metano sono più facili da nitrare, però i prodotti ottenuti non hanno ancora trovato un largo impiego industriale.
Olefine. - Costituiscono una delle materie prime più importanti della p. per la loro reattività chimica ma non sono presenti nei petrolî; si producono però in sensibile quantità nei processi di cracking. Non tutte le olefine si formano nelle stesse condizioni ed in ugual misura ma la resa nei varî prodotti è funzione, oltre che dei prodotti trattati, del processo usato e delle condizioni operative (temperatura, ecc.).
Nella tab. 6 è riportata la resa nei varî prodotti leggeri, in % in peso, a partire da prodotti liquidi con processi diversi; particolare importanza, come materia prima, hanno i gas naturali e di raffineria (etano. propano, o loro miscele).
Nelle figg. 1 e 2 sono riportate le percentuali di etilene e di propilene nei gas della pirolisi del propano in funzione della temperatura o del grado di conversione del propano stesso. I gas naturali, quando disponibili, vengono di solito preferiti per il loro basso costo; si usano anche i gas di raffineria debutanizzati. Negli S. U. A. si può calcolare ad es. che circa 80-90% dell'etilene provenga da gas naturali, mentre in Europa circa il 60% proviene da cracking di idrocarburi liquidi. Le olefine di maggiore interesse sono:
a) etilene (v.): si può ottenere, come già detto, a partire da materie prime liquide o gassose, sempre con buone rese; il problema maggiore è rappresentato quasi sempre dalla realizzazione di una economica separazione dell'etilene prodottosi nel cracking, specie nei piccoli impianti. La separazione si fa di solito mediante distillazione, ma date le caratteristiche dei varî componenti da separare occorrono più colonne e per limitare le basse temperature necessarie si lavora sotto pressione. I varî processi usati sono in gran parte simili, differiscono per il tipo delle varie frazioni prodotte, per il sistema di produrre la refrigerazione, per la pressione di esercizio, ecc.
Oltre che dagli idrocarburi l'etilene può essere ottenuto per disidratazione dell'alcool etilico (proveniente ad es. da sottoprodotti agricoli) a 300-400 °C su catalizzatore (ossido di alluminio, acido fosforico, ecc.); si può anche ottenerlo dai gas delle cokerie (che ne contengono circa 2%) ma il suo recupero è economicamente conveniente solo se abbinato all'estrazione di altri componenti del gas (ad es. idrogeno, ecc.). I maggiori impieghi dell'etilene si hanno nella produzione dell'alcool etilico, dell'ossido di etilene, dell'etilbenzene, del cloruro di etile, del polietilene (o politene), ecc.
b) propilene (v.): è presente nei gas provenienti dai varî tipi di cracking catalitico in percentuale sempre piuttosto elevata, suscettibile di aumento al crescere della temperatura di cracking. Il propilene viene separato dagli altri gas per distillazione; ma mentre la separazione dalle altre olefine a 2 ed a 4 atomi di carbonio è semplice, non altrettanto si può dire per il propano, dal quale si separa per distillazione ad elevata pressione e per distillazione azeotropica in presenza di ammoniaca. Il propilene s'impiega nella sintesi dell'alcool isopropilico. nella preparazione di detergenti di fibre, di resine (moplen), ecc.
c) butileni: nei gas di cracking sono sempre contenuti in sensibile percentuale tutti gli idrocarburi a 4 atomi di carbonio saturi e insaturi: butano, butilene, isobutilene, butadiene; le percentuali dei singoli componenti variano in funzione della materia prima e delle condizioni del cracking: così il cracking catalitico fa accrescere la percentuale di isoparaffine ed isoolefine, un aumento di temperatura del cracking incrementa anche fortemente la percentuale di diolefine. La separazione dei varî componenti si può fare in parte per distillazione frazionata, in parte per distillazione estrattiva; come solvente per quest'ultima operazione si può usare una miscela di acetone ed acqua, o acetonitrile o furfurolo. Nella fig. 3 è riportato lo schema di uno dei metodi adottati per il frazionamento dei varî butileni (distillazione frazionata combinata con distillazione estrattiva).
L'isobutilene si può preparare anche per deidrogenazione dell'isobutano isolato dai gas naturali o ottenuto per isomerizzazione catalitica del butano normale. L'isobutilene si usa nella preparazione della cosiddetta gomma butile, nella preparazione del poliisobutilene, nella preparazione di detergenti, plastificanti, antiossidanti, dell'alcool butilico terziario, ecc. I butileni normali si usano principalmente per la preparazione di butadiene.
Le olefine a più alto numero di atomi di carbonio divengono sempre più difficili da separare e da ottenere allo stato puro, per l'aumento della complessità delle miscele (aumento del numero degli isomeri, ecc.); tale è il caso dei penteni, degli eseni, ecc. Per l'ottenimento di olefine sono state studiate anche altre strade oltre quella del cracking: così ad es. si può monoclorurare la molecola di una paraffina e poi eliminare cataliticamente i costituenti di una molecola di acido cloridrico, su silicato di alluminio a 350 °C circa; la posizione del doppio legame dipende da quella del cloro. Olefine si producono anche dai processi di sintesi Fischer-Tropsch.
Diolefine. - Dal punto di vista pratico hanno particolare interesse le diolefine contenenti due doppî legami coniugati, perché per polimerizzazione danno gomme sintetiche; fra esse la più importante è rappresentata dal butadiene. Tale composto non è però presente in quantità apprezzabile nei prodotti della raffinazione del petrolio, ma può essere ottenuto in varî modi: dall'alcool etilico, dall'acetilene, dal butano o dal butilene normale per deidrogenazione catalitica, ecc. Per cracking di idrocarburi liquidi si può ottenere butadiene però sempre in una percentuale bassa, qualche unità %; le rese migliori si hanno comunque a temperature dell'ordine dei 650 °C e per tempi molto brevi di contatto con il catalizzatore.
Per quanto si riferisce alla deidrogenazione del butene normale, la reazione (C4H8 ⇄ C4H6 + H2) è favorita da un'elevata temperatura e da una bassa pressione; di solito si scelgono temperature dell'ordine dei 625-675 °C perché a temperature più alte si verifica cracking del butene e polimerizzazione; il contatto è molto breve (0,2-0,3 secondi); la bassa pressione si realizza operando in presenza di una forte quantità di diluente e come tale si sceglie il vapor d'acqua che serve anche a eliminare i depositi carboniosi che si vanno formando sul catalizzatore. Questo può essere costituito da una miscela di ossido di magnesio, di ferro, di rame e di potassio o di ferro, di cromo, di potassio o da fosfati di calcio e di nichel con poco ossido di cromo. La miscela di vapore e butene ad ogni passaggio sul catalizzatore viene convertita, per un 50-60%, in butadiene.
Dai gas uscenti, contenenti oltre al butadiene formatosi, butene, butano, idrogeno, tracce di idrocarburi insaturi, a 3-5 atomi di carbonio, o saturi a 1-3 atomi di carbonio, il butadiene non può essere ottenuto allo stato puro per semplice distillazione data la vicinanza dei punti d'ebollizione degli altri composti; per tale via si può ottenere solo un parziale arricchimento; la separazione completa si realizza o per estrazione con solvente (esteri od eteri di glicol, furfurolo, trietanolammina, ecc.) usando ammoniaca o anidride solforosa come trascinatore per distillazione azeotropica, o per formazione di complessi o di composti (con cloruro rameoso, con anidride solforosa, ecc.).
Acetilene. - È un composto a triplo legame di importanza fondamentale per le sue spiccate doti di reattività chimica. Esso non è presente nei gas di raffineria ma si può ottenere da idrocarburi paraffinici a basso peso molecolare per cracking.
La produzione industriale di acetilene a partire da idrocarburi iniziatasi durante la seconda guerra mondiale si è venuta sempre più sviluppando raggiungendo in questi ultimi anni un interesse notevole. L'acetilene è un composto termodinamicamente instabile a temperatura ambiente, lo diviene meno al crescere della temperatura; al di sopra di 1200 °C è meno instabile degli altri idrocarburi per cui diviene possibile prepararlo da essi (gli idrocarburi paraffinici danno acetilene a temperature decrescenti al crescere del numero degli atomi di C).
L'insieme di queste proprietà comporta un certo numero di difficoltà nella produzione di acetilene da idrocarburi, infatti occorre fornire, rapidamente, una forte quantità di calore agli idrocarburi da trasformare perché essi possano raggiungere temperature elevate; poi occorre raffreddare bruscamente la miscela gassosa affinché l'acetilene non si trasformi e procedere infine alla sua separazione dagli altri componenti la miscela. I varî processi di produzione dell'acetilene partendo dagli idrocarburi differiscono soprattutto per il diverso modo con il quale viene fornito il calore:
a) riscaldamento attraverso tubi: in questo caso si fanno crackizzare gli idrocarburi (metano o suoi omologhi) a temperature dell'ordine di 1100 °C entro forni multitubolari nei quali i gas passano con velocità notevoli ed a pressione ridotta; si preferiscono forni rigenerativi nei quali si ha un'alternanza di fasi di riscaldamento (ottenuto facendo passare gas caldi all'interno dei tubi) e di cracking degli idrocarburi. La concentrazione massima di acetilene ottenibile da metano, pari al 25% (2CH4 ⇄ ⇄ C2H2 + 3H2), non si raggiunge mai e di solito essa non va oltre il 15-16%.
b) arco elettrico; consiste nel fornire il calore mediante un arco elettrico il quale è attraversato dai gas; questi raggiungono così temperature dell'ordine dei 1500-1600 °C e poi uscendo dalla zona dell'arco vengono raffreddati bruscamente a 150 °C. La percentuale di acetilene nei gas è dell'ordine del 12-15% ed il consumo di energia per l'arco è di circa 5 kWh/kg acetilene.
c) combustione parziale: si può raggiungere la temperatura di circa 1500 °C mediante combustione di parte del metano con ossigeno; la quantità di ossigeno dipende dalla natura del gas, nel caso di metano il rapporto (in volume) ossigeno/idrocarburo è di 1 : 2; nel caso dell'etano 1 : 1. I gas vengono preriscaldati separatamente, poi mescolati ed inviati al bruciatore formato da un blocco di ceramica contenente tanti canali dai quali i gas emergono a forte velocità e bruciano dando una fiamma corta e stazionaria. Il successivo brusco raffreddamento dei gas si realizza mediante iniezione d'acqua; la concentrazione d'acetilene è dell'ordine dell'8%; il rimanente gas è formato da un po' di metano non trasformato (~ 5%), da idrogeno (~ 54%) da ossidi ed anidride carbonica (rispettivamente 26 e 7%). Per separare l'acetilene ottenuto coi varî sistemi e che è sempre accompagnato da varî altri gas si sfruttano di solito le capacità assorbenti di alcuni liquidi (acqua, dimetilformammide, ecc.) sotto pressione: alla fig. 4 è riprodotto, per es., lo schema del processo di separazione dell'acetilene effettuato con acqua sotto pressione.
Nafteni (o cicloparaffine). - Sono presenti come tali nei petrolî in quantità variabile a seconda della loro origine e si formano anche in piccola percentuale nel cracking catalitico.
Dei composti naftenici sono presenti nei petrolî prevalentemente quelli con anelli a 5 o a 6 atomi di carbonio; così ad es. nelle frazioni bollenti fino a 150-180 °C si ha:
Oltre a questi composti naftenici possono essere presenti nel petrolio, ma sempre in piccola percentuale, trimetilciclopentano, etilciclopentano, trietilcicloesani, ecc.
I nafteni hanno interesse non per se stessi, ma in quanto costituiscono la materia prima per la preparazione di aromatici (attraverso reazioni di deidrogenazione, di isomerizzazione, ecc.).
Nei processi di trattamento del petrolio l'aumento di prodotti naftenici si ottiene, per esempio nei processi di reforming, attraverso la deidrogenazione di paraffine od olefine e ciclizzazione di queste oppure anche attraverso l'isomerizzazione (così per esempio il metilciclopentano dà il cicloesano, ecc.).
La separazione dei nafteni per semplice distillazione presenta difficoltà sia per la vicinanza dei loro punti di ebollizione con quello di paraffine e di aromatici pure presenti nei petrolî sia per la tendenza a formare azeotropi con altri idrocarburi (benzene-cicloesano. ecc.). La separazione dei nafteni dagli aromatici si può eseguire o con estrazione con solvente o, con maggiore facilità, per distillazione azeotropica od estrattiva. La separazione dalle paraffine presenta maggiore difficoltà, però è ancora possibile.
Aromatici. - I composti aromatici sono presenti nei petrolî in percentuale molto minure di quella delle paraffine o dei composti naftenici. Inoltre sono più abbondanti gli omologhi che hanno peso molecolare più alto piuttosto che quelli che hanno peso molecolare basso (come del resto avviene anche per i nafteni).
La produzione di composti aromatici può aumentare per deidrogenazione delle cicloparaffine o per cracking ad alta temperatura o per ciclizzazione di paraffine o di olefine. Gli aromatici si ottengono quasi totalmente dalle frazioni petrolifere ricche in prodotti naftenici per deidrogenazione ed isomerizzazione di questi; i composti aromatici ottenuti, insieme a quelli eventualmente già presenti nella frazione petrolifera di partenza, sono poi separati dai restanti costituenti.
Si hanno solo pochi esempî di petrolî ricchi di aromatici; nella gran parte dei petrolî americani il contenuto di aromatici nelle frazioni bollenti fra 40 e 180 °C è di 1,5-15% mentre quelli dei naftenici è del 25-75%. La deidrogenazione dei nafteni ad aromatici può essere schematizzata secondo la reazione:
che procede completamente verso destra a temperature superiori ai 282 °C; in pratica di solito si opera a 450-550 °C alla pressione di 10-30 atm. ed in presenza, come catalizzatore, di ossido di molibdeno (idroforming), di platino (platforming) o di platino e argilla attivata o silice-allumina. Data la forte esotermicità della reazione si utilizzano di norma più reattori in serie per poter fornire la necessaria quantità di calore alla temperatura più opportuna.
La resa in composti aromatici varia a seconda delle diverse condizioni del processo ma in genere può ritenersi dell'ordine dell'85-100%.
La separazione degli aromatici formatisi dalle paraffine e dai nafteni, eventualmente rimasti, a punto di ebollizione molto vicino, si può fare in diversi modi: per distillazione semplice, azeotropica od estrattiva o a mezzo di solventi, o per adsorbimento selettivo su sostanze solide o per cristallizzazione frazionata. La distillazione semplice non sempre può dare, da sola, buoni risultati per la vicinanza dei punti di ebollizione e per la tendenza di alcuni componenti a formare azeotropi; essa è comunque in grado di fornire concentrati da sottoporre ad ulteriori separazioni. La distillazione azeotropica usa come trascinatore metilisobutilchetone, mentre quella estrattiva impiega come solvente il fenolo. L'estrazione con solvente (fig. 5) usa liquidi dotati di spiccata selettività per gli aromatici o per le varie classi di aromatici (a basso, ad alto peso molecolare, ecc.); di solito sono costituiti da: anidride solforosa liquida, nitrobenzene, fenolo, furfurolo ed anche soluzioni acquose di dietilenglicole (sistema Udex). Nell'adsorbimento selettivo si sfruttano le proprietà del gelo di silice di trattenere selettivamente gli idrocarburi aromatici i quali poi possono essere eluiti dalla silice con composti aromatici a più alto punto di ebollizione (xileni, ecc.) e facili poi da separare per distillazione. Composti che presentano punti di ebollizione vicini possono avere diversa temperatura di congelamento e si può operare così una loro separazione per cristallizzazione frazionata: tale è il caso ad esempio degli xileni.
Sono state studiate numerose altre vie per giungere ai composti aromatici, ad es. ciclizzazione di paraffine o di olefine, a 6-8 atomi di carbonio o aromatizzazione di paraffine o olefine a 2-6 atomi di C. Allo stato attuale questi metodi non hanno praticamente interesse industriale.
Il benzene è la materia prima di numerosi composti; il suo consumo è ovunque in rapida espansione e quello ottenuto dall'industria del gas illuminante è sempre più insufficiente; già nel 1954 negli S. U. A. oltre 1/3 del benzene consumato proveniva dall'industria petrolifera. I maggiori consumi si hanno nella preparazione dello stirene, del fenolo, di detergenti sintetici, di insetticidi, di anilina, ecc.
Il consumo di toluene è pure in larga espansione non solo per il suo impiego nella preparazione di esplosivi (tritolo, ecc.), ma anche per l'impiego nei carburanti d'aviazione, come solvente e come materia prima di diverse sintesi chimiche. Analoga è la situazione degli xileni che si impiegano oltre che nei carburanti di aviazione, come solventi e nella sintesi di varî prodotti (fibre sintetiche. ecc.). Dei varî isomeri quello para è il più importante; si è cercato di incrementarne la produzione partendo dall'isomero meta che ha minore interesse industriale, attraverso un processo di isomerizzazione a 350-550 °C in presenza di catalizzatori di silice-allumina.
L'o-xilene trova impiego nella preparazione dell'anidride ftalica, l'isomero p si usa nella sintesi del tereftalato di politene (terital, terilene, ecc.), il m-xilene ha minore interesse e si cerca perciò, come sopra detto. di convertirlo negli altri isomeri.
Fra i composti aromatici, omologhi superiori del benzene, toluene e xileni, particolare importanza hanno l'etilbenzene e l'etiltoluene, il cumene, il butilbenzene, ed i derivati del benzene con catene laterali piuttosto lunghe (dodecilbenzene, ecc.). L'etilbenzene, C6H5−CH2CH3, utilizzato per preparare lo stirene, si prepara per alchilazione dell'etilene col benzene, per lo più in fase liquida (fig. 6); la reazione si fa avvenire a circa 90 °C in una torre alla base della quale si alimenta etilene, benzene ed i polietilbenzeni provenienti da cicli precedenti mentre dall'alto si fa scendere cloruro di alluminio come catalizzatore. Il prodotto uscente dall'alto della torre viene separato in due strati, l'uno contenente il catalizzatore che ritorna in ciclo e l'altro formato da etilbenzene, accompagnato da benzene inalterato e da polietilbenzeni; si separa per distillazione l'etilbenzene dagli altri composti che ritornano in ciclo. In altro processo si introduce anche cloruro d'etile che serve per riattivare il cloruro d'alluminio. L'operazione si può realizzare anche in fase vapore (a circa 275 °C e 60 atm) in presenza di acido fosforico. L'etilazione del toluene si fa nello stesso modo di quella del benzene.
L'addizione al benzene di un radicale isopropilico, con formazione di cumene, C6H5CH(CH3)2, si fa in condizioni analoghe a quelle dell'addizione dell'etilene in fase gassosa (a 250 °C e 25 atm in presenza di acido fosforico come catalizzatore) o in fase liquida (usando acido solforico come catalizzatore). Il cumene si addiziona ai carburanti di aviazione per il suo potere antidetonante e si trasforma, per ossidazione con aria, in idroperossido che per idrolisi, in presenza di acido solforico, si scinde in fenolo ed acetone.
L'addizione al benzene di catene idrocarburiche più lunghe è richiesta dalla preparazione di intermedî per tensioattivi. Il benzene si fa reagire, in presenza di cloruro di alluminio, o con la frazione petrolifera cherosene, a punto di ebollizione di circa 220-245 °C (contenente prevalentemente idrocarburi paraffinici a 12-13 atomi di C) previamente clorurata oppure con il tetramero del propilene; si ottiene, con elevata resa, un dodecilbenzene che solfonato e neutralizzato con soda costituisce uno dei più comuni detergenti.
Bibl.: A. D. Green e C. E. Morrell, Petroleum chemicals, in Encyclopedia of chemical technology, vol. 10°, New York 1953; R. F. Goldstein, The petroleum chemicals industry, 2ª ed., Londra 1958; OECE, L'industrie chimique en Europe, Parigi 1956-1960.