PETROLIO (dal lat. petra "pietra" e oleum "olio"; fr. pétrole; sp. petróleo; ted. Petroleum; ingl. petroleum)
Le miscele d'idrocarburi naturali, solidi, liquidi e gassosi, che oggi si comprendono generalmente sotto il nome di petrolio, sono note dalla più remota antichità e hanno ricevuto i nomi più svariati: petrolio, olio di roccia, balsamo di terra, olio di terra, olio minerale, bitume, malta, asfalto, pissasfalto, pissoleo, mumia, carabe, brea, olio di Meda, olio di S. Quirino, olio di Seneca, nafta persiana, pece di Trinidad, catrame delle Barbados, ecc.
Nella Bibbia il bitume o nafta naturale è menzionato spesso come materia cementante e mastice usato nella costruzione degli edificii dei musaici, delle imbarcazioni. La torre di Babele, l'arca di Noè, le mura di Babele furono costruite con il sussidio di bitume naturale. Questa sostanza era anche adoperata come materiale sacro dagli antichi Egiziani per l'imbalsamazione delle mummie e dai sacerdoti ebraici nei sacrifici per incendiare le vittime e per accendere fuochi sugli altari. Le fiamme erompenti da emanazioni di gas naturale o da sorgenti di petrolio accese, erano venerate come fuochi sacri o considerate come manifestazioni divine. Nel distretto di Baku il culto del fuoco assurgeva a religione derivante, secondo alcuni, da quella di Zarathustra.
Anche l'uso del petrolio come medicamento pare molto antico. Esso ha dato origine all'industria petrolifera americana. Secondo Erodoto, Plinio, Strabone e altri, già in tempi remoti il petrolio veniva adoperato nelle lampade, in luogo dell'olio d'oliva, in Babilonia e in Egitto. Per lo stesso scopo veniva adoperato l'olio minerale di Ecbatana (come Plutarco narra nella vita d'Alessandro) e quello siciliano dagli abitanti d'Agrigento. Secondo Marco Polo, verso la metà del sec. XIII quest'uso era diffusissimo nella Georgia; al cui confine, come egli narra, "si trova una fontana ove surge tanto olio, in tanta abbondanza che cento navi se ne caricherebbero alla volta, ma egli non è buono da mangiare, ma sì da ardere è buono da rogna ed altre cose. E vengono gli uomini molto dalla lunga per questo olio; e per tutta la contrada non si arde altro olio".
Fino a circa mezzo secolo fa, il più importante uso industriale del petrolio fu quello che se ne faceva nell'illuminazione. Esso fu facilitato dalla scoperta della lampada Argand (1784), che produceva la fiamma a corona e che, munita di caminetto di vetro, riduceva molto l'inconveniente della fuliggine. Più tardi, verso la metà del secolo scorso, un fabbricante di lampade tedesco, lo Stohwasser, perfezionava la lampada Argand, e l'applicava con grande fortuna agli olî di scisto che in Inghilterra produceva la famiglia Young. Del resto già nel 1802 l'uso del petrolio in lampade del tipo Argand era applicato e ufficialmente autorizzato per l'illuminazione stradale nelle città di Genova, Parma e Borgo S. Donnino (Fidenza).
Contemporaneamente in Italia e soprattutto negli Stati Uniti si facevano i primi timidi studî sulle possibilità di raffinazione del petrolio naturale. Samuel N. Kier, che vendeva il petrolio con grande fortuna sotto il nome di Kier's Petroleum per molteplici usi medicinali, faceva studiare la sua lavorazione da un chimico di Filadelfia e iniziava una rudimentale raffinazione. Pochi anni dopo, il prof. Sillimann dell'università di Yale ne saggiava in laboratorio le proprietà e la distillazione, profetizzando l'avvenire e le molteplici possibilità di questa industria.
Come l'uso del petrolio, così l'estrazione seguì fino ai tempi moderni metodi primitivi e di scarso rendimento. In un primo tempo ci si contentò di ricuperare il petrolio che veniva naturalmente alla superficie, d'ordinario mescolato con l'acqua, con mezzi rudimentali di raccolta e di separazione. Gl'Indo-americani e i Persiani distendevano sulla superficie delle sorgenti d'acqua e petrolio coperte di lana, che poi spremevano appena imbevute.
È tuttavia dimostrato che l'estrazione artificiale del petrolio data da epoca molto remota, p. es., in Giappone e in Cina. I pozzi a mano, che là si adoperavano, giunsero inalterati fino alla soglia dell'epoca moderna. Si trattava di larghi pozzi armati con impalcature di legno e opere di muratura, nei quali lavoravano a turno due uomini; e mentre uno scavava in fondo al pozzo, l'altro pompava aria nella cavità con un enorme mantice da forgia. Il petrolio veniva portato alla superficie con secchie e rudimentalmente decantato dall'acqua. Nel 1689 il medico modenese Bernardino Ramaggini dava notizia di pozzi scavati nei dintorni di Montefestino (Modena) fino alla profondità di 40 metri, per ritrarne petrolio usato come medicinale.
L'origine dell'estrazione artificiale del petrolio, modernamente intesa, si fa unanimemente risalire al 1859, anno in cui Edwin Laurancine Drake, tipico esemplare di nordamericano dell'epoca pionieristica, cominciava a perforare presso Vitusville in Pennsylvania il primo pozzo per petrolio con armature metalliche e anche con il sussidio di una perforatrice a vapore. Dopo alcuni mesi d'ostinato lavoro, in mezzo allo scetticismo e allo scherno degli abitanti, il 28 agosto dello stesso anno, fu raggiunta, alla profondità di poco più di 20 metri, un'importante vena di petrolio, che produsse per parecchie settimane circa 4 tonnellate di petrolio al giorno. Questo si deve considerare come il giorno di nascita dell'industria moderna del petrolio. Da quel giorno ebbe stimolo e inizio la favolosa "febbre del petrolio", che dalla Pennsylvania si comunicò poi agli altri stati petroliferi dell'America Settentrionale e quindi alle altri parti del mondo.
Un tempo il petrolio veniva trasportato con i mezzi ordinarî, in barili e anche in recipienti di vetro o di cuoio. Ma quando la produzione americana cominciò a svilupparsi, questi costosi mezzi di trasporto vennero sostituiti da altri nuovi e caratteristici: i carri serbatoio, le tubazioni o oleodotti (pipe-lines), le navi cisterna. Il primo oleodotto (dopo tentativi sfortunati di L. M. Burrow con tubazioni di ghisa) fu costruito nel 1865 dal van Sycle: era fatto di tubi di acciaio e lungo miglia 41/2. Dopo questo primo successo, in Pennsylvania se ne costruirono molti altri. Si vide subito che, monopolizzando questo nuovo mezzo di trasporto, tanto più economico degli altri, sarebbe stato facile dominare l'industria; perciò gli oleodotti furono oggetto per alcuni anni di lotte terribili, nelle quali si giunse ad assoldare bande di facinorosi per distruggere le tubazioni dei concorrenti. Più tardi il governo americano obbligò gli esercenti di oleodotti a trasportare anche petrolio di terzi.
La prima nave cisterna di tipo moderno fu la Glückauf, costruita nel 1886 in Inghilterra.
Verso la fine del secolo scorso, l'invenzione del motore a scoppio e delle vetture automobili, azionate a benzina, aprì gradatamente all'industria del petrolio un campo di consumo disordinatamente e quasi illimitatamente crescente. Alla carburazione con le frazioni di petrolio più leggiero nei motori veloci a esplosione e pressione variabile (ciclo Otto) si aggiungeva poi la combustione spontanea degli olî medî pesanti nei motori a pressione costante (ciclo Diesel).
Contemporaneamente l'uso dei derivati del petrolio per la lubrificazione meccanica si diffondeva enormemente, mentre la combustione a nafta negl'impianti di riscaldamento industriale e soprattutto sulle navi e il grande sviluppo dell'aviazione davano improvvisamente negli ultimi 20 anni all'industria del petrolio un interesse politico e bellico.
Costituzione chimica del petrolio. - I costituenti essenziali e nella maggior parte dei casi esclusivi del petrolio sono pressoché il carbonio e l'idrogeno, associati fra loro a formare idrocarburi (v.) innumerevoli e svariatissimi, la maggior parte liquidi a temperatura ordinaria, altri gassosi e solidi. Circa 200 idrocarburi sono stati fino a oggi identificati nel petrolio greggio o nelle frazioni da esso derivate per processi di distillazione o di decomposizione, ma questi non sono che una piccolissima parte degl'idrocarburi realmente contenuti nel petrolio o da esso derivati. Quanto alla composizione centesimale, la percentuale di carbonio nel petrolio varia da 80 a 89 e la percentuale d'idrogeno da 10 a 15. Oltre a questi elementi principalissimi, il petrolio può contenere zolfo (da 0,01 a 5,0%), azoto (da 0,0 a 1,8%) e ossigeno (da o,0 a 7,0%).
L'ossigeno, secondo molti autori, non è un costituente originario del petrolio, ma deriva da ossidazione dei composti non saturi a molecola pesante. Infatti esso si trova principalmente negli strati vicini alla superficie, che possono aver subito più a lungo l'influenza degli agenti atmosferici. Fra i composti ossigenati del petrolio i più importanti sono gli acidi naftenici, veri acidi carbossilici ad alto punto d'ebollizione, che s'incontrano specialmente nei petrolî europei (Romania, Russia, Alsazia). Meno importanti i componenti fenolici, le resine e gli asfalteni.
L'azoto è contenuto in alcuni petrolî allo stato d'ammoniaca, sali ammonici e basi piridiniche. Allo stato libero è d'ordinario presente, e talora in quantità forti, nei gas di petrolio.
Lo zolfo si deve ritenere un componente normale del petrolio, ma in generale è contenuto soltanto in quantità molto piccole (dal 0,1 all'1%). Tuttavia in alcuni petrolî messicani e sudamericani, in altri dell'Italia meridionale, dell'Albania, in bitumi del Lago Trinidad può raggiungere percentuali molto elevate (fino al 6-7%). Esso è contenuto principalmente allo stato di composti solforati organici (tiofenici), in piccola quantità allo stato di zolfo libero o d'idrogeno solforato disciolto.
Sostanze minerali o ceneri si trovano nei petrolî soltanto in via eccezionale e in generale (se si eccettuano alcuni bitumi naturali) in quantità molto piccole. Così pure l'acqua è da ritenersi un componente accidentale del petrolio.
Il carbonio, secondo alcuni autori, è contenuto in alcuni petrolî anche allo stato elementare, ma, in ogni modo, in via assolutamente eccezionale. L'idrogeno non è mai contenuto allo stato elementare, neanche nei gas di petrolio.
Carbonio e idrogeno sono invece legati tra loro sotto forma d'idrocarburi. Per quanto si possa dire che quasi tutte le classi d'idrocarburi sono rappresentate nel petrolio, due classi predominano: gl'idrocarburi alifatici o paraffinici saturi (formula CnH2n + 2) e gl'idrocarburi naftenici o idroaromatici (CnH2n). Gl'idrocarburi di ambedue le categorie sono a carattere saturo, ma i primi sono a catena aperta, i secondi a catena chiusa (ciclici). I primi sono i costituenti esclusivi dei gas di petrolio e, nella maggior parte dei casi, i costituenti principali delle frazioni leggiere (benzina e petrolio lampante). Nelle frazioni più pesanti possono, secondo i casi, predominare gl'idrocarburi alifatici o quelli naftenici.
Si usa così distinguere due grandi classi di petrolî greggi: i petrolî paraffinici, dei quali sono tipici i pennsylvanici, costituiti per oltre il 66% da idrocarburi paraffinici e i petrolî naftenici, dei quali sono invece tipici la maggior parte dei petrolî russi, costituiti per almeno due terzi da idrocarburi naftenici. Oltre a queste due categorie C. Engler distingue una terza categoria a base mista, comprendendo in essa i petrolî costituiti da idrocarburi paraffinici e naftenici in quantità quasi uguali. I petrolî a base alifatica si distinguono per un rapporto più basso tra densità e punto d'ebollizione. Essi sono particolarmente indicati per la produzione di buoni lubrificanti.
L'Engler raggruppa infine in una categoria di costituzione anomala tutti i petrolî che contengono, oltre a questi componenti essenziali, altre categorie d'idrocarburi in quantità notevole, come idrocarburi aromatici, idrocarburi olefinici, terpeni, ecc. Gl'idrocarburi aromatici sono stati trovati principalmente in alcuni petrolî della California e di Borneo. Essi sono contenuti principalmente nelle frazioni leggiere, alle quali conferiscono una maggiore densità e un elevato potere antidetonante. Gl'idrocarburi olefinici etilenici (CnH2n), e in genere gli idrocarburi a carattere non saturo facili all'ossidazione e alla polimerizzazione, non sono contenuti nei gas di petrolio e nelle frazioni leggiere dei petrolî naturali ed è dubbio che siano comunque contenuti nei petrolî greggi. Tuttavia essi s'incontrano oggi frequentemente e abbondantemente nei derivati petroliferi, in quanto prodotti dalla decomposizione degl'idrocarburi alifatici pesanti. Essi si possono distinguere ed eliminare per la loro reattività di fronte all'acido solforico. Tendono a polimerizzare e a formare le gomme nelle benzine. Tuttavia, mantenuti al disotto di certi limiti, nelle benzine possono essere apprezzati, in quanto diminuiscono la tendenza alla detonazione nei motori a scoppio anche con elevato rapporto di compressione.
I petrolî greggi si possono anche distinguere per il loro tenore più o meno elevato in paraffine (ingl. max), cioè in idrocarburi alifatici di alto peso molecolare. Questi idrocarburi, che sono solidi a temperatura ordinaria, tendono ad aumentare la viscosità del greggio e la sua tendenza a solidificare o a rapprendersi per raffreddamento. Eliminati con opportuni mezzi, costituiscono un pregevole sottoprodotto.
Diamo nella tab. 1 una lista di alcuni fra i principali petrolî con la loro composizione chimica.
Quanto al comportamento chimico dei petrolî, quelli a base paraffinica sono più resistenti degli altri all'azione degli agenti atmosferici (ossidazione) e degli agenti chimici (acido solforico), nonché meno solubili nei comuni solventi. Trattando i petrolî greggi con speciali solventi, come l'anidride solforosa liquida, il furfurolo, l'alcool butilico, ecc., si può arrivare a separare abbastanza bene gl'idrocarburi paraffinici da quelli non saturi.
Caratteri fisici del petrolio. - I caratteri fisici più importanti per un petrolio greggio sono: il colore, la densità, la viscosità, la volatilità. Essi variano moltissimo secondo i giacimenti e, nello stesso giacimento, secondo gli orizzonti o profondità. Come regola generale la densità, l'intensità del colore e la viscosità crescono con andamento parallelo, mentre la volatilità varia in senso inverso. Così pure si osserva in generale un aumento di volatilità e una diminuzione di viscosità e di densità, nonché d'intensità di colore, a mano a mano che si scende dagli strati superficiali verso i più profondi, in uno stesso giacimento. Questo fatto, che ha poche eccezioni, si spiega ammettendo che gli strati più superficiali di un giacimento petrolifero siano più facilmente sottoposti a fenomeni d'ispessimento, sia per evaporazione delle frazioni più volatili, sia per trasformazioni chimiche, e cioè condensazioni, ossidazioni, polimerizzazioni, attraverso le quali le molecole più semplici passano a molecole via via più complesse. Il colore dei petrolî greggi varia moltissimo, dal giallo chiaro di certi petrolî appenninici italiani al nero-pece di molti petrolî americani e russi, attraverso tutte le gradazioni. Con andamento pressoché parallelo varia, come si disse, la densità. Fra i petrolî più chiari e più leggieri sono il petrolio di Kudako (Russia), la cui densità a 15° è 0,650 e quelli italiani di Neviano de' Rossi, Salsomaggiore e Montechino. Fra i più pesanti citiamo quello italiano della Terra di Lavoro (0,97) e quello di Minbu (Birmania; 1,002). Quanto alla sopraccennata variazione della densità con la profondità si ha l'esempio dei giacimenti della Pennsylvania, dove si trovano tre strati di sabbie petrolifere sovrapposti, a distanza di circa 76 m. l'uno dall'altro. La densità varia con gli strati nel modo seguente: strato superiore 0,8750-0,8484; strato intermedio 0,8235; strato inferiore 0,8000-0,7777.
La densità in generale è riferita a 15°. Essa varia con la temperatura di circa 0,0008 per grado. Questo fattore è da aggiungere per ogni grado in più di 15°, e da sottrarre per ogni grado in meno.
La viscosità è molto importante, non soltanto per caratterizzare un petrolio, ma anche per il suo trasporto nelle tubazioni e per caratterizzare i lubrificanti. Essa aumenta in generale insieme con la densità, diminuisce con l'aumentare della volatilità e con la profondità degli strati in uno stesso giacimento. La viscosità viene generalmente espressa in Europa in gradi Engler, dal rapporto fra il tempo che un certo volume di olio mette a scolare per il foro di un determinato apparecchio (viscosimetro Engler) e il tempo impiegato da 1mo stesso volume d'acqua. Le determinazioni devono essere fatte alla stessa temperatura e si hanno allora le viscosità a quella data temperatura. Negli Stati Uniti si adopera il viscosimetro Saybolt, che dà valori diversi. Oggi si tende sempre più ad adottare la viscosità assoluta. Il cosiddetto fattore di viscosità si può avere, secondo l'Ubbelhode, dalla viscosità Engler (E) a 20° con la formula:
La viscosità specifica è z = Zd, dove d è la densità del liquido alla temperatura di ricerca; la viscosità assoluta è data da
dove 0,01797 è la viscosità dell'acqua a 0°.
La volatilità di un petrolio si può intendere in due modi. Si può cioè riferire alla perdita che il petrolio subisce, per esposizione all'aria in certe condizioni, a una certa temperatura, in un certo tempo, oppure si può riferire alla temperatura di ebollizione iniziale o addirittura alla sua curva di distillazione. In ogni modo, per essere paragonabili, questi valori devono essere determinati in condizioni assolutamente identiche. I petrolî meno densi sono generalmente i più volatili e sono d'ordinario anche quelli che dànno la maggiore resa in benzina. La volatilità di un petrolio ha dunque importanza non soltanto come indice per la sua lavorazione, ma anche perché da essa dipendono le perdite in peso e in valore durante l'immagazzinamento.
Queste perdite non sono dovute soltanto a effettiva evaporazione delle parti più leggiere (e quindi di maggior pregio), ma anche ai già citati fenomeni d'ispessimento (ossidazione, polimerizzazione).
Secondo le ricerche del Nawratil sopra un petrolio di Blich presso Gorlice (Galizia occidentale), l'esposizione di questo petrolio in una capsula aperta per un mese fece variare la sua densità da 0,800 a 0,895 con una contemporanea perdita in peso di circa il 10%. Diamo nella tabella 2 la densità di alcuni petrolî insieme con il loro tenore in olî leggieri distillati (sotto 250°).
La volatilità del petrolio è in stretto rapporto con la sua tensione di vapore e questa a sua volta ha molta importanza anche per l'immagazzinamento in recipienti chiusi, nei quali una troppo forte tensione di vapore può costituire un pericolo, sia per la pressione che così viene a esercitarsi sulle pareti del recipiente, sia per la maggiore o minore facilità a formare miscele esplosive con l'aria negli spazî vuoti sovrastanti al liquido negli stessi serbatoi.
Altre caratteristiche fisiche interessanti dei grezzi sono la temperatura d'infiammabilità, la temperatura di accensione e la temperatura di solidificazione o congelamento. Per temperatura d'infiammabilità s'intende in genere quella alla quale il petrolio produce vapori in quantità tale che con l'aria in un recipiente chiuso formano miscela esplosiva, mentre per temperatura di accensione s'intende quella alla quale il petrolio si accende in modo permanente avvicinandogli una fiamma. Tutt'e due queste temperature, e soprattutto la prima si devono determinare in condizioni assolutamente definite per ottenere valori paragonabili. Oltre al punto di congelamento, ha importanza la temperatura di addensamento (ted. Erstarrungspunkt), che è la temperatura alla quale il petrolio assume una consistenza tale da rendere difficile o impossibile il movimento di organi mobili, come, p. es., delle pompe. Essa è soprattutto in dipendenza del tenore di paraffina del petrolio stesso. Diamo nella tab. 3 il punto di infiammabilità e quello di congelamento di alcuni petrolî.
Fra le proprietà fisiche hanno grande importanza per la lavorazione del petrolio il calore specifico e il calore latente di evaporazione. Il primo è notoriamente la quantità di calore (in grandi calorie) necessaria per innalzare di un grado la temperatura di un chilogramma di petrolio (a 15°). Esso si aggira intorno a 0,45-0,50 per i petrolî di tipo corrente e cresce molto col crescere della temperatura. Il secondo è il calore necessario per evaporare un chilogramma di petrolio. Per quanto questo valore sia difficile a determinare per miscele complesse del tipo di quelle che costituiscono il petrolio greggio, tuttavia, secondo i dati di E. Graefe, esso si aggira intorno a 86 Cal. per i petrolî più leggieri (D = 0,883) e a 68,7 Cal. per quelli più pesanti (D = 0,905).
Hanno acquistato una certa importanza per la caratterizzazione del petrolio anche proprietà ottiche e in particolare l'indice di rifrazione. È dimostrato che questo indice cresce in generale con il crescere della densità e con il diminuire della volatilità. Una somiglianza nei valori dell'indice di rifrazione corrisponde in genere a un'analogia di costituzione chimica. Anche il potere rotatorio di alcuni petrolî (proprietà di deviare il piano della luce polarizzata) appare importante, soprattutto in rapporto alle discussioni sull'origine del petrolio stesso, in quanto pare appoggiare la teoria della formazione organica ed escludere che in questa formazione il petrolio sia andato soggetto a temperature molto elevate.
Infine la solubilità dei varî petrolî nei comuni solventi organici, o, viceversa, il potere solvente nei confronti di sostanze diverse sono stati anche oggetto di attenzione, sia in rapporto all'impiego diretto dei petrolî, sia come approssimata caratterizzazione della loro provenienza o costituzione chimica. In generale i petrolî a base paraffinica sono i meno solubili nei comuni solventi.
Giacitura e genesi del petrolio. - Si considera come formazione petrolifara un complesso di rocce impregnate d'idrocarburi gassosi e liquidi, accompagnati spesso da acque salate fossili. Vi sono formazioni petrolifere primarie e secondarie. Nelle prime i petrolî e i gas si trovano dove si sono formati o furono trattenuti nella sedimentazione, nelle seconde petrolio e gas sono giunti per emigrazione a impregnare rocce estranee alla loro origine.
Le rocce contenenti petrolio sono quasi esclusivamente sedimentarie, arenarie e sabbie. Con questi caratteri petrografici si presenta il Cretacico inferiore del Colorado e del Wyoming, il Cretacico inferiore e il Giurassico della regione preuraliana. Subordinatamente si hanno formazioni petrolifere in calcari porosi o fessurati, calcari argillosi, calcari oolitici, calcari corallini, dolomie, ecc. Per esempio, i calcari di Trenton nell'America Settentrionale (Ordoviciano), i calcari cretacici di Tampico nel Messico, i terziarî della Gulf Coastal nel Texas, quelli della Fars Series nella Persia. Anche altre rocce, purché porose o fessurate, possono costutuire formazioni petrolifere. Si conoscono tufi vulcanici petroliferi (Giappone) e anche rocce eruttive e scisti cristallini contenenti petrolio. In vicinanza di queste ultime rocce si trovano sedimenti, dai quali è migrato il petrolio.
Migrazione del petrolio. - Infatti esso si può concentrare nelle stesse rocce madri in seguito a movimenti tettonici, come può abbandonarle per raccogliersi e concentrarsi in ambiente petrograficamente più adatto a costituire un buon recipiente (sabbie, arenarie molassiche, calcari fratturati).
La sostanza madre del petrolio, secondo molti geologi, si trova in fanghiglie argillose, più raramente calcaree. Gli strati argillosi, sottoposti a carico sempre maggiore, vengono compressi e, per la diminuzione dello spazio dei pori, i liquidi e i gas in essi contenuti migrano in banchi di arenarie, il cui spazio di pori diminuisce poco per pressione di carico. Il passaggio del petrolio si ritiene possa essere avvenuto allo stato liquido per filtrazione, facilitata dalla pressione, attraverso materiali plastici, o per capillarità attraverso gli strati porosi, o infine, in considerazione della pressione e della temperatura degli strati profondi, allo stato gassoso.
Anche la diversità della tensione superficiale del petrolio e dell'acqua, poiché l'acqua riempie gli spazî capillari con una velocità tre volte minore che il petrolio, e offre per abbandonarli una resistenza tre volte maggiore, può avere determinato la migrazione del petrolio dalla roccia argillosa finemente porosa, in un materiale più grosso, p. es., una sabbia.
Inoltre la separazione in petrolio, acqua e gas, secondo il peso specifico, può portare a una migrazione che può avvenire attraverso fratture degli strati.
L'arricchimento in petrolio dipende dall'originale ricchezza della roccia e dall'ampiezza del territorio che vi concorre. La ricchezza di uno strato può essere ricavata dallo studio della capacità d'imbibizione di esso e dipende dalla somma degli spazî di tutte le piccole lacune della roccia.
La quantità di petrolio, effettivamente fornita, s'indica come volume produttivo dei pori: essa è sempre minore di quella contenuta nella roccia, di cui può rappresentare solo il 50%, e anche meno.
Una formazione petrolifera comprende rocce porose, che costituiscono il serbatoio, e rocce impermeabili, che servono di protezione; sabbie o arenarie imperfettamente cementate. calcari fessurati o dolomie cavernose, più raramente ghiaie e conglomerati o rocce porose di origine eruttiva, le prime; argille, marne, scisti argillosi, calcari e arenarie compatte, le seconde. Lo spessore totale di essa può raggiungere parecchie migliaia di metri, dei quali soltanto determinati banchi sono fertili. Il petrolio è accompagnato da gas e da acque salsoiodiche. Tra i gas predomina il metano con altri idrocarburi gassosi; seguono poi l'azoto, l'idrogeno, l'ossido e il biossido di carbonio, l'idrogeno solforato, l'argo e l'elio.
Essi impregnano in generale tutta la formazione petrolifera; se non vi sono orizzonti importanti di acque salate, si concentrano nella parte superiore del giacimento, con pressioni che in giacimenti vergini possono arrivare a qualche centinaio di atmosfere e, in giacimenti in corso di sfruttamento, mantenersi a lungo a decine di atmosfere.
Generalmente i gas sono disciolti nel petrolio e raccolti in maggior quantità nella parte superiore delle strutture, dove maggiore è la pressione. Essi conferiscono il potere ascensionale, determinando talvolta eruzioni assai violente con getti all'apertura dei pozzi, in qualche caso intermittenti come i geyser, e spesso con sabbie e pietre, dall'urto delle quali si può originare la favilla che accenda il petrolio.
Le eruzioni possono essere tanto violente da strappare i pesanti utensili di perforazione dalla profondità anche di mille metri e proiettarli all'esterno asportando l'incastellatura della sonda.
Un'idea della proporzione tra gas e petrolio si può avere ricordando che in Romania il petrolio contiene 200 mc. di gas per mc. di liquido, il che corrisponde al 16,5%. In generale le sonde portano dapprima olio e poi acqua. Ma se l'acqua è mista a gas, essa può raggiungere una tensione superficiale eguale a quella del petrolio ed effluire insieme formando un'emulsione, dalla quale si separa il petrolio per centrifugazione e per trattamento elettrico.
Le acque sono quasi sempre salate e contenenti iodio e bromo, la cui presenza rivela l'origine marina.
Le salsoiodiche di Salsomaggiore contengono una notevole percentuale di gas, che viene accuratamente captata e utilizzata, mentre nello stesso bacino si estraggono notevoli quantitativi di idrocarburi liquidi. La composizione del petrolio varia con le diverse condizioni di bituminizzazione e può venire modificata dalla migrazione. Dipende dall'età geologica del giacimento, cioè dalla lunghezza del periodo di conservazione. Nei punti dove il petrolio effluisce si condensa per evaporazione della parte fluida, e anche per ossidazione e polimerizzazioni.
Classificazione dei giacimenti. - Essa può essere basata su elementi diversi: dal punto di vista della composizione chimica i petrolî si dividono in petrolî paraffinici, petrolî naftenici e petrolî a base mista (v. sopra).
Per la generi si possono distinguere, come già detto, giacimenti primarî e secondarî. Per l'età di formazione, giacimenti. paleozoici, mesozoici, terziarî. È interessante notare come la produzione attuale venga ricavata da tali orizzonti geologici approssimativamente nelle seguenti proporzioni: da terreni paleozoici circa il 30% (un terzo della produzione annua mondiale, ora un po' di meno, dall'America Settentrionale); da terreni mesozoici il 20%, principalmente nel Messico, e anche nella Germania del nord, dove si trova petrolio perfino nello Zechstein; da quelli terziarî il 50% (Caucaso, Carpazî, Persia, Birmania, Sumatra, Giava, Borneo, Venezuela, California, ecc.).
Dal punto di vista stratigrafico i giacimenti si possono distinguere nel modo seguente: quelli esistenti in pieghe autoctone e in zone carreggiate delle regioni fortemente dislocate, e quelli esistenti in regioni tettonicamente tranquille.
Il petrolio è generalmente localizzato lungo le creste o lungo i fianchi delle anticlinali normali (fig. 1); se la cresta dell'anticlinale è ondulata, esso occupa di preferenza le parti culminanti, che assumono la forma di cupole o domi. Quando nella formazione petrolifera mancano le acque fossili, che generalmente accompagnano il petrolio, esso può accumularsi anche nelle sinclinali.
Talora la concentrazione si verifica anche in una serie di strati inclinati uniformemente (serie monoclinale), quando questa venga troncata da faglie che determinano lateralmente contatti con terreni impermeabili (figura 2). Nelle serie monoclinali si conoscono anche arricchimenti avvenuti in ripiani (terrazze) interrompenti la serie (fig. 3; come, ad es., a Campo di Urania, nella Luisiana, Stati Uniti), o anche nelle zone di cambiamento di pendenza (flessure).
È evidente in ogni modo l'esistenza di uno stretto rapporto tra ubicazione dei giacimenti petroliferi e corrugamenti orogenetici. Ne deriva così la individuazione delle cosiddette "linee dell'olio", che corrono a volte lungo i successivi ripiegamenti paralleli alle principali linee di rilievo, che si susseguono con graduale diminuzione di intensità allontanandosi dall'asse dei massimi corrugamenti, fino a sommergersi talora sotto grandi ricoprimenti alluvionali (pianura subcarpatica romena; valle padana).
Un tipo speciale di anticlinale è la piega chiamata diapira da P. Mrazec e considerata come un'anticlinale a nucleo penetrante. L'inclinazione degli strati del nucleo è in essa più forte di quella degli strati del tetto, la cui pendenza diminuisce fino ad avvicinarsi all'orizzonte allontanandosi dall'asse della piega.
A volte il fenomeno diapirico interessa masse profonde di salgemma, le quali per il loro alto grado di plasticità tendono ad affluire in massa unica verso la superficie, assumendo una forma colonnare caratteristica (fig. 4). Le formazioni sedimentarie vengono intensamente dislocate e talora addirittura attraversate dalla cupola salifera, la quale costituisce chiusura per le formazioni circostanti, determinando in queste concentrazioni petrolifere intorno alla massa salina.
Concentrazioni petrolifere si hanno spesso anehe alla vòlta della cupola salifera, ma raramente hanno importanza industriale. Il contorno delle cupole saline è generalmente circolare o ellittico e il loro diametro può variare dagli 800 m. ai 3000 m. La produzione di petrolio che si ottiene da queste speciali strutture tettoniche è talora notevolissima (Barber's Hill, Texas, con produzione annuale superiore ai quattro milioni di barili da litri 158,99).
Le pieghe subcarpatiche sono spesso diapire, come pure quelle del bacino transilvano e in genere tutte le pieghe dei bacini chiusi. Pieghe diapire si trovano a Kerč′ e Poluostrov Taman sul Mar Nero, così che lungo le linee delle cupole perforate si trovano localizzati i vulcani di fango. Si hanno pure pieghe diapire nelle regioni petrolifere del Caucaso, nella catena. dell'Iran, nel Terziario di Giava e Sumatra, e, secondo i recenti studî di M. Anelli, esse sono frequenti anche nell'Appennino Emiliano, ove la massa plastica del nucleo penetrante sarebbe costituita dalle argille scagliose del flysch anziché dal sale.
Anche le zone carreggiate possono costituire un'importante forma di dislocazione adatta per l'accumulamento del petrolio in giacimenti secondarî. Così nella zona subcarpatica romena il petrolio si trova in una grande linea di carreggiamento, lunga una sessantina di chilometri, dove il Miocene inferiore medio si sovrappone al Sarmaziano. I giacimenti di Borysław (Galizia) si trovano in condizioni analoghe, cosicché gli strati di Dobrotów risultano impregnati di petrolio lungo una linea di carreggiamento che segue i bordi della catena carpatica. Nei Carpazî di Moldavia il petrolio comparisce nella zona carreggiata marginale formata da terreni cretacici, eocenici e oligocenici, riposanti nella formazione salifera autoctona (oligocene- superiore e miocene).
In Galizia questa linea si moltiplica in diverse scaglie; i grandi giacimenti del flysch carpatico sono precisamente nella zona marginale (Schodnica, Bitków, Borysław, Tustanowice, Mrażnica, ecc.).
È opportuno aggiungere che in ogni giacimento l'impregnazione petrolifera assume la forma della massa rocciosa nella quale è accumulata (sabbie, arenarie, conglomerati, ecc.); perciò se i giacimenti possono conseguire uno sviluppo regionale, possono anche avere un'estensione assai limitata, costituendo lenti (fig. 3), nidi, tasche.
Il petrolio può nondimeno accumularsi anche nelle litoclasi e in genere nelle soluzioni di continuità delle rocce compatte (eruttive).
Genesi. - La ricerca di spiegazioni esaurienti sull'origine e formazione dei petrolî ha dato luogo a numerose e diverse teorie: nondimeno il problema si deve ritenere tuttora insoluto, anche perché i geologi si erano prefissi di attribuire la stessa origine a tutte le formazioni petrolifere; molte delle reazioni supposte possono però realmente ammettersi, specialmente in relazione alle notevoli differenze di composizione chimica dei petrolî.
Tutte le teorie note si possono distinguere in inorganiche, per le quali la formazione del petrolio è avvenuta per reazioni puramente chimiche, e organiche, per le quali si ammette che sia avvenuta per decomposizione di organismi animali o vegetali o di ambedue le specie.
Le teorie inorganiche seguono due principali indirizzi. H. Hahn, J. Williams e specialmente S. Cloëz dimostrarono la possibilità di produrre idrocarburi per azione di acido cloridrico o solforico su ghisa o ferromanganese contenente carbonio. Il Cloëz riuscì a dimostrare tra i gas prodotti, previa separazione d'idrogeno, la presenza d'idrocarburi non saturi e saturi della serie delle paraffine.
P. E. M. Berthelot (1866) e D. Mendeleev (1877) sostennero la teoria dei carburi.
Per azione di acqua su carburi metallici, che il Berthelot riteneva formati per reazione tra metalli alcalini liberi nella crosta terrestre e anidride carbonica, e il Mendeleev già direttamente presenti, si formavano idrocarburi, specie acetilene, e per polimerizzazione di essa, benzolo.
L'ipotesi fu ripresa da P. Sabatier e J. B. Sanderens, i quali ritennero che il nichelio e il ferro finemente divisi, petrograficamente diffusi nelle rocce profonde, funzionino da catalizzatori nella formazione, da acetilene e idrogeno, di miscele di paraffine simili a quelle dei petrolî della Pennsylvania. La polimerizzazione è favorita dalla pressione.
D'incerta interpretazione nella teoria inorganica è la presenza di composti ossigenati, solforati, azotati, resine, ecc.
I sostenitori di essa rilevano che metano e altri idrocarburi sono presenti in rocce eruttive, nei vulcani e perfino nelle meteoriti. Così, p. es., da O. Silvestri furono raccolte nelle lave vacuolari dell'Etna, spaccando la roccia, piccole quantità di petrolio lampante. Simile osservazione fece A. Brun nelle lave dei vulcani di Giava. Petrolio si trova ancora nelle rocce ignee nel Messico, nel Texas, nel Giappone, dove però può ritenersi migrato da rocce sedimentarie.
Unico argomento favorevole alla teoria inorganica è la possibilità di ottenere artificialmente petrolio per questa via, mentre per molte ragioni chimiche e geologiche essa si palesa insufficiente. Tra queste, più notevole la constatazione che tutti i grandi giacimenti di petrolio si trovano in rocce sedimentarie.
Inoltre l'attività ottica dei petrolî parla in favore di un'origine biologica, poiché si ritiene prevalentemente dovuta ai prodotti destrogiri delle colesterine, che si formano nella putrefazione di organismi animali e vegetali.
Né i sostenitori della teoria inorganica riescono a dimostrare perché i petrolî subiscano profonde modificazioni a temperature e pressioni di gran lunga inferiori a quelle richieste dalla loro genesi per questa via (Mabely 1919-20). E d'altra parte non giustificano la permanenza di composti caratteristici facilmente distruggibili dal calore, né il potere rotatorio.
Essi cercano di giustificare l'esistenza di tali sostanze e proprietà, ritenendole acquisite dal petrolio dopo la sua formazione.
Infine la presenza dell'azoto è recata innanzi come prova favorevole dai sostenitori di ambedue le teorie, mentre quella delle acque salate contenenti iodio e bromo si dimostra favorevole alla teoria organica, perché le alghe, le laminarie, gli spongiarî, i corallarî, tutta l'enorme massa degli esseri planctonici sono fissatori di iodio e bromo, che nella decomposizione cedono all'acqua salata. E quella dell'elio si può più facilmente spiegare per reazioni inorganiche, che del resto possono essere indipendenti dalla formazione del petrolio.
Le teorie organiche sull'origine del petrolio sono oggi generalmente ammesse da geologi e chimici, il cui accordo però cessa immediatamente, perché alcuni sostengono una sostanza madre del petrolio costituita da organismi animali, altri da vegetali. E per di più, mentre alcuni ammettono una derivazione da animali o piante a organizzazione superiore, altri pensano a un'origine da microrganismi animali e vegetali formanti il plancton. Inoltre molto controverso è il fatto se il petrolio derivi direttamente dalla sostanza organica o se prima questa si trasformi in sostanza intermedia (bitume), che a sua volta si scinda in petrolio, gas e carbone. Le prime teorie organiche davano grande importanza alla derivazione dai pesci per la presenza di resti di questi animali negli scisti a menilite di Palomo (Galizia) e in quelli cupriferi di Mansfeld, ecc. Però se residui di pesci in notevoli quantità si rinvengono in terreni secondarî e terziarî, non se ne trovano, né se ne potrebbero trovare per lo scarso sviluppo raggiunto dai pesci in quell'era, nel Paleozoico (Ordoviciano).
C. Engler ottenne petrolio riscaldando olio di pesci, molluschi, crostacei, animali marini e terrestri in recipienti chiusi sotto pressione, a una temperatura tra 365°-470°; in un secondo tempo utilizzò anche olî derivati da sostanze vegetali. Negli scisti petroliferi dei Carpazî, nelle argille petrolifere del territorio del Kuban′ nel Caucaso, nelle marne argillose della parte orientale di Giava, sono stati rinvenuti notevoli accumuli di foraminiferi, che si possono ritenere in relazione con la formazione dei petrolî; e più raramente anche residui di spugne.
L. Lesquereux (1866) fu tra i primi a sostenere l'origine del petrolio da piante cellulari; tra queste, le alghe contengono iodio, che si trova anche nelle acque che accompagnano il petrolio. Lo stesso Engler determinò nella Microcystis flos-aquae il 22% di grasso, e olio e grasso sono stati determinati in altre alghe viventi. Inoltre le diatomee, che costituiscono scisti di notevole spessore in formazioni petrolifere, anche per la loro notevole diffusione geologica e geografica in acque dolci e salate, si ritengono sostanze madri del petrolio.
Nelle diatomee si trova olio, che per distillazione dà CO2, H2S e grasso, che distillato, a sua volta, sotto pressione, fornisce combinazioni contenenti petrolio.
Alcuni geologi hanno anche avanzato l'ipotesi che il petrolio possa derivare dai carboni. Le associazioni tra petrolio e carbone non sono frequenti, e in Pennsylvania, dove esiste una tale associazione, si trova carbone nel Carbonico superiore e petrolio nel Carbonico inferiore e nel Silurico.
Un'origine vegetale, sostenuta specialmente dai geologi della scuola americana, spiega la scarsezza di azoto nei petrolî della Pennsylvania.
L'accumulo delle notevoli quantità di sostanze organiche per deposito di un numero enorme di organismi in seguito a improvvisa mortalità, può essere stata provocata da cause diverse; mescolanze di acque salate e dolci, incontro di correnti calde e fredde, avvelenamento per idrogeno solforato, ecc.
H. Potoniè (1905) ammise che la microfauna e la microflora dei fanghi lacustri, sapropel, in seguito a un processo di putrefazione, detto bituminizzazione, avessero originato i petrolî. In seguito poi all'estendersi della presenza del sapropel nei bacini marini l'ipotesi fu accettata e sostenuta anche dal Mrazec.
Importante per la formazione del sapropel è la conservazione dei grassi, olî e simili sostanze, che rimangono indietro nella decomposizione; e per quella del petrolio, che il deposito avvenga in acqua tranquilla, fuori del contatto ossidante dell'atmosfera.
Le acque salate che accompagnano il petrolio, ritenuto fossile, si formano in clima secco per regressione del mare e hanno notevole importanza, perché costituiscono un agente necessario per lo sviluppo della fauna e flora marina e per la distruzione di quella terrestre. Esse ritardano la decomposizione delle sostanze organiche e fanno sì che la deposizione e la copertura di esse avvenga più rapidamente.
Oggi si dà nella genesi del petrolio grande importanza all'azione dei batterî.
Si ammettono, per la formazione dei petrolî da avanzi animali e vegetali depositati in acque salate o salmastre, due stadî: l'uno biochimico, in cui per azione di batterî aerobî prima del sotterramento si origina sapropel; geochimico o dinamico-chimico l'altro, in cui l'azione di batterî anaerobî porta alla formazione del petrolio. Secondo Engler, grassi naturali e artificiali vengono decomposti in idrocarburi simili al petrolio, protopetroleum, che può per successive trasformazioni produrre il petrolio propriamente detto.
Una differenza consiste nella presenza nel protopetroleum di notevoli quantità di sostanze azotate che, secondo l'autore, si scindono nel processo di putrefazione.
Infine è da osservare che, mentre alcuni geologi ritengono che il petrolio non subisca dopo la formazione ulteriori trasformazioni, altri, e sono in maggioranza, le ammettono e anzi attribuiscono a esse notevole importanza.
I giacimenti di petrolio nel mondo.
La distribuzione geografica dei giacimenti di petrolio appare a tutt'oggi pressoché casuale e non è suscettibile di essere considerata da un punto di vista generale. In realtà concorrono a determinarla fattori paleogeografici, cioè legati alla distribuzione e ai caratteri delle terre e dei mari nelle epoche passate, e fattori tettonici, entrambi di difficile accertamento. È certo che il maggior numero dei campi produttivi che oggi si conoscono, cade nell'area interessata dall'ultimo grande movimento orogenetico alpino (v. cartina dei giacimenti petroliferi nel mondo).
I giacimenti europei. - La Russia occupa il primo posto nella produzione europea del petrolio, e il secondo nella produzione mondiale, dopo gli Stati Uniti. Le regioni petrolifere sono: 1. Baku, 2. Isola Čeleken, 3. Groznyi, 4. Kuban′, 5. Emba, 6. Fergana, 7. Sachalin Settentrionale, fra le quali le ultime tre appartengono all'Asia. Il maggiore di questi centri produttori è Baku, nella penisola di Apšeron sulla costa occidentale del Caspio. La superficie della zona petrolifera è di circa 1400 kmq., ma si hanno manifestazioni d'idrocarburi nelle isole vicine e nello stesso Mar Caspio (sviluppo sottomarino di gas). I terreni affioranti o profondi, riconosciuti direttamente o per mezzo di trivellazioni, appartengono al Terziario e Quaternario e presentano uno spessore di oltre 4000 m. L'intera serie contiene almeno tracce di petrolio, ma i livelli industrialmente produttivi appartengono al Pliocenico inferiore e sono compresi fra il Miocenico e il cosiddetto piano di "Akschagil", pliocenico. Si è riconosciuto che al tempo della deposizione dei livelli produttivi più bassi predominava un clima desertico e la regione era disseminata di piccoli laghi chiusi, nei quali sboccavano corsi d'acqua, contenenti una speciale fauna con Unio. I terreni di questi livelli più bassi, forse per le avverse condizioni climatiche, che perduravano durante la loro deposizione, sono assai poveri di residui organici, i quali si fanno più numerosi negli orizzonti soprastanti, dove attestano la presenza di una fauna parte continentale e parte d'acque dolci. La serie è coronata dal piano marino di "Akschagil". La potenza media dell'orizzonte produttivo è di circa 1300 m., ma diminuisce fortemente da E. verso O., dove quasi si annulla. I movimenti tettonici hanno interessato l'intera serie terziaria fino al Pliocenico superiore (piano di Apšeron), mentre il Quaternario, costituito in parte da depositi del Caspio, giace indisturbato. L'orizzonte produttivo consta di sabbie e argille alternantisi verticalmente, le quali fanno anche passaggio fra di loro nel senso orizzontale. Localmente si hanno anche rare interealazioni di marne e gessi. Nel complesso l'intera formazione rappresenta un apparato deltizio fossile, nel quale si rinvengono scarsi avanzi di organismi viventi in acque dolci (Unio, Lymnaea, Planorbis, ecc.).
La tettonica è relativamente semplice e consta di pieghe allineate per lo più parallelamente al decorso della catena caucasica. Una importante piega percorre la penisola di Apšeron, secondo un percorso complicato, lungo il quale si allineano i maggiori centri produttivi di Balachany, Sabunš-Romany e Surachany. Il petrolio è accumulato nella vòlta delle anticlinali e quindi i campi petroliferi si concentrano lungo questi assi tettonici. A Binagady (8 km. a N. di Baku) i pozzi petroliferi produttivi si trovano invece lungo i fianchi di un'anticlinale diretta da N. a S. A Bibi Ejbat (2 km. a S. di Baku) si ha un'anticlinale diretta da NO. a SE., interrotta da cupole assai produttive. La piega prosegue nell'area marina del Caspio e si hanno perforazioni proficue in aree guadagnate al mare a pozzi produttivi, e qualche giacimento è noto nel Daghestan (200 km. a N. di Baku). Tracce di petrolio si seguono lungo i bacini dei fiumi Kura e Iora, fino nei dintorni di Tiflis. Nell'Isola di Čeleken nel Caspio, a S. di Krasnovodsk, si ripetono le condizioni del bacino di Baku e il petrolio è accumulato nella vòlta di un'anticlinale terziaria. A Groznyj, il secondo giacimento per importanza della Russia, si hanno le tre concentrazioni di Vecchio-Groznyj, Nuovo-Groznyj e Voznesensk. Gli strati petroliferi non sono più antichi del Miocenico. Vecchio-Groznyj coltiva un anticlinale disimmetrica con strati più inclinati nella gamba settentrionale. A Nuovo-Groznyj si ha un'anticlinale assai appiattita, dalla quale si è ritratta finora la maggiore produzione del gruppo. A Woznesensk la struttura geologica è assai complicata e i sondaggi incontrano talora più volte lo stesso orizzonte produttivo. Il Kuban′ nel distretto montuoso di Majkop, alle propaggini NO. del Caucaso, trae il suo petrolio dai cosiddetti "scisti di Majkop" dell'Oligocenico superiore-Miocenico inferiore, nei quali sono noti tre orizzonti produttivi. I tre giacimenti di Emba, Fergana e Sachalin Settentrionale, appartengono geograficamente all'Asia. A Emba, all'estremità meridionale degli Urali, gli strati produttivi, in numero di quattro, appartengono al Giurassico, ma uno solo fornisce la quasi totalità (95%) della produzione. In questa regione si susseguono 5 zone anticlinali, separate da larghe sinclinali. Nel Fergana (Turkestan) il petrolio è contenuto in rocce eoceniche, piegate in anticlinale. Nel Sachalin Settentrionale il petrolio giace a piccola profondità. La regione è entrata da poco in coltivazione (1929), con una produzione annua iniziale di circa 230.000 barili. Nella Romania i giacimenti petroliferi giacciono all'esterno dell'arco carpatico, il quale si dirige da N. a S., dalla Bucovina a Buzău, per poi piegare a O. Si hanno due campi di produzione, uno (Ploeşti) nella regione meridionale a occidente di Buzǎo, l'altro a N. della inflessione carpatica, lungo tutto il margine orientale dei Carpazî, da Buzău al confine polacco. Nei campi della regione di Ploeşti si ha tettonica assai complicata. La serie stratigrafica comprende varî terreni, dal Cretacico fino al Pliocenico. All'Oligocenico superiore scistoso segue la formazione miocenica salifera, che termina con il Sarmaziano nel Miocenico superiore. Il Pliocenico è caratterizzato dal passaggio graduale da formazioni salmastre a formazioni lacustri e quindi fluviali. Il petrolio è specialmente accumulato in varî livelli della formazione pliocenica (Meotico, Pontico, Dacico). La tettonica è fortemente complicata da ricoprimenti e carreggiamenti avvenuti durante parte del Terziario, fino alla trasgressione sarmatiana. Il movimento orogenetico ha continuato però anche posteriormente, durante il Pliocenico, ripiegando le stesse pieghe già delineate dalle fasi orogenetiche più antiche (anticlinali di I e di II ordine). Durante questi movimenti la formazione salifera ha preso parte a fenomeni diapirici, attraversando e trascinando nel senso del suo movimento l'intera serie terziaria superiore. Al contorno delle cupole salifere si hanno forti concentrazioni di petrolio. Nella regione moldava le condizioni stratigrafiche sono simili a quelle della regione carpatica meridionale. L'orizzonte petrolifero principale appartiene però alle cosiddette "sabbie di Kliwa" di età oligocenica, delle quali non si sa però se sono il serbatoio originario del petrolio, o se questo vi è migrato dai livelli pliocenici. All'interno dell'arco carpatico, nella Transilvania, si hanno una serie di cupole tettoniche ben note per la grande produzione di gas, alla quale hanno dato luogo. Il gas è quasi esclusivamente (99%) costituito da metano. La cupola di Sărmăşel ha fornito dal 1909 al 1928 circa 2000 milioni di mc. di gas. Le riserve si valutano dell'ordine di 100 miliardi di mc. In Polonia i giacimenti di petrolio sono ancora situati all'esterno dell'arco carpatico. Le rocce recipienti appartengono alla formazione del flysch, una svariata compagine di terreni che va dal Cretacico superiore fino alla formazione salifera miocenica. I campi petroliferi, tutti situati nella Galizia, dànno luogo da occidente a oriente ai tre distretti principali di Jasło, Drohobycz e Stanisławów. Il distretto più importante è Drohobycz, nel quale sono i giacimenti di Borysław (Opaka, Schodnica, e Mrażnica). Nei campi occidentali gli orizzonti petroliferi più importanti appartengono all'Eocenico, mentre nei campi più orientali sono specialmente produttive le formazioni oligoceniche alla base dei cosiddetti scisti a menilite. La tettonica è quella comune a tutto il margine carpatico, caratterizzata dagli elementi sovrapposti in seguito ai grandi fenomeni di carreggiamento. In Germania i giacimenti delle provincie nordiche sono in relazione con le cupole salifere permiche. Il petrolio si conosce in diversi orizzonti, dal Retico al Senoniano (Cretacico) e i pozzi produttivi contornano le masse saline, il cui movimento ha influenzato la facies e l'assetto dei terreni circostanti fino al Cretacico. Tracce di petrolio si rinvengono anche al margine alpino nelle formazioni del flysch e della molassa oligocenica (Lago di Tegern, in Baviera). L'Olanda non possiede campi produttivi. Solo qualche traccia di petrolio si ha nella provincia di Gelderland in terreni del Permico e del Carbonico superiore. La Francia possiede un vero campo petrolifero in Alsazia a Pechelbronn, dove si hanno oltre una decina di orizzonti petroliferi in formazioni oligoceniche. La tettonica è quella a fosse, speciale per il bacino renano. L'arricchimento del petrolio negli orizzonti produttivi è spesso connesso a faglie. Altra regione petrolifera di qualche importanza è quella di Gabian (Hérault), nella quale il petrolio impregna una breccia dolomitica triassica. Tracce d'idrocarburi si hanno anche nella Limagne e nel Pays de Bray. In Austria e Cecoslovacchia, contengono petrolio e gas le sabbie marine della base dello "Schlier", una formazione miocenica trasgressiva sopra le rocce granitiche del Massiccio Boemo (petrolio a Taufkirchen; gas in varie località, così a Wels in Alta Austria). Petroliferi sono anche i terreni miocenici che con un grande spessore (2000-3000 m.) colmano il bacino di Vienna. A Gbely si conoscono due orizzonti produttivi nel Miocenico superiore (Sarmaziano), a Hodonlín tre, sempre nelle stesse formazioni sarmaziane. In Ungheria si hanno solo tracce di gas con poco petrolio nei terreni terziarî poco dislocati del Bassopiano. In Iugoslavia si hanno notevoli concentrazioni d 'idrocarburi gassosi ad alta pressione (20 fino 40 atm.) nei dintorni di Zagabria, in due orizzonti appartenenti al Pliocenico. La struttura tettonica è a cupola. Un campo petrolifero produttivo si ha a N. di Zagabria. In Inghilterra si hanno rarissime manifestazioni d'idrocarburi. Notevole quella di Hardstoft (Derbyshire), che dà luogo ad una piccola produzione di petrolio da calcari del Carbonico. In Spagna si hanno tracce di petrolio nei Monti Cantabrici. Si conoscono nella provincia di Burgos arenarie del Cretacico inferiore impregnate di petrolio. Anche nella provincia di Navarra si è fatta qualche ricerca per petrolio. Fra gli altri paesi europei va menzionata l'Albania, con qualche possibilità petrolifera nei terreni terziarî del flysch costiero, da Scutari a S. di Valona.
I giacimenti italiani. - Le manifestazioni d'idrocarburi nella penisola italiana appaiono in genere connesse ai terreni terziarî dell'area appenninica, interessata dal movimento orogenetico alpino. In particolare la zona, che industrialmente si può chiamare petrolifera e che fornisce da sola oltre il 97% dell'intera produzione italiana, giace all'esterno dell'arco appenninico emiliano, lungo il margine pedemontano prospiciente la pianura padana. Gl'indizî un po' notevoli di petrolio si seguono lungo quest'area, dalla valle dello Staffora, poco a S. di Voghera, per oltre 200 km. fino nei pressi d'Imola. Nell'area propriamente appenninica, spesso lungo la stessa linea di spartiacque, si hanno anche manifestazioni d'idrocarburi, per lo più segnalate da emissioni di gas combustibili secchi, non accompagnati cioè da quantità sensibili di acque o di idrocarburi liquidi (Fiorenzuola, Pietramala, ecc.). Molte delle grandi gallerie appenniniche, escavate nei terreni terziarî della catena, hanno provocato la violenta emissione di gas infiammabili da talune formazioni attraversate (in specie argille scagliose). Inconveniente che si è anche verificato nella costruzione della grande galleria ferroviaria della direttissima Firenze-Bologna, nel qual caso è stato causa d'infortunî mortali. Del pari in relazione . con gl'idrocarburi sono le ben note salse dell'Appennino emiliano e le varie sorgenti salsoiodiche, le cui acque contengono quasi sempre tracce di petrolio. La regione di Salsomaggiore, ben nota per le sue acque salsoiodiche, possiede nella zona detta dei Cento Pozzi un vero campo petrolifero, che dà luogo attualmente a una notevole produzione. Il petrolio è qui nelle intercalazioni sabbiose di età miocenica di una cupola tettonica. L'area vicina di Salsominore, nella quale si riproducono le condizioni geologiche del bacino di Salsomaggiore, è nota per l'esistenza del pozzo Trionfo, dal quale in passato (1882) si poté trarre per breve tempo una produzione giornaliera fino di 6 tonn. Zone petrolifere industriali, di capitale importanza nella nostra produzione, sono quelle di Velleia, Montechino e Gratera, comprese nei bacini della Nure e del Chero nell'Appennino piacentino. Il petrolio si trova accumulato in lenti calcaree variamente estese, disperse nella massa delle argille scagliose. Lo stato di fratturazione intima dei calcari, coinvolti nei processi orogenetici subiti dalla formazione delle argille scagliose appenniniche, è da molti riguardato come la causa predisponente della grande recettività per il petrolio di questi speciali serbatoi litologici. L'accumulo in essi è in modo preponderante determinato dai caratteri fisici (impermeabilità delle argille scagliose, porosità dei calcari) delle rocce che costituiscono la formazione petrolifera, mentre poco giuoco vi hanno i fattori stratigrafici e tettonici. In queste condizioni lo sfruttamento industriale della zona petrolifera presenta una forte alea, e la produttività media per metro di pozzo perforato si mantiene assai bassa (da 500 a 900 litri). L'ultimo campo petrolifero in produzione, di questa zona pedemontana appenninica, è situato nei bacini del Taro e della Baganza, nel territorio di Vallezza. Il serbatoio petrolifero è costituito da un orizzonte di arenarie calcarifere, immerso nel seno della massa impermeabile delle argille scagliose. Degna di nota è l'estrema leggerezza del petrolio ricavato (densità 0,735), carattere del resto comune a tutti i petrolî della regione emiliana.
La regione petrolifera emiliana corre proprio al margine della pianura padana. Con i metodi geofisici più moderni si cerca attualmente di riconoscere sotto la spessa coltre delle alluvioni quaternarie la prosecuzione e la traccia di strutture tettoniche (anticlinali, cupole, ecc.) che giustifichino l'impostazione di sondaggi per la ricerca dell'olio minerale. Qualche pozzo trivellato nella pianura padana ha già dato qualche risultato positivo, rinvenendo petrolio e gas in formazioni arenacee del Terziario superiore (pozzi di Fontevivo, Podenzano e Montepelato).
Alla regione padana si rivolgono oggi le speranze, in vista di una più ingente produzione petrolifera nazionale.
Nel resto della penisola si hanno tracce d'idrocarburi nelle Marche, nella valle del Pescara e in molti altri punti della regione abruzzese, nella quale il petrolio appare in relazione con i giacimenti asfaltici. Unica zona petrolifera d'importanza industriale è quella di Ripi e S. Giovanni Incarico, nella valle del Liri, la quale ritrae da un orizzonte di calcari a globigerine miocenico un petrolio denso (densità o,880-0,960), con rendimento in benzina pressoché nullo. Le tracce d'idrocarburi si susseguono nell'Italia meridionale nella Lucania (Tramutola), nella Campania (Avellinese) e nella Calabria (zona sulfurea di Strongoli, Crotone). In Sicilia si hanno frequentissime manifestazioni d'idrocarburi gassosi e anche liquidi, i quali in qualche località (Petralia, Lercara, ecc.) dànno luogo a modeste gemicazioni, utilizzate sul posto, ma di nessuna importanza industriale. Come in Abruzzo, anche in Sicilia si hanno impregnazioni asfaltiche, le quali costituiscono il grandioso giacimento di Ragusa.
America. - La distrihuzione geografica dei giacimenti petroliferi dell'America del Nord (Stati Uniti, Canada) è determinata dalla situazione degli elementi tettonici negativi (geosinclinali) e positivi (anticlinali). I campi petroliferi si allineano in genere lungo il nargine delle aree di geosinclinale o giacciono lungo gli assi degli elementi tettonici positivi. Molti di questi elementi strutturali risalgono per la loro impostatura al Paleozoico inferiore e si sono sviluppati durante i tempi posteriori: durante il Mesozoico e, in parte, nel Terziario.
Le aree tettoniche vengono così a costituire le provincie petrolifere, nelle quali si raggruppano naturalmente i numerosi giacimenti di petrolio dell'America del Nord, dal punto di vista delle loro condizioni geologiche e anche della loro posizione geografica.
I giacimenti della geosinclinale appalachiana sono compresi nei territorî degli stati di New York, Pennsylvania, Virginia Occidentale, Kentucky e Ohio. L'elemento tettonico che governa l'accumulo attuale del petrolio risale alla fase orogenetica ercinica, che ha provocato larghe ondulazioni parallele in tutti i terreni del Paleozoico fino al Pennsylvaniano (Carbonico medio e superiore) e al Permico. In tutta la regione sono produttivi oltre 50 orizzonti, e il petrolio è contenuto per lo più in arenarie di porosità media (16%). L'età degli orizzonti produttivi giunge sino al Pennsylvaniano, ma la massima produzione si ritrae dal Devonico, al quale appartengono oltre il 60% degli orizzonti produttivi. Al Mississippiano (Carbonico inferiore) appartiene la formazione della "Berea sand", una serie di arenarie largamente produttive. Da esse ritraggono gran parte della loro produzione alcuni dei campi petroliferi della Virginia Occidentale (Tanner Creek, Gilmer County, Cabin Creek) e dell'Ohio (campi produttivi di Carrol, Guernsey, Morgan, Athens e Meigs). Gli orizzonti produttivi del Devonico sono per la maggior parte costituiti da formazioni arenacee, quali le "Bradford sands" (campo petrolifero di Bradford nella McKean County, Pennsylvania), la "Fifth sand" di Scenery Hill, Washington County, Pennsylvania e le arenarie della serie di "Catskill", dalle quali trae la propria produzione il campo petrolifero di Copley nella Virginia Occidentale. La grandiosa produzione del giacimento di gas di McKeesport, Pennsylvania, proviene dall'orizzonte della "Fifth sand".
Un orizzonte produttivo calcareo, sempre Devonico, è offerto dal "Corniferous limestone", che è produttivo insieme ad altri terreni appartenenti al Carbonico e al Siluriyo in molti giacimenti del Kentuclty, per es. nei campi di Lee-Estill-Powell, Campton, Owsley County e Clay County. Un orizzonte notevole del Silurico è dato dalle "Clinton sands", produttive in varî campi petroliferi dello stato di Ohio, dove costituiscono l'orizzonte petrolifero più profondo. Il motivo tettonico più caratteristico è dato dal succedersi di lunghe anticlinali parallele. A volte questi elementi strutturali convergono in una cupola (domo), com'è per il giacimento di Bradford, Pennsylvania, nel quale le due anticlinali produttive si dipartono dalla cupola tettonica di Knapp Creek. Nel West-Virginia alcuni giacimenti si trovano in sinclinale (Copley e Tanner Creek). La provincia petrolifera di Cincinnati si estende in direzione press'a poco N.-S., dall'Alabama settentrionale fino allo stato di Ohio e al Canada. È un esempio di provincia petrolifera situata lungo l'asse di un'anticlinale provocata dall'orogenesi caledoniana. L'area produttiva più settentrionale costituisce il cosiddetto distretto di Lima-Indiana, il quale ritrae la sua produzione da un calcare fratturato dell'Ordoviciano (Trenton limestone). Minori quantità di petrolio provengono tuttavia anche da calcari silurici, dagli "scisti di Cincinnati" (Ordovieiano superiore) e anche da una dolomia (Knox dolomite), inferiore stratigraficamente ai "calcari di Trenton". L'anticlinale petrolifera di Cumberland è sfruttata da due gruppi distinti di campi petroliferi, i quali giacciono dalle due parti dell'asse di Cincinnati. Specialmente produttivo è il calcare silurico della "formazione del Niagara". È tuttavia produttivo anche il Devonico (Corniferous limestone) e il Carbonico. All'estremo meridionale del lungo asse di Cincinnati si adunano i campi petroliferi del distretto di Alabama-Mississippi, d'importanza secondaria. I giacimenti del bacino interno carbonifero orientale giacciono negli stati di Indiana, Illinois e Kentucky. Le aree di concentrazione del petrolio sono in diretta relazione con le condizioni tettoniche determinate dall'"anticlinale di La Salle" e dalla zona di disturbo di Rough Creek, mentre l'influenza dell'anticlinale di Cincinnati è poco sentita. Gli orizzonti petroliferi appartengono in minor parte al Pennsylvaniano (Carbonico medio e superiore) e nella quasi totalità al Mississippiano (Carbonico inferiore). In questo orizzonte stratigrafico si hanno nel Kentucky sei distinti livelli petroliferi, nei quali il petrolio impregna sedimenti arenacei, salvo un caso, nel quale è invece contenuto da calcari oolitici della "formazione di McClosky". Finalmente si hanno orizzonti produttivi anche nel Silurico. Ben noti sono i campi petroliferi che si allungano per oltre 120 km. lungo l'asse dell'anticlinale di La Salle, con una larghezza massima di oltre 20 km. La massima produzione di questo importante centro petrolifero raggiunse i 33.000.000 di barili (4,7 milioni di tonn. circa), nel 1910. L'asse della piega di La Salle si segue ed è stato riconosciuto. per oltre 300 km.; la parte meridionale solamente è produttiva. Di tutti gli orizzonti produttivi solo il "caleareo dl McClosky" si segue con continuità per tutta l'area del bacino, nella quale mostra profondità gradatamente crescenti da N. a S. I campi petroliferi più noti dell'anticlinale di La Salle sono quelli di Clark, Crawford e Lawrence County. I giacimenti del bacino del Michigan, racchiuso dalla biforcazione della estremità settentrionale dell'asse di Cincinnati, sono rappresentati dai due importanti campi petroliferi di Saginaw e Muskegon. L'orizzonte produttivo per eccellenza è costituito dalla "Berea sand" del Mississippiano, che viene raggiunta dai pozzi fra i 500 e i 600 m. di profondità. Del pari produttivi sono alcuni orizzonti calcarei del Devonico, quali la "Traverse formation" (campo petrolifero di Saginaw) e il "Dundee lime" (campo petrolifero di Muskegon). I giacimenti del bacino interno carbonifero occidentale comprendono la ben nota regione petrolifera del Mid-Continent la quale s'estende nelle circoscrizioni degli stati di Jowa, Missouri, Kansas, Oklahoma e Arkansas. Gli elementi tettonici, ai quali è essenzialmente subordinata la distribuzione delle concentrazioni petrolifere, sono la cupola tettonica di Ozark, l'asse di Ozark e di Barton e i due bacini tettonici di Salina e del Kansas. Hanno predominante interesse, nelle considerazioni che riguardano la genesi e la migrazione dei petrolî di questa provincia, tutte le questioni che riflettono le condizioni paleogeografiche del Paleozoico, dall'impostazione pre-silurica di una vasta area di sprofondamento, compresa fra le due geosinclinali degli Appalachi e delle Cordigliere, fino alla sua completa evoluzione negli elementi tettonici precedentemente rammentati, già definitivamente delineati sul finire del Pennsylvaniano (Carbonico superiore). Gli orizzonti petroliferi appartengonoo tutti, quasi senza eccezione, a terreni del Paleozoico, dall'Ordoviciano inferiore fino al Permico. Agli stati di Oklahoma e Kansas appartengono molti dei grandi campi produttivi del Mid-Continent. Ben noto il campo di Cushing (Creek County, Oklahoma) con un'area produttiva di quasi 100 kmq., distribuita sulla vòlta di un'anticlinale lunga più di 30 km. La produzione maggiore di petrolio si ricava dalle "sabble di Bartlesville" del Pennsylvaniano, ma sono produttivi anche varî altri livelli più bassi, dal Devonico ("Wilcox sand") fino ai calcari ordoviciani dell'"orizzonte di Arbuckle". Le "sabbie di Wilcox" sono produttive nelle anticlinali, con struttura affiorante, sfruttate con i molti campi petroliferi del distretto di "Greater Seminole". Nella concentrazione di Delaware Extension (Nowata County, Oklahoma), l'olio è accumulato in un lungo cannello di "sabbie di Bartlesville", che viene interpretato come un alveo fossile di un corso d'acqua paleozoico. Nel giacimento di Cromwell (Okfuskee County, Oklahoma), l'olio è originario nelle "sabbie di Bartlesville", ma è migrato successivamente in varî orizzonti, compreso quello delle "sabbie di Wilcox". Nel campo di Morrison (Pawnee County, Oklahoma) si sfrutta un'anticlinale negli orizzonti delle "sabbie di Layton" del Carbonico e della "Wilcox sand". Quest'ultimo orizzonte fornisce press'a poco l'intera produzione in petrolio del distretto di Kay County. Nel grande giacimento di Eldorado (Butler County, Kansas) la struttura anticlinale degli strati produttivì, di formazione pre-pennsylvaniana, non giunge alla superficie, ma è obliterata da un mantello variamente spesso di "scisti di Cherokee" di età pennsylvaniana. La produzione industriale proviene interamente dai livelli silurici degli strati piegati, e il petrolio si è specialmente accumulato al contatto con gli strati trasgressivi della formazione carbonifera di Cherokee. Nel campo petrolifero di Madison (Greenwood County, Kansas), il petrolio è contenuto in lenti sabbiose assai estese orizzontalmente, appartenenti al livello di Bartlesville. Il deposito di tipo litorale sembra rappresentare, per la sua forma, una barra sabbiosa fossile, formatasi allo sfocio di qualche corso d'acqua. Anche i calcari del Carbonico contengono petrolio in quantità industriali, ad es. nei campi di Fairport (Russel County) dove l'orizzonte petrolifero più importante c dato dai "calcari di Oswald" pennsylvaniani, e nella concentrazione di Virgil (Greenwood County), che estrae petrolio dai calcari mississippiani di un'anticlinale. I giacimenti petroliferi di Ouachita-Amarillo, nell'Oklahoma meridionale e nel Texas, sono connessi agli elementi tettonici che compongono la struttura delle montagne di Ouachita, Arbuckle, Wichita e Amarillo. L'"asse di Red River" e i due bacini di Red River e di Anadarko sono pure fattori tettonici che hanno regolato la distribuzione del petrolio in questo distretto. Orizzonti produttivi sono il Permico, il Pennsylvaniano e l'Ordoviciano. La "formazione di Glenn" del Pennsylvaniano (Carbonico medio, superiore) è la più importante industrialmente e ne traggono la loro produzione, ad es., tutti i campi petroliferi dell'Oklahoma meridionale (Hewitt, Crinerville, ecc.). Le relazioni fra le concentrazioni petrolifere e la struttura sono in genere assai strette. Nel distretto di Arbuckle-Wichita si hanno interessanti zone di concentrazione all'incrocio di zone di disturbo tettonico, ma i casi più normali di accumulo rimangono sempre quelli in anticlinali e cupole. I giacimenti connessi all'asse tettonico di Bend", sempre nel Texas, sono in relazione a un'anticlinale piatta, che ha interessato i terreni pennsylvaniani della cosiddetta formazione di "Bend". Nei calcari delle "Marble Falls" si hanno due livelli porosi nei quali si è arricchito il petrolio. In alcuni campi della parte settentrionale di questo distretto (Stephens County, ecc.) sono produttive alcune lenti sabbiose della "serie di Strawn" sempre del Pennsylvaniano. In tutto questo distretto la disposizione delle concentrazioni petrolifere è intimamente connessa con i caratteri fisici (porosità e spessore) delle formazioni litologiche recipienti. Tuttavia l'andamento dell'asse anticlinale di Bend rimane la direttrice fondamentale dell'intero distretto petrolifero. I giacimenti della provincia del Golfo sono compresi in parte dei territorî degli Stati del Texas. della Luisiana e dell'Arkansas. I campi petroliferi appartengono a diversi tipi tettonici e si raggruppano naturalmente nei quattro distretti di: 1. Balcones, nel Texas, orientale; 2. Reynosa a S. del primo; 3. Saline-Ouachita nella Luisiana settentrionale e in parte dell'Arkansas meridionale; 4. della zona costiera del Texas e della Luisiana, caratterizzata dalle cupole salifere. Carattere comune a tutti i giacimenti petroliferi della provincia è la loro dipendenza da linee di disturbo tettonico e non da sistemi di pieghe. La provincia è assai importante. Nel Texas vi appartengono i campi di Nigger Creek (Limestone County), di Mexico e Tehuacana, i quali traggono la loro principale produzione dalle "sabbie di Woodbine" del Cretacico superiore. Si ha pure qualche orizzonte produttivo calcareo, sempre Cretacico, come nel campo di Luling (Guadalupe County), che trae la sua produzione dai "calcari di Edwards" intercalati in una serie monoclinale fagliata. Le concentrazioni di Laredo County nella zona di Reynosa sono nelle formazioni eoceniche. I campi di Irma (Nevada County) di Stephens (Columbia County) nell'Arkansas, il primo a struttura monoclinale fagliata, il secondo a struttura monoclinale interrotta da terrazza, traggono parte della loro produzione dalle "sabbie di Nacatoch" del Cretacico superiore. A Stephens sono più produttive però le "sabbie di Buckrange", sempre del Cretacico. Ben noto è il campo di Bellevue nella Luisiana, il quale ha tratto dalle "sabbie di Nacatoch" oltre i milione di tonnellate di petrolio in cinque anni. Anche il Cretacico inferiore ("serie di Comanche") è produttivo. A Pine Island (Luisiana) la serie di Comanche fornisce tre orizzonti petroliferi produttivi e uno ricco di gas. A Homer (Luisiana) si coltiva una cupola di circa 15 km. di diametro, attraversata da una faglia, che rende più complessa la distribuzione del petrolio. Le sabbie produttive del Cretacico ("sabbie di Oakes e di Nacatoch") giacciono a profondità di circa 800 metri. Nelle cupole salifere, abbondanti nella Luisiana e nel Texas nei dintorni di Galveston, sono produttivi i terreni terziarî innalzati e troncati dalla estrusione salina. Sono produttivi i terreni dell'Eocenico e dell'Oligocenico, ma specialmente quelli del Miocenico. La produzione di petrolio dei domi saliferi si aggira intorno ai 50 milioni di barili (circa 7,1 milioni di tonn.) e le riserve totali vengono valutate dai 5000 a 10.000 milioni di barili. La ricerca delle cupole salifere, quando di esse non si ha traccia nella topografia, si effettua con i metodi di prospezione geofisica (specialmente metodi sismici e gravimetrici), che ivi hanno dato brillanti risultati. In questo modo si sono scoperte nel Texas (1924) le cupole salifere produttive di Orchard (produzione 1932: 448.000 barili), di Nash (1923), di Thompson (1931; produzione 1933: circa 5 milioni di barili), ecc., e nella Luisiana quelle di Lake Washington (1928) e altre. Una notevole produzione si è ottenuta dalla cupola di Pierce Junction nel Texas (a tutto luglio 1933, circa 26 milioni di barili), nella quale il nucleo salino presenta un diametro di oltre 1 chilometro e mezzo. Da talune cupole salifere (per es.. Boling, Texas) si ottiene produzione mista di zolfo e di petrolio. I giacimenti del Texas occidentale, sono entrati in produzione relativamente tardi (1921). Nel campo di Yates (Pecos County) la produzione è data da concentrazioni petrolifere in un calcare dolomitico del Permico, detto "Big lime", situate nella cresta di una piega biondulata, ripetuta anche dai calcari della serie di Comanche. L'alta porosità della roccia recipiente e la forte pressione dei gas hanno reso possibile una forte produzione. Altro campo di questo distretto, noto per la sua produzione in petrolio è quello di Big Lake (Reagan County). In questo campo si hanno pozzi produttivi assai profondi, i quali raggiungono profondità fino a 2600 m. I giacimenti delle Montagne Rocciose, sono compresi nei territorî degli stati di Montana, Wyoming, Colorado, Nuovo Messico e Utah. Quasi tutti (95%) i giacimenti produttivi sono legati ad anticlinali o cupole. Sono in anticlinali i campi di Tow Creek nel Colorado. di Rock River (Carbon County), di Lost Soldier, di Lance Creek e di Elk Basin nello stato di Wyoming, quasi tutti con orizzonti produttivi del Cretacico. Nel Wyoming è anche il giacimento in anticlinale fagliato di Salt Creek (Natrona County), uno dei più produttivi del mondo, il quale ritrae quasi l'intera produzione (90%) da un orizzonte sabbioso di circa 30 m. di spessore, intercalato nella formazione di "Frontier" del Cretacico. Sono in cupola i giacimenti di Thornburg, Rangely, White River e Hiawatha nel Colorado, di Grass Creek (Hot Springs County) nel Wyoming e finalmente l'importante giacimento di Kevin Sunburst nel Montana, nel quale il petrolio è accumulato specialmente alla superficie di trasgressione fra i "calcari di Madison" (Mississippiano) e le "sabbie di Ellis" del Giurassico. I giacimenti della provincia del Pacifico, seguono la costa dall'Alasca meridionale fino alla California meridionale. Caratteristica per le concentrazioni petrolifere di questa provincia è l'età recente delle formazioni recipienti (Terziario superiore fino al Pliocenico,) e il grande spessore degli orizzonti sabbiosi petroliferi (fino a circa 450 m.). Le relazioni fra struttura e accumulo petrolifero sono generalmente bene evidenti. Una caratteristica industriale, in relazione al notevole spessore degli orizzonti petroliferi, è data dalla grande produttività superficiale dei campi petroliferi. Si cita il celebre campo di Signal-Hill (Long Beach), il quale da una superficie di 1350 acri (circa 546 ettari) ha prodotto, a tutto luglio 1934 oltre 420 milioni di barili di petrolio (circa 60 milioni di tonn.). Giacimenti importanti sono quelli di McKittrich nella valle di San Joaquin, di Santa Barbara, di Ventura County e finalmente tutti quelli della regione di Los Angeles (Long Beach, Seal Beach, Huntington Beach, ecc.). A Long Beach il petrolio proviene dalle due formazioni "di Repetto" e "di Puente", appartenenti rispettivamente al Pliocenico e al Miocenico superiore, e secondo le qualità dell'olio minerale che si ricava, si distinguono, dall'alto al basso, i quattro livelli di "Alamitos", "upper Brown", "lower Brown" e della "Deep sand". La densità dei petrolî ricavati decresce dai livelli più alti ai più bassi. Nella regione californiana si conoscono orizzonti petroliferi anche oligocenici. Nel Canada si riproducono le condizioni delle regioni settentrionali degli Stati Uniti. Gli orizzonti produttivi appartengono specialmente al Silurico. Si hanno campi nella regione del Lago St. Clair e nella Lambton County (Ontario). Nell'Alasca si ha petrolio nei terreni dal Giurassico al Terziario, alternanti talora con tufi vulcanici, come nel campo di Katalla nella baia di Controller.
America Centrale e Meridionale. Nel Messico si hanno due regioni petrolifere nella zona costiera del Golfo. Nella zona di Tampico-Tuxpán sono produttivi i calcari di Tomasopo del Cretacico e gli orizzonti superiori eocenici. Nel campo di Knife Edge, per la forte pressione dei gas e delle acque e l'estrema porosità dei calcari fessurati recipienti, si hanno grandiosi getti di petrolio zampillante, che hanno dato luogo a fortissime produzioni. A Furbero si conosce una roccia eruttiva (gabbro), la quale costituisce serbatoio secondario del petrolio. A S. della zona di Tampico giace la seconda regione petrolifera di Tehuantepec-Tabasco d'importanza minore. Nel Venezuela la produzione è concentrata nel distretto caraibico, in anticlinali parallele fiancheggianti una vasta sinclinale. La produzione si ha principalmente dalle formazioni mioceniche e oligoceniche. Le concentrazioni petrolifere giacciono anche nei tratti monoclinali della serie terziaria (ad es., a La Rosa, Punta Benetiz e a Lagunillas). In anticlinali sono i giacimenti di Menegrande, La Concepción, La Paz, El Mene, ecc. Tutti i maggiori giacimenti sono situati sulla costa orientale del Lago di Maracaibo (v. XXII, p. 201). Sulla costa occidentale sono i campi di La Paz e La Concepción (esauriti) e il campo di Río Palmar tuttora in attività. In Colombia è specialmente petrolifero il distretto costiero, dal Río Hacha fino alla penisola di Goajira. Il petrolio si concentra specialmente in calcari del Cretacico iníeriore e in alcune arenarie mioceniche. Campi importanti sono quelli di Tubura (a oriente di Cartagena) e di Turbaco. Si hanno giacimenti petroliferi anche nella Cordigliera Orientale, nei dipartimenti di Magdalena e Santander e nell'alto bacino del Magdalena, a Tolima presso il confine venezolano. Nell'Isola Trinidad, ben nota per il celebre lago di asfalto, si ricava petrolio da una potente (2000 m.) serie miocenica di tipo deltizio, deposta in un bacino in via d'abbassamento, da un potente corso d'acqua sfociante dal continente. Si hanno numerosi campi petroliferi: fra i più notevoli quelli di Vessigny, Parry Lands, Point Fortin, Fyzabad, Guayaguayare, ecc. Nel Perù la maggior produzione proviene dai terreni terziarî della zona costiera, spesso fortemente dislocati e interrotti da faglie, lungo le quali giacciono le concentrazioni petrolifere. Il campo con maggiore produzione è quello di Negritos; seguono i campi di Lobitos e Zorritos. Concessioni petrolifere si hanno anche nella regione del Lago Titicaca e nel versante andino orientale a Iquitos. Il campo petrolifero di Sant'Elena nell'Ecuador presenta forti analogie con i contigui giacimenti peruviani della costa pacifica. Nella Bolivia si hanno distretti petroliferi nella regione andina sud-orientale, da Santa Cruz verso S. Gli orizzonti contenenti petrolio appartengono probabilmente al Cretacico. Importante la zona di Bermejo, che attraverso il confine si riunisce alla concessione argentina di Salta. Questa appartiene al distretto andino dell'Argentina, della provincia di Jujuy. A Cachiuta (Mendoza) l'orizzonte petrolifero è cretacico, mentre a Mendoza e Neuquén contengono il petrolio specialmente le formazioni del Giurassico. Più importanti per produzione sono però i distretti sudatlantici, ai quali appartiene il giacimento produttivo di Comodoeo Rivadavia, che sfrutta una cupola assai appiattita di terreni cretacici. Gli orizzonti petroliferi sono specialmente costituiti da formazioni arenacee, piuttosto grossolane.
Asia. - I giacimenti della Persia e del bacino dell'Eufrate (‛Irāq) sono entrati recentemente nell'economia mondiale del petrolio. Nella Persia sud-occidentale, alla testata del Golfo Persico si ha la provincia petrolifera dello Shurhistan (Maidān-i Nafţūn, Ramuz, ecc.) nella valle del Kārūn. Vi si sfruttano (campi di Shūshtar) alcune anticlinali di terreni terziarî. Enormi concessioni petrolifere sono state chieste nel ‛Irāq, lungo il Tigri, da Baghdād a Mossul e non si può ancora prevedere lo sviluppo industriale di questa regione. La conoscenza delle condizioni geologiche dei giacimenti petroliferi è ancora incompleta. Hanno grande importanza come serbatoi per il petrolio le formazioni terziarie e specialmente la cosiddetta "Fars series" del Miocenico-Pliocenico, la quale raggiunge da sola una potenza di terreni di oltre 4000 m. In questa formazione sono anche sviluppate le cupole salifere, le quali rappresentano uno dei risultati dei movimenti tettonici terziarî subiti dalla regione. Una regione petrolifera si stende anche nella Persia settentrionale fra il Lago di Urmia e le coste del Caspio. Si coltivano a pieghe anticlinali asimmetriche. Le condizioni geologiche presentano qualche analogia con quelle del giacimento russo di Baku. In India si ha qualche concentrazione di petrolio nelle formazioni eoceniche del Panjab (altipiano di Potwar), però maggiore importanza industriale hanno i giacimenti dell'Assam e del Bengala orientale (Bappa Pung, Digboi, ecc.), in anticlinali asimmetriche di terreni eocenici, e quelli della Birmania nel bacino dell'Irawady. In questo giacimento si coltivano formazioni oligoceniche e mioceniche, piegate in anticlinali simmetriche (campo di Yenagyaung, ecc.) oppure fortemente asimmetriche (Yenangyat, Singu, Mimbu, ecc.). Nelle Indie Olandesi si hanno giacimenti di petrolio nell'isola di Borneo (Sultanato di Koetei, isola Tarakan, Brunei, Sarawak), dove sono produttive specialmente le arenarie mioceniche piegate in anticlinale (isola Tarakan), oppure disposte in serie monoclinale interrotta da piccole flessure anticlinali, nelle quali si è concentrato il petrolio. Le concentrazioni petrolifere coltivate nell'isola di Sumatra (Telega Said nel distretto di Langkat) sono comprese egualmente nelle formazioni del Terziario superiore (Miocenico e Pliocenico), le quali contengono anche giacimenti di carbone. A Mocara Enim (Palembang, Sumatra meridionale) si conosce un banco di carbone impregnato di petrolio, singolarità degna di essere notata. Anche a Giava si hanno orizzonti produttivi miocenici, coltivati nei campi di Semarang, Rembang e Soerabaja. Nella Nuova Guinea (Golfo di Papua), si hanno pure concentrazioni mioceniche d'idrocarburi. Nelle formazioni mioceniche sono anche le concentrazioni petrolifere coltivate nelle Isole Filippine, così nella penisola di Bondoc (Isola Luzon), come lungo la costa occidentale dell'isola di Cebu, nella parte nord-occidentale di Leyte e nella provincia di Cotabato nell'isola di Mindanao. Il Giappone produce una certa quantità di petrolio dalle formazioni mioceniche e plioceniche delle regioni di Echigo (300 km. a NO. di Tokio), Shinano, Totomi e dell'isola di Yezo. Nel distretto di Akita sono produttive anche formazioni di origine eruttiva. Le concentrazioni sono ancora, come altrove, legate alle condizioni tettoniche, e il petrolio nelle formazioni vulcaniche è secondario. In Cina si ha qualche notevole concentrazione petrolifera nella provincia dello Shensi, nelle arenarie e negli scisti della "serie carbonifera dello Shensi". L'olio si trova accumulato nei ripiani e nelle flessure della serie, disposta in monoclinale.
L'Africa è poverissima di giacimenti petroliferi. In Algeria vi è il campo produttivo di Ain Beida nella provincia di Costantina. In Egitto sulla costa del Mar Rosso si hanno i giacimenti di Hurgada, Gemsah e Abu Darba, quest'ultimo scoperto nel 1921. Il petrolio si trova nelle rocce sedimentarie deposte su un nucleo cristallino antico. La serie si inizia con le "arenarie nubiane" di età indeterminata e presenta un forte spessore di terreni terziarî, miocenici e pliocenici, i quali presentano qualche analogia con la serie carpatica romena. Il campo di Gemsah in anticlinale non è più in produzione. A Hurgada si concentra attualmente quasi tutta la produzione, la quale proviene in parte da scisti arenacei del Cretacico, in parte dalle arenarie nubiane e dalla superficie sfatta del granito sottostante a questa formazione. Ad Abu Darba le arenarie cretaciche, petrolifere e profonde nel campo di Hurgada, affiorano in superficie.
Nell'Australia non si conoscono giacimenti di petrolio.
Prospezione del Petrolio.
Prospezione geologica. - Il successo delle trivellazioni e il grande aumento della produzione mondiale del petrolio nell'ultimo ventennio snno dovuti in gran parte alle applicazioni della geologia; e se i metodi geofisici hanno concorso a tali successi, i criterî geologici sono pur sempre classici per la ricerca petrolifera e necessarî per valorizzare gli stessi dati tratti dalla geofisica, tanto più che questa è per il geologo ciò che la radioscopia è per il medico: un mezzo sovrano per una buona diagnosi, specialmente laddove, in mancanza di pozzi già perforati, il diretto esame geologico non è possibile a causa, p. es., delle alluvioni che hanno ricoperto o delle erosioni che hanno livellato le formazioni sottostanti.
Ma per quanto i metodi geologico-geofisici si possano ancora sviluppare, essi non potranno mai dare risultati certi, richiedendosi per l'accertamento di terreni petroliferi molteplici fattori, non sempre determinabili, e che solo l'azione meccanica della sonda può mettere in luce.
Sarebbe d'altra parte incompleto il concetto di esplorazione e prospezione geologica, se non si tenesse conto della funzione del geologo anche nella fase di trivellazione e di sfruttamento, per la determinazione delle proprietà e dei caratteri fisico-chimici-mineralogici, oltreché eventualmente paleontologici, delle rocce, dei terreni di varia potenza e delle manifestazioni incontrate dalle sonde, per servirsene come base per le prospezioni in campi vicini o geologicamente analoghi.
Si vengono così a ricavare i profili di pozzi in perforazione e i diagrammi rappresentanti la stratificazione, composizione e struttura del sottosuolo, del livello delle acque e delle altre manifestazioni incontrate nelle operazioni di sondaggio. Diviene in tal modo anche possibile di determinare il raggio d'influenza reciproca delle sonde, i rapporti fra tettonica e produttività di determinati orizzonti, di stabilire le norme per un razionale sfruttamento d'un intero campo, prevenendo i danni che potrebbero derivare dall'invasione delle acque, dalla dispersione dei gas e da altre cause, capaci perfino di rovinare i livelli d'intere regioni petrolifere.
Il compito del geologo consiste non solo nel rilevare tutti i necessarî elementi litologici, stratigrafici e cronologici per la compilazione delle carte geologiche in proiezione orizzontale, e degli spaccati in sezioni verticali, ma anche nell'individuare la zona e il punto da perforare, secondo il maggiore concorso dei dati sia geologici sia geofisici richiesti, per assicurare un successo alla ricerca o almeno per ridurre il più possibile l'alea dei sondaggi, sempre molto costosi.
Pertanto è certo che, se la geologia non può sempre bastare per una ricerca positiva, ha però un'importanza assoluta nell'escludere ogni possibilità petrolifera, quando le condizioni dei terreni non corrispondono ai requisiti dovuti per l'esistenza del petrolio.
Il lavoro di prospezione geologica sul terreno, da distinguersi da quello accennato in fase di trivellazione e di sfruttamento, si avvale, per la ricerca del petrolio, dei dati sussidiarî relativi specialmente: all'esistenza di manifestazioni superficiali di petrolio, gas, bitume, acque salate, in rapporto ai terreni in cui si avvertono e, possibilmente, da cui provengono; alla presenza di rocce di origine sedimentaria e alla corrispondenza cronologica dei terreni in esame con quella già nota dei campi di petrolio e gas; all'esistenza possibile o reale di sorgenti o giacimenti di acque saline con un regime favorevole anche al deposito petrolifero, alla presenza di strati porosi nelle formazioni in cui anche il petrolio possa essere contenuto in quantità commerciale e, quando ciò fosse, anche alla presenza di una sufficiente "copertura" per impedire al petrolio o al gas di sfuggire e disperdersi alla superficie; e di una "struttura" geologica adatta per il concentramento del petrolio in quantità commerciale, sempre che le condizioni idrostatiche siano tali da non impedirne l'accumulo in giacimenti.
Per risolvere tutti questi quesiti che, pur non essendo i soli, dovrebbero essi almeno avere una risposta positiva, il geologo del petrolio ricorre a metodi e sistemi che in gran parte sono quelli geologici ordinarî, salvo qualche particolarità.
Così, più che nei semplici rilievi geologici, nella prospezione geologica del petrolio occorre una grande esattezza nei rilievi topografici e nella determinazione dello spessore degli strati. I sopraluoghi sul terreno potranno dare risultati tanto migliori, quanto più vasta sarà la superficie osservata prima d'iniziare il sondaggio, in modo che non rimanga sconosciuto, se possibile, nessun particolare della stratigrafia e della tettonica, ricorrendo eventualmente ad "analogie", ciò che riavvicina in questo caso la scienza pura a quella applicata.
Il geologo, fondandosi sulle proprietà del petrolio e sulle relazioni di esistenza constatate nelle regioni petrolifere, utilizza diverse teorie, mostratesi buone per la ricerca. Generalmente esse sono denominate col nome delle strutture geologiche dipendenti: così si hanno le teorie delle anticlinali, delle faglie, delle monoclinali, delle cupole, delle trasgressioni, sebbene tutte queste teorie facciano capo a un unico concetto, che è quello della distribuzione per densità dei liquidi e dei gas nelle porosità e nelle cavità sotterranee.
Per facilitare la completa conoscenza del terreno si ricorre anche alle fotografie panoramiche, per meglio rilevare le particolarità topografiche.
Da qualche anno si è trovato di grande utilità anche l'aeroplano per la prospezione di regioni desertiche o di zone litoranee con acque poco profonde. Le fotografie aeree, se opportunamente coordinate, permettono interessanti visioni sintetiche generali, per mezzo delle quali si possono riscontrare particolarità morfologiche, faglie e pieghe, la cui esistenza si potrebbe altrimenti rilevare con difficoltà.
Il geologo deve infine tener conto anche di una serie di altri elementi, tra i quali i dati d'analisi delle acque e quelli risultanti dall'osservazione delle "carote" estratte, sia a scopo puramente geologico, sia durante le trivellazioni per la ricerca diretta e lo sfruttamento di giacimenti petroliferi.
I sistemi di carotaggio meccanico vengono indifferentemente applicati ai varî sistemi di sondaggio.
Le relazioni geologiche di sondaggio, specialmente quelle che riportano i risultati finali, vengono poi corredate da disegni, carte, profili, per maggiormente chiarirle in forma sintetica.
Dove l'occhio del geologo, aiutato dai suoi strumenti ordinarî di lavoro, non arriva, si ricorre ai mezzi geofisici: gravimetrici, magnetici, elettrici, sismici, per individuare le formazioni nascoste del sottosuolo e le loro strutture.
Prospezione geofisica. - I metodi geofisici per la ricerca del petrolio hanno preso impulso solo dopo il 1924, e tra i precursori di essi sono da annoverare: R. Eötvös per la gravimetria, E. Wiechert, L. Mintrop per la sismica, R. Ambronn, Sundberg e Schlumberger per la geoelettrica, M. Melloni e gli svedesi per il geomagnetismo.
Questi metodi utilizzano, com'è noto, le proprietà fisiche delle rocce: densità, elasticità, radioattività, permeabilità magnetica, conducibilità elettrica e calorifica, costante dielettrica, che condizionano i campi di forza terrestre immanenti al suolo, con immissioni di corrente elettrica, o artificialmente impressi con esplosioni o urti al suolo.
Le discontinuità nelle proprietà fisiche delle rocce rappresentate da parametri fisici differenziali, purché di una certa entità, causano le anomalie nei campi di forza misurabili alla superficie. L'accertamento di queste anomalie costituisce il primo compito della geofisica applicata ed è consigliabile procedere, per tale accertamento, con tutti i metodi possibili che si controllano e s'integrano reciprocamente.
Il metodo gravimetrico si avvale di misure con bilance di torsione, con il pendolo, con i gravimetri statici, e il suo principale campo di applicazione è la ricerca di strutture sotterranee favorevoli agli accumuli del petrolio, come ellissoidi, dorsali, anticlinali, monoclinali, domi, diapiri, faglie.
Il metodo magnetico si avvale di misure variometriche e in generale di una sola delle componenti del campo magnetico terrestre, a seconda della latitudine, con le stesse finalità del metodo precedente.
Le applicazioni sismiche, basate sui fenomeni di rifrazione e riflessione, si effettuano con sismografi da campo, meccanici, elettromagnetici, a piezo-quarzo, di alte, regolabili sensibilità. Il particolare sviluppo dei metodi sismici si deve attribuire al fatto che essi permettono di regolare la profondità della ricerca, fino, e oltre, alle massime profondità raggiungibili con la sonda. Di 100 domi di sale scoperti, ad es., nella Costa del Golfo (Stati Uniti) nel periodo 1924-29, 80 si devono attribuire alla sismica e 20 alla bilancia di torsione.
I metodi elettrici hanno avuto una rapida evoluzione, con misure qualitative, potenziali e di campo elettromagnetico prima, con misure quantitative poi, sempre però per ricerche indirette di petrolio. Essi permettono d'integrare i risultati delle precedenti applicazioni con altri relativi ai eomplessi elettrolitologici.
Dall'esame delle anomalie fisiche e della loro distribuzione si può risalire alla conoscenza di un corpo geologico medio in rapporto più o meno semplice con i corpi geologici reali, secondo la particolare costituzione e struttura della regione che si esamina.
I principî di questi metodi sono semplici: le condizioni strumentali sono oggi soddisfacenti; gli sviluppi teorici e sperimentali sull'argomento si susseguono ormai con ritmo crescente, ma le interpretazioni dei risultati rimangono sempre molto delicate e richiedono lunghi e difficili calcoli ed esperimenti, soprattutto laddove la geologia della regione risulta piuttosto complessa.
La ricerca geofisica del petrolio è effettuabile finora come una ricerca indiretta di strutture petrolifere.
Non si conoscono finora tentativi di una prospezione diretta del petrolio; solo è stato messo in evidenza, al Congresso mondiale del petrolio di Londra nel 1933, un nuovissimo sistema di "sondaggi elettrochimici", che hanno lo scopo di potenziare il sistema dei "sondaggi elettrici", d'incomparabile utilità nella determinazione delle successioni litologiche. I sondaggi elettrici permettono di determinare le "resistività naturali" dei complessi rocciosi fino a notevoli profondità. Ma con queste determinazioni non sono possibili le differenziazioni litologiche o mineralogiche nei complessi che, pur presentando una stessa resistività, sono costituiti diversamente dal punto di vista litologico o mineralogico.
Ai metodi geofisici di esplorazione in superficie sono stati aggiunti, in questi ultimi tempi, quelli del "carotaggio elettrico", che si applicano nei luoghi di produzione, con misure di resistività e porosità negli strati lungo i fori di sonda. Essi permettono notevoli economie nei lavori di sondaggio e di produzione petrolifera, eliminando il carotaggio meccanico e garantendo la segnalazione così degli orizzonti produttivi da coltivare, come degli orizzonti acquiferi da chiudere.
Estrazione e lavorazione.
Estrazione. - Il petrolio normalmente si estrae con pozzi trivellati, rivestiti di tubi metallici e profondi spesso 1000, talvolta 2000 m. e anche più. Per la perforazione di questi pozzi si costruiscono le caratteristiche incastellature (inglese derricks, fig. 10), che però, quando la produzione è incominciata possono essere smontate e sostituite da più semplici capre di legno o di ferro. In qualche caso il petrolio esce naturalmente dal pozzo, spinto dalla pressione dei gas, ma nella maggior parte dei casi esso viene estratto con pompe. L'estrazione con i pozzi riesce vantaggiosa dal punto di vista economico; però una gran parte del petrolio (fino all'80-90%) resta nel giacimento. Per ricuperarla sono stati studiati diversi metodi i quali, finora, non sono stati applicati se non in qualche raro caso.
Trivellazione dei pozzi. - Oggi si possono distinguere due metodi fondamentali nella trivellazione: metodo a percussione e metodo a rotazione. Secondo il primo si sospende verticalmente a una trasmissione flessibile, cioè a una corda (sistema pennsylvanico) o a una sospensione rigida, costituita da una serie di aste di legno o di ferro avvitate fra loro (sistema canadese), un pesante utensile perforatore. Per mezzo di un meccanismo a bilanciere si comunica a tutto l'insieme un movimento alternativo dall'alto al basso. Gli urti periodici dell'utensile perforatore sul fondo provocano la disgregazione del materiale.
Gli utensili perforatori sono di diverso tipo. Essi possono avere forma di succhielli o "trivelle" alle quali si può imprimere a mano una rotazione periodica, o di corpi cilindrici o semicilindrici a bordo tagliente, o più comunemente di pesanti scalpelli (fig. 11). Molto diffusi sono gli scalpelli eccentrici, nei quali la parte eccentrica ha raggio maggiore di quello della trivellazione. Manovrando opportunamente questi scalpelli, si può allargare il foro al disotto dell'armatura e facilitare la discesa dei tubi di rivestimento.
Per la pulizia del foro, per l'estrazione dei detriti, si può agire con sistema intermittente, alternando il lavoro dell'utensile perforatore con quello della curetta. La curetta o sampompa (fig. 14) può avere forme diverse. Comunemente è costituita da un tubo sospeso superiormente a una forchetta e inferiormente munito di una valvola a battente o a sfera, che si può aprire soltanto dal basso verso l'alto. Per mezzo di queste curette si possono portare alla superficie i detriti fangosi prodotti dalla trivellazione ed esaminarli per sorvegliare gli strati e gli eventuali indizî del petrolio. La pulizia continua si può fare invece con una corrente di acqua che continuamente si spinge in fondo al pozzo durante la trivellazione e che risale alla superficie portando co sé i detriti. L'acqua può essere inviata nell'interno cavo delle aste di trasmissione. Questo sistema di pulizia è molto più rapido che il sistema intermittente, ma non permette la sorveglianza continua degli strati. Non appena la profondità del pozzo sorpassi un certo limite, bisogna inserire fra la sospensione, specialmente se si tratta di sospensione ad asta, e l'utensile di perforazione, uno snodo (fig. 14) costituito da due pezzi di ferro o acciaio della lunghezza di circa un metro, allacciati insieme come due anelli di una catena in modo da assicurare un giuoco da 15 fino a 80 cm. Tale snodo evita il contraccolpo della percussione sulle aste e facilita il lavoro di perforazione e quello di ricupero dello scalpello. Più perfezionati sono i dispositivi a caduta libera. In tali dispositivi lo scalpello è trattenuto da un sistema a baionetta o a gancio mobile, che può essere manovrato dall'alto in modo che lo scalpello può essere liberato e fatto cadere sul fondo e quindi riagganciato indipendentemente dal movimento delle aste.
Altri dispositivi speciali si possono alternare o combinare agli scalpelli per allargare il foro (figura 12). Sono tubi muniti di alette taglienti che vengono allargate da un sistema di molle. Esse vengono introdotte chiuse dentro ai tubi e appena fuori dai tubi si aprono allargando il foro. Grande importanza hanno anche nelle operazioni di trivellazione gli attrezzi di ricupero (fig. 13) che servono ad afferrare e a riportare alla superficie (fishing) le aste e gli utensili che, per rotture o incidenti varî, assai spesso rimangono in fondo al pozzo. Questi utensili sono di tipo svariatissimo: ganci, rampini, pinze, tubi muniti di valvola a battente o a sfera, e devono spesso venire improvvisati o modificati caso per caso. Lo stesso si dica degli utensili destinati ad allargare i tubi eventualmente schiacciati dalla pressione del terreno, a tagliarli per ricuperarli in parte, ecc.
Più moderno e di più alto rendimento è il sistema di trivellazione rotativo, secondo il quale si usa al posto dello scalpello un vero e proprio trapano, al quale viene impresso con un congegno comandato dalla superficie (fig. 16) un movimento di rapida rotazione. Il trapano può essere costituito da una punta o succhiello d'acciaio duro, o da una corona tagliente, o da un sistema di frese, anch'esse d'acciaio (fig. 15). I trapani attaccano allora l'intera superficie del foro disgregandola minutamente, e la pulizia è fatta di continuo con corrente d'acqua in pressione, attraverso le aste cave. Un sistema a pressione assicura poi la lubrificazione continua degli organi rotanti, anche a grandi profondità. Questo sistema, il quale è chiamato con il suo nome americano rotary, è il più rapido di tutti, ma si può applicare soltanto quando si abbia già una certa conoscenza degli strati, in quanto trascura le eventuali manifestazioni petrolifere o acquose. Un altro sistema rotativo, detto a estrazione di nucleo, adopera, invece di utensili perforatori pieni, corone rotanti munite di lame d'acciaio a coltello, le quali lavorano su granaglia d'acciaio, che viene spinta nel foro insieme con gli utensili, oppure anche, nel caso di rocce durissime, di diamanti neri, opportunamente disposti e fissati. Nell'interno dell'utensile perforatore a corona, concentricamente disposta, si trova la curetta. L'eventuale lavaggio ad acqua o fango, si effettua soltanto all'esterno della curetta.
La trivellazione con corona rotante, ha il grande vantaggio di tagliare alla periferia gli strati e d'isolare perfetti campioni cilindrici (carote, fig. 17), che, portati alla superficie nella curetta, costituiscono un prezioso materiale di studio e d'osservazione, specialmente per trivellazioni in terreni poco noti.
Armatura o rivestimento dei pozzi. - Salvo casi eccezionali, i pozzi vengono rivestiti con tubi generalmente d'acciaio, affondati verticalmente nel foro a mano a mano che la trivellazione procede.
I tubi sono costituiti da segmenti avvitati fra loro. Si comincia con un diametro relativamente largo e si scende con questo fin quanto si può, mantenendo ogni tanto in movimento i tubi per evitare che vengano stretti dalle formazioni argillose e arrestati. Quando non si riesce più a scendere con la tubazione di un dato diametro, se ne fa scendere un'altra interna di diametro minore.
Si finisce così per avere un sistema di tubi concentrici di diametro via via più stretto. Per economia di tubi si può procedere con il sistema cosiddetto telescopico, facendo coincidere la sommità di un tubo interno con il piede di quello esterno, oppure si posso no ricuperare in tutto o in parte le tubazioni esterne (figura 18). Talora i tubi servono, oltre che ad armare il pozzo, anche a escludere falde acquifere o manifestazioni gassose. Allo stesso scopo si procede oggi spesso alla cementazione del pozzo, si cala cioè negli spazî tra due tubazioni cemento liquido speciale a rapida presa. L'uso di emulsioni dense di acqua e argilla, talora anche d'acqua e barite, può anche servire, durante la trivellazione, a sostituire tubazioni o cementazioni.
Per smuovere gli strati petroliferi e creare artificialmente fratture o cavità di raccolta, si usa spesso, soprattutto in America (Oklahoma, Kansas), introdurre all'altezza degli strati stessi cariche esplosive (generalmente nitroglicerina) che si fanno brillare dalla superficie (fig. 19). Questo sistema può tuttavia causare franamenti e inclinazioni del giacimento e va usato con precauzione, soltanto quando la stratigrafia sia ben conosciuta.
Eruzioni spontanee (gushers). - In certi casi, quando cioè la trivellazione peschi in uno strato petrolifero a cui sovrasti una forte sacca gassosa si può avere l'eruzione spontanea del liquido, che può assumere proporzioni gigantesche per portata e durata.
Così, p. es., un pozzo zampillante scavato nel Messico nel 1916 presso Tampico produsse nelle prime 24 ore 260.000 barili di petrolio (circa 37.000 tonn.) e in due anni produsse circa 60 milioni di barili (circa 8 milioni e mezzo di tonnellate, pari a circa 6 volte il consumo annuale italiano di olî minerali).
Se la trivellazione raggiunge prima lo strato gassoso, può aversi semplicemente un'eruzione gassosa, che può manifestarsi con una pressione di qualche centinaio di atmosfere. Grandi difficoltà presenta allora l'opera di captazione e incondottamento. Bisogna adattare al pozzo testate speciali, munite di forti valvole. È prudente non lasciare sfogare troppo liberamente la pressione del gas, perché si verrebbe ad annullare la forza ascensionale del giacimento.
Talora queste eruzioni di petrolio provocano la rottura degli attrezzi e incidenti anche più gravi. Facilmente s'incendiano e allora quantità enormi di petrolio possono andare distrutte, senza che si riesca a domare il fuoco.
Talora il petrolio esce commisto o emulsionato con acqua salata e bisogna ricorrere a speciali sistemi di decantazione o a ingredienti demulsificanti (acidi naftenici) per ricuperare il petrolio. Qualche volta l'eruzione che non si manifesta in principio può essere artificialmente provocata o, come si disse, con gli esplosivi, o creando mediante sonde speciali depressioni nel pozzo, o mediante riscaldamenti elettrici, nel fondo del pozzo.
Pompatura. - Il petrolio viene pompato con mezzi analoghi a quelli usati per certi pozzi d'acqua. Tuttavia le pompe richiedono sistemi più complicati e costruzione più accurata per la profondità, che in certi casi raggiunge e sorpassa i due chilometri, e per la ristrettezza delle trivellazioni. I movimenti di perforazione, di pulizia, di pompamento sono comandati dall'esterno con meccanismi a movimento alternativo, mossi generalmente da motori a gas, azionati dagli stessi gas petroliferi.
Una pratica comune per facilitare l'estrazione o il pompamento del petrolio e realizzare una grande economia di energia è quella di pompare nel pozzo aria o gas, che emulsiona il petrolio e diminuisce la pressione idrostatica che deve essere vinta.
Altri metodi di coltivacione dei giacimenti petroliferi. - Le trivellazioni verticali con sistema artesiano riescono a estrarre dai giacimenti petroliferi, secondo la stima degli esperti, soltanto una piccola parte (che in molti casi può ridursi al 10-20%) del petrolio contenuto nei giacimenti. Per questo, in giacimenti più poveri di quelli americani, come quelli francesi di Pechelbronn, si è introdotta anche la coltivazione a mezzo di gallerie inclinate opportunamente tracciate, dalle pareti delle quali trasuda il petrolio che per drenaggio viene a raccogliersi in fondo a pozzi artificiali. Per questa strada si dovrebbe riuscire a ricavare dal 30 al 40% del petrolio contenuto nei giacimenti. Scavando le sabbie e i calcari petroliferi e lavandoli con acqua bollente, si dovrebbe arrivare a ricuperare un altro 30-40%. Inoltre, adottando questi sistemi più costosi e faticosi, ma indubbiamente più razionali, si può acquistare un'idea assai più completa ed esatta dell'andamento degli strati, della distribuzione delle vene petrolifere, gassose e acquifere nel sottosuolo.
Deposito. - Il deposito del petrolio si presentò come un problema di eccezionale importanza, non appena ebbe inizio il gigantesco sviluppo degli ultimi 70 anni. Enormi quantità di petrolio andarono perdute per l'insufficienza dei mezzi di raccolta. Si sfruttarono allora le fosse e le cavità naturali del terreno e quindi si provvide a scavare con l'aratro fosse profonde da 3 a 5 metri. Tali fosse venivano impermeabilizzate con rivestimenti di legno o di cemento, cintate con la stessa terra di estrazione e coperte con tetti in lamiera, legno, ardesia, sostenuti da palafitte appoggiate sul fondo del bacino. Tali fosse possono contenere fino a 500.000 barili (circa 70.000 tonn. di petrolio). Esse dànno tuttavia luogo a notevoli perdite per evaporazione, infiltrazione e trasudamento e vengono sempre più sostituite dai serbatoi metallici. Si tratta di serbatoi cilindrici costruiti con lamiere d'acciaio relativamente sottili, chiodate o saldate e provviste di un coperchio a calotta sferica o conico. Questi serbatoi in America si fanno usualmente da 35.000, 55.000 od 80.000 barili, raggiungendo raramente 178.000 barili (figg. 20 e 21).
Essi sono muniti di porte d'accesso alla base, e sul tetto d'indicatori di livello, di valvole di sfiato, che permettono ai vapori d'olio di uscire o all'aria di entrare, quando la pressione nell'interno vada al disopra o al disotto di un certo limite; di tubi di scarico a livelli diversi o meglio di tubi flessibili o snodati che permattano di attingere il liquido a livelli diversi, di dispositivi di sicurezza contro l'incendio, contro i fulmini e contro la dispersione del liquido. A quest'ultimo scopo i serbatoi sono circondati spesso da una fossa capace di raccogliere da una volta e mezzo a due volte il volume contenuto nel serbatoio. I serbatoi sono sempre verniciati esternamente con vernici bianche al bianco di zinco o di piombo per ridurre l'assorbimento del calore solare; si usano anche vernici d'alluminio in foglie sottili. Vernici speciali vengono anche usate per proteggere all'interno la lamiera dalle corrosioni. Spesso i tubi di adduzione e di scarico per l'olio o i vapori sono muniti di reti per rompere le fiamme.
Spesso si provvede anche, nelle regioni e stagioni più calde, a un continuo inaffiamento dei serbatoi. Queste e altre cautele hanno lo scopo di ridurre al minimo le perdite, che spesso raggiungono cifre elevate. Per serbatoi ben costruiti le perdite in media vengono calcolate al 4% in peso sull'olio immagazzinato. La perdita in valore è più forte, perché le frazioni che vanno perdute sono soprattutto le più volatili e quindi più preziose. Con le perdite che si verificano annualmente nei serbatoi americani si potrebbe alimentare il consumo italiano in petrolio per almeno due anni. Circa altrettanto petrolio si perde dalle condutture e nelle raffinerie. La quantità di petrolio annualmente distrutta per incendî negli Stati Uniti è del pari ingente: fra 1.500.000 e 2.000.000 di tonnellate
Si possono ridurre al minimo le perdite nei serbatoi costruendoli interrati o sommersi nell'acqua. Si costruiscono anche serbatoi con coperchi mobili a pistone, che seguono le variazioni della pressione nel serbatoio e annullano le entrate d'aria e le perdite attraverso le valvole di sicurezza. In fondo ai serbatoi si trova sempre uno strato d'acqua e di sedimento, il quale assicura la tenuta al fondo. Tra lo strato acquoso e l'olio si forma un'emulsione, d'olio, acqua, argilla, paraffina, che si preferisce diluire nell'olio a mano a mano che lo si preleva. Per lottare contro gl'incendî si ricorre talora ad atmosfere di gas inerte e a schiume permanenti (sealite, foamite).
Trasporto. - Oleodotti (ingl. pipe-lines). - Gli oleodotti servono a condurre il petrolio grezzo dai campi d'estrazione ai porti, alle raffinerie o alle stazioni ferroviarie e anche a condurre i prodotti raffinati ai centri di consumo o di spedizione. Sono costituiti da lunghe tubazioni, nelle quali il petrolio viene spinto con pompe disposte in stazioni di compressione intercalate nelle linee. Dove è possibile, le tubazioni sono disposte alla superficie, ma più spesso si affondano nel terreno per una profondità variabile da 35 cm. a 1 m. Si pone grande cura nella scelta del tracciato, in modo da ridurre al minimo i dislivelli e seguire quanto più è possibile le linee ferroviarie, telegrafiche e telefoniche, che rendono più facile la sorveglianza.
Le tubazioni sono di acciaio; normalmente esse hanno diametri da 2 a 12 pollici (5-30 cm.); sono sottoposte fino a 150 atmosfere di pressione; le pressioni di esercizio arrivano normalmente a 50 atmosfere. Si cerca di ridurre sempre più il numero dei giunti, sostituendoli con la saldatura. Le stazioni di compressione vengono costruite a distanze variabili da 3 a 150 km. S'impiegano robustissime pompe a stantuffo, capaci di lavorare con piccole velocità (0,5 m./sec.) e grandi pressioni (fino a 80 atm.). In media esse devono fornire 4000 tonn. di petrolio nelle 24 ore. Vi sono oleodotti che trasportano il petrolio a distanze di circa 1500 km., con 15 o 20 stazioni di compressione.
Il costo delle tubazioni, sebbene elevato (in media non è minore di 100.000 lire per km.), è rapidamente compensato dalla rapidità e dall'economia del trasporto. Secondo dati americani, il costo del trasporto del petrolio per oleodotto è circa metà che per ferrovia e sensibilmente più basso che per via d'acqua.
L'attrito che bisogna vincere nelle tubazioni varia a seconda del diametro di queste, della densità e della viscosità dell'olio. Per lottare contro le resistenze troppo forti si sono costruite anche tubazioni internamente rigate a elica. Se in queste tubazioni s'immette acqua insieme con l'olio, il movimento vorticoso spinge per forza centrifuga l'acqua più densa dell'olio all'esterno, cosicché all'attrito tra olio e tubo si sostituisce quello, assai minore, dell'acqua. Speciali precauzioni si devono prendere per le eventuali separazioni di prodotti paraffinosi, sedimenti acquosi o argillosi, sacche di gas. Strumenti ingegnosissimi (gli scrapers, fig. 22) sono adoperati per la pulizia delle tubazioni. Essi sono muniti di arnesi rotanti che raschiano ed asportano i sedimenti e le incrostazioni della tubazione.
Gli oleodotti sono, dalla legge americana, considerati un mezzo a disposizione del pubblico, come le ferrovie. I produttori, se non intendono vendere alla compagnia che esercisce gli oleodotti il loro petrolio, lo consegnano ad essa per il trasporto e pagano il nolo e il trasporto. La quantità e il valore dell'olio trasportato viene specificato in un certificato, che viene negoziato in borsa come un titolo qualsiasi. Spesso qualità diverse di petrolio vengono immesse una dopo l'altra nelle tubazioni, senza che avvenga mescolanza o confusione.
Gli oleodotti hanno acquistato notevole diffusione, oltre che negli Stati Uniti, anche in Europa. Una tubazione di circa 300 km. trasporta il petrolio da Bacău a Costanza, in Romania, mentre un'altra lunga 900 km. va da Baku attraverso il Caucaso fino a Batum sul Mar Nero. Questa conduttura è servita da 17 stazioni di pompe. La sua capacità è di oltre 170 tonn. ora.
Due tubazioni di circa 2000 km., ultimate nel 1934., allacciano i campi petroliferi dell'‛Irāq con le rive del Mediterraneo e hanno la capacità di trasportare ai porti di Tripoli in Siria e di Ḥaifā in Palestina quattro milioni e mezzo di tonnellate di petrolio all'anno. Un oleodotto di circa un centinaio di km. si sta attualmente costruendo in Albania per conto dell'A. I. P. A. (Az. ital. petr. Albania); esso condurrà il petrolio del bacino del Devoli a Valona. Secondo la più recente statistica gli oleodotti esistenti nel mondo hanno uno sviluppo complessivo di oltre 300.000 km., di cui: 280.000 negli Stati Uniti; 4800 nel Messico; 4200 in Russia; 2900 in Romania; 2500 nelle Indie Olandesi e 2000 in Asia Minore.
Carri o vagoni cisterna (ingl. tank cars). - L'uso di cisterne ferroviarie per il trasporto del petrolio data dall'origine della moderna industria petrolifera. Mentre all'inizio tali vagoni non erano che adattamenti dei comuni vagoni a base piatta, oggi essi vengono costruiti espressamente nella forma indicata dalla figura 23. I serbatoi sono cilindrici, muniti di duomo, dal quale avvengono il riempimento e lo scarico. Sono costruiti interamente in acciaio di dimensioni unificate e generalmente contengono da 20.000 a 40.000 litri. Talora i carri cisterna sono muniti d'impianti di riscaldamento con serpentini di vapore, per rendere fluidi i greggi particolarmente viscosi. Tal'altra, quando si tratti di trasportare prodotti molto volatili, sono isolati termicamente, onde ridurre il riscaldamento.
Navi cisterna. - La fig. 24 indica schematicamente come sono costruite le navi cisterna. Le macchine, le caldaie, il carico d'olio combustibile e i quartieri per l'equipaggio sono sistemati a poppa. La nave è divisa longitudinalmente in due grandi compartimenti, mentre altri compartimenti sono ricavati da divisioni trasversali. Inoltre compartimenti più elevati sono esclusivamente riservati alle stagioni estive, quando la nave non ha da sostenere le tempeste più gravi.
La nave è provvista di pompe, che permettono il carico e lo scarico separato di ogni compartimento. Speciali provvidenze sono prese per ventilare le cavità e opporsi ai pericoli di esplosione, nonché per domare gl'incendî.
La tabella 4 dà la potenzialità delle flotte petrolifere nei varî paesi nel 1932.
Lavorazione. - Emulsioni di acqua e petrolio. - Spesso il petrolio esce dai pozzi emulsionato con acqua, specialmente se esso contiene idrosilicati di alluminio, che funzionano come agenti emulsionanti. Anche i componenti asfaltosi o ossigenati, contenuti in alcuni petrolî, gli acidi naftenici, cere e ossidi colloidali di ferro possono originare queste emulsioni di olio e acqua. Talora i petrolî contenenti asfalteni o acidi naftenici vengono in contatto con acqua contenente bicarbonato di calcio e formano saponi di calcio, che funzionano anch'essi da agenti emulsionanti. Queste emulsioni sono essenzialmente costituite da globuli nei quali l'acqua rappresenta la fase esterna e l'olio l'interna o viceversa. In generale la fase esterna è quella nella quale l'agente emulsionante è meno solubile e forma allora un film alla superficie dei globuli. Il grosso dell'acqua è eliminato presso i pozzi, poiché i raffinatori rifiutano l'olio che contenga oltre l'1-2% di acqua. Si rende comunque spesso necessario presso i pozzi o nella raffineria di rompere queste emulsioni con mezzi speciali, prima di lavorare il petrolio. Il riscaldamento opportunamente applicato può servire allo scopo. Il metodo più comune consiste nello scaldare l'olio in serpentini a circa 150°, scaricandolo quindi in un serbatoio, dove l'acqua evapora abbandonando l'emulsione. Bisogna naturalmente raccogliere e condensare i vapori per non perdere gli olî leggieri. Si può anche riscaldare sotto pressione di circa 5 atmosfere, quindi espandere e frazionare i vapori con una pratica analoga a quella applicata nel cracking.
Anche un più blando riscaldamento in apparecchi di decantazione (a circa 70-80°) può bastare a produrre la coalescenza o l'agglomerazione di quasi tutta l'acqua emulsionata, in modo da rendere l'olio accettabile. Si può infine rompere l'emulsione trattandola con speciali agenti chimici (demulsionanti). Molto usati i saponi di sodio contenenti resina, cera e silicato sodico, o anche gli stessi acidi naftenici, che spesso provocano le emulsioni. Più modernamente si possono impiegare la centrifugazione o il trattamento elettrico ad alto voltaggio e a bassissima intensità, con sistema analogo a quello adoperato per precipitare le polveri dei gas industriali (Cottrell).
Distillazione; rettificazione; raffinazione. - Il petrolio, dopo avere lasciato nelle vasche di raccolta, nei serbatoi e in parte nei gomiti delle tubazioni, l'acqua e i sedimenti argillosi, arriva a mezzo dei vagoni o delle navi cisterna o a mezzo degli oleodotti alla raffineria, dove viene trasformato in prodotti destinati alla vendita. La base della lavorazione del petrolio è la distillazione, cioè il riscaldamento progressivo in caldaie o in recipienti tubolari, dalla sommità dei quali gl'innumerevoli idrocarburi costituenti il petrolio si svolgono successivamente allo stato di vapore, e cioè prima gli idrocarburi a tensione di vapore più forte o più volatili e quindi, a mano a mano, quelli meno volatili. I vapori che sfuggono dalle caldaie di distillazione vengono raffreddati e di nuovo condensati in liquido. Si possono così separare oltre a prodotti estremi gassosi o solidi, frazioni liquide di diversa volatilità, che vengono destinate a usi diversi. A mano a mano che aumenta la temperatura nelle caldaie di distillazione e diminuisce la volatilità dei liquidi raccolti, ne aumenta in genere progressivamente la densità, ne diminuisce l'infiammabilità e si fa più intenso il colore.
Per ottenere un frazionamento più netto si fanno generalmente seguire alla prima distillazione (che può anche limitarsi a separare il greggio in un unico distillato liquido e in un residuo) distillazioni successive o rettificazioni (fig. 28). Durante la rettificazione si adottano speciali sistemi di condensazione o deflemmazione, in modo da lottare contro il fenomeno del trascinamento dei vapori più pesanti da parte di quelli più leggieri.
Quando la temperatura s'innalza molto verso la fine della distillazione, al fenomeno puramente fisico dell'evaporazione può sovrapporsi il fenomeno chimico della decomposizione termica o demolizione pirogenica o piroscissione (cracking), per effetto della quale le molecole più grosse si spezzano, dando luogo a molecole più semplici, a gas incondensabili e a depositi carboniosi. In certi casi, come vedremo, questo fenomeno è sfruttato per aumentare il rendimento in prodotti leggieri. Ma quando invece si tenda alla produzione di olî lubrificanti, si riduce al minimo la decomposizione, facendo il vuoto nelle caldaie di distillazione o insufflando nel liquido vapore surriscaldato. Ambedue gli espedienti hanno per effetto di abbassare la temperatura alla quale gl'idrocarburi meno volatili possono venir trascinati via allo stato di vapore e di proteggere quindi gl'idrocarburi pesanti dagli effetti distruttivi del riscaldamento. Dopo la prima distillazione e la rettificazione o intercalati tra queste, intervengono processi di depurazione chimica o fisica o raffinazione propriamente detta, che, in generale consistono in trattamenti acidi e basici e in filtrazioni attraverso mezzi decoloranti (terre assorbenti).
La frazione più volatile, che si svolge per prima durante la distillazione, costituisce la benzina (fr. essence; tedesco Benzin; ingl. petrol; ingl. d'America gasoline e naphtha), che è oggi anche la frazione più pregiata. Essa passa sotto 220-225°, ha una densità media che secondo le provenienze può variare da 0,74 a 0,81. Può venire separata per ulteriore distillazione, eventualmente con il sussidio del vapore, in benzina leggiera o benzina Avio (amer. gasoline) bollente sotto 150°, e in benzina pesante (americano naphtha). Queste frazioni sono impiegate principalmente come carburanti nei motori a scoppio veloci. In linea secondaria trovano uso come solventi.
Dopo la benzina passa il petrolio lampante o petrolina o nafta (fr. huile lampante; ted. Leuchtöl; ingl. e amer. waterwhite o kerosene), che passa tra 225° e 280-300°, con una densità intorno a 0,81. Durante la distillazione di questa frazione viene spesso usato il vapore diretto, specialmente verso la fine, per prevenire la decomposizione termica. Da questa frazione si ricavano solventi (un prodotto intermedio fra il lampante predetto e il gasoil è quello che in italiano si può chiamare ragia minerale [ingl. white spirit] che è molto usato per applicazione di vernici in luogo dell'olio di lino e dell'acquaragia) e anche olî per motori Diesel, olî per illuminazione, olî per uso medicinale. Oggi si tende tuttavia a ridurre sempre più questa frazione a vantaggio della frazione leggiera (benzina) e di quella più pesante (gasoil, olio da Diesel). Tanto la prima frazione (benzina) quanto la seconda (olio lampante) ottenute dalla distillazione sono soggette a raffinazione chimica. A tale scopo i distillati vengono posti in grandi recipienti a imbuto (fig. 25) rivestiti di piombo, e mescolati a piccole quantità di acido solforico concentrato. Per l'agitazione si usa generalmente insufflare aria sul fondo del recipiente, dopo di che l'acido solforico, con le sostanze disciolte, viene decantato dal fondo. Si lava quindi con soluzioni di soda caustica e, nel caso della benzina, anche di piombito sodico.
Poi si lava a fondo con acqua. Talora si può decolorare con mezzi assorbenti (terre da follone, carbone attivo).
La terza frazione, immediatamente successiva all'olio lampante, costituisce l'olio medio o olio da Diesel (franc. huile solaire; ted. Gasöl; ingl. e americano gasoil), che bolle per la maggior parte tra 280° e 300°. Durante la distillazione di questa frazione si verifica generalmente con abbondanza la piroscissione. La densità del gasoil normale è intorno a 0,89-0,91 (oggi tuttavia si dà il nome di gasoil anche a prodotti più leggieri [d = 0,850], che vengono usati nei motori a scoppio o nei motori Diesel veloci per automezzi). Questa frazione è particolarmente destinata all'uso dei motori Diesel o ai processi di piroscissione. Questi processi hanno per scopo o la produzione di gas densi e calorifici (Gas blau, Olefine, ecc.) a scopo d'illuminazione o di lavorazione chimica, o più specialmente la produzione di benzina artificiale o benzina di cracking. Il cracking ha assunto oggi un'importanza enorme. Con i moderni processi di cracking, un gasoil normale può dare fino a 60-70% di benzina, che va ad aggiungersi alla benzina preesistente nel petrolio, ottenuta per semplice distillazione (o topping, secondo il termine americano). Dopo avere distillato il gasoil, rimane nella caldaia il residuo o olio pesante (fr. huile lourde; ted. Rückstand o Schweröl; ingl. e amer. residuum o tar). Questo residuo può in certi casi venire venduto come tale per essere usato come combustibile liquido. Più generalmente viene passato in altra caldaia e distillato in parte a fiamma diretta o con il sussidio del vuoto e del vapore. Si può ottenere allora un residuo bituminoso o coke di petrolio e un distillato (olio di paraffina; amer. wax distillate), che viene lavorato per ottenere la paraffina e gli olî lubrificanti. Gli olî di paraffina hanno generalmente una densità intorno a 0,86-0,87 e una viscosità elevata e possono costituire fino il 35% del greggio; in media però ne costituiscono circa il 10%. L'olio di paraffina viene raffreddato con ghiaccio e sale a circa -15° e la paraffina solidificata viene filtrata sotto pressione; le focacce di paraffina vengono poi sottoposte al trasudamento (ingl. swedting), sopra reti metalliche in ambienti caldi, dove fondono e scolano gli olî mescolati alla paraffina, lasciando indietro la paraffina greggia. Questa viene poi ulteriormente purificata con trattamenti chimici, fino ad ottenere la paraffina bianca di diversa durezza. Non tutti i greggi contengono quantità di paraffina sufficienti per giustificarne l'estrazione. Gli olî di paraffina, deparaffinati per pressione, ai quali vengono ad aggiungersi gli olî separati durante il trasudamento delle focacce di paraffina, sono lavorati per la produzione di lubrificanti (v. XXI, p. 542). Per questo essi sono distillati in diverse frazioni con l'aiuto del vapore, poi sottoposti a un trattamento acido in più fasi, lavati con acqua e con soluzione sodica e filtrati attraverso terre da follone. Il colore, la viscosità, l'infiammabilità, la stabilità e il comportamento alla temperatura debbono essere accuratamente mantenuti entro certi limiti variabili secondo gli usi ai quali i lubrificanti sono destinati. Gli olî lubrificanti si distinguono in fluidi, semidensi, densi, olî da boccole (per carri ferroviarî), da cilindri, da fusi, ecc. La loro lavorazione è delicata e complessa. Spesso alla distillazione e alle raffinazioni chimiche o fisiche si aggiungono mescolanze opportunamente fatte con olî di diverse caratteristiche e provenienze, e anche con olî vegetali.
Il coke di petrolio viene principalmente usato per la fabbricazione di elettrodi. Quando invece si voglia ottenere asfalto o bitimum artificiale per la pavimentazione delle strade, bisogna partire da greggi asfaltici o da greggi paraffinici crackizzati e distillare in corrente di vapore surriscaldato, fino a che sia raggiunta la consistenza desiderata. Anche questa lavorazione è tuttavia oggetto di una tecnica sempre più complessa e raffinata.
Per quel che riguarda l'apparecchiatura destinata alla lavorazione del petrolio, conviene distinguere i sistemi di distillazione intermittente e quelli di distillazione continua. Per la distillazione intermittente si adoperano caldaie di vario tipo, che vengono scaldate o a fuoco diretto o con vapore indiretto, cioè con serpentini di vapore immersi nell'olio, o con vapore diretto.
La fig. 27 rappresenta una caldaia di distillazione intermittente. Grande importanza ha la razionale utilizzazione del calore mediante opportuni scambî e ricuperi; a questo fine, in alcuni condensatori, invece dell'acqua fredda, si fa circolare il petrolio, il quale si preriscalda a spese dei vapori distillati negli apparecchi stessi.
Alla distillazione discontinua, nella quale, in una stessa caldaia, si separano differenti frazioni innalzando successivamente la temperatura e si scarica infine il residuo per ricaricare il greggio e ricominciare da capo, si vanno oggi sempre più sostituendo sistemi di distillazione continua. Un sistema di questo tipo ancora usato è la distillazione in caldaie a cascata, tipo Nobel (fig. 29). Si tratta di caldaie cilindriche della capacità di 200-240 hl., disposte in batterie a gradinata, ogni caldaia essendo 10-12 cm. più alta della susseguente, e comunicanti l'una con l'altra per mezzo di un'unica tubazione. Ognuna di queste caldaie è provvista di riscaldamento indipendente, nonché di condensatori indipendenti, ed è collegata con la tubazione di raccordo mediante due rubinetti, dei quali uno, per l'arrivo del liquido, porta a un tubo che pesca sul fondo della caldaia, l'altro, per il deflusso del liquido alla caldaia successiva, comunica con un tubo sfioratore; un terzo rubinetto (by pass) serve a escludere la caldaia dalla batteria, quando occorra, senza interrompere l'operazione. Ogni caldaia è provvista di tubo di livello, di duomo per i vapori, di serpentino per il riscaldamento a vapore indiretto e d'iniettore per l'insuffazione del vapore. Regolando opportunamente il riscaldamento in ogni caldaia, la velocità del liquido e il rapporto tra vapore e liquido (che cresce dalle prime caldaie verso le ultime), si può arrivare ad avere in modo continuo dalle varie caldaie distillati di densità via via crescente e quindi una separazione in frazioni di differente volatilità e destinate a usi diversi.
Oggi la distillazione continua si effettua in modo più pratico e più economico sostituendo alla distillazione in caldaie la distillazione in serpentini (pipe still: fig. 30).
In questi impianti, pompe di speciale costruzione, con velocità perfettamente regolabile, spingono continuamente il petrolio greggio, attraverso i consueti preriscaldatori a ricupero di calore, in serpentini tubolari, costituiti da tratti rettilinei raccordati con pezzi curvi e sistemati in forni di riscaldamento. Dai serpentini l'olio passa negli evaporatori o torri di frazionamento, di solito non riscaldati ma semplicemente isolati termicamente, costruiti in modo da ottenere un frizionamento molto spinto, al quale è soltanto necessario far seguire la raffinazione chimica. Nei confronti con i sistemi a caldaie, i sistemi a serpentini o tubi si distinguono per una maggiore portata a dimensioni eguali, per una regolazione più fine e soprattutto per un rendimento termico molto migliore. Mentre il rendimento termico di una raffineria a caldaia non supera in media il 30%, in un impianto di distilìazione a serpentini, esso supera il 75%. Inoltre, mentre con il primo sistema non si riesce a distillare oltre il 40-50% del liquido, in un impianto a tubi si può distillarne fino al 90%.
Il sistema di riscaldamento continuo in tubi è oggi applicato anche a tutti i greggi e a tutti gli schemi di lavorazione, compreso fra essi il "cracking".
Cracking. - Questo nome, dal verbo inglese to crack "spaccare", vuol dire demolizione delle molecole d'idrocarburi più complessi e meno volatili in altre più leggiere; in italiano potrebbe dirsi pirolisi o piroscissione. Infatti se si distilla un greggio petrolifero a temperature crescenti, quando la temperatura si avvicina ai 300° si notano i seguenti fenomeni: 1. la temperatura del vapore invece di salire parallelamente alla temperatura del liquido tende a rimanere stazionaria o a scendere; 2. la densità dei liquidi raccolti, in luogo di crescere progressivamente, tende a diminuire; 3. si svolgono, insieme ai vapori condensabili, gas incondensabili. Questo dipende appunto dal fatto che tutti gl'idrocarburi al disopra di una certa temperatura diventano instabili e si scindono.
I prodotti della demolizione possono essere diversi a seconda della temperatura, del tempo di riscaldamento, della pressione, della natura degli olî di partenza. Se si applica il vuoto o si distilla in corrente di vapor d'acqua, si riesce ad asportare gl'idrocarburi a una temperatura inferiore al loro limite di resistenza termica e quindi a sottrarli alla decomposizione. È quello che si fa quando si tende a produrre olî di alta viscosità, lubrificanti, olî per trasformatori, bitumi. Se invece si vogliono produrre idrocarburi volatili o benzina di cracking o addirittura prodotti gassosi, conviene distillare sotto pressione. Infatti in questo caso anche gl'idrocarburi che distillano al disotto del limite di resistenza termica passano a temperature più elevate e vengono quindi scissi in idrocarburi più volatili. La pressione si oppone inoltre al cracking estremo con formazione di coke e gas incondensabili.
Naturalmente anche il fattore tempo ha un'influenza decisiva sui risultati.
Nei moderni impianti di cracking, l'olio destinato alla decomposizione termica viene pompato attraverso i preriscaldatori in serpentini di riscaldamento sotto elevate pressioni (da 10 a 50 atmosfere) e a temperature di 300°-500° e quindi viene fatto evaporare con espansioni successive, in camere di reazione isolate termicamente, nelle quali da una parte si liberano i vapori leggieri e dall'altra si separa il coke o gli olî pesanti.
Di questo tipo sono, con alcune leggiere varianti, i processi di cracking più conosciuti, il Dubbs (fig. 32), il Cross, il Holmess-Manley, il primo e l'ultimo dei quali sono stati applicati anche in Italia.
Con questi processi si riesce a trasformare il 35-60% dei greggi o residui pesanti in ottima benzina.
Questa benzina, opportunamente purificata per eliminarne i componenti che tendono a produrre le gomme, può venire adoperata nei motori sola o in miscela; in generale possiede ottime proprietà antidetonanti. Proviene dal cracking oltre un terzo delle benzine oggi usate. Con questo processo si produce poco gas, coke o bitume e olî medî.
Ecco una resa ottenuta con processo Dubbs da un residuo romeno contenente soltanto 2-3% di oli sotto 300°.
Quando invece si voglia produrre grande quantità di gas ad alto potere calorifico, contenente forti quantità di idrocarburi superiori e olefinici, adatto per trasformazioni chimiche (solventi, vernici, glicoli, iprite, ecc.) si ricorre al cracking in fase di vapore a temperature di 600-800° facendo eventualmente ricorso anche a catalizzatori che favoriscano la decomposizione. Da questi processi si ricavano anche benzine ad altissimo potere antidetonante, ma di difficile raffinazione. Fra i processi in fase di vapore quello che ha trovato più larga applicazione è il processo Gyro. La spesa di calore in questi processi è molto maggiore che nei processi a fase liquida.
Di notevole interesse appare anche il processo Mac Afee, che fa ricorso all'energica azione decomponente del cloruro d'alluminio anidro.
Idrogenazione. - I piti alti rendimenti in benzine nel trattamento del petrolio si hanno combinando l'azione della temperatura e della pressione con quella dell'idrogeno in presenza di speciali catalizzatori.
Il processo, studiato in Germania (I. G. Farbenindustrie; Fr. Bergius) allo scopo di ottenere prodotti liquidi atti a surrogare il petrolio partendo da ligniti, carboni e dai loro catrami, è stato poi applicato anche ai petrolî e specialmente a certi petrolî di tipo scadente, allo scopo di produrre con alti rendimenti benzine di qualità speciale o anche olî lubrificanti.
A questo scopo l'olio preriscaldato in serpentini sotto pressioni molto elevate (da 100 a 200 atmosfere) viene fatto passare insieme a idrogeno sotto la stessa pressione in grandi autoclavi o torri verticali cilindriche in acciaio speciale, non più riscaldate, ma soltanto isolate, nelle quali si irovano speciali catalizzatori, generalmente a base di molibdeno. Per questa via un gasoil che per semplice cracking darebbe soltanto il 50% di benzina, può venire trasformato per l'80-85% in benzina, oppure in ottimi olî lubrificanti (fig.33).
Il prezzo di produzione dei carburanti o dei lubrificanti così prodotti è ancora troppo elevato per giustificarne una grande diffusione; ma l'elasticità incomparabile di questi processi, che possono trattare i greggi più svariati ottenendo qualsiasi tipi di prodotto finito, ne lascia prevedere un'applicazione sempre più larga in avvenire.
Evoluzione economica dell'industria petrolifera.
Nessuna industria, forse, si può paragonare a quella del petrolio, per l'accanimento delle lotte industriali e commerciali di cui è stata oggetto, lotte che spesso dal campo economico si sono trasportate in quello politico, suscitando attriti diplomatici, o addirittura sommosse e movimenti bellici. Nessuna industria, come questa, è accentrata nelle mani di pochi gruppi o trusts di enorme vastità e potenza, ramificati in migliaia di società e attività secondarie, ma orientate tutte intorno a un'organizzazione eccezionalmente centralizzata.
La stessa definizione di trust trovò la sua origine nell'industria petrolifera, derivando dal nome di trustees o fiduciarî dato ai nove direttori centrali che si trovavano a capo dell'organizzazione creata in Pennsylvania da J. D. Rockefeller. Avendo per nucleo la Standard Oil Company, fondata nel 1870 con un capitale di un milione di dollari, che già nel 1882 era aumentato a 70 milioni di dollari questa organizzazione riuscì a mantenere saldamente nelle sue mani il predominio nella distribuzione, lavorazione e commercio del petrolio. Pur non interessandosi direttamente alla produzione che in modo limitato, la Standard Oil controllava all'epoca della sua costituzione in trust non meno di 9/10 della produzione americana, ciò che corrispondeva allora press'a poco ai 9/10 della produzione mondiale. Le quattro compagnie che costituivano il gruppo nel 1882 (Standard Oil of Ohio, New York, Pennsylvania e New Jersey) diventavano 70 nel 1911, ma il controllo degli affari e il potere direttivo erano sempre nelle mani dei nove fiduciarî, che possedevano sempre la quasi totalità delle azioni preferenziali e attraverso questa avevano esclusivo diritto al voto negli affari della società. Il monopolio esercitato dalla Standard nel campo petrolifero suscitò presto ostilità e reazioni negli Stati Uniti. Nel 1890 lo stato dell'Ohio iniziò la lotta delle autorità contro il gigantesco trust, dichiarando non validi gli accordi e gli statuti che lo regolavano; ma la Standard girò l'ostacolo attraverso un'organizzazione di holding, che si stabilirono nei confini dello stato di New Jersey, dove simile organizzazione era permessa. La lotta tra le autorità e la Standard non cessò. Nel 1906 il governo centrale di Washington entrò nella disputa e iniziò un'azione legale contro la Standard accusata di "cospirazione, coercizione, intimidazione, ricatto e altri atti illegali in opposizione al commercio". La famosa disputa durò fino al 1909, anno in cui fu emessa una sentenza contraria al trust. La Standard ricorse in appello e la controversia si trascinò ancora due anni. Il 15 maggio 1911 fu finalmente emessa una sentenza definitiva contro il trust, decretando il suo scioglimento con provvedimenti severissimi. Nonostante le apparenze contrarie, la Standard Oil continuò a mantenere la sua potenza. Il suo capitale crebbe a 600 milioni di dollari e mantenne un controllo effettivo, se non apparente, su tutte le compagnie che formavano il trust originario. Inoltre negli ultimi vent'anni, essendosi sparso l'allarme negli Stati Uniti sul prossimo esaurimento delle risorse indigene e la lotta per il petrolio avendo assunto un aspetto politico, la Standard, con la sua enorme potenza, è diventata il portabandiera degl'interessi americani e gode dell'appoggio del suo governo nei conflitti con i gruppi stranieri, in America e fuori.
La concorrente che per prima destò preoccupazioni nella Standard Oil fu senza dubbio la "Koninklijke Nederlandsche Maatschappij tot exploitatie van Petroleumsbronnen in Nederlandsche Indie", meglio conosciuta con il nome inglese di "Royal Dutch Oil Company" fondata a L'Aia nel 1890 con un capitale di 1.300.000 fiorini per lo sfruttamento del petrolio dell'arcipelago malese. Dopo alcune difficoltà iniziali la compagnia prosperò rigogliosa e nel 1897 diede un dividendo del 52% al capitale di 5 milioni di fiorini. A questo momento entrò in lotta contro il nuovo gruppo la Standard Oil, che si diede a vendere il petrolio americano nell'Europa Occidentale a prezzi di dumping. La Royal Dutch vide i suoi dividendi ridotti al 6%, ma resistette tenacemente fino a che al principio del sec. XX la Standard abbandonò la lotta, i prezzi tornarono ad aumentare e con essi anche i dividendi della Royal Dutch. Questa resistenza fu principalmente dovuta all'appoggio che la società olandese era riuscita a procurarsi presso i Rotschild, i quali già avevano interessi petroliferi nel Caucaso. Nel 1900 era successo come direttore generale della compagnia a J. B. A. Kessler, Henri W. A. Deterding, alla cui personale abilità è in gran parte attribuita la fortuna della Royal Dutch. Dopo essersi assicurato l'appoggio dei Rotschild, nel 1902 Deterding fuse la Royal Dutch con la Shell Transport and Trading Co. Questa compagnia fu fondata da un venditore di conchiglie (ingl. shell) Marcus Samuel, il quale aveva saputo organizzare energicamente il trasporto del petrolio e della benzina nell'Asia e per qualche tempo fece una concorrenza accanita alla Royal Dutch. La maggioranza delle azioni della Royal Dutch-Shell al pari di quelle delle due società dipendenti, l'Anglo Saxon Petroleum Co. inglese, e la Baataafsche Petroleum Maatschappij olandese, appartiene alla Dutch, ma non c'è dubbio che oltre agli olandesi e ai francesi (gruppo Rotschild) gl'interessi inglesi vi hanno un' importanza grandissima e forse predominante. Sotto la guida intraprendente e acutissima del Deterding la Royal Dutch-Shell si accrebbe straordinariamente, assumendo un'importanza internazionale. Dopo avere vinto la lotta commerciale con la Standard nell'Europa Occidentale, ne vinse un'altra non meno importante sul mercato cinese, dove gli americani avevano fatto una propaganda intensissima distribuendo gratuitamente milioni di lampade a petrolio. La Dutch-Shell beneficiò degli effetti di questa propaganda e, data la vicinanza dei suoi campi petroliferi dell'arcipelago malese, poté fare concorrenza agli Americani, che, dopo avere per qualche anno tentato il dumping, dovettero anche qui abbandonare la lotta.
Caratteristica dell'attività petrolifera della Dutch-Shell e delle sue associate è la diffusione delle sue attività in tutto il mondo. Attraverso una serie di compagnie sussidiarie, nelle quali la partecipazione del capitale privato americano è tuttavia larghissima, la Dutch-Shell ha acquistato concessioni petrolifere importantissime negli stessi Stati Uniti, mentre altre compagnie potentissime lavorano per suo conto nel Messico, nell'America Meridionale e nell'Egitto. Durante la guerra mondiale, il Deterding si mise al servizio dell'Inghilterra per aiutarla in quelle gravi necessità, e divenne cittadino inglese. Oggi la Dutch-Shell, non meno che la Anglo-Persian, è considerata come rappresentante degl'interessi inglesi nella lotta mondiale per il petrolio ed ha il formidabile appoggio politico dell'impero.
Abituata a considerare il carbone come base essenziale e quasi esclusiva della sua attività industriale e della sua potenza economica, l'Inghilterra tardò ad accorgersi dell'importanza del combustibile fluido. L'ammiraglio lord Fisher fu il primo a preconizzare l'importanza del petrolio nella marina da guerra e per più di vent'anni sostenne la necessità di mettersi per questa strada, contro le obiezioni e l'incredulità dei compatrioti. Negli anni immediatamente precedenti la guerra mondiale l'Inghilterra, preoccupata della concorrenza navale della Germania, per aumentare la potenza, il raggio d'azione, la velocità delle sue grandi corazzate, cominciò a sostituire la combustione a carbone con la combustione a nafta. I vantaggi di questa sostituzione si dimostrarono così grandi, che ne derivò presto l'opportunità di estendere il sistema a tutta la marina da guerra. Conseguenza di questo orientamento fu che il petrolio prese il. suo posto fra le materie prime di vitale importanza per l'Inghilterra. Fino al 1913 meno del 2% della produzione mondiale di petrolio proveniva dalle colonie inglesi (Birmania). Ma nel 1909 era stata fondata la Anglo-Persian Oil Co., tutta con capitale inglese, che assumeva importanti concessioni nei terreni intorno al Golfo Persico e nella Mesopotamia. Nel 1914 il governo inglese sï rivolse a questa compagnia per avere assicurate le provviste di petrolio per la guerra mondiale. Il capitale dell'Anglo-Persian era allora di 200.000 sterline e la sua produzione annuale di petrolio non sorpassava le 100.000 tonnellate. Per fare fronte alle esigenze nazionali il governo inglese provvide a un aumento di capitale, acquistando la maggioranza delle azioni e il diritto di veto su tutte le deliberazioni della società. Con questa operazione non soltanto si assicurò i preziosi rifornimenti di petrolio necessarî alla sua potenza marinara, ma fece un ottimo affare. D'altra parte l'Anglo-Persian con il formidabile appoggio politico del suo governo estese la sua sfera d'interessi in tutto il mondo. Attraverso la D'Arcy Exploitation Company, essa è presente in tutte le zone del mondo dove si profilano possibilità petrolifere. La conseguenza è che l'Anglo-Persian e la Royal Dutch hanno assicurato agl'interessi inglesi dal 60 al 70% delle riserve di petrolio esistenti nel mondo.
L'U. R. S. S. rappresenta oggi, dopo la Standard e i gruppi anglo-olandesi, il terzo grande aggruppamento petrolifero. L'industria del petrolio nel Caucaso fu fondata dai fratelli Nobel, e, organizzata in modo esemplare dal punto di vista tecnico e sociale, controllava buona parte della produzione russa. Al gruppo Nobel si aggiunsero società controllate da capitali francesi (Rotschild) e dai gruppi anglo-olandesi. Nel 1901 la produzione russa toccò il 55°6 della produzione mondiale e parve minacciare definitivamente il primato americano, ma in seguito questa percentuale diminuì e nel 1922 era scesa al 3,3%. Negli ultimi anni l'importanza della produzione russa è tornata ad aumentare e oggi s'aggira intorno all'11% della produzione mondiale. La maggior parte di questa produzione è assorbita dal mercato interno. L'esportazione deve lottare contro notevoli difficoltà di trasporto e contro una tecnica ancora arretrata nei confronti di quella dei gruppi americani e anglo-olandesi. Già prima della guerra mondiale il controllo e l'intervento dello stato nell'industria petrolifera russa era notevole. Dopo avere esercito direttamente buona parte dei giacimenti del Caucaso lo stato li vendette a società private, assicurandosi però elevatissime partecipazioni agli utili (fino al 44%). Inoltre la produzione nei varî distretti era contingentata dai rappresentanti statali e la vendita controllata dallo stato, che poneva tasse elevatissime sul raffinato. Dopo il 1917 l'industria del petrolio russa è stata completamente statizzata. La U. R. S. S. cerca di dare a questa industria il massimo sviluppo dal punto di vista tecnico e commerciale e la concorrenza del petrolio russo nei paesi europei, soprattutto mediterranei, si fa ogni giorno più sentita.
Non meno grave della situazione inglese era, dal punto di vista del petrolio, la situazione tedesca. La Germania non poteva contare prima della guerra mondiale che sulle miniere di Alsazia (Pechelbronn) passate alla Francia per il trattato di Versailles con la fine della guerra, e su qualche giacimento di non grande importanza presso Hannover.
Nell'insieme la produzione anteguerra di questi giacimenti non superava le 100.000 tonnellate di petrolio all'anno, mentre il fabbisogno tedesco annuale superava già il milione di tonnellate. Quasi la totalità di questo consumo era fornito dalla Standard Oil. Al fine di sottrarsi a questo monopolio, il governo tedesco contava di potere organizzare a suo profitto lo sfruttamento degl'importanti terreni petroliferi scoperti nel 1914 nella Mesopotamia settentrionale, sulla riva orientale del Tigri, da Mossul verso Baghdād. Proprio in quegli anni era in costruzione la ferrovia di Baghdād, con capitale e tecnici tedeschi. Secondo un accordo con il governo turco, la Compagnia della ferrovia di Baghdād aveva il diritto esclusivo per lo sfruttamento di ogni miniera nel raggio di 20 chilometri dalla linea della ferrovia stessa, e i Tedeschi contavano di adattare il tracciato della ferrovia alle scoperte petrolifere nella regione. Contemporaneamente il governo tedesco faceva approvare, tra grandi difficoltà e opposizioni, leggi tendenti ad assicurare allo stato il monopolio del commercio del petrolio, mentre la Deutsche Bank rivolgeva la sua attenzione alla regione meridionale della Mesopotamia verso la Persia. Appunto in Persia, ma vicino al confine turco, l'australiano D'Arcy aveva condotto energiche ricerche e aveva contratto con lo scià di Persia un favorevole contratto di concessione esclusiva per un periodo di 60 anni per tutte le regioni petrolifere persiane, escluse le cinque provincie sulle rive del Mar Caspio.
Nel 1905 il D'Arcy aveva scoperto una sorgente di straordinaria importanza presso Maidān-i Nafṭūn 200 km. a NNE. del Golfo Persico, sulla base della quale scoperta si era formata la "First Exploitation Co." con un capitale di 600.000 sterline. Queste scoperte diedero origine a controversie tra Turchi e Persiani sulla appartenenza di quelle regioni. Mentre una commissione internazionale lavorava per delimitare i confini, il sultano ‛Abd ul-Ḥamīd anch'egli attirato dal miraggio del petrolio, si adoperava a fondare la Turkish Petroleum Co., la maggioranza della quale era attribuita a capitale turco (Banca nazionale turca) e il resto in parti eguali a capitale tedesco (Deutsche Bank) e inglese. Ma nel 1909 in seguito alla rivoluzione turca le azioni turche della compagnia erano cedute all'Anglo-Persian, che così veniva a possedere il 77% delle azioni.
La guerra mondiale finalmente toglieva alla Germania anche le sorgenti della Bagdad Railway Co., cosicché durante il conflitto la Germania sofferse enormemente della penuria di petrolio, malgrado la disponibilità dei giacimenti romeni e galiziani semidistrutti dagli Alleati e dovette difendersi con l'uso dei surrogati e, in particolare, del benzolo.
Dopo la guerra, perdute definitivamente le posizioni nella Mesopotamia e in Persia, passati i giacimenti alsaziani nelle mani della Francia e quelli galiziani alla Romania, la Germania si trovò in condizioni ancora peggiori. Per lottare contro questa situazione essa si valse della sua potente industria chimica. Attraverso studî pazienti, ingegnosi e coraggiosi, mise a punto i processi di produzione di benzine sintetiche per decomposizione termica e idrogenazione del carbone. Questi processi, per quanto non possano considerarsi economici nelle condizioni attuali, hanno tuttavia messo in allarme la grande industria petrolifera, che ha cercato in ogni modo d'interessarsi al loro sviluppo. Oltre 100.000 tonnellate all'anno di benzina sono oggi prodotte in Germania con questi processi, partendo dalle ligniti, e non c'è dubbio che, qualora la Germania dovesse trovarsi in condizioni analoghe a quelle della guerra mondiale, i suoi impianti di benzina sintetica sarebbero in grado di produrre dai carboni e dalle ligniti quantità enormi di carburanti e lubrificanti.
La politica francese negli anni d'anteguerra fu tutta a profitto dei capitalisti privati, che intervennero numerosi nelle grandi compagnie petrolifere straniere e delle dieci grandi compagnie raggruppate in cartello, che si dividevano il commercio del petrolio in Francia, riuscendo a strappare al governo misure doganali e privilegi di commercio a tutto scapito dei consumatori e senza alcuna preoccupazione degl'interessi del paese. Durante la guerra mondiale, la Francia visse giornate drammatiche per il rapido esaurirsi dei depositi di petrolio e per le terribili falcidie operate dai sottomarini tedeschi nella flotta petrolifera. In seguito a un famoso intervento di Clemenceau i magnati americani del petrolio costituirono il "Comitato nazionale per il servizio di guerra del petrolio", che con una rapidissima e poderosa organizzazione assicurò agli Alleati i necessarî rifornimenti, contribuendo in modo decisivo alla vittoria. Forte degl'insegnamenti del tempo di guerra, la Francia iniziò nel periodo postbellico una vigorsa politica del petrolio con una serie di provvedimenti intesi ad alleggerire la sua soggezione dai gruppi stranieri, tra i quali il più importante fu probabilmente l'accordo con il quale la Francia si assicurò una partecipazione del 25% alla produzione inglese della Mesopotamia. Ma l'accordo concluso a S. Remo nell'aprile 1920 tra Francesi e Inglesi in questo senso, dovette, prima di andare in vigore, passare attraverso complesse e spesso violente vicende politiche, le più drammatiche e le più caratteristiche certo tra le vicende politiche petrolifere dei nostri tempi, che in certi momenti determinarono una tensione pericolosa nelle relazioni franco-inglesi, provocarono guerre e sommosse nell'Oriente, e influenzarono più o meno apertamente tutte le trattative e le manovre diplomatiche degli ultimi dieci anni. La costituzione dello stato del ‛Irāq, la lotta tra Turchi e Inglesi prima, tra Turchi e Francesi poi, le sommosse anche in Palestina, negli ultimi venti anni, sono stati avvenimenti connessi più o meno alla politica petrolifera inglese e francese. Dopo alterne vicende e trattative laboriose, nelle quali a un certo punto intervennero anche gli Americani, nel marzo 1926 gl'Inglesi conclusero un accordo con Americani e Francesi, secondo il quale si ricostruiva la Turkish Petroleum Company, aumentandone il capitale a un miliardo di sterline diviso in quattro parti eguali, fra l'Anglo Persian Oil Company, la Royal Dutch Shell, sette compagnie americane (tra cui la Standard Oil) e 65 compagnie francesi.
Le importazioni inglesi di petrolio dalla Persia e Mesopotamia, che durante la guerra mondiale non rappresentavano che il 4% delle importazioni totali, salirono dopo la guerra al 27%, mentre le importazioni dall'America scendevano dall'80% al 40%.
Se le contese nel campo petrolifero, principalmente anglofrancesi, hanno più o meno influenzato tutta la politica dell'Oriente dall'inizio della guerra mondiale a oggi, altrettanto si può dire di molti importanti avvenimenti degli ultimi venti anni negli Stati Uniti, nell'America Centrale e Meridionale. La lotta si svolse principalmente tra Stati Uniti e Inghilterra. Tipica da questo punto di vista la storia del Messico, dove una rivoluzione si è succeduta all'altra, alternando alla direzione del paese candidati americani e candidati inglesi. Tuttavia, i presidenti messicani Carranza e Obregon cercarono di assicurare il petrolio messicano ai Messicani attraverso una serie di leggi, dirette a escludere l'iniziativa straniera da quegli importanti giacimenti. È difficile dire fino a che punto queste leggi, come quelle analoghe emesse nella Repubblica Argentina, abbiano raggiunto il loro scopo. È certo che soltanto il 3% del capitale investito nella produzione petrolifera messicana è nazionale, il 70% essendo controllato dagli Americani e il 27% dagli Inglesi. Molte altre guerre e guerriglie sudamericane, come la guerra tra Costa Rica e Panamá nel 1921, hanno alla loro base interessi petroliferi e spesso nel retroscena giuoca la concorrenza anglo-americana, iniziatasi su basi esclusivamente industriali prima della guerra mondiale. Gli Americani sono soprattutto allarmati per il fatto che i giacimenti petroliferi nazionali sono già insufficienti ai bisogni interni, mentre essi sono senza paragone più sfruttati dei giacimenti asiatici o sudamericani. Nei loro conati, in realtà un po' tardivi, di espandere la propria attività petrolifera fuori dai confini degli Stati Uniti, gli Americani si trovarono spesso sbarrato il passo dalla formidabile espansione dei gruppi anglo-olandesi.
Mentre queste gigantesche contese si accendono soprattutto fra i due grandi gruppi americano e anglo-olandese, tutti i paesi non petroliferi cercano di diminuire la loro soggezione soprattutto in fatto di carburanti, stimolando in ogni modo la produzione dei surrogati. Più avanti di tutti è la Germania, che con il benzolo e le benzine sintetiche, derivati da carbone e ligniti nazionali, e con l'alcool di fermentazione, sostituisce ormai oltre un terzo del proprio fabbisogno in carburanti.
Ma anche la Francia promuove ricerche nel campo delle benzine sintetiche e obbliga i commercianti di benzina a impiegare alcool nei carburanti. Un'analoga politica segue il governo italiano che, nello stesso tempo, appoggia e stimola attraverso un ente parastatale, creato nel 1926, l'Azienda Generale Italiana Petroli, la ricerca del petrolio in Italia, e attraverso l'Azienda Italiana Petroli Albania lo sfruttamento dei giacimenti petroliferi albanesi, mentre attraverso partecipazioni allo sfruttamento dei giacimenti romeni e del ‛Irāq e mediante accordi con i grandi produttori cerca di calmierare il commercio dei prodotti petroliferi e di sottrarsi nei limiti del possibile al monopolio dei grandi trusts.
La stessa Inghilterra, preoccupata dalla sua posizione geografica e dalle difficoltà sempre crescenti di mantenere il controllo dei mari, stimola la produziohe di benzine sintetiche dal carbone, attraverso grandi impianti sovvenzionati dallo stato, per la distillazione a bassa temperatura e l'idrogenazione.
Produzione e commercio.
Il prodigioso sviluppo nella produzione e nel consumo del petrolio e dei suoi derivati, dall'inizio di questo secolo fino ad oggi, non ha probabilmente esempio in altro campo industriale. A meglio rendere evidente questo fenomeno serve il diagramma della fig. 34, dove sono registrati gli andamenti della produzione mondiale del petrolio e di quella del carbone, facendo uguale a 100 quella dell'anno immediatamente anteriore alla guerra (1913). È sintomatico il fatto che, mentre la produzione di carbone dall'inizio della guerra fino al 1929 segna il passo a un livello presso a poco costante, la produzione del petrolio nello stesso periodo si è moltiplicata per quattro.
La tab. 5 dà la produzione mondiale (dal 1857 al 1934) divisa per paesi. Notiamo a questo proposito che la produzione toccò il massimo nel 1929, anno in cui fu quasi 15 volte quella del 1900 e circa 4 volte quella del 1913. Dal 1929, invece, la produzione segna una diminuzione progressiva, che è in corrispondenza con la crisi industriale, e soprattutto con quella degli Stati Uniti. Questi, che prima della guerra mondiale hanno fornito fino all'8% della produzione mondiale, hanno visto scendere la loro quota sotto al 60%. Considerevole l'incremento della produzione russa, che è ormai al secondo posto, quello della Romania, della Persia, dell'Argentina e, soprattutto, del Venezuela.
Dei due grandi trusts petroliferi, quello facente capo alla Standard produce oggi oltre il 18% del totale; il gruppo anglo-olandese (Anglo Persian, Royal Dutch e derivati) oltre il 14% e la U. R. S. S. quasi il 12%. Se a queste valutazioni si aggiungono le produzioni collegate indirettamente e in modo non controllabile ai tre gruppi suddetti ne deriva che essi controllano poco meno del 50% produzione mondiale. Molto più importante è naturalmente il controllo che i trusts, soprattutto americani e anglo-olandesi, esercitano sulle lavorazioni, sul commercio, sulla distribuzione, sui depositi di petrolio e sulle riserve potenziali. Può essere interessante a questo proposito di vedere le cifre relative alla produzione, esportazione, consumo, importazione di benzine dei principali paesi (v. tab. 6 e tab. 7).
Le cifre fanno risaltare con grande evidenza l'eccezionale primato degli Stati Uniti, che nella produzione di benzina predominano in misura molto più forte che nella produzione di petrolio sugli altri paesi. Il consumo individuale del cittadino americano è più che quintuplo di quello inglese e quasi ventotto volte quello italiano. Tale differenza è in stretta connessione con lo sviluppo dell'industria automobilistica, ma anche con le provvidenze prese nei paesi non petroliferi per sostituire, dove possibile, con surrogati diversi, il petrolio o la benzina, o per rendere più efficienti le macchine alimentate con questi prodotti. L'ultimo posto nella graduatoria del consumo individuale di benzina fra i paesi industriali è occupato dalla Germania.
La tab. 8 riporta infine una delle più recenti e autorevoli statistiche relative alle riserve di petrolio, che si possono attribuire ai varî paesi per computi nei giacímenti coltivati e la durata che si può prevedere a questi giacimenti sulla base della produzione 1932. Come si vede, si giunge a cifre allarmanti, particolarmente per i paesi americani. Ma è evidente che le riserve dei giacimenti in coltivazione non costituiscono che una piccola parte di quelle esistenti, che le ricerche in corso mettono continuamente in luce.
Per quanto l'Italia sia stata uno dei primi paesi europei dove si svolse un'industria del petrolio e per quanto gl'indizî petroliferi superficiali (emanazioni gassose, rocce asfaltifere, gemicazioni di bitume, ecc.) siano particolarmente abbondanti e le condizioni geologiche, secondo alcuni eminenti studiosi, incoraggianti, la produzione italiana di petrolio è finora molto esigua. Fino a qualche anno fa essa era quasi tutta concentrata nelle mani dell'antica Società Petroli d'Italia, che ricavava alcune migliaia di tonnellate all'anno da pozzi profondi qualche centinaio di metri, situati nell'Appennino Piacentino. Per opera d'iniziatne private (Società petrolifera italiana di Fornovo di Taro) e dell'Azienda Generale Italiana Petroli, le trivellazioni e le indagini si sono intensificate, facendo ricorso ai metodi più moderni, e la produzione negli ultimi 5 anni si è quintuplicata, raggiungendo nel 1932 i valori segnati dalla tab. 9.
Tale produzione era fornita da circa 380 pozzi con un totale di quasi 200.000 metri perforati.
L'Azienda Generale Italiana Petroli ha effettuato, fino al 30 giugno 1933, 115 sondaggi, di cui 37 produssero petrolio e 4 gas, con un totale di 36.451 metri perforati.
L'Italia persegue inoltre un'intensa azione petrolifera all'estero: L'A. G. I. P. possiede un'azienda propria, che agisce in Romania e partecipa con alta quota alla B. O. D., compagnia internazionale che ha iniziato lo sfruttamento di grandi giacimenti nel ‛Iraq. Inoltre importanti giacimenti sono stati identificati dall'Azienda Italiana Petroli Albania (A. I. P. A.), finanziata dal Ministero delle comunicazioni, nella Valle del Devoli in Albania, dove si appresta la sistemazione di grandi cantieri, che avvieranno il petrolio al mare mediante un oleodotto di circa un centinaio di chilometri.
La produzione italiana è ancora limitatissima in rapporto al suo fabbisogno complessivo, del quale rappresenta meno di un cinquantesimo. Nei confronti dei paesi petroliferi, tuttavia, le ricerche in Italia devono ancora considerarsi all'inizio ed è soltanto in seguito alle pìù approfondite indagini, con i moderni metodi di trivellazione rotativa a grande profondità nelle varie zone d'Italia, che si potrà avere una risposta abbastanza sicura alla vitale questione dell'esistenza o meno d'importanti giacimenti petroliferi nel sottosuolo italiano.
Il consumo di petrolio in Italia rapportato alla popolazione è assai limitato nei confronti con quello di altri paesi industriali. Tuttavia questo consumo rappresenta già una cifra cospicua in denaro, come risulta dalle annesse tabelle relative all'importazione italiana (tab. 10, 11, 12, 13, 14, 15).
Dalle stesse tabelle risulta evidente la rapida discesa dei prezzi dei prodotti petroliferi negli ultimi anni. Tale discesa è dovuta, oltre che alle condizioni generali del mercato, all'azione calmieratrice dello stato, che cerca, quanto più è possibile, di sfruttare la sua posizione di consumatore rivolgendosi a fonti diverse, stringendo accordi e convenzioni con le società produttrici e interessandosi direttamente alla produzione estera.
Anche l'offerta dei prodotti petroliferi russi a prezzi di concorrenza con quelli americani o anglo-olandesi ha aiutato la discesa dei prezzi, e l'approvvigionamento italiano dalla Russia è diventato sempre più importante.
I prezzi sopra riportati si riferiscono alla merce esente da oneri doganali e fiscali (dogana, tassa di vendita, ecc.). Questi oneri sono stati modificati con r. d. l. 5 febbraio 1934, secondo il quale gli oneri totali che gravano, p. es., sulla benzina ammonano a lire 1,73 per kg., rappresentando quindi circa il 70% del prezzo di vendita.
Mentre stimola la ricerca e aiuta il commercio del petrolio importato nei modi anzidetti, lo stato italiano, ha, negli ultimi anni, promosso il sorgere di una moderna industria di raffinazione. In seguito a facilitazioni fiscali concesse nel 1926, e a particolari convenzioni, sorsero in Italia tre grandi impianti di cracking sistema Dubbs, uno della I. N. P. E. T. a La Spezia, l'altro della D. I. C. S. A. a Venezia e un terzo della B. E. N. I. T. a Napoli. Questi tre impianti, negli anni 1931 e 1932 hanno lavorato complessivamente tonnellate 576.597 di residui di distillazione importati, producendo 201.053 tonn. di benzina, 186.898 tonn. di olio combustibile, 56.731 tonn. di coke di petrolio, 35.885 tonn. di gasoil e nafta, 1064 tonn. di petrolio raffinato. La resa media complessiva nei varî prodotti e sottoprodotti è stata quindi dell'83,6%. Il valore totale della produzione ha superato 357 milioni di lire. Un'altra importante raffineria con impianto di cracking Holmes-Manley è quella di Fiume, che è connessa con l'A. G. I. P. Altre raffinerie meno importanti esistono altrove, tra cui degna di nota la Raffineria olî minerali di Trieste, dipendente dal gruppo Società italo-americana del petrolio. La produzione totale italiana di prodotti petroliferi, conseguita negl'impianti di cracking e di raffinazione negli anni 1932-33-34, è riportata nella tab. 17.
La tendenza attuale (1935) del governo italiano è di promuovere la costruzione di grandi raffinerie a ciclo completo di lavorazione.
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Tossicologia.
L'avvelenamento da petrolio è raro e per lo più accidentale: eccezionalmente il petrolio è ingerito a scopo suicida. Diffuso nella pratica empirica per applicazioni esterne non è capace di dare una sintomatologia tossica generale e si limita a produrre scarse lesioni irritative tossiche. Introdotto nelle vie digerenti, non suscita sintomi clamorosi: raro il vomito, comune invece vivo senso di bruciore gastrico, nausea, emissione di feci poltacee, in cui è riconoscibile l'odore di petrolio. Non sono evidenti i sintomi neuro-depressorî caratteristici dell'azione farmacologica del benzolo. Lo svuotamento e il lavaggio dello stomaco hanno facilmente ragione di questo avrelenamento.