Petrolio
di Hans K. Schneider e Wolf Pluge
Petrolio
sommario: 1. Composizione e origine. 2. Produzione, trasporto e lavorazione. a) Produzione. b) Trasporto. c) Lavorazione. 3. Prodotti derivati e loro impieghi. 4. Il petrolio e l'ambiente. 5. Il mercato del petrolio. a) Riserve, produzione, consumo. b) L'industria del petrolio. c) Aspetti economici e conseguenze della politica petrolifera dell'OPEC. 6. Il ruolo futuro del petrolio. □ Bibliografia.
1. Composizione e origine
Nella sua accezione tecnica moderna, il termine ‛petrolio' comprende sia gli idrocarburi liquidi, sia quelli gassosi e solidi; nel significato più ristretto prevalentemente adottato nella pratica, s'intendono sotto questa denominazione i petroli grezzi, formati da miscele liquide di vari idrocarburi e composti affini. Gli idrocarburi più importanti per la produzione dei derivati del petrolio sono i composti saturi lineari (serie delle paraffine), quelli saturi ciclici (nafteni), quelli lineari insaturi (olefine) e quelli aromatici. In ciascun grezzo queste serie sono presenti con percentuali diverse: nei grezzi leggeri prevalgono le paraffine, in quelli pesanti i nafteni. Altri componenti che s'incontrano spesso nei petroli sono lo zolfo e tracce di alcuni metalli, come il vanadio.
Poiché a ogni giacimento corrisponde una mescolanza irripetibile di composti chimici, il petrolio è, a rigor di termini, una sostanza eterogenea; questa irripetibilità vale anche per i grezzi estratti, sotto la stessa denominazione, da un campo petrolifero costituito da zone o depositi differenti non collegati tra loro. La suddetta variabilità risulta evidente se si pensa che il petrolio è composto da almeno cinque serie accertabili di idrocarburi, alcuni dei quali con molecola contenente fino a 50 atomi di carbonio. Tra le proprietà fisiche per cui i petroli si differenziano tra loro vi sono il peso specifico (da 0,7 a 1,0) e la viscosità; i vari idrocarburi presenti in un grezzo si distinguono essenzialmente per la diversa temperatura di ebollizione.
Per quanto riguarda l'origine del petrolio e il suo accumulo in giacimenti, la scienza ha potuto avanzare finora solo ipotesi più o meno fondate. Secondo quella ritenuta oggi più plausibile, il petrolio si sarebbe formato entro sedimenti marini sapropelitici (depositi di fanghi putridi) di antichi periodi geologici. La materia organica di partenza è stata il plancton vegetale e animale, che alla sua morte si è andato depositando con continuità sul fondo del mare; per la carenza di ossigeno negli strati marini più profondi si è innescato un processo di putrefazione che nel giro di alcuni milioni di anni ha portato - con il concorso di batteri anaerobi e di influssi catalitici - alla formazione del petrolio. Quest'ultimo, sotto la pressione degli strati che in tempi lunghi si erano depositati sopra il sedimento e in presenza di strati acquiferi permeabili, si è spostato dalla ‛roccia madre' nella direzione di minor resistenza, finché gli strati impermeabili sovrastanti hanno impedito un'ulteriore migrazione per capillarità, rendendo possibile la formazione di grandi accumuli; si sono formate così delle ‛trappole' di petrolio, entro ‛rocce magazzino' che talvolta si trovano a parecchie centinaia di chilometri di distanza dal luogo d'origine. Il grezzo è contenuto nei pori di tali rocce in fine suddivisione; contrariamente all'opinione corrente, non vi sono dunque ‛mari sotterranei' di petrolio, nè grandi ‛bolle' di gas naturale.
Le modificazioni della crosta terrestre dovute a corrugamenti, ripiegamenti, faglie, sprofondamenti, ecc., hanno fatto sì che i singoli strati giacciano a profondità molto diverse e possano spostarsi l'uno rispetto all'altro; per esempio, il petrolio proveniente da una formazione del Trias può trovarsi sia a una profondità di 1.200 metri, sia a profondità maggiori di 5.000 metri. Nell'80% dei casi i giacimenti si trovano in corrispondenza di anticlinali formate da strati disposti in origine orizzontalmente, che durante i movimenti della crosta terrestre si sono inarcati verso l'alto per effetto di pressioni laterali. Si conoscono inoltre trappole stratigrafiche, giacimenti di faglia, trappole per variazione di fascie, giacimenti a duomo salino, ecc. Esistono giacimenti sia sotto la terraferma, sia sotto il fondo marino; la presenza del petrolio in terraferma è da ricondursi alla regressione del mare dalla ‛roccia madre' petroligena nel corso di milioni di anni.
2. Produzione, trasporto e lavorazione
a) Produzione
Nella ricerca del petrolio non vi sono ancora metodi atti a fornire la prova diretta della presenza di un giacimento; ne consegue una notevole incertezza riguardo ai risultati ottenibili con un dato impiego di mezzi produttivi. In condizioni naturali particolarmente favorevoli, è possibile scoprire e mettere in produzione un grande e redditizio campo petrolifero con l'impiego di mezzi relativamente modesti, e quindi estrarre petrolio a basso costo; in altri casi, anche con un ingente impiego di mezzi si ottiene una produzione scarsa o nulla. A ciò si aggiunge il fatto che la distribuzione della grandezza dei giacimenti segue una legge statistica log-normale. Queste due circostanze rappresentano una barriera all'accesso al mercato del petrolio da parte di imprese finanziariamente modeste, che rischiano di perdere l'intero capitale per aver acquistato all'asta i permessi di ricerca relativi a una campagna petrolifera risultata infruttuosa; invece le grandi imprese finanziariamente solide, che possono ripartire le loro attività di ricerca e di coltivazione su aree più vaste, sono in grado di compensare largamente eventuali perdite con gli utili realizzati in altre zone. Tuttavia le imprese minori possono superare questa barriera naturale all'accesso al mercato del petrolio con la formazione di consorzi (joint ventures) che permettono una ripartizione dei rischi. Il fatto che anche un modesto impiego di mezzi possa portare alla scoperta di un grande campo petrolifero favorisce il costituirsi di elevate rendite economiche, tipiche di questo genere di attività; una parte di tali rendite è però destinata a compensare le ricerche infruttuose. Questa mescolanza di fattori positivi e negativi consente una rimunerazione del capitale commisurata al livello di rischio della produzione petrolifera e finora dimostratasi in ogni caso sufficiente a reperire i capitali occorrenti per il suo sviluppo.
La fase esplorativa comprende tutti quei provvedimenti che valgano a precisare, prima d'intraprendere le perforazioni di estensione, la probabilità di esistenza di un giacimento petrolifero. I metodi di esplorazione si fondano sull'impiego di procedimenti geologici, geofisici e geochimici. I primi consistono soprattutto in rilevazioni eseguite su fori trivellati (logging). I metodi geofisici sono basati su misure magnetiche, gravimetriche e sismiche, aventi rispettivamente per oggetto le variazioni del campo magnetico terrestre dovute alle proprietà magnetiche dei terreni, le variazioni del campo gravitazionale dovute alla loro diversa densità e i tempi impiegati dalle onde sismiche per attraversare i vari strati sotterranei; possono essere inoltre misurate differenze nelle caratteristiche elettriche e radioattive dei terreni. Importanza sempre maggiore va assumendo la tecnica geosismica associata all'elaborazione dei dati mediante un calcolatore: è possibile così rilevare la stereometria delle formazioni sotterranee e interpretarla in relazione alla probabilità di esistenza di un giacimento petrolifero. Infine, il metodo geochimico si fonda sul fatto che in corrispondenza di un giacimento un certo numero di molecole di idrocarburi giungono in superficie, provocando localmente una maggior concentrazione di tali sostanze, che può essere segnalata da un rilevatore ‛fiutatore'.
Nell'interpretazione dei risultati di queste ricerche vi è spesso un ampio margine di discrezionalità, in quanto la maggior parte delle strutture rilevate non è riconducibile a casi tipici da manuale. Ne deriva un elevato ‛rischio tecnico di errata interpretazione', che rappresenta un coefficiente moltiplicatore del rischio geologico. Con l'ausilio di procedimenti di simulazione, come il Montecarlo, si possono fare previsioni sulle quantità di petrolio eventualmente disponibili, il che consente una prima selezione dei giacimenti presumibilmente redditizi da quelli che non conviene esplorare ulteriormente. La certezza dell'effettiva presenza di petrolio si può ottenere solo dopo aver eseguito nelle strutture selezionate come promettenti una perforazione di ricerca: a questo punto le ‛risorse' fin allora non identificate si trasformano concettualmente in ‛riserve' di grezzo. Il fatto che in tutto il mondo tali perforazioni diano risultati positivi solo nel 100% circa dei casi, nonostante l'estensione delle suddette indagini tecnico-scientifiche preliminari, sta a dimostrare quanto sia elevato il rischio d'investimento dell'industria petrolifera nella fase di produzione. I sondaggi positivi chiariscono inoltre se si tratta di un giacimento di petrolio o di gas naturale; il grado di predeterminabilità (directionality) varia da una regione all'altra, ma in generale non si può escludere che una ricerca di petrolio sfoci in un ritrovamento di gas naturale. Pertanto, anche nella fase esplorativa l'industria petrolifera può considerarsi un processo di produzione multipla sui generis.
Particolarmente difficile si presenta la ricerca petrolifera in mare (offshore). Le perforazioni sono eseguite da piattaforme autoelevatrici (jack-up-barges) poggianti sul fondo marino, da piattaforme galleggianti (semi-submersibles) mantenute in posizione mediante ancoraggi, o da navi da trivellazione (drill-ships): queste ultime, nei tipi più moderni, sono completamente automatizzate e possono raggiungere fondali di 600-1.000 metri, corrispondenti a zone ben al di là della piattaforma continentale.
L'incertezza circa la quantità di grezzo esistente in un giacimento si riduce nella fase di coltivazione di un campo petrolifero: le perforazioni di estensione sono destinate infatti a definire l'entità del giacimento, accertando la stratigrafia, la tettonica e soprattutto la potenza, le proprietà petrofisiche e il contenuto delle rocce magazzino, ed eseguendo misure e campionature sui fori trivellati. Si può giungere così, valendosi della tecnica di simulazione Montecarlo, a fare previsioni sull'entità delle riserve sicuramente attendibili; solo in base a tali previsioni è possibile decidere se il programma d'investimento dev'essere abbandonato oppure completato con l'installazione di impianti, attrezzature e oleodotti. Un importante mezzo ausiliario per la programmazione e il controllo della coltivazione ottimale di un campo petrolifero è dato dai modelli analogici e digitali.
Per stabilire se un campo petrolifero sottomarino è economicamente sfruttabile occorrono calcoli di costo accurati, giacchè la decisione d'intraprendere la produzione fuori costa implica investimenti di dimensioni eccezionali. Per avviare nel Mare del Nord uno dei campi settentrionali, avente una produzione annua di 20-25 milioni di tonnellate, si son dovute installare piattaforme del costo unitano di più di 350 milioni di dollari; a ciò si aggiungono gli ingenti costi di costruzione dei collettori e degli oleodotti sottomarini, la cui sicurezza dev'essere scrupolosamente garantita.
Vi è una serie di fattori che determinano quanta parte del petrolio esistente in un giacimento si possa effettivamente estrarre e quanta debba restare invece inutilizzata a causa dell'insufficiente pressione estrattiva: essenziale a tale riguardo è la natura dell'elemento generatore di pressione. Nel procedimento fondato sul gas disciolto (dissolved gas process), che è il più frequente tra i procedimenti naturali d'estrazione, il petrolio è sospinto in superficie dal gas che si libera; questo sistema presenta un fattore medio di recupero del 20%, in un campo di variabilità che va dal 15 al 30%. Notevolmente più redditizio è il procedimento in cui la pressione è generata, oltre che dal gas disciolto che si libera, da una sovrastante calotta di gas: in questo caso (gas cap drive process) si ha un fattore medio di recupero del 32%, entro un campo di variabilità dal 20 al 55%. Un giacimento di gas naturale può essere considerato come un caso particolare di calotta gassosa; il fattore medio di recupero si aggira qui intorno all'80%. Il mezzo naturale più efficace per l'estrazione del grezzo è la pressione d'acqua ai margini della formazione (water drive), che consente percentuali medie di recupero del 50% circa, in un campo di variabilità dal 30 al 75%.
Considerando nel loro insieme tutti i procedimenti naturali di estrazione impiegati nelle zone petrolifere degli Stati Uniti, si ha un fattore di recupero minore del 30%, in un campo di variabilità dal 15 al 75%. L'ampiezza di tale divario mette ancora una volta in risalto l'elevato grado d'insicurezza inerente alla valutazione di riserve ‛accertate': sarebbe opportuno pertanto definire ‛riserve' solo quei giacimenti che risultino effettivamente redditizi. Per definire tale redditività occorre peraltro prendere in considerazione anche i procedimenti estrattivi artificiali (secondari e terziari), il cui impiego nel corso della coltivazione non può essere programmato con certezza fin dall'inizio. Gli alti costi dei procedimenti d'estrazione artificiali sono giustificabili infatti solo con un prezzo del petrolio anch'esso elevato, ma la futura evoluzione di tale prezzo non può essere esattamente pronosticata all'atto della determinazione delle riserve. I procedimenti secondari consistono nell'estrarre i preziosi idrocarburi iniettando nei giacimenti sostanze di scarso valore. In seguito al forte aumento di prezzo del gas naturale e al miglioramento della rete di gasdotti, si tende sempre più a rinunziare all'iniezione di gas per tornare al metodo del pompaggio d'acqua (water flooding). L'impiego di procedimenti secondari consente il recupero di un ulteriore 10-25% dell'originaria ‛consistenza sul posto' (oil-in-place); tuttavia il rendimento complessivo ottenibile coi procedimenti d'estrazione primari e secondari supera raramente la barriera del 50%. Tra i procedimenti terziari, i più importanti sono quelli di recupero termico o thermal recovery (combustione in situ, iniezione di vapore), i miscible processes (gas naturale ad alta pressione, propano, diossido di carbonio, ecc.) e le iniezioni di polimeri (v. American Petroleum Institute, 1975, pp. 21 ss.).
Il fatto che il petrolio sia una risorsa esauribile dà una connotazione d'incertezza anche alle decisioni riguardanti la sua estrazione. Una risorsa esauribile è caratterizzata dal fatto che a ogni quantità elementare oggi estratta corrisponde un'uguale diminuzione delle future possibilità d'estrazione, e quindi la rinunzia a un utile differito nel tempo. In genere il proprietario di un giacimento di petrolio o di gas naturale ha interesse a massimizzare l'utile complessivo previsto, pari al valore attuale di tutti gli utili previsti scalati nel tempo. Evidentemente egli spingerà la produzione attuale fino al punto in cui l'utile derivante dall'estrazione dell'ultima quantità elementare (‛utile marginale') uguaglierà il massimo utile attualizzato derivante dall'estrazione di quella stessa quantità in un tempo differito. L'estrazione non verrà dunque spinta fino alla parità fra costi e ricavi marginali, ma anzi il prezzo (‛ricavo marginale') supererà, anche in condizioni di concorrenza perfetta, il costo marginale corrente, tanto più quanto maggiore sarà la scarsità economica prevedibile per il futuro, ossia quanto maggiore si stimerà l'aumento di prezzo a lungo termine. Le decisioni sulla produzione attuale dovranno pertanto tener conto, oltre che dei costi correnti, dei cosiddetti ‛costi di opportunità' (perdite di utile) derivanti dalla rinunzia alla vendita futura delle quantità che si potrebbero estrarre oggi (v. Hotelling, 1931). Se si prendono in considerazione tali costi, la politica estrattiva viene a dipendere dalla valutazione degli sviluppi futuri sia della domanda e dell'offerta di petrolio, sia delle fonti d'energia alternative, il che introduce un ulteriore elemento d'incertezza nei calcoli decisionali dei produttori di petrolio e di gas naturale.
Nell'industria petrolifera ha assunto oggi drammatica importanza il rischio politico, cioè la possibilità che i governi dei paesi produttori alterino a proprio vantaggio le condizioni giuridiche o contrattuali dell'estrazione.
b) Trasporto
Le grandi distanze esistenti di norma tra i giacimenti di petrolio o di gas naturale e i luoghi di lavorazione e di consumo richiedono sistemi di trasporto di adeguata capacità per via di terra (dal luogo d'estrazione alle raffinerie o ai porti di spedizione) e per via di mare (dai porti di spedizione dei paesi produttori a quelli d'arrivo dei paesi consumatori, come pure dalle piattaforme d'estrazione fuori costa ai porti d'arrivo e da questi, per via di terra, alle raffinerie).
Il trasporto di grandi quantità di grezzo su terraferma avviene attraverso oleodotti, che presentano rispetto agli altri sistemi notevoli vantaggi dovuti all'utilizzazione della naturale fluidità del liquido, al fatto che il mezzo contenitore coincide con quello di trasporto, alla possibilità di esercizio continuo, al fatto di non ingombrare le vie di traffico, all'elevata affidabilità, ecc. Per stabilire la capacità di trasporto di un oleodotto, determinata essenzialmente dal suo diametro, è necessario valutare preventivamente le portate che si avranno nel periodo di almeno 20 anni durante il quale l'oleodotto verrà ammortizzato; qualora si prevedano portate crescenti nel tempo, la costruzione di un oleodotto inizialmente sovradimensionato può risultare economicamente più conveniente rispetto alla successiva installazione di pompe propulsive ausiliarie o all'aggiunta di una seconda conduttura parallela. A tale proposito va tenuto presente che, in base a una regola empirica, la capacità di trasporto può essere più che quadruplicata con il raddoppio del diametro e quindi del capitale investito. Ciò spiega sia la tendenziale superiorità, rispetto all'alternativa di una seconda conduttura parallela, del sovradimensionamento anche a medio termine di un oleodotto, sia la tendenza a realizzare in consorzio grandi oleodotti con portate elevate e quindi con bassi costi unitari di trasporto. Data l'incertezza nella previsione a lungo termine delle portate, per determinare il diametro ottimale della tubazione è necessaria un'analisi di rischio che può essere eseguita mediante un elaboratore. Grazie al progresso tecnico nella costruzione degli oleodotti, è possibile oggi collocarli anche in terreni permanentemente gelati (permafrost), in mari con fondali fino a 300 metri e in zone sismiche.
Gli oleodotti per il trasporto dei prodotti derivati dal frazionamento del petrolio non differiscono nelle caratteristiche essenziali da quelli destinati al grezzo, ma non presentano una convenienza altrettanto netta rispetto agli altri mezzi di trasporto (navigazione interna, autocisterne, ferrovie). Mentre nel caso del rifornimento alle raffinerie si tratta di trasportare una merce di massa come il petrolio grezzo, nel trasporto dei prodotti derivati si tratta di far pervenire ai depositi e ai consumatori finali quantità relativamente piccole di numerose merci differenti; gli oleodotti di questo tipo sono quindi economicamente convenienti solo se nei punti terminali vi è una densità di consumi sufficientemente elevata. I vari prodotti sono pompati nell'oleodotto in successione ciclica e l'entità delle singole partite va adeguata alle variazioni della richiesta, che segue in parte un andamento stagionale; i complessi sistemi di tubazioni, aventi più punti di alimentazione e di prelievo, sono spesso controllati mediante elaboratori. Nella tab. I sono registrate le lunghezze, i diametri e le capacità di trasporto dei principali oleodotti.
Anche il trasporto con petroliere presenta notevoli ‛economie di scala', cioè i costi unitari decrescono con l'aumento delle dimensioni del mezzo. Vero è che col crescere del tonnellaggio la riduzione di costo si fa sempre meno significativa: il risparmio conseguito nel passare da petroliere da 250.000 t (tonnellate di portata lorda, tdw) a petroliere da 500.000 t è alquanto minore di quello realizzato nel passare da 80.000 a 200.000 t. Di contro a queste economie nel costo del trasporto, vi sono maggiori rischi d'incidenti e una minore mobilità dovuta all'aumento delle dimensioni esterne e del pescaggio; tuttavia i rilevanti ostacoli che si oppongono all'impiego delle superpetroliere (fondali troppo bassi negli stretti, nei canali, nei porti e nei punti di trasbordo) non sono bastati finora ad arrestare la tendenza alla costruzione di unità sempre più grandi (v. tab. Il). Il 24% del tonnellaggio è di proprietà delle compagnie petrolifere, il 66% appartiene ad armatori indipendenti e il restante 10% a compagnie armatoriali di Stato.
Il gas naturale, e in particolare il gas di petrolio, richiede in genere sistemi di trasporto più costosi, avendo un contenuto energetico per unità di volume molto minore di quello dei petroli. Le grandi distanze tra paesi esportatori e importatori di gas naturale rendono necessari grandiosi sistemi di trasporto che prevedono, oltre ai gasdotti, la liquefazione del gas naturale - con trasformazione chimica del metano in esso contenuto - e il trasporto con navi cisterna del gas liquefatto (LNG = Liquified Natural Gas). La liquefazione si ottiene raffreddando il gas, previa essiccazione e depurazione, a −162 °C alla pressione atmosferica: con ciò il volume si riduce di circa 600 volte, rendendo possibili elevati risparmi sulle capacità di trasporto e di deposito. Occorre per contro un ingente impiego di capitali per la linea d'impianti LNG, che comprende un impianto di liquefazione con terminale di carico, speciali navi metaniere termicamente isolate, un terminale di scarico e un impianto di rigassificazione nel paese importatore. Una linea LNG può quindi rappresentare un'alternativa economicamente valida al trasporto del gas naturale mediante gasdotto solo quando le distanze di trasporto siano grandi e il tracciato del gasdotto alternativo si presenti topograficamente sfavorevole, o quando le località da collegare siano separate da tratti di mare.
c) Lavorazione
Nelle raffinerie il petrolio grezzo viene trasformato, nel quadro di un processo di produzione multipla, nei prodotti finiti da immettere sul mercato. Si tratta di un caso di multiproduzione flessibile: in relazione alla qualità del grezzo di partenza e al processo di lavorazione adottato, e' possibile variare i rapporti tra le quantità dei diversi prodotti finiti, il che riduce le difficoltà di marketing caratteristiche di questo tipo di produzione, connesse allo sfasamento tra i cicli di domanda dei singoli prodotti.
Le percentuali dei vari prodotti finiti dipendono sia dalla provenienza (e quindi dalla composizione) del grezzo, sia dagli intervalli di temperatura usati nella distillazione. Per esempio, da un petrolio grezzo del Kuwait si può ricavare per distillazione dal 26 al 28% circa di gasolio: nell'usare questa frazione per ottenere due prodotti come il gasolio leggero (carburante per motori Diesel) e quello pesante (olio combustibile leggero), rispondenti a requisiti di qualità diversi, è possibile avvicinarsi in una certa misura a un optimum di qualità e al tempo stesso di quantità. La variabilità della percentuale di gasolio leggero tra il 16 e il 23% e di quella di gasolio pesante tra il 9,8 e il 4,5% consente infatti di adeguare i prodotti finiti alle richieste qualitative e quantitative del mercato. La flessibilità del processo di lavorazione è accresciuta dalla possibilità di mescolare, per ciascuna frazione, prodotti di qualità diversa ricavati da differenti petroli grezzi, al fine di soddisfare particolari esigenze.
Il progresso tecnico ha influito sulla complessità strutturale di una raffineria e sulla composizione dei prodotti finiti. Mentre la raffineria ‛classica' prevedeva il solo processo primario di distillazione, destinato a separare le frazioni leggere del grezzo (gas, benzina, cherosene, carburante per motori Diesel, olio combustibile leggero, ecc.) dalle frazioni pesanti (prevalentemente olio combustibile pesante), la complessa raffineria ‛moderna' comprende anche impianti per procedimenti secondari, come l'hydrotreater per la desolforazione, gli impianti di reforming catalitico per l'aumento del numero di ottano dei carburanti e gli impianti di conversione destinati a scindere le frazioni pesanti in prodotti leggeri (cracking). Anziché usare il residuo di olio pesante (circa il 50% in peso di un grezzo tipico) come componente dell'olio combustibile, è possibile trasformarlo mediante cracking in frazioni più leggere, in modo da ricavarne carburanti per motori a scoppio, per aviazione e Diesel, o materie prime per la petrolchimica; il residuo può essere inoltre trasformato in lubrificanti, bitumi e paraffine (v. anche petrolchimica).
I tre tipi principali di conversione attualmente in uso sono: il cracking termico, quello catalitico e l'hydrocracking. I costi d'investimento e d'esercizio sono minimi nel cracking termico, che fornisce prevalentemente distillati intermedi (cherosene, carburante per motori Diesel e olio combustibile leggero). Il cracking catalitico, che è al secondo posto per impiego di capitali e per costi d'esercizio, è orientato di regola verso la produzione di carburanti per motori a scoppio, ma può essere utilizzato anche per produrre notevoli aliquote di distillati intermedi. Infine con l'hydrocracking, che è il più oneroso tra i processi di conversione, il rapporto fra benzina e distillati intermedi può essere variato entro ampi limiti. In una grande raffineria possono coesistere e integrarsi reciprocamente tutti e tre i tipi di cracking. L'impiego dei procedimenti di conversione implica un notevole aumento dei costi unitari di produzione; l'ambito entro cui tale impiego risulta economicamente conveniente dipende dai dislivelli assoluti tra i prezzi dei vari prodotti derivati. Il fatto che il prezzo di vendita dell'olio combustibile pesante possa risultare talvolta minore del prezzo d'acquisto del grezzo dal quale viene ricavato è in relazione col fenomeno della produzione multipla, per cui le decisioni riguardanti la produzione e la vendita sono dettate dai ricavi e dai costi globali dell'intera gamma di prodotti finiti.
In seguito al ristagno (peraltro solo temporaneo) della domanda di petrolio dopo il 1973 e all'aumento sulla scia della precedente tendenza alla crescita (v. tab. III) della capacità complessiva di raffinazione, nel 1977 il grado di utilizzazione degli impianti si è ridotto su scala mondiale dal suo valore normale (90% circa) al 75%, e nell'Europa occidentale addirittura al 65%. Si prevede che questo eccesso di potenzialità degli impianti si manterrà fino al 1985, anche a causa del probabile incremento della capacità di raffinazione dovuto all'installazione di nuovi impianti nei paesi produttori di petrolio. La forte concorrenza sul mercato dei prodotti finiti risultante dall'eccesso di capacità fa si che in molti casi i ricavi coprano, oltre ai costi variabili, solo una parte dei costi fissi.
3. Prodotti derivati e loro impieghi
I principali settori d'impiego dei prodotti derivanti dai processi di raffinazione, nonché del gas naturale e del gas di petrolio, sono riportati nella tab. IV.
Nella tab. V sono messe a confronto per alcuni paesi le percentuali del consumo globale di prodotti finiti relative alle principali classi di prodotti; esse differiscono da un paese all'altro in relazione alla densità di autoveicoli, al consumo di carburante per ciascun automezzo, al livello d'industrializzazione, alla disponibilità di fonti energetiche alternative, ecc.
Per quanto riguarda le possibilità di sostituzione, i prodotti impiegati come carburanti o combustibili per motori non appaiono sostituibili neppure a lunga scadenza, per motivi tecnici ed economici, mentre non sussistono impedimenti tecnici alla sostituzione dei derivati del petrolio negli impieghi per riscaldamento. In questo settore il gas, l'elettricità e (con qualche limitazione) il carbone possono rappresentare fonti alternative: la quota di fabbisogno termico coperta dagli oli combustibili (leggero e pesante) è determinata di regola dal livello relativo dei prezzi. Nella tab. VI sono indicati i poteri calorifici di alcuni importanti derivati del petrolio e di alcuni combustibili alternativi.
A partire dagli anni trenta negli Stati Uniti, dagli anni cinquanta nell'Europa occidentale e dagli anni sessanta in Giappone, l'industria petrolifera, oltre ai compiti ‛classici' di approvvigionamento dei mercati di carburanti e di combustibili, ha provveduto anche a rifornire l'industria chimica di materie prime per i processi di sintesi: come mostra la tab. VII, ormai più del 90% della produzione globale di composti organici deriva da prodotti di base forniti dalla petrolchimica. Nell'Europa occidentale le materie prime per la petrolchimica sono le frazioni più leggere ottenute dalla distillazione e dalle successive lavorazioni del petrolio, e in particolare la nafta; sulla sua somiglianza chimica con la benzina per motori (dalla nafta vengono ricavati anche alcuni componenti dei carburanti) è fondato lo sviluppo della petrolchimica. Esso ebbe inizio negli Stati Uniti, dove il rapido incremento della motorizzazione stimolò l'industria petrolifera a cercare procedimenti per ottenere dal grezzo una quantità di benzina maggiore di quella ricavabile dalla semplice distillazione. Ciò portò a una rapida diffusione degli impianti di cracking, che insieme a una maggior quantità di componenti della benzina di qualità superiore forniscono anche prodotti di base per l'industria chimica, come metano, etano, propano, propilene, butano, butilene e butadiene. Mediante l'ulteriore trasformazione chimica, e quindi la valorizzazione di questi derivati del petrolio, e mediante l'uso di gas di sintesi è possibile ottenere parecchie migliaia di prodotti, classificabili a grandi linee nei seguenti gruppi materie plastiche, resine sintetiche, gomme sintetiche, solventi e plastificanti, fibre sintetiche, fertilizzanti e prodotti chimici per l'agricoltura, detersivi e solventi.
I vantaggi delle materie plastiche rispetto ai materiali metallici, al legno, al vetro, ecc. consistono, oltre che nella loro inalterabilità, nella semplicità dei processi di lavorazione impiegati e nel basso costo delle materie prime, che consentono prezzi competitivi. Le materie plastiche, diffuse sotto varie denominazioni commerciali, sono essenzialmente il polietilene (articoli casalinghi, fogli), il polipropilene (pezzi stampati a iniezione, filati, sacchi), il cloruro di polivinile (materie isolanti, pavimenti), il polistirene (imballaggi), il poliuretano (imbottiture di mobili, arredamento interno di autoveicoli). Le resine sintetiche sono usate per la produzione di vernici a rapida essiccazione e resistenti alle intemperie; i prodotti più importanti ottenuti dalle gomme sintetiche sono pneumatici, tubi flessibili, guarnizioni e nastri traspoltatori; le fibre sintetiche sono impiegate nella produzione di tessuti e tappeti; i prodotti chimici per l'agricoltura servono per eliminare erbe e insetti nocivi e assumono particolare importanza, insieme ai fertilizzanti ottenuti con processi petrolchimici, per lo sviluppo dei paesi del Terzo Mondo. Infine, le proteine ricavabili dal petrolio e dal gas naturale potranno contribuire a risolvere, a lungo termine, il problema dell'alimentazione mondiale.
4. Il petrolio e l'ambiente
La produzione, il trasporto, la lavorazione e il consumo del petrolio provocano effetti sull'ambiente (v. inquinamento ambientale). Nel corso di tali processi possono aversi perdite di petrolio o di singoli componenti capaci di compromettere, direttamente o attraverso modificazioni degli ecosistemi, le condizioni di vita dell'uomo nelle zone colpite; a ciò può aggiungersi un deterioramento estetico del paesaggio (piattaforme fuori costa, oleodotti, impianti petrolchimici). Si può affermare, cum grano salis, che alcuni di questi rischi potrebbero essere notevolmente ridotti mediante programmi nazionali di protezione dell'ambiente, mediante accordi internazionali (riguardanti in particolar modo i mari) e grazie all'impegno della stessa industria petrolifera.
Il rischio d'inquinamento più duraturo riguarda gli oceani, che ricevono annualmente più di 6 milioni di tonnellate di idrocarburi. Una fonte importante di tale rischio è rappresentata dal trasporto del grezzo, che può dare origine a perdite durante il lavaggio delle cisterne, a causa delle acque di zavorra, durante il carico e lo scarico e in occasione di incidenti alle navi. Le perdite di grezzo durante le fasi di normale esercizio delle petroliere possono essere ridotte drasticamente con l'adozione del procedimento load-on-top; le quantità di grezzo immesse in mare in seguito a incidenti alle navi sono relativamente modeste, ma i loro effetti devastanti sull'ambiente sono notevoli, soprattutto nelle zone costiere. L'arenamento dell'Amoco Cadiz dinanzi a Portsall provocò nel 1978 la fuoriuscita di 231.000 tonnellate di petrolio, arrecando gravissimi danni sia alla fauna e alla flora marine locali, sia al biotipo costiero e compromettendo settori economici essenziali per la vita della regione, come il turismo e la pesca. L'industria petrolifera e le compagnie armatoriali hanno compiuto notevoli sforzi per accrescere la sicurezza del trasporto del grezzo; va osservato che su otto incidenti gravi avvenuti tra il 1967 e il 1978 nella Manica e nel Golfo di Biscaglia, sette riguardarono petroliere battenti una bandiera di comodo, quella liberiana. Un altro pericolo potenziale d'inquinamento dei mari è rappresentato dalle trivellazioni fuori costa; tuttavia anche in questo settore si è avuto un sostanziale miglioramento e, nell'eventualità, non escludibile in modo assoluto, di incidenti durante la perforazione, è possibile in genere adottare provvedimenti efficaci per ridurre l'inquinamento.
Il rischio di fuoriuscita del petrolio da un oleodotto è estremamente basso, indipendentemente dal fatto che la condotta sia posata sul fondo del mare o in terraferma; fra tutti i mezzi di trasporto del grezzo, gli oleodotti sono quelli che offrono la maggior sicurezza nei riguardi dell'ambiente.
Durante la lavorazione del grezzo vengono emessi gas di combustione e vapori di idrocarburi. Tra i gas prodotti dai processi di combustione in uso nelle raffinerie assumono particolare importanza per l'ambiente il diossido di zolfo (anidride solforosa) e gli ossidi d'azoto, immessi nell'atmosfera attraverso camini; con la costruzione di camini sempre più alti è possibile però indurre nell'atmosfera vasti fenomeni di dispersione e trasformazione. Altri effetti negativi dell'esercizio di una raffineria sono la produzione di odori e rumori e la sottrazione di ingenti quantità di acque superficiali, occorrenti per il raffreddamento e per i processi di lavorazione; quest'ultimo onere può essere sensibilmente ridotto con l'introduzione di processi di riciclaggio che permettono di ridurre il fabbisogno d'acqua.
Per quanto riguarda l'impiego dei derivati, particolarmente nocive sono le emissioni di diossido di zolfo provocate dalla combustione degli oli leggeri. Le emissioni dai bruciatori domestici, alimentati prevalentemente con questo tipo di olio combustibile, avvengono a modesta altezza e hanno scarsissima dispersione orizzontale: pertanto esse incidono quasi sempre in modo diretto sulla vita umana. Negli ultimi anni l'industria petrolifera ha provveduto a ridurre progressivamente il tenore in zolfo degli oli combustibili leggeri; esso verrà ulteriormente abbassato in futuro in base ai programmi nazionali di protezione dell'ambiente. Per il momento è ancora difficile, per motivi tecnici ed economici, ridurre il tenore in zolfo dell'olio combustibile pesante, che peraltro viene bruciato quasi sempre in impianti dotati di camini altissimi. Dal punto di vista ecologico, notevoli vantaggi rispetto all'olio combustibile presenta il gas naturale, che brucia senza produrre residui nocivi per l'ambiente.
Infine, le ingenti emissioni di monossido di carbonio da parte degli autoveicoli nelle aree di forte agglomerazione urbana, soprattutto nelle ore di punta, rendono necessaria una continua vigilanza; poiché tali emissioni avvengono in prossimità del livello stradale, esse possono costituire un pericolo per la salute dell'uomo quando la loro concentrazione oltrepassi certi limiti.
5. Il mercato del petrolio
a) Riserve, produzione, consumo
Il carattere di risorsa esauribile del petrolio rende necessaria una visione integrata della situazione delle riserve e della dinamica di mercato. Gli operatori economici, le autorità statali e gli organi internazionali di consulenza e di coordinamento hanno bisogno di informazioni sulle future possibilità di produzione, per avviare strategie di adattamento che consentano, in base a una stima del fabbisogno energetico a lunga scadenza, lo sfruttamento ottimale nel tempo delle fonti d'energia petrolifere. Le valutazioni a lungo termine delle riserve, dell'offerta e della domanda danno agli operatori e ai responsabili della politica economica la possibilità di prevedere future carenze, non direttamente deducibili dall'attuale livello dei prezzi, e di adottare tempestivamente (per evitare perdite frizionali) tecnologie tendenti a sostituire il petrolio con fonti energetiche più abbondanti o con un maggior impiego di capitali. Le future carenze di petrolio possono essere causate non solo dall'esauribilità fisica, ma anche dai calcoli politico-economici degli Stati produttori, calcoli di cui è necessario tener conto nelle pianificazioni economiche a livello sia locale, sia generale: non è possibile pertanto prescindere nella valutazione delle riserve da una scala geografica adeguata.
Un confronto tra la situazione all'inizio del 1977 e quella all'inizio del 1978 (v. tab. VIII) mostra che l'incremento delle riserve accertate di grezzo in seguito a nuove scoperte o a rivalutazioni dei campi petroliferi esistenti ha superato anche nel 1977 il decremento corrispondente al petrolio estratto; tuttavia per il problema dell'approvvigionamento a lungo termine è più significativo il fatto che il rapporto tra le riserve accertate e la produzione annua (in aumento) sia sceso da 30 a 29. Dal punto di vista della distribuzione territoriale, è evidente la forte concentrazione delle riserve di grezzo nel Medio Oriente (56,7%); altrettanto chiaro appare, per quanto riguarda il rischio politico gravante sui rifornimenti, l'alto grado di concentrazione (51,3%) delle riserve nell'ambito dell'OAPEC (Organization of Arab Petroleum Exporting Countries: v. sotto, È c, 2). Nella tab. IX è riportata la situazione delle riserve mondiali di gas naturale note all'inizio del 1978.
Nell'interpretazione di tutti questi dati numerici va ricordato che le valutazioni delle riserve da parte dei vari enti e organismi mostrano talvolta notevoli divergenze; ciò conferma l'inevitabile incertezza di tali valutazioni, che è destinata ad aumentare qualora si mettessero in conto anche le risorse di grezzo non ancora accertate. Le differenze di valutazione sono dovute fra l'altro al fatto che si attribuiscono al termine ‛riserva' vari significati. Un concetto puramente geologico di riserva risulterebbe poco indicativo, in quanto trascurerebbe l'influsso dei cosiddetti resource costs (e quindi del prezzo del grezzo) sulla redditività economica. Nel modello denominato oil and gas resource base (v. Schanz, 1978) il concetto geologico di riserva viene integrato con quello economico. Indichiamo con questo termine la totalità del petrolio e del gas contenuti entro un certo spessore della crosta terrestre, totalità che può essere distinta in quattro classi. La classe A comprende le quantità di petrolio e di gas naturale già scoperte e che possono essere estratte con le attuali tecnologie e al livello attuale dei prezzi. La sottoclasse delle ‛riserve accertate' corrisponde a giacimenti sufficientemente coltivati, la cui consistenza può essere valutata con relativa precisione; il loro programma cronologico di utilizzazione dipende fra l'altro dalla potenzialità degli impianti estrattivi e del sistema di trasporto. Possono invece essere classificate come ‛non accertate' quelle riserve la cui esistenza è dimostrata, ma il cui grado di coltivazione attuale non consente una stima quantitativa sufficientemente precisa.
La classe B (risorse subeconomiche) comprende le quantità di grezzo e di gas naturale la cui esistenza è dimostrata, ma la cui estrazione non è economicamente compatibile con l'attuale livello dei prezzi, per la modesta entità dei giacimenti o per la necessità d'impiegare metodi di estrazione secondari e terziari.
Le risorse di petrolio e di gas naturale non ancora scoperte, ma che appaiono in linea di principio redditizie in base agli attuali elementi di previsione, sono comprese nella classe C; la distinzione in risorse ‛economiche' e ‛sub-economiche' dipende dalle previsioni sull'andamento a lungo termine dei prezzi del grezzo e sui progressi delle tecniche di esplorazione e di recupero. Il fatto che le valutazioni delle risorse non ancora scoperte presentino di solito notevoli divergenze e spesso appaiano incerte deriva fra l'altro dalla diversità tra i metodi di stima delle singole discipline scientifiche. Le valutazioni dei geologi, fondate su stime volumetriche (volumetric approacher), in parte arbitrarie, in genere non tengono conto dei prezzi e dei tempi. Le engineering projections, fondate sulla proiezione delle tendenze di fondo mediante formule matematiche, offrono un immagine di precisione e di oggettività, ma di solito trascurano i vincoli che condizionano lo sfruttamento di una risorsa (resource constraints) e le conseguenze di carattere economico (economic reactions). A sua volta, l'approccio econometrico riesce a determinare quale sia il prezzo di mercato capace di attivare una data offerta, ma tralascia di considerare i tempi e i vincoli tecnici relativi all'uso di determinate risorse (v. Schanz, 1978).
Di scarsa importanza ai fini delle decisioni da prendere in tempi brevi sono le risorse della classe D, comprendenti sia le risorse non ancora scoperte e ritenute non redditizie in base alle attuali previsioni sull'evolversi dei prezzi e delle tecnologie, sia gli altri depositi di petrolio e di gas, rappresentati per esempio dagli scisti bituminosi di bassa qualità o dal metano proveniente da strati carboniferi.
Elementi di notevole rilevanza decisionale sono la potenzialità d'estrazione e il relativo grado di utilizzazione. Accanto ai vincoli dovuti da un lato alle limitate capacità degli impianti d'estrazione e di trasporto e dall'altro ai lunghi tempi tecnici richiesti dall'esplorazione, dalla coltivazione e dalla costruzione degli oleodotti, il parametro determinante del programma cronologico di sfruttamento delle riserve è il cosiddetto maximum rate of efficiency: nella sua interpretazione come grandezza fisica esso porta a ottimizzare la resa globale, mentre nella sua interpretazione come grandezza economica porta a definire il massimo reddito conseguibile.
Salvo qualche eccezione, la produzione mondiale di petrolio è caratterizzata da tassi annui d'incremento elevati, anche se irregolari (v. tab. X). Il modesto incremento del 1974 e il calo assoluto di produzione del 1975 riflettono la diminuzione subita dalla richiesta in seguito al brusco rialzo dei prezzi del grezzo a partire dal 1973 e alla successiva recessione economica mondiale.
Nella tab. XI sono indicati i consumi complessivi di energia e le incidenze dei consumi di petrolio nei principali paesi industrializzati del mondo non comunista. La forte incidenza dei consumi di petrolio sui consumi energetici dell'Europa occidentale, del Giappone e degli Stati Uniti crea il problema di un'elevata dipendenza dalle importazioni, e quindi di un'insicurezza dei rifornimenti: come si vede dalla tab. XII, i paesi produttori non coincidono coi consumatori, e le differenze tra capacità produttiva e livello dei consumi risultano particolarmente onerose per l'Europa occidentale e per il Giappone. Dalla distribuzione delle riselve mondiali di grezzo riportata nella tab. XII si può concludere che, se proseguirà l'attuale tendenza dei consumi, il grado di dipendenza dei paesi industrializzati occidentali dal petrolio dell'OPEC (Organization of Petroleum Exporting Countries) aumenterà ancora, nonostante le riserve possedute dalla Gran Bretagua nel Mare del Nord.
Per quanto riguarda invece il gas naturale, il mondo industrializzato occidentale è ancora, nel suo complesso, in gran parte indipendente dalle importazioni OPEC: nel 1977, su un consumo di gas naturale dell'Europa occidentale stimato in 200 miliardi di m3, 188 miliardi provenivano dalla produzione interna. Tuttavia, nonostante le riserve di gas del Mare del Nord (circa 2.500 miliardi di m3), l'incidenza del gas naturale proveniente dall'area OPEC e dall'URSS sul consumo complessivo dell'Europa occidentale è destinata ad aumentare già a medio termine, anche perché il forte aumento dei prezzi del gas rende economicamente possibile il suo trasporto a grande distanza mediante gasdotti o, sotto forma di gas liquefatto, mediante navi metaniere.
b) L'industria del petrolio
Nell'industria petrolifera si possono distinguere quattro gruppi di imprese: 1) le compagnie multinazionali ad altissimo fatturato tra cui le cosiddette ‛sette sorelle' (majors): Exxon, Royal Dutch-Shell, British Petroleum (BP), Texaco, Socal, Gulf Oil e Mobil Oil. La proprietà e il controllo di queste compagnie sono concentrati in pratica in tre paesi (Stati Uniti, Gran Bretagna e Paesi Bassi), sebbene esse operino in quasi tutto il mondo mediante società affiliate, società finanziarie o apposite società commerciali; 2) le aziende statali dei paesi dell'OPEC; 3) le aziende petrolifere nazionali sostenute dagli Stati consumatori, tra cui l'Ente Nazionale Idrocarburi (ENI), la Compagnie Francaise des Pétroles (CFP) e la VEBA tedesca; 4) circa 1.200 compagnie petrolifere cosiddette independents, che con la loro produzione autonoma di grezzo hanno alimentato una notevole concorrenza negli anni cinquanta e sessanta.
La competitività delle ‛sette sorelle' sul piano internazionale è molto elevata, perché la loro situazione è tale da avvantaggiarle sia rispetto ai costi, sia - grazie anche alla loro struttura imprenditoriale - rispetto all'acquisizione del grezzo: l'integrazione verticale tra le varie fasi delle operazioni di mercato e l'ampiezza orizzontale del campo d'azione, entrambe su scala mondiale, accrescono infatti la capacità di adattamento ai bisogni del mercato, grazie all'ottimizzazione a livello internazionale dei flussi di rifornimento. Nel complesso, il mercato petrolifero mondiale presenta alti gradi di concentrazione, come mostra chiaramente la tab. XIII, relativa alle due principali fasi del ciclo. Poiché nella fase produttiva le attività tecnico-economiche favoriscono l'integrazione fra l'industria del petrolio e quella del gas, i maggiori produttori di petrolio dispongono anche di notevoli quantità di gas naturale (v. tab. XIV).
Dalla tab. XV risulta chiaramente che a partire dagli anni sessanta il potere assoluto di questi dominatori del mercato integrato è regredito, almeno tendenzialmente, in tutte le fasi del ciclo. Il sensibile regresso subito dalle sette maggiori compagnie all'inizio degli anni settanta e il corrispondente aumento della quota di grezzo prodotta dalle aziende statali riflettono il cambiamento dei rapporti di proprietà per cui nell'ambito dell'OPEC quasi tutte le compagnie petrolifere sono state in gran parte espropriate in breve tempo. Col trasferimento del potere decisionale alle aziende di Stato, i gruppi petroliferi internazionali hanno assunto il ruolo contrattuale di imprese per la prestazione dei servizi di ricerca, estrazione e vendita del petrolio dell'OPEC. Le minori possibilità di profitti all'origine hanno favorito un maggior impegno delle compagnie internazionali nella petrolchimica - il 20% circa della produzione mondiale di prodotti petrolchimici fa capo alle cinque compagnie americane più importanti - e la formazione di grandi holdings energetiche che producono e vendono, oltre al petrolio e al gas, anche carbone e uranio.
I gruppi petroliferi giustificano la loro strategia d'integrazione verticale e orizzontale sia con ragioni di riduzione dei costi e di ripartizione dei rischi, sia con l'opportunità di sfruttare nuovi e promettenti potenziali energetici in vista dell'esaurimento delle riserve di petrolio e di gas naturale. Le organizzazioni di consumatori e le autorità anti-trust, soprattutto negli Stati Uniti, vedono invece nella tendenza all'integrazione totale un tentativo da parte dell'industria petrolifera di limitare la concorrenza nella produzione del petrolio e del gas (intrafuel) e nello sfruttamento di risorse alternative (interfuel), e reclamano quindi lo smantellamento verticale e orizzontale dei cartelli. A sostegno di tale richiesta vengono citate le joint ventures formate dalle grandi compagnie petrolifere per l'esplorazione fuori costa o per l'esercizio in comune degli oleodotti: esse creerebbero una comunione d'interessi tra le società madri, eliminando così la concorrenza. Non ha però molto senso l'inferire dall'esistenza di certe strutture di mercato o delle joint ventures un comportamento anticoncorrenziale, giacché il parametro decisivo è comunque rappresentato dai risultati sul mercato. Finora non si dispone di analisi del comportamento e dei risultati sul mercato riguardanti gli anni sessanta e settanta dalle quali si possa dedurre con certezza un abuso di posizione dominante sui mercati del rifornimento all'ingrosso e del consumo finale. Nella discussione viene spesso trascurato il fatto che talvolta le joint ventures possono addirittura intensificare la concorrenza, migliorando le possibilità di accesso a un mercato altrimenti chiuso (exploration joint ventures per la ricerca fuori costa, con la partecipazione di piccole società accanto alle principali), o possono avere come risultato sul mercato una riduzione dei costi del petrolio e del gas naturale, grazie alle economie di scala consentite dai grandi oleodotti. Per quanto riguarda specificamente il mercato dell'Europa occidentale, esso presenta un'alta concentrazione a favore delle ‛sette sorelle' e delle aziende statali (v. tab. XVI).
Dal punto di vista della concentrazione delle imprese, accanto alle ‛sette sorelle' assumono particolare importanza le aziende a controllo statale (CFP ed ELF in Francia, ENI in Italia, ecc.): le loro possibilità di dominare il mercato non derivano solo dalle dimensioni economiche, ma anche dalla ‛copertura' che ad esse forniscono gli Stati e dall'influsso di questi ultimi sugli investimenti e sul comportamento di mercato. Per avere una misura dell'appoggio dato dagli Stati alle loro aziende è necessario considerare, accanto agli aspetti finanziari, soprattutto il fatto che a partire dal 1973-1974 i vari paesi dell'OPEC preferiscono concludere contratti bilaterali del tipo barter (scambio o permuta) e che in questi accordi commerciali gli Stati acquirenti sono rappresentati dalle loro aziende petrolifere. Inoltre queste ultime possono godere di trattamenti preferenziali sui rispettivi mercati petroliferi, strettamente regolamentati: per esempio in Francia, con l'istituzione di un plafond d'importazione e di quote di mercato per le sue compagnie, o in Italia, mediante il controllo amministrativo delle importazioni, destinato a proteggere le raffinerie nazionali (v. Mönig e altri, 1977).
c) Aspetti economici e conseguenze della politica petrolifera dell'OPEC
1. L'evoluzione dell'OPEC. - Il cartello dei prezzi dell'OPEC si collega a un'evoluzione del mercato in cui è possibile riscontrare - a partire dalla prima trivellazione positiva eseguita da E. L. Drake presso Titusville (Pennsylvania) nel 1859 - una gamma quasi inesauribile di strozzature a livello sia nazionale che internazionale. Dopo una fase iniziale di monopolizzazione del settore da parte di J. D. Rockefeller, gli Stati Uniti adottarono una politica di libera concorrenza che provocò lo scioglimento del trust petrolifero e diede inizio all'espansione delle ‛sette sorelle'. La concentrazione di capitali e di potere da esse raggiunta, soprattutto nelle trattative condotte in certi periodi con gli Stati produttori e con quelli consumatori di petrolio, indusse un numero sempre maggiore di governi a cercare di controbilanciare tale preminenza: tra gli Stati produttori questa tendenza fu inaugurata dalla nazionalizzazione dell'Anglo-Iranian Oil Company da parte dell'Iran (1951). Nel periodo tra le due guerre mondiali i gruppi petroliferi multinazionali intrapresero vari tentativi di stabilire, mediante accordi di cartello, la ripartizione delle aree di produzione del grezzo, le quote di mercato e i prezzi dei prodotti petroliferi. Per esempio con l'accordo ‛linea rossa' (1927) si arrivò a una spartizione delle riserve petrolifere del Vicino Oriente, in modo da eliminare la concorrenza nella richiesta di concessioni. Il patto di Achnacarry (1928) prevedeva la conclusione di accordi commerciali diretti a evitare battaglie sui prezzi e a compartimentare, contro la concorrenza delle società estranee, tutte le fasi di lavorazione del grezzo. Nel 1934 furono conclusi accordi speciali sui vari mercati dei prodotti petroliferi, con esclusione di quello statunitense. Gli accordi di cartello conclusi nel periodo tra le due guerre mondiali risultarono tuttavia poco efficaci, fra l'altro a causa delle eccezionali scoperte di nuovi giacimenti - in particolare nel Golfo Persico - che diedero ripetutamente origine ad accese lotte per la conquista di quote di mercato, con offerte al ribasso sui mercati nazionali di consumo; la ripresa della concorrenza fu inoltre favorita dal fatto che le filiazioni dei grandi gruppi multinazionali potevano agire come organizzazioni di vendita dotate di poteri contrattuali e di una relativa autonomia. Anche nelle successive fasi di lavorazione del petrolio la concorrenza ebbe un ruolo preminente come principio organizzatore e regolatore degli eventi di mercato.
Il secondo dopoguerra fu caratterizzato dapprima da una serie di accordi tra i maggiori gruppi petroliferi sul prezzo del grezzo, al fine di ridurre la concorrenza diretta tra i vari mercati di produzione, caratterizzati da petroli di diversa qualità con costi di estrazione e di trasporto differenti. Questi accordi erano destinati soprattutto a proteggere le fonti di petrolio relativamente più convenienti dell'emisfero occidentale, e in particolare degli Stati Uniti, dalla concorrenza dei grezzi del Medio Oriente, comparativamente meno costosi. Con accordi come il Persian Gulf Base, il London Equalization Point e il New York Equalization Point si tendeva a garantire un prezzo minimo sufficiente a consentire l'ulteriore sviluppo di aree submarginali di estrazione. Come effetto collaterale di questi accordi, gli Stati produttori di petrolio riuscirono a lucrare una rendita economica derivante dai loro petroli grezzi, di estrazione relativamente poco costosa.
Le intese tendenti a limitare la concorrenza ebbero però effetti solo transitori, a causa di un intensificarsi della concorrenza intorno alla metà degli anni cinquanta. Infatti, da un lato entrarono in scena altri Stati produttori come l'URSS, o come la Libia dove società americane indipendenti avevano scoperto nuovi giacimenti produttivi; dall'altro entrarono nel mercato degli acquirenti di petrolio un certo numero di aziende statali e di società commerciali sostenute dai vari Stati consumatori. A ciò si aggiunse il blocco del mercato petrolifero statunitense in seguito all'adozione di contingenti d'importazione del grezzo. Sul finire degli anni cinquanta questi fattori agirono nel senso che i gruppi petroliferi internazionali, di fronte all'improvvisa eccedenza d'offerta, attivarono la domanda e, sorretti da un ottimismo che risultò poi giustificato, apportarono notevoli riduzioni ai prezzi dei prodotti petroliferi. La forte concorrenza che si scatenò sui mercati dei prodotti finiti accrebbe a dismisura la competitività dei prodotti petroliferi rispetto alle fonti energetiche alternative: per esempio, tra il 1960 e il 1970 l'incidenza delle forniture di petrolio sul fabbisogno d'energia della CEE balzò dal 30 al 59%, mentre quella del carbon fossile si riduceva dal 52 al 22%.
Questa situazione di ‛mercato dei compratori' continuò a caratterizzare gli anni sessanta, anche per la scoperta di altri giacimenti di grezzo proficuamente sfruttabili. A partire dalla metà degli anni cinquanta l'evoluzione del mercato ora descritta ebbe come conseguenza di stabilire i prezzi in base ai petroli prodotti a minor costo: i prezzi di fornitura del grezzo dovevano essere tenuti più bassi possibile per consentire alle compagnie di sostenere la concorrenza nelle successive fasi di lavorazione. Mentre nella prima fase del dopoguerra i profitti dei paesi produttori di grezzo erano rimasti relativamente costanti, nel 1959-1960 il cosiddetto posted price, in base al quale si computavano i diritti di concessione, fu ribassato due volte dalle compagnie internazionali senza consultare preliminarmente i paesi produttori. Il prezzo del petrolio dell'Arabia Saudita, per esempio, scese da 2,12 dollari al barile a 1,94 e infine a 1,84 dollari; in tal modo, un prezzo di grande importanza per l'economia di quel paese risultò diminuito del 13% nel giro di 2 anni. Il desiderio di evitare ulteriori perdite dovute alla crescente concorrenza - rovinosa per i paesi produttori - con le compagnie internazionali acquirenti di grezzo portò infine alla creazione (Bagdad, 1960) del cartello OPEC, formato dai seguenti membri:
Solo sul finire degli anni sessanta e poi, programmaticamente, all'inizio degli anni settanta l'OPEC si sarebbe trasformata in un organismo per la lotta contro i gruppi petroliferi multinazionali; il suo carattere iniziale di organismo di autodifesa, destinato a garantire i redditi da petrolio in quanto principale sostegno dei bilanci statali, risulta chiaramente dai fini statutari (art. 2): 1) coordinamento e unificazione della politica petrolifera ed elaborazione degli strumenti per tutelare gli interessi comuni e quelli dei singoli Stati; 2) stabilizzazione dei prezzi del petrolio; 3) finalizzazione di tutte le attività, oltre che alla difesa degli interessi dei paesi produttori (ai quali dovranno essere assicurate entrate stabili derivanti dalla produzione del grezzo), anche all'attuazione di ‟un rifornimento efficiente, economicamente accettabile e continuo di petrolio ai paesi consumatori"; 4) adeguata rimunerazione dei capitali investiti nell'industria petrolifera.
I membri dell'OPEC sono indipendenti e sovrani nelle loro decisioni circa le quantità di grezzo da immettere sul mercato e i relativi prezzi; non sono previste sanzioni per i membri che non si attengano alle risoluzioni approvate nelle conferenze dell'OPEC. A parte gli obblighi finanziari, i membri non sono soggetti a impegni automaticamente vincolanti: per ogni decisione dell'OPEC è espressamente richiesta l'unanimità degli Stati che dispongono del diritto di veto.
Nonostante il notevole grado di libertà lasciato ai singoli membri, l'efficacia del cartello è stata considerevole, soprattutto perché il mercato del petrolio grezzo si è trasformato rapidamente da mercato di compratori in mercato di venditori. Già prima di questo cambiamento, nel 1970-1971, i paesi produttori avevano costretto le compagnie concessionarie a cedere quote sempre maggiori dei profitti derivanti dall'estrazione a basso costo dei propri petroli. Ciò era avvenuto, fra l'altro, in seguito alla conclusione di accordi con le aziende di Stato di alcuni paesi consumatori: per inserirsi nel mercato del grezzo, queste aziende sovvenzionate offrivano ai produttori condizioni più vantaggiose, costringendo così anche le compagnie concessionarie a venire a compromessi. Le drastiche decisioni adottate dal cartello OPEC nei negoziati di Teheran e di Tripoli (1971), che portarono a un rivolgimento del mercato, furono provocate soprattutto dall'inattesa impennata delia domanda di prodotti petroliferi sul mercato dell'Europa occidentale: il fatto che nel periodo 1967-1970 tale domanda avesse superato del 40% le previsioni fece temere che l'imminente carenza di grezzo non potesse essere fronteggiata con fonti energetiche alternative. Per di più gli Stati Uniti aumentarono i propri contingenti d'importazione, come conseguenza inevitabile di una politica dell'energia che, mantenendo artificiosamente bassi i prezzi, stimolava la crescita della domanda e al tempo stesso frenava il potenziamento delle fonti energetiche inteme. La capacità di negoziato delle compagnie internazionali fu inoltre menomata dal fatto che nei paesi consumatori la situazione dei rifornimenti di petrolio divenne un problema politico. Sensibilizzati dall'insorgente dibattito sui limiti dello sviluppo e preoccupati dalle minacce di sanzioni nella consegna del grezzo, usate dall'OPEC come strumento psicologico di lotta, gli organi di governo degli Stati consumatori intrapresero azioni diplomatiche e pubblicizzarono prese di posizione che ebbero l'effetto di accrescere sempre più nei paesi produttori la consapevolezza del proprio potenziale di forza. Da questo mutamento nelle condizioni di contrattazione derivarono, oltre agli aumenti dei prelievi governativi (royalties, revenue taxes) e dei prezzi di listino, interventi di tipo espropriativo consistenti in un accordo di partecipazione (1972) che prevedeva l'aumento della quota di proprietà degli Stati dell'OPEC dal 25% iniziale fino al 51% nel 1982. Con questi successi gli Stati produttori di petrolio presero definitivamente coscienza dei vantaggi di un'azione sostenuta da accordi di cartello e dell'efficacia che le minacce di sanzioni nella consegna acquistavano in un mercato dominato dai venditori; e fu evidente che nei paesi dell'OPEC era nata la volontà di partecipare agli utili in misura ancor più cospicua e di svincolarsi del tutto dai tradizionali contratti di concessione petrolifera.
2. L'imposizione unilaterale del prezzo del petrolio e il mutamento dei rapporti di proprietà. - Il cambiamento decisivo nelle modalità di rifornimento del grezzo al mondo occidentale avvenne nel 1973-1974 ed ebbe come fattore scatenante la guerra del Kippur. Nell'autunno del 1973 gli Stati dell'OAPEC decretarono l'embargo del petrolio nei confronti dei Paesi Bassi e degli Stati Uniti e contemporaneamente decisero una contrazione della produzione per l'inverno successivo. L'unico paese arabo a non adottare quest'ultimo provvedimento fu l'Iraq, che aumentò la propria quota di mercato. L'OAPEC era stata fondata per indurre alla moderazione quegli Stati arabi che tendevano a politicizzare il problema del petrolio; ma dopo l'ammissione dell'Egitto, dell'Iraq e della Siria (1972) l'elemento politico era emerso sempre più in primo piano. I paesi produttori appartenenti solo all'OPEC, pur non appoggiando apertamente il confronto diretto con Israele sul piano economico, lo utilizzarono volentieri come un mezzo per aumentare i prezzi. Nell'ultimo trimestre del 1973 il posted price del grezzo arabo-saudita fu quadruplicato, arrivando a 11,65 dollari per barile; i prezzi non risultarono più da negoziati con le compagnie petrolifere, ma furono fissati unilateralmente dal cartello OPEC.
Nella conferenza tenuta ad Algeri nel 1975 fu deciso che in futuro il prezzo del grezzo sarebbe stato commisurato al valore del petrolio destinato a scopi non energetici e ai costi dell'energia proveniente da fonti alternative, nonché al prezzo dei prodotti industriali, ai tassi d'inflazione e alle condizioni del trasferimento di beni e di conoscenze tecniche.
Alla strategia degli aumenti di prezzo unilaterali si è accompagnata la tendenza a sostituire i tradizionali contratti di concessione con accordi di partecipazione e ad emanare decreti unilaterali di statizzazione: si è così notevolmente accelerato quel processo di trasferimento della proprietà del grezzo che inizialmente era stato concordato come graduale. In seguito al mutamento dei rapporti di proprietà, si è giunti a un sistema caratterizzato da una pluralità di prezzi del grezzo, raggruppabili nelle seguenti categorie principali: 1) ‛petrolio di concessione' (equity oil), a disposizione delle compagnie petrolifere in base alle residue quote di partecipazione alle società estrattrici; 2) ‛petrolio di riscatto' (buy-back oil), spettante - in base ai mutati rapporti di proprietà - ai paesi produttori e da questi rivenduto alle compagnie petrolifere; 3) ‛petrolio governativo', spettante anch'esso ai paesi produttori in base alle loro partecipazioni e da essi venduto liberamente, oppure offerto come ‛petrolio bilaterale' in contrattazioni barter (permuta o scambio).
Per tutte e tre queste categorie il posted price rappresenta la base di calcolo del costo effettivo del grezzo alle compagnie petrolifere. Il seguente esempio di calcolo del prezzo di costo si riferisce al tipo Arabian light ed è fondato sul posted price di 13 dollari per barile valido al lo gennaio 1977:
Vige ormai la tendenza a smantellare i resti del vecchio sistema delle concessioni, in modo da eliminare i privilegi degli ex-concessionari. All'interno delle singole categorie, i prezzi del grezzo variano secondo la qualità e secondo le caratteristiche delle zone di provenienza (per esempio, il ‛differenziale di qualità' dipende dal tipo di petrolio, leggero o pesante, e dal minore o maggior tenore di zolfo); l'entità dei differenziali è flessibile entro certi limiti e tiene conto anche delle variazioni della domanda.
3. Le conseguenze dell'aumento di prezzo del petrolio sul mercato mondiale dell'energia e la stabilità del cartello OPEC. - Gli ambienti, per lo più d'impronta neoliberale, che ritenevano poco stabile il cartello OPEC e poco probabile il mantenimento di un prezzo elevato del grezzo si rifacevano al modello dinamico di concorrenza proprio della teoria economica, ragionando come segue. A causa dell'aumento di prezzo del petrolio OPEC e della necessità di assicurare i rifornimenti, la domanda di petrolio non proveniente dall'OPEC e di energie sostitutive sarebbe aumentata, e sarebbero quindi saliti i rispettivi prezzi; i profitti differenziali risultanti avrebbero indotto i produttori di energia estranei all'OPEC ad accrescere il volume delle loro offerte, e l'intensificarsi della concorrenza avrebbe finito col provocare un ribasso dei prezzi. Si sarebbe arrivati cioè a sostituire il petrolio dell'OPEC sia con petrolio ‛occidentale' più a buon mercato e di più sicuro approvvigionamento, sia con energie alternative, in un processo attivato da opportuni incentivi da parte degli Stati consumatori. A ciò si sarebbero aggiunti i risparmi sui consumi indotti dal maggior livello dei prezzi e da provvedimenti di carattere politico; accanto ai risparmi energetici veri e propri, vi sarebbe stata infine una quota di energia ‛sostituita' da maggiori investimenti di capitali. La riduzione della domanda avrebbe costretto gli Stati dell'OPEC a fissare dei contingenti di produzione, il che di norma porta allo scioglimento del cartello dei prezzi; e tale processo sarebbe stato ulteriormente favorito da divergenze di natura ideologico-politica.
Il fatto che tali previsioni non si siano finora verificate può essere ricondotto alle seguenti cause: 1) la mancanza di adeguate quantità di grezzo non proveniente dall'area OPEC e di energie alternative, mancanza dovuta sia ai notevoli tempi tecnici occorrenti per la creazione di nuove capacità produttive, sia alle difficoltà tecniche, legislative, amministrative ed economiche; 2) la scarsa elasticità della domanda di petrolio, almeno a breve termine, e l'insufficienza o l'inefficacia delle politiche adottate dai paesi consumatori per ridurre tale domanda; 3) il prevalere di una valutazione strettamente economica da parte dei membri del cartello nel prendere le loro decisioni.
La prima reazione del mercato mondiale dell'energia fu un adeguamento relativamente rapido del livello generale dei prezzi dell'energia a quello del petrolio OPEC, tranne che ciò non fosse impedito - come negli Stati Uniti - dall'esistenza di prezzi massimi del petrolio e del gas naturale nazionali; tale adeguamento fu giustificato con l'aumento dei costi di produzione e col maggior volume degli autofinanziamenti necessari per garantire la futura disponibilità di energia. I rapporti tra i vari costi possono cambiare notevolmente nel tempo, per esempio in seguito a processi inflazionistici che incidono fortemente sulle nuove tecnologie complesse, o per l'effetto ‛curva di apprendimento' tipico delle tecnologie ancora allo stadio di ricerca o di sperimentazione: ciò nondimeno, le relazioni tra i costi forniscono un primo orientamento circa la sostituibilità economica del petrolio del Medio Oriente. Sotto l'aspetto del resource cost il petrolio del Mare del Nord, il carbone, il gas naturale e l'uranio per produzione di elettricità rappresentano altrettante fonti alternative per l'approvvigionamento d'energia del mondo occidentale; tuttavia non si può ignorare che un aumento della produzione e dell'utilizzazione del carbon fossile urterebbe contro considerazioni di ordine ecologico, che in tutti i paesi la costruzione di centrali nucleari è soggetta a normative ufficiali che hanno portato talvolta a gravi ritardi, e infine che la capacità produttiva dei campi di petrolio e di gas naturale del Mare del Nord e dell'Alasca non è certamente in grado di ridurre sensibilmente, a lungo termine, la dipendenza del mondo occidentale dalle forniture OPEC. Nel 1977 la percentuale di tali forniture sul fabbisogno di grezzo dell'Occidente ammontava ancora al 64%, di fronte al 64,8% del 1973. La dipendenza dal petrolio OPEC potrà difficilmente ridursi, anche a medio e lungo termine, senza drastici provvedimenti di politica dell'energia, come si desume dal semplice fatto che gli Stati dell'OPEC, che coprivano nel 1977 il 50,4% della produzione mondiale, detengono il 68% delle riserve petrolifere di tutto il mondo. Poiché l'offerta di energia non proveniente dall'OPEC si è dimostrata relativamente poco flessibile, si comprende come il prezzo del grezzo stabilito dal cartello dei produttori non abbia subito finora nessuna pressione esterna apprezzabile.
La tesi dell'instabilità del cartello OPEC è stata anche motivata con le divergenze d'interessi e di condizioni economiche esistenti tra i vari paesi produttori. Un gruppo di Stati membri sostiene decisamente l'adozione a breve scadenza di prezzi elevati, in quanto la scarsa elasticità della domanda consentirebbe di realizzare subito ricavi anche cospicui; d'altra parte, le riserve da destinare alle future esportazioni sono per questi paesi relativamente modeste. Gli Stati arabi del Golfo Persico, e in primo luogo l'Arabia Saudita, sono interessati invece a una massimizzazione dei ricavi provenienti dalla vendita a medio e lungo termine del loro petrolio: avendo questi paesi riserve relativamente ingenti e modeste quote d'assorbimento interno di capitali, conviene loro perseguire una politica dei prezzi moderata, per non provocare da un lato l'insorgere di situazioni di squilibrio e di recessione economica generale nei paesi consumatori (in cui sono investite le eccedenze dei redditi da petrolio), e dall'altro un'accelerazione dello sfruttamento di fonti energetiche alternative, tale da compromettere i futuri ricavi. Finora, nelle discussioni svoltesi tra i membri dell'OPEC per stabilire i prezzi d'offerta è sempre emerso chiaramente questo dissenso. Per esempio, nel dicembre 1976 la richiesta dell'Iran di aumentare i prezzi del 40% si scontro con quella dell'Arabia Saudita di congelarli (o al massimo di aumentarli del 10%) per non mettere in crisi lo sviluppo economico mondiale. Come soluzione di compromesso, si giunse infine a un aumento del 5% da parte dell'Arabia Saudita e degli Emirati Arabi Uniti e a un aumento del 10% più un ulteriore 5% a partire dalla metà del 1977 - per i rimanenti paesi dell'OPEC. La notevole diminuzione delle vendite subita nel primo trimestre del 1977 dall'Iran (14%), dall'Iraq (17%) e dal Kuwait (40%) in seguito a questa differenziazione dei prezzi fece sì che gli Stati che praticavano prezzi più alti rinunziarono nell'estate del 1977 all'aumento previsto, mentre l'Arabia Saudita e gli Emirati aumentarono i loro prezzi del 50%, ricostituendo così un livello uniforme delle quotazioni OPEC.
Anche in periodi di notevoli difficoltà di vendita, come il 1974-1975, il cartello OPEC ha dimostrato di possedere una flessibilità sufficiente a evitare - senza ricorrere a contingenti di produzione - che le eccedenze di capacità agissero sul mercato provocando un crollo dei prezzi. Un ruolo essenziale spetta sotto questo riguardo all'Arabia Saudita, che contribuisce per quasi un terzo alla produzione media dell'OPEC (29 milioni di barili al giorno) e che per le sue enormi capacità produttive è in grado sia di sospendere l'estrazione di quantità abbastanza grandi di grezzo, sia - qualora gli altri Stati del cartello tentassero d'imporre aumenti di prezzo eccessivi - di riversare sul mercato quantità altrettanto grandi per disciplinarlo. Eventuali ribassi decisi da singoli membri del cartello non pregiudicano la sua stabilità; anche sul piano politico-ideologico la maggior cooperazione derivante dall'esistenza del cartello dovrebbe tendere a equilibrare le divergenze tra gli Stati membri. La rinunzia da parte dell'OPEC, nella conferenza di Caracas del dicembre 1977, ad aumentare i prezzi (se non altro per compensare i minori ricavi conseguenti alla caduta del dollaro) sta a indicare la prevalente razionalità economica del cartello, deciso a evitare l'effetto boomerang della contrazione di domanda che si avrebbe se la congiuntura mondiale fosse deteriorata da ulteriori aumenti di prezzo.
L'Agenzia Internazionale per l'Energia (AIE), fondata nel novembre 1974 come emanazione dell'Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE) da 16 Stati comprendenti tutti i maggiori paesi industriali dell'Occidente, tranne la Francia, non dev'essere intesa come un ‛controcartello dei consumatori'. Il suo è un programma energetico internazionale centrato, nel quadro di una visione globale della politica dell'energia, sui seguenti punti: 1) un dispositivo comune d'emergenza per fronteggiare le crisi di rifornimento, fondato sui tre principi del mantenimento di scorte, della limitazione dei consumi e della ripartizione tra i paesi membri; 2) un programma a lungo termine per la riduzione della dipendenza dalle importazioni (provvedimenti di risparmio energetico, sviluppo accelerato delle energie alternative, ecc.); 3) l'aumento della trasparenza del mercato petrolifero internazionale; 4) il dialogo tra paesi produttori e paesi consumatori.
Per l'importazione di grezzo e di prodotti petroliferi da paesi non appartenenti all'AIE è fissato un prezzo minimo di 7 dollari per barile, in modo da garantire la redditività degli investimenti in energie alternative da parte dei paesi membri.
4. La formazione dei prezzi del petrolio e l'economia mondiale. - L'aumento dei prezzi del petrolio va interpretato come un tentativo dei paesi produttori di rivendicare a sé una quota maggiore del prodotto mondiale (inteso come prodotto sociale aggregato dei paesi partecipanti al commercio libero mondiale), ossia di ridistribuire a proprio vantaggio la proprietà del potenziale produttivo dei paesi consumatori. Le crescenti pretese dei paesi produttori sul prodotto mondiale e sul complesso di fattori che lo determinano si riflettono nelle loro maggiori entrate valutarie: nell'arco di tempo tra il 1973 e il 1976 i redditi da petrolio sono aumentati di oltre cinque volte, sebbene nel 1976 le esportazioni dell'OPEC siano state leggermente minori che nel 1973. Dai dati sull'utilizzazione di queste entrate valutarie forniti dalla tab. XVII appare chiaro che l'assorbimento interno di capitali, cioè l'impiego delle entrate in valuta per pagare trasferimenti di beni reali, è di diverso ordine di grandezza per i vari Stati dell'OPEC: mentre in un paese come l'Arabia Saudita, con scarsa popolazione e un'alta quota di produzione petrolifera, le eccedenze di valuta sono sensibilmente crescenti, in un paese popoloso come l'iran esse diminuiscono a causa degli eccessivi incrementi delle uscite.
Per i paesi importatori di petrolio, il finanziamento del suo consumo mediante trasferimenti di beni reali rappresenta l'alternativa preferibile, in quanto si evita così la perdita di potere politico derivante dal trasferimento verso i paesi dell'OPEC di una parte del patrimonio economico nazionale. Non si può peraltro ignorare che i sempre maggiori trasferimenti di beni reali implicano degli aggravi sociali, nel senso che a ogni trasferimento corrisponde nei paesi importatori di petrolio un'uguale diminuzione del prodotto disponibile per essere distribuito ai vari gruppi sociali. La lotta per la distribuzione che ne deriva, potenzialmente inflazionistica, risulta tanto meno aspra quanto più si riesce a ottimizzare nel proprio paese l'impiego delle risorse importate, così che il trasferimento di beni reali sia compensato almeno in parte da un aumento del prodotto sociale. Un altro elemento di aggravio è dato dal fatto che nel trasferimento di beni reali vengono anche ‛esportate' capacità industriali: i beni d'investimento e il know-how tecnico destinati alla creazione di industrie e delle relative infrastrutture nei paesi produttori di petrolio creano una nuova concorrenza a svantaggio dei mercati nazionali.
I principali partners commerciali dei paesi dell'OPEC sono l'Europa occidentale (importazioni di petrolio per 53,5 miliardi di dollari e trasferimenti di beni reali per 30,7 miliardi di dollari nel 1976), il Nordamerica (rispettivamente 25,3 e 13 miliardi di dollari) e il Giappone (rispettivamente 21,5 e 9,3 miliardi di dollari); relativamente modesta è la quota di trasferimenti di beni reali da parte dei paesi in via di sviluppo estranei all'OPEC (6,6 miliardi di dollari su 25,3 miliardi di dollari di importazioni di grezzo). Alla fine del 1977 gli investimenti esteri dei paesi dell'OPEC ammontavano a più di 200 miliardi di dollari e quelli netti a 155 miliardi di dollari, contro soli 3 miliardi alla fine del 1973; le entrate annue derivanti ai paesi dell' OPEC da investimenti all'estero ammontavano alla fine del 1977 a circa 8 miliardi di dollari.
Mentre il brusco aumento dei prezzi del grezzo ha provocato su scala mondiale un aumento inflazionistico una tantum di alcune unità per cento, un potenziale inflazionistico molto maggiore è insito nella copertura dei deficit della bilancia estera dei paesi in via di sviluppo, deficit notevolmente accresciuti dall'aumento di prezzo del petrolio. Gli aiuti agli Stati deficitari non dovrebbero assolutamente essere finanziati mediante ulteriori emissioni di moneta: l'inflazione mondiale si aggraverebbe se il Fondo Monetario Internazionale si piegasse alle aspirazioni al cosiddetto link dei paesi in via di sviluppo, ossia al collegamento fra gli aiuti destinati allo sviluppo (incluse le sovvenzioni per gli acquisti di petrolio) e la concessione di diritti speciali di estrazione di minerali pregiati. Ciò significherebbe soltanto far aumentare le pretese sul prodotto sociale mondiale più rapidamente del prodotto stesso, aggravando così il processo inflazionistico. L'alternativa migliore sarebbe di cedere annualmente ai paesi in via di sviluppo una quota di prodotto mondiale in beni reali, non finanziata da emissioni di moneta e proporzionata alle loro reali esigenze.
6. Il ruolo futuro del petrolio
La necessità di previsioni a lungo termine circa la domanda e l'offerta di energia in generale e di petrolio in particolare nasce in primo luogo dall'esauribilità di tali risorse. Le future carenze delle varie fonti di energia - carenze non rispecchiate dagli attuali prezzi di mercato - devono essere anticipate e messe in conto nelle decisioni di politica energetica; questa politica deve orientare a lungo termine le strategie di regolazione della domanda e dell'offerta, perché gli effetti della sua azione (o inazione) di solito si risentono pienamente solo a distanza di uno o due decenni.
Data la notevole incertezza sui futuri valori delle variabili che determinano il consumo e l'offerta di petrolio, è indispensabile usare nelle previsioni il ‛metodo degli scenari', consistente nell'elaborare vari schemi di possibile andamento dello sviluppo, fondati su ipotesi plausibili. Si tiene conto delle incertezze sull'andamento delle variabili dello scenario assegnando ad esse un campo di variazione, e si cerca di identificare le conseguenze dei vari gruppi di ipotesi per dedurne le strategie da adottare. L'indagine sull'evoluzione a medio e a lungo termine della domanda e dell'offerta di petrolio svolta in base a tale metodo dal Workshop on Alternative Energy Strategies (WAES) è pervenuta ai seguenti risultati: nelle ipotesi messe a base degli scenari, riferiti all'anno 2000, la domanda di petrolio continuerà ad aumentare - a meno che non venga assoggettata a particolari restrizioni - con un ritmo relativamente più sostenuto per i paesi del Terzo Mondo. Rispetto al tasso medio annuo d'incremento del consumo di energia primaria (2,5-3,4%), quello del consumo di petrolio sarà nettamente minore (1,8-2,7%), riducendosi così a 1/3 o a 1/4 dei tassi medi d'incremento che si sono avuti nell'ultimo dopoguerra fino al 1973. Secondo le previsioni del WAES, è possibile che tale domanda non trovi più copertura già molto prima del 2000: a questa data, infatti, l'offerta potenziale dei paesi eccedenti non arriverebbe al 75% del fabbisogno d'importazione dei paesi deficitari, valutato nell'ipotesi che non vi siano restrizioni nei consumi. Nel caso più sfavorevole - tutt'altro che irrealistico - potrebbe manifestarsi una carenza nei rifornimenti già agli inizi degli anni ottanta o, al più tardi, sul finire del secolo.
Per quanto riguarda il gas naturale, secondo le stime del WAES la domanda dovrebbe crescere da circa 750 milioni di tonnellate equivalenti di petrolio (Mtep) a 1.050 o a 1.400 Mtep, a seconda dello scenario considerato. Quest'incremento appare relativamente modesto, se si pensa che la situazione delle riserve di gas è giudicata in complesso più favorevole di quella del settore petrolifero. A proposito di una più intensa utilizzazione delle riserve di gas per coprire il fabbisogno dei paesi industrializzati, occorre tuttavia richiamare l'attenzione sia sull'interdipendenza tra l'offerta di petrolio e quella di gas (il che implica una presumibile sintonia nelle politiche d'offerta da parte dei paesi dell'OPEC), sia sul crescente fabbisogno interno dei paesi produttori e sugli elevati costi di trasporto e di distribuzione. L'aumento delle importazioni di gas (specialmente allo stato liquido) è previsto nei diversi scenari WAES come necessario alla copertura del fabbisogno, nell'ipotesi di un'espansione dei consumi e di una flessione a lungo termine della produzione dell'Europa occidentale e degli Stati Uniti; tuttavia anche le valutazioni del WAES al riguardo presentano una serie di elementi d'incertezza, e pertanto la possibilità di sostituire al petrolio quantità sufficienti di gas viene giudicata in modo piuttosto pessimistico.
Nell'interpretare queste asserzioni va tenuto presente che la metodologia WAES, in cui la domanda e l'offerta di energia sono considerate indipendenti l'una dall'altra (sia pure sulla base di premesse unitarie), non può che portare a un deficit, o eventualmente a un'eccedenza; nella realtà, come lo stesso WAES indica concretamente, non potranno sussistere a lungo né deficit né eccedenze. Se l'offerta non riesce a coprire la domanda di una determinata fonte energetica, in regime di libera formazione dei prezzi questi dovranno salire, provocando una flessione quantitativa della domanda che tenderà a ristabilire l'equilibrio del mercato; lo stesso effetto potrà essere ottenuto con provvedimenti di politica energetica finalizzati a una contrazione della domanda. Ma in nessuno degli scenari del WAES viene raggiunto, sulla base delle premesse utilizzate, uno stato d'equilibrio nei rifornimenti: sia nel caso del petrolio che in quello del gas naturale, i deficit calcolati stanno a dimostrare che i prezzi dell'energia assunti nei diversi scenari sono troppo bassi e/o che la politica energetica ipotizzata non è abbastanza efficace da riequilibrare domanda e offerta.
La possibilità di un critico acuirsi della situazione dei rifornimenti è prevista già per gli anni ottanta anche dall'AIE, e a conclusioni analoghe è pervenuto uno studio della Exxon (World energy outlook). Secondo le previsioni dell'AIE, nel 1985 il fabbisogno mondiale di petrolio OPEC ammonterà - in base alle attuali tendenze di fondo e ai programmi energetici nazionali - a 42-54 milioni di barili al giorno (2,1-2,7 miliardi di tonnellate annue), di fronte a una contemporanea disponibilità massima da parte dell'OPEC di 36-40 milioni di barili al giorno (1,8-2,0 miliardi di tonnellate annue).
Le conclusioni da trarre per quanto riguarda la politica dell'energia sono evidenti: se si vuole evitare che l'energia diventi - a causa di forti aumenti di prezzo a intervalli relativamente brevi o di restrizioni quantitative - un fattore limitante dello sviluppo economico generale, occorre elaborare e avviare fin d'ora, a garanzia di una transizione esente da attriti, strategie di adeguamento rivolte a un impiego razionale e parsimonioso dell'energia, a un aumento delle quote d'incidenza delle fonti energetiche più abbondanti (carbone, combustibili nucleari) e allo sviluppo di nuove tecnologie energetiche, in modo da ridurre progressivamente la quota d'incidenza del petrolio. Le quantità di grezzo così ‛risparmiate' rimarranno disponibili a lungo termine per gli usi più importanti (petrolchimica, carburanti), per i quali il petrolio, stando alle attuali cognizioni tecniche, appare difficilmente sostituibile.
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