PETROLIO (XXVI, p. 32; App. I, p. 931; II, 11, p. 530)
Nel decennio fra il 1949 e il 1959 circa, l'industria e il mercato del p. hanno subìto profonde modificazioni. L'importanza assunta dal p. nell'economia mondiale, la diffusione e le dimensioni raggiunte dalle attività petrolifere, dalla ricerca mineraria al collocamento dei prodotti raffinati, le ripercussioni politiche di questo sviluppo, non consentono che sommarî accenni ai fatti e ai dati di maggiore importanza.
Ricerca e produzione. - La produzione mondiale di p. greggio è rapidamente e continuamente aumentata dai 468 milioni di t del 1948 ai 977 milioni di t del 1959. A questo incremento di circa il 110% hanno contribuito tutte le zone produttrici, ma in maggiore misura quelle scoperte nel periodo immediatamente precedente o immediatamente seguente la seconda guerra mondiale.
Gli S. U. A. sono rimasti il primo paese produttore, ma hanno avuto un incremento produttivo percentualmente assai inferiore a quello di altre grandi aree (27,2% dal 1948 al 1959), avendo anche subìto temporanei arretramenti nella estrazione, dovuti alle recessioni dell'attività economica del 1949 e del 1958-59; conseguentemente hanno visto scendere la loro quota sul totale mondiale dal 58% del 1948 al 35,5% del 1959. L'attività di ricerca è stata assai intensa ed ha subìto un rallentamento solo negli ultimi anni a causa del continuo aumento dei costi e della diminuzione della quantità di petrolio scoperta per unità di investimento. I risultati più importanti sono stati ottenuti nella piattaforma continentale del Golfo del Messico (coste del Texas e della Luisiana) e nella zona interna detta "Four Corners", ove si incontrano i confini degli Stati di Utah, Colorado, Arizona e Nuovo Messico. Anche i costi di produzione sono considerevolmente aumentati, dovendosi tra l'altro ricorrere al recupero secondario (iniezione di gas naturale, acqua) in un gran numero di campi in via di esaurimento o danneggiati dai metodi di coltivazione di rapina consentiti in passato dalle legislazioni degli Stati. La produzione annua media per pozzo è negli S. U. A. la più bassa del mondo, essendosi aggirata in questi ultimi anni intorno alle 600-700 tonnellate.
Nel 1959 il secondo posto nella graduatoria mondiale spettava ancora al Venezuela, al quale però si sostituirà ben presto l'Unione Sovietica. Escludendo S. U. A. e URSS, i soli due paesi ad un tempo forti produttori e forti consumatori, il Venezuela occuperà ancora a lungo una posizione di primato. Il Venezuela ha ripreso nel 1956, dopo un'interruzione di 10 anni, a rilasciare nuove concessioni e la ricerca si è di conseguenza intensificata, ma ha iniziato a rallentare nel 1959 data la situazione del mercato mondiale e gli ostacoli posti all'esportazione negli S. U. A.
Gli incrementi di produzione più spettacolari si sono verificati nel Medio Oriente, ove l'estrazione è passata da 56 milioni di t nel 1948 a 175 milioni nel 1957, salendo a 228 milioni nel 1959, soprattutto grazie all'espansione dei consumi dell'Europa alla quale i produttori del Medio Oriente forniscono attualmente l'85% del fabbisogno complessivo.
La produzione nell'‛Irāq, dopo aver raggiunto nel periodo 1945-1947 il livello di circa 4,6 milioni di t all'anno, scese nel 1948 e 1949 ma riprese a salire nel 1950 e compì un balzo in avanti nel 1952, con un aumento di 10 milioni di t rispetto al 1951, in conseguenza dell'arresto della produzione in Persia dopo la nazionalizzazione. La Persia aveva raggiunto nel 1950 una produzione di 31,7 milioni di t, che si ridusse a 16,7 milioni nel 1951 per cessare praticamente fino al 1954, allorché, risolta la crisi della nazionalizzazione, riprese un ritmo ascendente superando i 45 milioni nel 1959. L'Arabia Saudita, che aveva per la prima volta superato il milione di t annue nel 1944, ha progredito regolarmente fino ai 53,6 milioni di t nel 1959. Il Kuwait, comparso per ultimo fra i grandi paesi produttori del Medio Oriente, è passato da una produzione di circa 100.000 t nel 1946 a una produzione di 70 milioni nel 1959 (la più alta del Medio Oriente) grazie all'eccezionale fertilità e vastità dei suoi giacimenti (Burgan, Raudhatain).
Nelle altre zone di più antico sfruttamento, il Messico ha avuto nel 1959 una produzione di 13,5 milioni di t, superiore del 58% a quella del 1949 e più che doppia di quella dell'anno precedente la nazionalizzazione (1938); l'Indonesia ha pure visto un notevole sviluppo produttivo, passando da 4,3 milioni di t nel 1948 a 17 milioni nel 1959; la Romania, che sembrava durante la guerra avvicinarsi all'esaurimento delle riserve, ha potuto, grazie a migliorati metodi di coltivazione, ottenere nel 1959 la produzione mai prima raggiunta di 11,5 milioni di t.
Nell'Unione Sovietica importanti ritrovamenti effettuati nella zona Volga-Urali (cosiddetta "seconda Baku") hanno ridotto l'importanza delle vecchie aree produttive del Caucaso (72% della produzione totale nel 1940, 16% nel 1957), accrescendo notevolmente le disponibilità del paese. La produzione è passata da 29 milioni di t nel 1948 a 129 milioni nel 1959, ed il piano settennale 1959-65 prevede una produzione di 230 milioni nel 1965.
Nell'ultimo decennio circa, sotto la pressione della domanda continuamente crescente e con l'aiuto di più perfezionate tecniche di esplorazione geologica e geofisica e di perforazione, la ricerca è stata estesa a molti paesi del mondo che presentano bacini sedimentarî e che precedentemente erano stati trascurati. I risultati di questa attività esplorativa, ancora in corso, si sono rivelati di grande importanza ed hanno fatto apparire nelle carte petrolifere del mondo numerose zone produttive nuove. I piò importanti ritrovamenti si sono avuti nel Sahara Algerino (giacimenti petroliferi di Hassi Messaoud, Edjelé, Tiguentourine, Zarzaitine, Hassi el-Gassi scoperti dal 1956 al 1960, dai quali si prevede di ottenere una produzione di almeno 25 milioni di t nel 1965; giacimento di gas naturale di Hassi R'Mel avente riserve stimate a 700-800 miliardi di m3 ma di difficile sfruttamento a causa della sua localizzazione lontana dalle zone di consumo); in Libia, ove dal 1956 al 1959 sono stati effettuati numerosi ritrovamenti, il più importante dei quali è quello del giacimento di Zelten nel deserto cirenaico; nelle province occidentali del Canada (e particolarmente nell'Alberta), ove dopo decennî di vana esplorazione la scoperta del campo di Leduc nel 1947 aprì una fase di notevoli successi culminati nel 1953 con il ritrovamento del giacimento di Pembina, il maggiore del Canada; in Cina, giacimenti nella provincia del Hsinchiang; in India, ritrovamento nell'Assam e a nord di Bombay.
Nell'Europa occidentale sono entrati nel novero dei paesi produttori su scala industriale l'Italia (v. oltre); la Francia, col giacimento petrolifero di Parentis-en-Borne (Bordeaux), scoperto nel 1955, ed alcuni minori campi nel bacino di Parigi, oltre al giacimento di gas naturale di Lacq (Pirenei) individuato nel 1951, avente riserve recuperabili di 200 miliardi di m3; la Germania Occidentale, che con lo sfruttamento di numerosi piccoli giacimenti individuati tra l'Ems e l'Elba è divenuta il più forte produttore europeo (oltre 5 milioni di t nel 1959) togliendo il primato all'Austria ove la produzione è diminuita negli ultimi anni da oltre 3 milioni di t nel 1957 a 2,5 milioni nel 1959.
Riserve. - L'eccezionale intensità della ricerca e i suoi risultati nonché i miglioramenti introdotti nella coltivazione dei giacimenti e nei metodi di calcolo delle quantità di greggio in essi contenute, hanno elevato, nonostante la forte produzione, le riserve mondiali accertate da 10.500 milioni di t alla fine del 1948 a 39.000 milioni alla fine del 1958. In questi dieci anni si sono verificati notevoli spostamenti nelle posizioni relative delle varie zone produttive (v. tabella). L'incremento di circa il 270% è in massima parte dovuto alle eccezionali riserve dei giacimenti del Medio Oriente, che rappresentavano alla fine del periodo il 63,7% del totale mondiale contro il 44,3% alla fine del 1948, essendo aumentate del 433%. Per contro le riserve degli S. U. A. si sono accresciute soltanto del 50% e costituiscono il 13,56% del totale mentre ne costituivano alla fine del 1948 il 33,46%. Il rapporto riserve-produzione è purtuttavia migliorato negli S. U. A. e commisurato ad anni di consumo, al livello di produzione dell'anno precedente, è passato da 12,9 anni nel 1949 a 15,3 anni nel 1959.
Pur essendo il risultato di calcoli molto prudenziali, i dati riportati (desunti dalla fonte più autorevole ed accettata) rivelano come sia ormai fugata la preoccupazione, più volte sorta nei decennî precedenti, di veder assottigliarsi le riserve di fronte all'aumento dei consumi: preoccupazione alla quale è dovuta, unitamente al desiderio di tutti i paesi di divenire produttori e all'aumento dei costi negli S. U. A., la corsa al p. che da anni si svolge in tutto il mondo. Va poi rilevato che altre stime portano a totali più elevati assumendo l'attuale costo di estrazione, e alcune volte maggiori assumendo un costo doppio di quello attuale. La possibilità di soddisfare il fabbisogno mondiale, pur fortemente crescente, per un numero di anni assai rilevante è d'altra parte assicurata dalle immense riserve di schisti bituminosi (localizzate principalmente negli S. U. A., nel Colorado, Utah e Wyoming, e nel bacino canadese dell'Athabasca), per ora non convenientemente sfruttabili al livello attuale e prevedibile dei prezzi del petrolio.
Trasporto. - L'espansione dei consumi di p. dopo la guerra ha reso più marcata la non coincidenza fra zone di produzione e zone di consumo. Se si eccettuano gli S. U. A. e l'URSS, la parte di gran lunga maggiore della produzione ha luogo in paesi più o meno sottosviluppati nei quali il consumo interno è minimo o scarsamente rilevante rispetto alla produzione. Di qui l'enorme sviluppo assunto dai trasporti, marittimi e per oleodotto, di petrolio greggio e di prodotti raffinati.
Flotta. - La consistenza della flotta cisterniera mondiale (unità da 2.000 tonnellate di stazza lorda e oltre) è passata da 1.955 unità per 24.932.400 tdw (t di portata lorda) nel 1949 a 3.146 unità per 56.640.700 tdw alla fine del 1958. Nel decennio le caratteristiche della flotta delle petroliere sono alquanto mutate: la portata media unitaria è passata da 12.753 a 18.004 tdw e la velocità media è aumentata da 13,2 nodi a 14,6 nodi. L'aumento della portata unitaria e della velocità, la maggior rapidità di carico e scarico delle cisterne moderne, hanno notevolmente ridotto i costi di esercizio di queste unità e quindi determinato una forte spinta al rinnovamento della flotta. Di fronte al gran numero di nuove navi entrate in esercizio negli ultimi anni e di quelle ancora in costruzione, non si è però avuto un adeguato incremento delle demolizioni; cosicché, dalla metà del 1957, nonostante che le quantità trasportate siano continuamente aumentate, si è determinata un'eccedenza di capacità di trasporto. Questa eccedenza ha condotto al disarmo di numerose unità (381 per 6.137.700 t di portata lorda alla fine del 1959) e ad un notevole ribasso delle rate di nolo.
La ripartizione della flotta per paesi è resa imprecisa dal fatto che molte unità sono registrate sotto le cosiddette bandiere ombra (Liberia e Panama) per ragioni fiscali.
Oleodotti. - Gli oleodotti hanno acquistato grande importanza nei trasporti interni del greggio e dei prodotti, poiché consentono notevoli economie di costi rispetto ai trasporti ferroviarî e stradali, nonostante l'elevatezza dei costi d'impianto. Allo stesso scopo di ridurre i costi di trasporto intercontinentali servono gli oleodotti che abbreviano la lunghezza delle rotte marittime fra zone di produzione e zone di consumo. Tipici esempî di questa funzione sono gli oleodotti costruiti nel Medio Oriente, che trasportano al Mediterraneo orientale il greggio estratto nell'area del Golfo Persico evitando la circumnavigazione della Penisola Arabica e il passaggio del Canale di Suez col relativo pedaggio.
Nel dopoguerra, l'uso delle tubazioni di grande diametro (oltre i 12 pollici) e l'automazione dell'esercizio dei sistemi di oleodotti hanno modificato profondamente il quadro mondiale di questo sistema di trasporto.
Negli S. U. A. gli oleodotti per il trasporto del p. greggio costituiti da più tubazioni di piccolo diametro furono sostituiti con nuovi oleodotti di grande diametro ottenendo sensibili riduzioni dei costi di trasporto. Nel 1959 negli S. U. A. erano in servizio 160.000 miglia di oleodotti che trasportarono l'80% di tutto il petrolio greggio consegnato alle raffinerie. Gli oleodotti di piccolo diametro per il greggio furono in molti casi convertiti per il trasporto dei prodotti finiti. Altri nuovi oleodotti furono costruiti per i prodotti che aprirono alle raffinerie del Golfo del Messico i grandi mercati del nord-est. 45.000 miglia di oleodotti realizzarono nel 1959 il 20% di tutto il traffico di prodotti petroliferi nell'Unione.
Nel Canada, le scoperte petrolifere del dopoguerra portarono alla costruzione di due dei maggiori oleodotti del mondo: l'Interprovincial, 1.931 miglia da Edmonton ai Grandi Laghi e a Toronto; e il Trans-Mountain, 720 miglia da Edmonton a Vancouver e nel Washington.
In Venezuela, nel 1957 un nuovo oleodotto aprì alle esportazioni la nuova area produttiva occidentale di Barinas-Apure; nel 1958 un nuovo oleodotto di grande diametro è entrato in esercizio per l'esportazione della produzione delle regioni orientali. In Argentina è terminata nel 1960 la costruzione dell'oleodotto di 930 miglia per trasportare il greggio prodotto nella provincia settentrionale di Salta alla raffineria di San Lorenzo.
In ‛Irāk, nel 1950-52, agli oleodotti dai campi di Kirkūk al Mediterraneo, costruiti nel 1934 e nel 1944, ne è stato affiancato un altro di 30-32 pollici. Nel 1950, è entrata in esercizio la "Tapline", l'oleodotto di 1.069 miglia da 30-31 pollici dal Golfo Persico, attraverso la Penisola Arabica, fino al Mediterraneo orientale. In Persia un oleodotto per prodotti finiti di 700 miglia è entrato in esercizio nel 1957 da Abadan a Teheran.
Nell'URSS è stata iniziata nel 1958 la costruzione di un oleodotto di 2.300 miglia per il trasporto del greggio dall'area produttrice Volga-Urali fino a Omsk e dei prodotti da Omsk all'interno della Siberia. Successivamente ha avuto inizio la costruzione di una rete di oleodotti dai campi della regione Volga-Urali ai Paesi dell'Europa orientale. Partendo da Kujbyšev l'oleodotto raggiungerà Mozyr′, nella Russia Bianca, ove si dividerà in due tronchi: il primo attraverso la Polonia terminerà nella Germania orientale a Schwedt, sull'Oder; il secondo attraverserà la Cecoslovacchia fino a Bratislava, mentre una sua diramazione raggiungerà Budapest. Il sistema avrà una lunghezza complessiva di 2.500 miglia.
In Europa, il criterio recentemente accettato di portare le raffinerie all'interno delle zone di consumo anziché di ubicarle presso i porti, ha portato alla costruzione di due oleodotti dal Mare del Nord verso l'interno della Germania Occidentale: quello da Wilhelmshaven a Colonia e quello da Rotterdam a Wesel. Varî progetti sono stati impostati per rifornire raffinerie, da costruirsi nel nord-est della Francia e nella Germania meridionale, mediante oleodotti partenti da Marsiglia, da Genova e da Venezia.
Raffinazione. - Di pari passo con lo sviluppo della produzione di greggio e dei consumi di prodotti petroliferi, l'industria della raffinazione ha più che raddoppiato nel corso dell'ultimo decennio la propria capacità di lavorazione, la quale è passata - nei Paesi ad economia di mercato - da 482 milioni di t/anno nel 1950 a 957 milioni nel 1959.
Gli aspetti più significativi di tale sviluppo sono: a) l'aumento complessivo della capacità di lavorazione è il risultato dell'aumento della capacità media dei singoli impianti, la quale è all'incirca raddoppiata, e non dell'aumento del loro numero; b) lo sviluppo tecnologico, oltre all'eliminazione di numerosi piccoli impianti superati, ha comportato la costruzione di un gran numero di impianti speciali (cracking, reforming, desolforazione, alchilazione, ecc.), stimolata dalla crescente domanda di prodotti di alta qualità e dalla concorrenza tra i diversi operatori; c) si è avuto un forte spostamento della ubicazione degli impianti dalle aree di produzione alle aree di consumo. Il rapido aumento della capacità di raffinazione dei Paesi dell'Europa occidentale, passata da 45,4 milioni di t/anno nel 1950 a 180,8 milioni di t/anno nel 1959, e che pare destinata ad accentuarsi ulteriormente nei prossimi anni, ne è una conferma. Lo stesso fenomeno si è avuto negli S. U. A., in relazione anche all'espansione e all'aumento della capacità dei sistemi di oleodotti interstatali.
Consumi. - I prodotti petroliferi hanno continuato, nel corso dell'ultimo decennio, a soddisfare una parte sempre più larga del fabbisogno energetico mondiale. L'andamento dei consumi dei singoli prodotti nei principali mercati ha tuttavia assunto caratteristiche profondamente diverse da area ad area in relazione alle particolari condizioni di ciascuna di esse.
Nel principale mercato mondiale, gli S. U. A., al notevole incremento nei consumi di benzina (passati da 117,4 milioni di t nel 1950 a 174,1 milioni nel 1959) e nei consumi di gasolio (da 53,2 milioni di t nel 1950 a 88,4 nel 1959) ha corrisposto un ristagno nei consumi di olio combustibile (circa 84 milioni di t all'inizio e alla fine del periodo). Ciò si spiega con il fatto che in quel Paese si è avuto nel corso degli ultimi anni un fortissimo incremento nei consumi di gas naturale a scapito non soltanto del carbone, ma anche, in parte, dell'olio combustibile. Va aggiunto inoltre che nella produzione di termoelettricità il carbone ha potuto, soprattutto nelle aree di produzione, competere vantaggiosamente con le altre fonti di energia. Il crescente impiego del gasolio nel riscaldamento domestico e nei trasporti ferroviarî ha portato al notevole aumento dei consumi di questo prodotto; l'incremento maggiore resta tuttavia quello registrato dalla benzina, che ha consolidato nel corso dell'ultimo decennio la sua posizione di prodotto chiave della struttura dei consumi petroliferi americani.
Sui mercati europei l'andamento dei consumi è stato più omogeneo per i diversi prodotti di quanto non sia avvenuto negli S. U. A. Nel complesso sono i prodotti medî e pesanti (gasolio e olio combustibile) quelli che hanno registrato i maggiori incrementi. In Europa, infatti, la sostituzione del carbone, soprattutto nel settore dei trasporti ed in quello dei consumi industriali, è avvenuta principalmente ad opera dell'olio combustibile, essendo stata la disponibilità di gas naturale di entità relativamente modesta. Nei sei paesi del Mercato Comune il consumo di benzina è passato da 6 milioni di t nel 1950 a 14,7 milioni nel 1959, quello di gasolio da 4,7 a 22 milioni, quello di olio combustibile da 10,8 a 24,8 milioni. In Gran Bretagna gli incrementi sono stati da 5,8 a 8,2 milioni di t per il primo prodotto, da 3 a 5,5 per il secondo, da 7,5 a 14 per il terzo.
L'industria e il mercato del petrolio nel mondo. - I cenni descrittivi sopra riportati indicano già i notevoli mutamenti che si sono verificati nell'industria petrolifera nell'ultimo quindicennio sotto la spinta dell'espansione dei fabbisogni energetici e del progresso tecnico. Non minore rilievo hanno i cambiamenti che riguardano la struttura dell'industria e del mercato, e i rapporti fra i paesi detentori delle riserve e le compagnie petrolifere. Questi cambiamenti sono stati determinati da ragioni economiche e politiche e hanno avuto luogo sovente in conseguenza di gravi crisi internazionali.
Mentre nel periodo qui considerato è stata confermata la struttura verticalmente integrata dell'impresa petrolifera (dalla produzione del greggio alla vendita dei prodotti) sono venuti mutando il numero e le caratteristiche delle imprese che operano in questo settore. Lasciando da parte gli S. U. A. e l'URSS, che presentano situazioni particolari, l'attività petrolifera nel resto del mondo fino alla seconda guerra mondiale era praticamente monopolizzata da 7 compagnie: 5 americane (Standard Oil of New Jersey, Texas Oil, Socony-Vacuum, Standard Oil of California, Gulf Oil), 1 inglese (Anglo-Iranian, ora British Petroleum), 1 anglo-olandese (Royal Dutch-Shell). Queste compagnie operavano nei varî rami dell'industria e nei varî paesi attraverso società collegate, costituite da una o più di esse; una rete di accordi di partecipazione alla produzione del greggio e di scambî, di ripartizione di mercati, di formazione dei prezzi, ponevano nelle loro mani il controllo del mercato mondiale; costituivano insomma quello che con definizione approssimativa si è soliti chiamare il "cartello internazionale del petrolio". Dopo la guerra, il peso del cartello è però venuto attenuandosi. Numerose imprese "indipendenti" americane si sono impegnate in attività minerarie all'estero, spinte sia dai minori costi di produzione del greggio fuori degli S. U. A., sia dall'allargamento del mercato; in paesi prevalentemente consumatori, come quelli europei, sono sorte o si sono sviluppate società minerarie, di raffinazione e distribuzione private e pubbliche, operanti all'interno o all'esterno dei territorî nazionali (esempî tipici, il gruppo statale ENI in Italia, la folta schiera di società pubbliche sorte in Francia per la ricerca e la produzione nel Sahara e negli altri territorî africani, che si sono aggiunte alla vecchia Compagnie Française des Pétroles, interessata ai petrolî dell'‛Irāq e della Persia); compagnie pubbliche sono state create o potenziate in altri paesi produttori al fine di estendere il controllo statale sulla valorizzazione delle risorse nazionali (ad es., in Argentina, Bolivia, Colombia, Brasile, Egitto, Persia).
Il moltiplicarsi del numero delle imprese minerarie, l'estendersi e l'intensificarsi delle ricerche e i risultati di grande rilievo con esse conseguiti, hanno già modificato notevolmente la situazione del mercato del p. e poste le premesse per ancora più ampie modificazioni future. Da qualche anno si ha non solo una capacità di produzione eccedente la domanda, ma anche una concorrenza fra produttori, un tempo inesistente, che si riflette sui prezzi.
Il metodo di fissazione dei prezzi del greggio attuato dal cartello tendeva un tempo a dare prezzi uguali a greggi similari in qualsiasi porto di consegna del mondo, indipendentemente dal loro punto di origine. Inizialmente i prezzi del greggio erano pubblicati solo negli Stati Uniti.
Dal 1948 si cominciarono a pubblicare i prezzi (posted prices) anche nel Medio Oriente; essi vennero stabiliti a un livello che, aggiunto il costo del nolo, permettesse un prezzo c.i.f. nei porti della costa orientale degli S. U. A. uguale a quello del greggio proveniente dal Golfo del Messico. Dato il maggior costo del nolo dal Golfo Persico alla costa americana, il prezzo f.o.b. Golfo Persico risultava inferiore al prezzo f.o.b. Golfo del Messico. Questo scarto di prezzo consentiva di estendere fino agli S. U. A. l'area di mercato del petrolio del Medio Oriente.
Col sistema di fissazione dei prezzi adottato dalle grandi compagnie internazionali, la produzione americana ad alto costo determinava il prezzo anche delle aree produttrici a basso costo. La produzione interna degli S. U. A. (già contenuta dalla politica di conservazione delle riserve) ne risultava protetta senza che fosse necessario ricorrere ad un elevato dazio; le grandi compagnie internazionali realizzavano altissimi benefici dalle loro produzioni fuori degli S. U. A., facendo pagare ai consumatori un prezzo che non aveva alcun riferimento al costo di produzione delle aree che li rifornivano. Ciò divenne evidente quando, dopo la seconda guerra mondiale, l'Europa fu rifornita quasi del tutto dal Medio Oriente, l'area a costo più basso del mondo, anziché dall'emisfero occidentale. Questa situazione venne chiarita in uno studio della Commissione Economica per l'Europa delle N. U. apparso nel 1955, che sollevò molto scalpore negli ambienti petroliferi. (Un sistema analogo, basato sui prezzi dell'area di raffinazione del Mar dei Caraibi, determinava anche il prezzo internazionale dei prodotti raffinati).
Negli ultimi anni l'abbondanza dell'offerta di greggio ha cominciato a rendere autonomo il mercato dell'emisfero orientale da quello dell'emisfero occidentale, legato ad un sistema inelastico di costi. Questo fatto fu messo in luce dalle differenti variazioni nei posted prices che si ebbero nelle due aree dopo la crisi di Suez e dal fatto che dal 1957 anche i posted prices dei prodotti raffinati nel Golfo Persico sono inferiori a quelli del Golfo del Messico e del Mar dei Caraibi. Inoltre, le compagnie produttrici cominciarono a praticare sconti sui posted prices del greggio agli acquirenti indipendenti; la pratica di questi sconti continuò anche dopo la riduzione dei posted prices avvenuta nel 1958-59. In conseguenza di questa evoluzione il mercato mondiale del p. non è più rigidamente controllato come un tempo, anche se non è ancora divenuto veramente concorrenziale.
Per quanto riguarda l'andamento dei prezzi del greggio, ad aumenti nel 1946, nel 1947 e nel 1948, seguì una fase di stabilità nonostante i movimenti al rialzo dei prezzi di tutte le materie prime provocato dalla crisi coreana. Alla metà del 1953 si ebbe un aumento in tutte le aree di produzione, seguìto da un ulteriore aumento in concomitanza con la crisi di Suez: nel gennaio 1957 negli S. U. A. (+ 1,40-1,80 dollari la t), nel maggio dello stesso anno nel Medio Oriente (+ 1 dollaro circa la t). Fra il 1958 e il 1959 si ebbe una diminuzione in tutte le aree produttrici che nel Medio Oriente e nel Venezuela ha portato i prezzi ad un livello inferiore a quello precedente alla crisi di Suez. Un'ulteriore riduzione dei prezzi del greggio e dei prodotti raffinati è stata praticata nel Medio Oriente nell'agosto 1960.
Un elemento importante per l'evoluzione del mercato fuori degli S. U. A. è la politica americana nei riguardi dell'importazione di greggio e di olio combustibile. Nel 1948 per la prima volta gli S. U. A. divennero importatori netti; il governo favorì allora sia le attività americane all'estero, sia le importazioni, benché già dal 1949, anno di recessione economica, i produttori interni cominciassero una campagna contro le importazioni di p. a basso costo.
Nel 1955 il governo iniziò l'attuazione di un programma di limitazioni volontarie delle importazioni sulla costa orientale, esentando quelle dal Venezuela e dal Canada; nel 1957 il sistema venne rafforzato sulla base di una riduzione del 10% sulla media delle importazioni di ciascun importatore del 1954, 1955, 1956, e venne esteso alla costa occidentale e alle importazioni dal Canada. Ma intanto il numero delle società che intendevano importare p. aumentava continuamente e il greggio d'importazione faceva concorrenza sulla costa orientale, nonostante il maggior nolo e il dazio, al greggio proveniente dal Golfo del Messico. Nel marzo del 1959 il governo di Washington rese obbligatoria la limitazione, ragguagliando le importazioni ad una quota massima della somma della domanda interna e delle esportazioni di greggio, di semilavorati e di prodotti finiti. Tale limitazione si applicava alle importazioni da tutti i paesi; dal maggio del 1959 ne sono però esentate le importazioni via terra, e quindi praticamente dal Canada. La parziale chiusura del mercato americano accentuava l'eccedenza dell'offerta sulla domanda negli altri mercati e contribuiva ad aumentare la concorrenza fra i produttori e la pesantezza dei prezzi.
Nel periodo qui esaminato si sono verificati importanti mutamenti nei rapporti fra i paesi detentori delle riserve e le compagnie petrolifere. Già nel 1943 il governo del Venezuela pretese una partecipazione più larga agli altissimi profitti da queste realizzati, elevando al 16,66% la royalty dovuta sulla produzione ed enunciando per la prima volta il principio che lo Stato dovesse ricevere una quota dei profitti netti pari a quella delle compagnie. Furono così poste le basi della formula 50-50 che venne effettivamente realizzata in Venezuela nel 1948, attraverso successivi ritocchi delle imposte sul reddito e delle tasse, e che in seguito si estese ad altri paesi divenendo la formula classica delle concessioni petrolifere.
Il primo caso di applicazione nel Medio Oriente si ebbe nell'Arabia Saudita, ove la compagnia concessionaria ARAMCO concluse un accordo col governo il 30 dicembre 1950; seguirono il Kuwait (dicembre 1951) e l'‛Irāq (febbraio 1952).
L'accettazione da parte dell'ARAMCO della clausola 50-50 giunse quando da pochi giorni una Commissione del parlamento persiano presieduta da M. H. Moṣaddeq aveva respinto un accordo, sottoscritto dal governo nel luglio 1949, col quale i rapporti tra l'Anglo-Iranian Oil Co. e la Persia venivano regolati in maniera più favorevole al paese concedente che non con l'accordo in vigore dal 1933. La tendenza da tempo in atto in Persia a favore della nazionalizzazione dei petrolî si accentuò, ed ebbe il sopravvento, poco dopo che il Moṣaddeq era divenuto primo ministro, con l'approvazione, il 30 aprile, della legge di nazionalizzazione, promulgata dallo Scià il 1° maggio. Per effetto della resistenza opposta dalla AIOC, la produzione dei campi e l'esportazione di greggio e di prodotti dalla raffineria di Abadan cessarono interamente entro il mese di luglio. La lunga vertenza con l'AIOC e col governo britannico, che inflisse alla Persia notevoli perdite finanziarie, venne risolta solo con l'accordo 19-20 settembre 1954, che riconobbe la nazionalizzazione dei petrolî, stabilì il principio della ripartizione a metà dei profitti, affidò ad un Consorzio internazionale la gestione dei giacimenti e della raffineria di Abadan per conto della National Iranian Oil Company (NIOC), creata dalla legge di nazionalizzazione. ll Consorzio venne costituito dall'AIOC (40%), dalla Standard Oil Co. of New Jersey, dalla Gulf Oil, dalla Socony-Vacuum (ora Socony Mobil), dalla Standard of California e dalla Texas Oil (8% ciascuna), dalla Royal Dutch-Shell (14%) e dalla Compagnie Française des Pétroles (6%). Nel 1955 le cinque società americane cedettero ciascuna l'1% della propria quota a favore di un gruppo di nove compagnie indipendenti americane. Il risultato della lunga crisi fu l'ingresso in forza di interessi americani in una zona petrolifera dalla quale erano assenti, la riduzione delle posizioni britanniche, la stabilizzazione dei rapporti fra governi e compagnie in tutto il Medio Oriente sulla base del sistema delle concessioni e dell'attribuzione della metà dei profitti allo Stato, passivo percettore di royalties e di imposte.
Questa vittoria degli interessi petroliferi non ha tuttavia bloccato a lungo la spinta verso una maggiore tutela degli Stati.
Un criterio volto ad assicurare la parità di diritti delle due parti e l'effettiva partecipazione dello Stato allo sfruttamento delle sue risorse petrolifere, è stato adottato per primo dall'Ente Nazionale Idrocarburi. Gli accordi stipulati dal 1957 al 1960 dall'Ente pubblico italiano con la Persia, il Marocco, il Sudan, la Libia e la Tunisia, prevedono infatti la partecipazione di un ente di questi paesi con una azienda del gruppo ENI ad una società mista costituita per lo sfruttamento dei giacimenti che siano scoperti ad opera dell'azienda italiana. Con tale formula lo Stato produttore interviene direttamente nella gestione dell'impresa e riceve il 50% del profitto netto a titolo di royalties e imposte, e una quota della restante metà dei profitti proporzionale alla sua partecipazione al capitale della società.
Una modifica alla tradizionale formula 50-50 è stata invece apportata dagli accordi conclusi nel 1957 e nel 1958 da una società giapponese con l'Arabia Saudita e col Kuwait, che riceveranno, rispettivamente, il 56 e il 57% del profitto netto, anziché il 50%. Tali accordi dispongono anche per la lavorazione in loco di una quota del greggio prodotto e per la partecipazione dello Stato ai profitti realizzati dalla società concessionaria non solo nella fase mineraria ma anche nelle successive fasi del trasporto, della raffinazione e della distribuzione. A tale formula, che non ha avuto, sino alla metà del 1960, altre applicazioni, si rivolgono le simpatie di alcuni Stati arabi, i quali hanno tentato negli ultimi anni di darsi una politica petrolifera comune per accrescere il loro controllo sulle operazioni petrolifere e la loro partecipazione ai benefici. Posti di fronte all'unilaterale decisione delle compagnie internazionali di ridurre i prezzi nel Golfo Persico (agosto 1960), Persia, ‛Irāq, Kuwait, Arabia Saudita e Venezuela costituirono nel settembre 1960 la Organizzazione dei Paesi Esportatori di Petrolio (sigla inglese, OPEC), avente il compito di svolgere in comune un'azione di difesa dei prezzi, e quindi delle entrate statali, anche attraverso una limitazione internazionale della produzione del greggio.
Nel 1958 il Venezuela, pur senza modificare il sistema delle concessioni, ha elevato e reso più progressive le aliquote dell'imposta sul reddito, portando a circa il 60% la quota dei profitti riservata allo Stato.
Conseguenze rilevanti sull'industria petrolifera, e non solo a breve termine, ha avuto la crisi aperta nel luglio 1956 dalla nazionalizzazione della Compagnia Universale del Canale di Suez da parte del governo egiziano. L'ostruzione del Canale e il sabotaggio degli oleodotti del gruppo anglo-franco-americano Irak Petroleum Co. in conseguenza delle operazioni militari del novembre 1956, impedirono per molti mesi il trasporto marittimo del p. dal Golfo Persico al Mediterraneo e ne ridussero fortemente l'afflusso ai terminali degli oleodotti nel Mediterraneo orientale. Originata da situazioni estranee all'industria del p., la crisi di Suez ne dislocò tuttavia seriamente le operazioni, provocando riduzioni di produzione in ‛Irāq, aumenti anormali in quelle di greggio e di prodotti in Venezuela e negli S. U. A., restrizioni nei consumi europei, gravi aumenti nei noli marittimi e nei prezzi. Conseguenze più durature o permanenti si ebbero con l'intensificazione della ricerca petrolifera e della costruzione di raffinerie fuori dei paesi del Medio Oriente, determinate dalle preoccupazioni per la sicurezza dei rifornimenti, e con l'accelerazione nella costruzione di navi cisterna: tutti fatti che hanno contribuito a creare una situazione di eccedenza di disponibilità sul mercato, della quale si avvantaggiano solo in parte i consumatori, sui quali peraltro era ricaduto interamente l'onere della fase di rialzo dei prezzi provocata dalla crisi di Suez.
L'industria petrolifera in Italia. - Gli anni successivi alla seconda guerra mondiale sono stati caratterizzati, in Italia, nel settore dell'energia, dalla crescente importanza degli idrocarburi sulle altre fonti. Questo fenomeno si è manifestato non solamente nella lavorazione e nei consumi, ma anche nell'attività di ricerca e di produzione.
Sul piano legislativo, vanno ricordate la legge regionale siciliana per la ricerca e la produzione degli idrocarburi, emanata nel 1950; la legge 10 febbraio 1953 istitutiva dell'ENI (per l'attività di questo ente, v. anche eni, in questa App.) che raggruppava in questo organismo le diverse partecipazioni dello Stato nel settore petrolifero, ed attribuiva alla nuova azienda pubblica l'esclusiva della ricerca e della coltivazione degli idrocarburi nella valle Padana, dove già dal 1946 l'AGIP aveva effettuato importanti scoperte di giacimenti di gas naturale; la legge nazionale sugli idrocarburi dell'11 gennaio 1957, e infine le leggi regionali dell'Alto Adige-Trentino del 1958 e della Sardegna del 1959. La legge nazionale sugli idrocarburi, oltre a fissare i limiti delle aree dei permessi di ricerca e delle concessioni di coltivazione e a stabilire l'ettaraggio massimo consentito per ciascun operatore, dispone che il concessionario è tenuto a pagare, oltre alle normali imposte gravanti sulle aziende industriali, delle royalties sulla produzione secondo una scala crescente con l'aumentare della produzione per pozzo, da un minimo del 2,50% ad un massimo del 22%.
Nel campo della ricerca e della produzione mineraria, i fatti più salienti dell'ultimo decennio sono stati i rinvenimenti di estesi giacimenti di gas naturale nella Valle Padana e, di recente, nella Basilicata da parte dell'ENI, e la scoperta di due importanti giacimenti di petrolio greggio in Sicilia, a Ragusa e a Gela, il primo ad opera della Gulf Oil e il secondo ad opera dell'ENI. La produzione di gas naturale è salita da 510 milioni di m3 nel 1950 a 6.118 milioni di m3 nel 1959; quella di petrolio ed altri idrocarburi liquidi e liquefacibili da 10.000 a 1.755.000 t.
Nel settore della raffinazione il progresso registrato negli ultimi dieci anni è testimoniato dalle seguenti cifre: 5,4 milioni di t di greggio lavorate nel 1950, 26,3 milioni di t lavorate nel 1959.
Le ragioni di una così rapida espansione sono da ricercarsi da un canto nella domanda rapidamente crescente di energia, che in un paese privo di risorse carbonifere doveva essere coperta in misura sempre più larga da prodotti petroliferi, dall'altro nell'esistenza di condizioni internazionali favorevoli per la costruzione nel nostro Paese di impianti di raffinazione.
La tendenza a spostare le raffinerie fuori dai paesi produttori del greggio, accentuatasi a seguito della crisi persiana, è all'origine della creazione di raffinerie dirette a sfruttare per l'esportazione di prodotti petroliferi la posizione dell'Italia al centro del Mediterraneo. Sorsero con questa specifica funzione le grandi raffinerie della Mobil Oil It. a Napoli, e della RASIOM ad Augusta. Tra le altre vanno ricordate la SARPOM di Trecate e la CONDOR di Rho, entrambe collegate con oleodotti al porto di Genova; la INPET di La Spezia, la GARRONE di Genova, la SAROM di Ravenna, la APl di Falconara, nonché la IROM di Porto Marghera (in partecipazione fra AGIP e British Petroleum), e le raffinerie di Bari e di Livorno della società STANIC, creata con la partecipazione dell'Azienda pubblica italiana ANIC (dal 1953 nel gruppo ENI) e della Standard Oil of New Jersey. Numerosi altri impianti minori sorsero, specialmente nell'Italia settentrionale, in conseguenza della favorevole congiuntura del mercato petrolifero dopo il 1950.
Alla rapida espansione della capacità di distillazione seguì una fase di potenziamento degli impianti speciali per il miglioramento dei prodotti e in particolar modo della benzina.
L'elevato rapporto di compressione dei motori, caratteristica del parco automobilistico italiano, unitamente alle condizioni di vivace concorrenza nell'attività di distribuzione, portarono ad un progressivo aumento del numero di ottano. L'AGIP per prima elevò il numero di ottano del suo supercarburante a 92-94 RM nel marzo 1955 ed a 98-100 RM nel marzo 1956 e fu in questo subito seguìta dalle altre aziende raffinatrici.
Lo sviluppo della motorizzazione e l'intensificarsi della concorrenza fra le compagnie distributrici infittì rapidamente la rete di distribuzione stradale. A metà 1958 si contavano in Italia circa 25.000 punti di vendita (dei quali circa 3.000 erano stazioni di servizio) dotati di oltre 70.000 colonne di erogazione di benzina, gasolio e miscela per micromotori. Parimenti si sviluppò il sistema di depositi costieri e interni per questi prodotti e per l'olio combustibile, consumato in misura crescente per usi industriali e domestici.
I consumi interni di benzina auto crebbero da 583.000 t nel 1950 a oltre 2 milioni nel 1959 (+ 248%); quelli di gasolio sono aumentati da 749.000 a 2.325.000 (+ 214%); quelli di olio combustibile (esclusi i rifornimenti alle navi e i consumi di raffineria) da 2.277.000 a 8.600.000 (+ 276%) tonnellate. I gas di petrolio liquefatti (GPL) ebbero l'incremento più forte: da 25.000 a 600.000 tonnellate (+ 2.300%) e sono oggi diffusi, attraverso un sistema capillare di distribuzione, in ogni centro abitato del paese ed usati da milioni di famiglie, anche delle meno abbienti, grazie al prezzo notevolmente più basso che all'inizio della diffusione di questo comodo e pulito combustibile.
Le esportazioni di prodotti petroliferi ebbero il massimo sviluppo dal 1953 al 1955 e nel 1954 superarono i consumi interni; poi questi crebbero gradatamente mentre si ridussero le quantità esportate, che nel 1959 corrispondevano a circa un terzo della produzione.
L'espansione dei consumi interni è destinata a continuare. Per la benzina essa è stata favorita nel marzo e nel maggio del 1960 dalla riduzione del prezzo ex raffineria e dell'imposta di fabbricazione, per un totale di 20 lire al litro. I consumi di olio combustibile, nonostante la maggior produzione di gas naturale, si stima debbano essere nel 1965 il doppio di quelli del 1959.
Bibl.: P. H. Frankel, Essentials of petroleum - A key to oil economics, Londra 1946; J. G. McLean e R. W. Haigh, The growth of integrated oil companies, Boston 1951; Federal Trade Commission, The international petroleum cartel, Washington 1952; R. Cassady, Price making and price behaviour in the petroleum industry, New Haven 1954; S. H. Longrigg, Oil in the Middle East, New York 1954; L. M. Fanning, Foreign oil and the free world, New York 1954; Nations Unies, Commission Économique pour l'Europe, Les prix des produits pétroliers en Europe Occidentale, Ginevra 1955; H. O'Connor, The empire of oil, New York 1955; B. Shwadran, The Middle East oil and the great powers, Londra 1955; P. Sylos Labini e G. Guarino, L'industria petrolifera negli Stati Uniti, Canada e Messico, Milano 1956; M. Laudrain, Le prix du pétrole brut, Parigi 1958; S. Raciti, The oil import problem, New York 1958; Institute of Petroleum, Competitive aspects of oil operations, Londra 1958. - Principali riviste: Rassegna Petrolifera, Roma, Petrole-Informations, L'Industrie du Pétrole, Parigi; Petroleum Press Service (ed. inglese e francese), Petroleum Times, Londra; Oil and Gas Journal, Tulsa; World Petroleum, Petroleum Week, New York.
Lavorazione del petrolio.
Lo sviluppo delle raffinerie è stato influenzato negli ultimi trenta anni, più che da qualsiasi altro fattore, dalla necessità di ottenere benzina con più elevato numero di ottano (NO), cioè dalle esigenze dei motori a scoppio. Ma anche gli altri prodotti e soprattutto quelli impiegati nei motori a combustione interna, per esempio i lubrificanti, hanno influito sull'evoluzione dei processi di raffinazione. Molti sono poi i progressi tecnologici dettati dalla ricerca dell'economia di esercizio degl'impianti. Passeremo in rassegna i principali sviluppi nella preparazione dei prodotti petroliferi, dal 1947 al 1959, esaminando successivamente le varie fasi della lavorazione.
Distillazione. - Nelle raffinerie moderne si costruiscono esclusivamente impianti di distillazione continua. Gli impianti sono a uno, due o tre stadî, generalmente a due o a tre, a seconda dei prodotti che si vogliono ottenere e quindi dei tipi di greggi che si trattano. L'impianto più semplice a uno stadio è costituito da un forno tubolare e da una colonna frazionatrice a piatti che separa il p. in un residuo e varie frazioni distillate, che vanno a colonne di strippaggio (ingl. stripping) di cui vedremo la funzione. Gli impianti a due stadî possono essere con entrambe le colonne a pressione atmosferica, o con una a pressione ultra-atmosferica e l'altra a pressione atmosferica, o con una a pressione atmosferica e l'altra in depressione (distillazione sotto vuoto). Gli impianti a tre stadî hanno la seconda colonna a pressione atmosferica e la terza sottovuoto; la prima può essere a pressione atmosferica o a pressioni superiori all'atmosferica di 1,4-3,5 atmosfere.
Diamo ora una descrizione di un ciclo di lavorazione a tre stadî. Il greggio, passando successivamente in scambiatori che scambiano calore rispettivamente con la benzina pesante, il p. lampante, il gasolio, provenienti dalla colonna del secondo stadio, viene portato a 150 ÷ 170 °C e immesso a circa metà della colonna di prefrazionamento, che, com'è stato detto, può lavorare a pressione di 1,4-3,5 atmosfere al di sopra della pressione atmosferica. In testa alla colonna passa una benzina leggera che viene raffreddata, condensata e portata poi alla pressione atmosferica: i vapori che si separano vengono riportati alla sommità della colonna.
La colonna di prefrazionamento ha i seguenti scopi: alleggerire il lavoro del forno tubolare e della colonna del secondo stadio, in quanto si distilla una parte della carica a spese del calore di scambio; evitare la corrosione della colonna del secondo stadio, in quanto i composti solforati e altri composti acidi vengono eliminati con la benzina leggera. D'altra parte nella colonna di prefrazionamento non si fa uso di vapore di strippaggio, e ciò tende a diminuire la corrosione: infatti nel basso della colonna, anziché vapore, s'introduce una piccola frazione dell'olio uscente dal fondo della colonna di prefrazionamento, portata a 260 °C in una sezione del forno tubolare. La sovrapressione a cui è tenuta in qualche impianto la colonna di prefrazionamento serve a facilitare la condensazione della benzina leggera. Il residuo del prefrazionamento, tranne la piccola frazione di cui si è detto sopra, viene riscaldato ulteriormente prima in scambiatori di calore dal distillato pesante e dal residuo della distillazione sotto vuoto, e poi nel forno tubolare. All'uscita di questo, entra nella colonna atmosferica, nel fondo della quale è introdotto vapore, che ha il compito di abbassare la temperatura di distillazione dei varî prodotti. In genere si hanno una frazione che esce dalla testa, benzina di densità 0,73 che viene raffreddata e condensata e tre distillati intermedî: benzina pesante (densità o,77-0,78), p. lampante (0,82) e gasolio (0,85). Questi tre distillati vengono sottoposti in colonne separate (che costruttivamente, come nell'impianto schematizzato, possono formare una sola colonna) allo strippaggio con vapore; questa operazione corrisponde alla rettifica dei vecchi impianti discontinui; il vapore innalza il punto iniziale di distillazione, e i vapori che escono dalle colonne di strippaggio, composti di idrocarburi ed acqua, rientrano nella colonna principale, al disopra del piatto da cui è stato prelevato il prodotto (piatto di presa).
Il residuo uscente dal basso della torre di frazionamento va ad un secondo forno tubolare, ed è poi immesso in una torre dove è mantenuta una pressione di circa 120 mm di mercurio. Dal basso di questa colonna, nella quale viene anche immesso vapore, esce bitume, mentre a diversa altezza vengono prelevati dei distillati, che possono servire come lubrificanti o come gasolio (0,90). La temperatura a cui l'olio entra nella colonna dipende dal tipo di bitume che si vuole ottenere ed è a ogni modo intorno a 400 °C. Il vuoto è assicurato da eiettori a vapore che aspirano i gas incondensabili.
Mentre la distillazione a pressione atmosferica richiede un consumo di circa 1,7-1,8% di olio rispetto alla carica per il riscaldamento e 5% in peso di vapore, la distillazione sotto vuoto, malgrado il preriscaldamento a 300 °C, richiede oltre il doppio di olio e da 7 a 10% di vapore, di cui circa 3% per mantenere il vuoto nella torre. Il consumo più elevato è dovuto al fatto che tutto il calore di evaporazione viene fornito dal forno, mentre nella distillazione atmosferica in parte è ceduto dagli scambiatori; inoltre la maggiore temperatura ed il maggiore diametro della torre a vuoto comportano disperdimenti più che doppî; in più bisogna ricordare che il calore specifico degli olî aumenta rapidamente con la temperatura. Anche il consumo di acqua di raffreddamento è maggiore per un impianto a vuoto, in quanto vi è una maggiore quantità di vapore da condensare e altra acqua occorre per l'eiettore. Per un impianto atmosferico, occorrono da 6 a 8,5 m3 per tonnellata di carica; per un impianto a vuoto la quantità d'acqua sale a 10-12 m3.
Le dimensioni della colonna sono in relazione con la capacità di trattamento: una torre di frazionamento per una capacità di 10.000 barili/giorno (circa 1.900 t/giorno) può avere un'altezza di 60 m ed un diametro di 6,5 m.
Ci siamo soffermati su questo schema di lavorazione in quanto da esso appaiono alcune tecniche, che sono adottate anche in altri impianti, e che sono intese a ridurre il consumo di calorie, a mantenere a temperature basse i cicli di lavorazione e a ottenere prodotti ben definiti.
Passiamo ora a parlare dei vari processi di conversione del p.: si distinguono in questo campo trattamenti termici e catalitici quali il cracking, il reforming, l'idrogenazione, l'isomerizzazione, la polimerizzazione, l'alchilazione, e trattamenti chimici quali la raffinazione. Accenneremo ai varî progressi compiuti nei varî campi.
Cracking. - Il cracking termico quale mezzo per aumentare la resa di benzina (XXVII, p. 51) non viene più adottato nelle moderne raffinerie, quasi principalmente perché la benzina ha un NO troppo basso per le moderne esigenze. Si costruiscono ancora impianti per due processi termici, che hanno come principale oggetto la riduzione della quantità e il miglioramento della qualità dell'olio combustibile. L'ottenimento di benzina è un risultato secondario. Uno è un cracking blando di residui che va sotto il nome di vis-breaking o "riduzione di viscosità", l'altro è invece un cracking spinto, con produzione di coke, detto appunto coking.
Vis-breaking. - Come dice il nome, è un cracking che conduce a un olio meno vischioso dell'olio di partenza che può essere un residuo della distillazione nel vuoto, o un estratto con propano; collateralmente si ha una certa resa di benzina: in generale si spinge il trattamento fino ad ottenere non più di 8-9% di benzina leggera. Questa in genere ha un NO non elevato (71-75) ed un contenuto in zolfo che può essere alto, se era alto lo zolfo nell'olio di partenza. Tuttavia in qualche caso, dopo averla raffinata con il trattamento Doctor (XXVII, p. 29), la benzina leggera può essere adoperata in miscela con altra benzina. Si ottiene anche benzina pesante, 3-4%, ma questa ha NO decisamente troppo basso e si deve pretrattare e poi sottoporre al reforming, oppure si aggiunge al residuo. Questo può servire come olio combustibile, ed ha bisogno di una quantità di diluente (gasolio) per portarlo alla viscosità voluta, che può essere solo il 50% del diluente necessario per portare alla stessa viscosità l'olio di partenza. Ovvero si può ottenere dal prodotto privato di benzina un gasolio pesante, materia prima per il cracking catalitico, ed un residuo che può servire di carica per il coking (v. oltre). La severità del trattamento cresce con l'aumentare della temperatura, pressione o durata del riscaldamento. I prodotti che danno i migliori risultati sono quelli poveri di asfalteni.
Un impianto di vis-breaking consta essenzialmente di: un forno tubolare, dove la carica, dopo essere stata scaldata in scambiatori di calore, è portata a temperatura di 480-500 °C a pressioni da 4-20 kg/cm2; una camera che la carica attraversa mentre si compiono le reazioni di demolizione molecolare; una colonna dove il prodotto, raffreddato a circa 440-450 °C all'uscita dalla camera di reazione mediante un'iniezione di gasolio leggero, viene decompresso e frazionato in un distillato e un residuo (colonna di flashing); una colonna di frazionamento, dove il distillato della colonna precedente si separa in benzina (leggera e pesante) e gasolio; eventualmente una colonna a vuoto, dove il residuo della colonna di flashing viene separato in gasolio pesante e residuo, di cui abbiamo visto i possibili impieghi.
Coking. - Per quanto il coke di p. possa avere usi pregiati, quale principalmente la preparazione di elettrodi, gli impianti di coking sono più spesso impiegati per ridurre la quantità di olio combustibile e fornire distillati pesanti che possono servire di carica per impianti di craking catalitico. Per la preparazione di elettrodi, il trattamento di coking è limitato a cariche con basso contenuto di zolfo. Si distinguono 3 tipi di impianti di coking.
Coking ritardato. - È il tipo derivato dai cracking termici con camera di coking (v. App. I, p. 931). Il residuo della distillazione nel vuoto che esce dalla torre a 315 °C è portato (fig. 2) in un forno tubolare a 490-495 °C e inviato dal basso in una camera a coke. Di solito vi sono almeno due camere a coke, una in funzione, l'altra in fase di svuotamento. Ciascuna camera percorre un ciclo di 48 ore, cosicché ogni 24 ore una delle due camere viene vuotata. Questa operazione si compie mediante un getto di acqua che esce da una lancia mobile. Dall'alto della camera escono i vapori a 440 °C, che vengono inviati ad una torre di frazionamento, da cui si ottiene benzina, gasolio e un residuo che torna in ciclo. Il gasolio non è adatto per motori diesel veloci, ma può servire come carica d'impianti di cracking catalitico o come diluente per olio combustibile. La benzina va trattata e miscelata per poter servire come carburante. La resa in coke varia in genere da 10 a 30% in peso della carica, a seconda della natura di questa. Si forma anche gas combustibile.
Coking a letto fluido. - Il coking in fase fluida è un processo continuo che sfrutta la tecnica della catalisi in fase fluida (v. App. II, 11, p. 531) pur non usando catalizzatore. Il prodotto è iniettato attraverso ugelli direttamente nel letto fluido, costituito da particelle di coke, tenute in, agitazione da vapori del prodotto e da vapore d'acqua. Il reattore è manteriuto tra 480 °C e 540 °C e ad una pressione che nella parte superiore è intorno a 1,5 atm. La carica in parte dà luogo a prodotti più leggeri che attraversano il letto fluido, abbandonando il reattore attraverso cicloni che trattengono la maggior parte del coke trascinato. Il resto della carica forma coke che si deposita sulle particelle presenti. I vapori che escono dal reattore entrano in una torre di lavaggio, dove le gocce di liquido che sono state trascinate ed il pulviscolo di coke non trattenuto dai cicloni si raccolgono nel fondo e vengono riciclati. I vapori che escono dalla torre di lavaggio vengono frazionati con i metodi usuali in gasolî e distillati leggeri. Il calore necessario alla pirogenazione è fornito introducendo continuamente nel reattore coke caldo, proveniente dal forno, dove ritorna il coke relativamente freddo che esce dal basso del reattore e che viene preventivamente privato di olio a mezzo di vapore d'acqua. Nel forno una parte del coke brucia ed a questo scopo s'introduce aria in quantità sufficiente per portare la temperatura tra 590 e 650 °C. La pressione è la stessa che nel reattore. L'eccesso di coke viene eliminato dal forno e viene bagnato con acqua, per impedire che bruci. Per una stessa carica si ottiene meno coke che con il processo precedente, in quanto una parte brucia. Ma con cariche molto pesanti si può ottenere anche il 40% di coke.
Coking a letto mobile. - È anch'esso un processo continuo, che si avvale di un reattore e di un forno. Il reattore è percorso dall'alto in basso da pezzetti di coke. La carica entra dall'alto, la parte che vaporizza viene prelevata a metà altezza del reattore, la parte che si trasforma in coke va ad ingrossare i pezzetti che entrano dall'alto ed escono dal basso, dove una corrente di vapore li solleva fino alla sommità del forno, in una tramoggia, da cui la parte maggiore passa nel forno, mentre una piccola parte va ad un classificatore, da cui esce il coke prodotto. Nel forno una parte del coke brucia per ottenere il calore necessario, il rimanente esce dal basso a quasi 600 °C e viene sollevato alla sommità del reattore. I vapori che escono dall'uscita a metà del reattore vengono frazionati in una torre, ed il residuo ritorna al coking.
Cracking catalitico. - I processi che s'impiegano per ottenere direttamente benzina da frazioni pesanti sono quelli di cracking catalitico (v. App. II, 11, p. 531). Tra questi, quelli a catalizzatore fisso sono ormai abbandonati, a favore dei processi a letto fluido e a letto mobile.
Quali catalizzatori s'impiegano silicati di alluminio o di magnesio naturali (montmorilloniti) o artificiali, qualche volta con aggiunte di altri metalli combinati. I catalizzatori a base di silice e allumina danno meno benzina dei catalizzatori a base di silice e magnesia, ma il numero d'ottano è più alto e maggiore è la produzione di C3 e C4. I catalizzatori silice-magnesia perdono meno rapidamente l'attività. Hanno in comune la caratteristica di contenere ioni idrogeno, tanto che posti in acqua le impartiscono reazione acida. Questi catalizzatori indirizzano le reazioni di cracking secondo un meccanismo diverso da quello del cracking termico.
Questo si svolge attraverso la formazione di radicali, molecole incomplete e instabili che si formano per urti tra molecole che provocano il distacco di un atomo di idrogeno da un idrocarburo o la rottura di un legame carbonio-carbonio. I radicali, che sono elettricamente neutri (cioè in essi gli elettroni bilanciano le cariche positive dei protoni), subiscono altre trasformazioni per urti successivi e danno luogo finalmente a miscugli gassosi, dove predomina l'etilene, miscugli liquidi, dove vi sono molte olefine, e prodotti solidi.
Invece il cracking catalitico è caratterizzato dalla formazione di ioni carbonici, in quanto olefine che si formano in un primo tempo si combinano con gli ioni idrogeno strappati al catalizzatore, dando spezzoni di molecole con un atomo di carbonio insaturo e avente carica positiva. Gli ioni possono o combinarsi con olefine o spezzarsi in olefine e ioni più piccoli. Poiché ioni con meno di tre atomi di carbonio sono instabili, nei processi di cracking catalitico si forma relativamente poco etilene, e grandi quantità di idrocarburi a 3 e 4 atomi di carbonio, saturi e non saturi. Inoltre nelle frazioni liquide vi sono meno olefine che in quelle del cracking termico, alla stessa temperatura, e più idrocarburi alifatici ramificati ed aromatici. Per una stessa produzione percentuale di benzina, con il cracking catalitico si forma meno olio pesante e maggior quantità di coke e di idrocarburi a quattro atomi di C, che nel cracking termico. Ecco un confronto del cracking di due gasolî simili:
Ed ecco un confronto tra i NO Research e Motor di benzina di cracking termico e catalitico:
Coi processi di cracking catalitico, a differenza dei processi di cracking termico, la carica è generalmente costituita da distillati e non da residui. I motivi sono due, essenzialmente: i metalli contenuti nei p. (e che si ritrovano nelle ceneri, quando un petrolio brucia) e che si accumulano nei residui, depositandosi sul catalizzatore, ne altererebbero assai presto le proprietà; gli asfalteni, che anche si concentrano nei residui, darebbero luogo ad una formazione di coke sui catalizzatori troppo ingente. Ora nei processi a catalizzatore mobile, la capacità di un impianto è data dalla quantità di coke depositato sul catalizzatore che si riesce a bruciare nel rigeneratore. Si potrebbe costruire un rigeneratore molto grande, ma allora la massa di catalizzatore in movimento diventerebbe ancora più ingente di quella che è quando si trattano distillati, e che è già assai grande come vedremo.
La preparazione della materia prima per il cracking catalitico riceve sempre maggiore attenzione. Una notevole economia di esercizio si può ottenere riducendo i "contaminanti" dei catalizzatori, principalmente metalli ed anche composti azotati. Inoltre la desolforazione preventiva migliora i prodotti ottenuti. Tra i processi impiegati, sono l'idrogenazione, la deasfaltazione con propano ed il trattamento con solventì selettivi quali furfuroio e fenolo. Questi trattamenti allargano la gamma dei prodotti trattabili negli impianti di cracking catalitico, dai distillati ai residui di distillazione, e migliorano le rese, quando vengono applicati agli olî di riciclo.
Un esempio dell'applicazione di parecchi di questi processi si ha nella raffineria di Baytown (Texas) della Humble Oil (schema riportato nella fig. 3). All'unità di cracking va direttamente solo il gasolio di prima distillazione. Il gasolio di distillazione sotto vuoto viene sottoposto preventivamente ad una idrodesolforazione. Il residuo della distillazione sotto vuoto viene trattato con propano, la parte non solubile, cioè l'asfalto, viene eliminata dal ciclo, mentre il raffinato passa alla idrodesolforazione e poi al cracking catalitico. I prodotti ottenuti da cracking vengono anch'essi distillati prima a pressione atmosferica, poi sotto vuoto, ed i distillati medî si estraggono con fenolo; l'estratto aromatico esce dal ciclo, e il raffinato ritorna al cracking catalitico. Il residuo della distillazione sotto vuoto dei prodotti provenienti dal cracking subisce lo stesso trattamento del residuo della distillazione sotto vuoto del greggio, prima di ritornare al cracking catalitico: cioè, deasfaltazione con propano e idrodesolforazione.
Cracking con catalizzatore in fase fluida. - Una descrizione sommaria del processo si trova in App II, 11, p. 531. Vi sono varî processi, ESSO Modello IV, l'Universal Oil Production, Fluid Catalytic Cracking, l'Ortoflow Kellog, che differiscono soprattutto per la disposizione del reattore e del rigeneratore. Nella fig. 4 è riportato un disegno schematico dell'ESSO Modello IV. L'UOP-FCC e l'Ortoflow Kellog differiscono per avere il reattore sistemato al disopra del rigeneratore in un'unica torre. I catalizzatori sono in granuli il cui diametro è compreso tra 50 e 80 micron. Il rapporto catalizzatore/olio è 7-8:1. Un impianto da 41.000 barili al giorno (circa 5500 t) contiene circa 1000 t di catalizzatore che circola tra reattore e rigeneratore alla velocità di circa 40 t al minuto. La temperatura, che è tra 460 e 525 °C nel reattore, sale a 610 °C nel rigeneratore. Le pressioni assolute sono di 1,6 e 2 kg/cm2 rispettivamente.
Cracking con catalizzatore a letto fluido. - Sono noti due processi di questo tipo, il TCC ed l'Houdryflow. In essi il catalizzatore è un silicato di alluminio naturale o artificiale; s'impiegano sferette di circa 3 mm di diametro, di materiale poroso e quindi avente un grande sviluppo superficiale: l'estensione della superficie arriva a 420 m2 per grammo di catalizzatore.
Nei primi modelli TCC il catalizzatore veniva sollevato a mezzo di sollevatori a tazze. Ciò limitava il movimento del catalizzatore di modo che il rapporto catalizzatore/olio variava da 2:1 a 3:1. La carica doveva essere in gran parte allo stato di vapore, perché il contenuto di calore della massa catalitica non sarebbe stato sufficiente a fornire il calore latente di evaporazione all'olio. Quindi la carica doveva essere relativamente leggera. In seguito è stato introdotto il gas-lift e ciò ha permesso di aumentare il rapporto catalizzatore/olio a 4:1 e anche fino a 8:1. Conseguentemente è diminuito il rapporto tra carica immessa allo stato di vapore e carica immessa allo stato liquido.
Nei recenti modelli TCC il reattore è sistemato ad altezza maggiore del rigeneratore. Da una tramoggia il catalizzatore cade nel reattore, percorrendolo dall'alto in basso. L'olio, in parte allo stato di vapore, in parte allo stato liquido, entra anch'esso dall'alto e a circa 3/4 dell'altezza del reattore i vapori escono dal reattore da una tubulatura laterale e vanno al frazionamento. Il catalizzatore viene trattato con vapore, nell'ultima parte del reattore, per rimuovere l'olio ancora aderente, poi cade nel rigeneratore, che percorre dall'alto in basso, sempre per gravità, insieme con aria calda che serve a bruciare il coke; quindi è raccolto in un vaso, da cui viene sollevato con una corrente d'aria fino alla tramoggia di caricamento del reattore. La temperatura è nel reattore tra 460 e 525 °C, e la pressione di 1,6 kg/cm2; nel rigeneratore, temperatura circa 620, pressione 2 kg/cm2. Nel modello Houdryflow Catalytic Cracking, reattore e rigeneratore appaiono come un unico recipiente. Il reattore è anche qui sopra il rigeneratore e per il sollevamento del catalizzatore si adoperano fumi e vapor d'acqua. La carica è unica, di olio e vapori.
Cracking catalitico di residui. - Abbiamo visto le ragioni per cui i residui non vengono sottoposti al cracking catalitico, senza avere subìto un processo di deasfaltazione. È stato tuttavia brevettato un processo, derivato dal precedente, per residui. Le ceneri che vanno a ricoprire il catalizzatore, nel rigeneratore si sfaldano ed il catalizzatore non risulta così permanentemente inquinato. Naturalmente la capacità del rigeneratore deve essere adeguata alla maggior quantità di coke che si dovrebbe bruciare. Fino ad oggi (1960) il processo non si è diffuso.
Reforming. - Il reforming è quella operazione termica cui si assoggetta la benzina per migliorare il suo potere antidetonante. Si distingue, come per il cracking, il reforming termico da quello catalitico. Prima della guerra esistevano solo i metodi di reforming termico. Oggi i nuovi impianti sono prevalentemente catalitici.
Il reforming termico. - Differisce dal cracking termico in fase liquida per la natura della carica, che è benzina anziché gasolio o residui, per la temperatura più alta, intorno a 550 °C anziché 450-500 °C, in relazione con la maggiore stabilità della carica (gli idrocarburi a catena aperta sono tanto più stabili quanto più basso è il peso molecolare) e per la pressione più alta, 50-60 atmosfere invece di 20-25. Mentre un tempo la carica preferita per il reforming termico era benzina pesante, oggi nelle raffinerie dotate anche di reforming catalitico si mandano al reforming termico i riformati catalitici leggeri per la ragione che diremo. Nel reforming termico avvengono reazioni di deidrogenazione, di ciclizzazione, di isomerizzazione e anche di polimerizzazione, per cui si ha anche una piccola percentuale di prodotto più pesante della carica. Il riscaldamento avviene in un forno tubolare, all'uscita del quale il prodotto viene raffreddato rapidamente a circa 350 °C per arrestare le reazioni di cracking, mediante immissione di gasolio. La pressione viene abbassata a 15 atmosfere, e il miscuglio vaporizza quasi interamente, abbandonando una frazione liquida pesante, olio combustibile. I vapori sono condotti ad una torre di frazionamento dove si ha una separazione tra il gasolio, che esce dal fondo, un petrolio che si condensa a metà della colonna e un prodotto di testa, benzina, che viene condensata, e prodotti gassosi. La benzina è poi stabilizzata, ed i gas, insieme con i gas provenienti dalla stabilizzazione, vengono lavati per estrarre gli idrocarburi a 3 (C3) e a 4 (C4) atomi di carbonio. Le rese in benzina sono del 65-75% con numeri di ottano Research e Motor che possono essere fino a 50 e 40 punti rispettivamente più alti di quelli della carica. L'aumento di NO dipende naturalmente dal NO della carica e dalla severità dell'operazione: quanto più basso è il NO della carica, e quanto più severo è il trattamento, tanto maggiore è l'aumento del NO. Il NO Research di benzina di reforming termico, con l'aggiunta di piombo tetraetile, può superare 90. I C3 e C4, che possono rappresentare il 10-15% della carica, contengono notevoli percentuali di olefine, e sono una materia prima per i processi di polimerizzazione e di alchilazione.
Reforming catalitico. - I processi catalitici sono prevalentemente a letto fisso su catalizzatori a base di platino. Sono anche impiegati catalizzatori a base di ossidi di molibdeno e alluminio, in processi a letto fisso o letto fluido. Nel reforming catalitico, che viene condotto in presenza di gas contenenti idrogeno, non si ottengono olefine, che sono presenti nelle benzine di reforming termico, ma si ha deidrogenazione dei nafteni ad aromatici ed isomerizzazione delle paraffine.
I processi a catalizzatore fisso a base di platino sono noti con il nome di Platforming, Catforming, Houdryforming e Ultraforming o Powerforming. Essenzialnente gli impianti sono costituiti da due a quattro camere di reazione e altrettanti serpentini di riscaldamento. La carica insieme con il gas di riciclo viene riscaldata prima in scambiatori di calore e poi in un serpentino immerso in un forno, ed inviata alla prima camera di reazione; all'uscita della prima camera, i prodotti vengono riscaldati in un secondo serpentino e avviati alla seconda camera. E così di seguito, tra due camere di reazione, i prodotti vengono riportati a temperatura in un serpentino. All'uscita dall'ultima camera i prodotti vengono raffreddati prima negli scambiatori, poi con acqua e finalmente, dopo aver separato i gas ricchi di idrogeno che in parte ritornano in ciclo, la benzina viene stabilizzata in apposita colonna.
I varî processi differiscono per la composizione del catalizzatore, che pure è per tutti a base di platino. Nel Platforming, la carica deve essere anidra; il catalizzatore viene usato a lungo e poi viene tolto dai reattori e sostituito con catalizzatore fresco, mentre da quello usato si recupera il platino. La temperatura varia tra 450 e 510 °C, la pressione tra 20 e 55 kg/cm2. Se la carica contiene molto zolfo, è vantaggioso rimuoverlo preventivamente mediante idrogenazione, o eliminare dal gas l'idrogeno solforato, prima di riciclarlo. Nel Catforming si hanno le stesse condizioni di temperatura; pressione tra 35 e 50 kg/cm2. Si può rigenerare in situ il catalizzatore, che è particolarmente resistente all'umidità ed allo zolfo della carica. Nell'Houdryforming si raccomanda, come per il Platforming, di evitare che lo zolfo in ciclo aumenti troppo, sia mediante idrogenazione preventiva della carica, sia mediante eliminazione dell'idrogeno solforato dai gas di riciclo. Normalmente il catalizzatore non viene rigenerato in situ, ma è possibile farlo. L'Ultraforming o Powerforming (si tratta dello stesso processo) differisce dagli altri per il fatto che è prevista una rigenerazione ciclica del catalizzatore. Le pressioni di lavoro sono in genere più basse (15-20 kg/cm2) e le temperature più alte (480-510 °C) che negli altri processi.
Con il reforming catalitico si hanno rese di benzina del 93-97% con NO Research, che, con piombo tetraetile, arriva a 95-96. Sacrificando le rese, si può arrivare anche a NO Research intorno a 100. Si ha anche una certa produzione di idrogeno, tra 120 e 170 m3 per t di benzina trattata: la quantità dipende dalla carica (è maggiore se questa contiene nafteni in elevata percentuale) e dalla pressione (è maggiore se la pressione è minore). Questo idrogeno serve in raffineria per le operazioni di idrogenazione cui si è accennato nella preparazione delle cariche per il cracking catalitico e per il reforming stesso. I primi impianti di reforming catalitico usavano catalizzatori a base di molibdeno su supporti di allumina. Si adoperavano diversi reattori, per es. quattro, di cui due in fase di reazione, due in fase di rigenerazione. Si operava a temperature di 520 °C e pressione di 16 kg/cm2 e lo scopo del trattamento era prevalentemente l'ottenimento di idrocarburi aromatici. Questi impianti furono impiegati anche in Germania per ottenere benzine ad alto contenuto di aromatici e negli S. U. A. durante la guerra per ottenere toluolo. Le rese erano dell'ordine di 72-73% in peso. Dopo la guerra negli S. U. A. sono stati impiegati questi impianti per il tradizionale scopo di migliorare il NO. Poi hanno ceduto il posto ad apparecchi a letto fluido anziché fisso. Nel Fluid Hydroforming infatti è applicata la tecnica dei solidi fluidificati al reforming catalitico. Come nel cracking in fase fluida, si ha un reattore ed un rigeneratore, che però è, in proporzione, di dimensioni assai più ridotte, in quanto il coke che si forma, riferito alla carica, è in quantità assai minore.
Anche la tecnica del catalizzatore a letto mobile è applicata nel reforming, nel processo Thermofor Catalytic Reforming (TCR) derivato dal TCC, e che impiega catalizzatori a base di ossido di cromo su allumina.
Isomerizzazione. - Il reforming catalitico ha poco effetto sulle benzine che distillano sotto 90 °C. Infatti le benzine di reforming catalitico si possono frazionare in un prodotto più pesante ad alto NO e un prodotto più leggero che non contenendo nafteni ad anelli a 6 termini, passibili di deidrogenarsi ad aromatici, ha un NO più basso. Solo potrebbero avvenire reazioni di isomerizzazione di idrocarburi paraffinici a catena dritta. Ma per compiere più efficacemente questa reazione, sono stati concepiti speciali processi di isomerizzazione; si possono anche, come abbiamo visto, assoggettare queste frazioni al reforming termico, ma si hanno allora perdite sensibili. Alcuni processi di isomerizzazione ricorrono a catalizzatori a base di platino, simili a quelli impiegati per il reforming catalitico; altri invece usano il cloruro di alluminio anidro. Questi processi sono soprattutto impiegati sulle frazioni C5 e C6: gli idrocarburi a catena dritta vengono trasformati in idrocarburi a catena ramificata.
La termodinamica mostra che questa isomerizzazione è favorita dall'abbassarsi della temperatura, per cui i processi di isomerizzazione che usano catalizzatori al platino vengono condotti alla più bassa temperatura compatibile con l'attività dei catalizzatori e comunque a temperatura più bassa di quella impiegata nei processi di reforming, dove si ha come scopo principale la deidrogenazione dei nafteni: reazione che, essendo endotermica, è favorita invece dall'innalzarsi della temperatura. I processi di isomerizzazione con catalizzatori a base di platino si compiono in reattori simili a quelli usati per il reforming, e la reazione viene condotta in presenza di idrogeno, che non prende però parte alla reazione. La temperatura oscilla tra 340 e 450 °C, la pressione tra 20 e 70 kg/cm2. L'effluente dal reattore, dopo separazione del gas, insieme con la carica, composta per es. di esani, viene frazionato in colonna in un prodotto di coda, esano normale, che va al reattore, ed un prodotto di testa, miscuglio di esani ramificati, che viene ulteriormente frazionato in un prodotto leggero, componente per supercarburanti, ed un prodotto pesante, per carburanti normali. Infatti con l'aumento della ramificazione, i NO degli isomeri aumenta ed il punto di ebollizione diminuisce.
Per isomerizzare miscugli di pentano ed esano con cloruro d'alluminio, si scioglie acido cloridrico nel miscuglio e lo s'introduce insieme a idrogeno in seno ad un liquido ottenuto precedentemente contenente complessi di cloruro di alluminio e idrocarburi. Si opera a temperatura di 105-120 °C e pressione da 45 a 55 kg/cm2. Il prodotto di reazione viene frazionato in un prodotto di testa costituito da butano e pentani e un prodotto di coda, costituito da esani e prodotti più pesanti. Le due frazioni vengono rettificate ulteriormente e si ottiene dalla prima, dopo separazione dei C4, isopentani e pentano normale. Dalla seconda si separano gli isoesani dall'esano normale e idrocarburi più pesanti. Di questi il pentano normale e l'esano normale ritornano in ciclo. La percentuale di trasformazione è più alta nel processo al cloruro di alluminio che in quello con catalizzatore al platino, stante la più bassa temperatura di reazione. Il processo al cloruro d'alluminio è stato applicato, prima che a prodotti liquidi, al butano per ottenerne isobutano, prezioso per i processi di alchilazione di cui parleremo in seguito. Nella fig. 5 è riportato uno schema semplificato del processo.
Stacci molecolari. - Un processo che è stato sviluppato recentemente, per ora (1959) allo stadio d'impianto pilota, comporta l'impiego di una zeolite sintetica che ha la proprietà di trattenere gli idrocarburi paraffinici normali, che penetrano nel reticolo, mentre gli altri idrocarburi non vengono assorbiti. Sostanze di questo tipo vengono chiamate "stacci molecolari", in quanto permettono la separazione di molecole di forma diversa. Nel caso in questione, una volta che la zeolite è satura di idrocarburi normali, si procede alla fase di desorbimento, impiegando vapori di isopentano o idrocarburi gassosi come mezzo desorbente, rigenerando così lo staccio che è pronto per la prima fase, cioè l'assorbimento. Questo processo si presta per migliorare il NO di prodotti varî, quali gasoline naturali, benzine di reforming, separando da essi gli idrocarburi normali che sono i componenti a NO più basso. Inoltre può essere di valido ausilio ai processi di isomerizzazione, per separare gli idrocarburi normali, che devono ritornare in ciclo, dagli isomeri, che costituiscono il prodotto finale.
Alchilazione. - Questo processo consiste nell'addizionare all'isobutano idrocarburi non saturi. Durante la seconda guerra mondiale s'impiegò negli S. U. A. un processo termico che conduceva al neoesano (2-2 dimetilbutano), componente per miscele avio, che si otteneva per alchilazione dell'isobutano con etilene tra 490 e 515 °C alla pressione di 400 kg/cm2. Questo processo è ora abbandonato, e si ricorre a due processi catalitici, uno dei quali usa acido solforico, l'altro acido fluoridrico. In entrambi i casi, la carica preferita è isobutano e butileni ed il miscuglio che si ottiene è composto principalmente di isoottano. Si formano inoltre altri ottani ed anche composti più pesanti. Il processo è esotermico. Nel processo con acido solforico, il miscuglio di isobutano e butileni viene mescolato con acido proveniente dal decantatore mediante una pompa di circolazione che invia l'emulsione al reattore. I componenti sono stati previamente raffreddati, in modo che la reazione ha luogo a 3-4 °C ed a pressione poco più che atmosferica. Il miscuglio passa ad un decantatore, l'acido torna in ciclo, gli idrocarburi vengono lavati con soda e poi successivamente liberati dal propano, dall'isobutano che ritorna in ciclo, e dal butano. Si separa poi l'alchilato leggero da quello pesante. È molto importante mantenere nella zona di reazione un alto rapporto tra isobutano ed olefine (almeno 5:1) per evitare la polimerizzazione delle olefine. Il rapporto tra acido e idrocarburi è mantenuto tra 1-2:1. L'acido si diluisce durante l'uso per reazioni di ossidazione, per assorbimento d'idrocarburi e di acqua. Quando cade a 85% si comincia a rinnovarlo in parte e ad aggiungere acido solforico al 98-100%. Il consumo di acido solforico va da 80 a 200 kg/t di alchilato.
Nel processo con acido fluoridrico, la reazione si conduce a 38 °C e 7 kg/cm2. Lo schema del processo è simile al precedente. Soltanto, dallo strato di idrocarburi che si separa nel decantatore, si elimina in una prima colonna l'acido fluoridrico disciolto (bolle a 19,4 °C), che viene rimandato in ciclo. Una piccola porzione dell'acido che si separa in fondo al decantatore viene portata alla rigenerazione, dove si separa catrame e un azeotropo acqua-acido fluoridrico al 37%. I consumi di acido fluoridrico sono assai più bassi che nel caso dell'acido solforico, circa 2 kg/t di alchilato.
Polimerizzazione. - I processi di polimerizzazione catalitica, con catalizzatori a base d'acido fosforico (v. carburanti, in questa App.), sono ancora usati, congiuntamente con i processi di reforming termico, che portano ad un'elevata percentuale di idrocarburi non saturi, ed ai processi di cracking catalitico. In molte raffinerie moderne però, dove sono adottati processi di reforming catalitico e non vi sono impianti di cracking catalitico, non si costruiscono più impianti di polimerizzazione.
Raffinazione. - I prodotti ottenuti per distillazione o trattamenti termici che vengono raffinati sono i gas petroliferi liquefatti (GPL: propano e butano e idrocarburi etilenici corrispondenti), le benzine, il p. lampante e i lubrificanti; qualche volta anche i gasolî. Per i lubrificanti v. lubrificanti, in questa App. I processi di raffinazione hanno principalmente per scopo l'eliminazione dello zolfo e soprattutto dei composti corrosivi dello zolfo e la stabilizzazione dei prodotti, mediante rimozione di taluni componenti aggressivi o poco stabili o che catalizzano reazioni nocive. Possono anche tendere a migliorare il colore e l'odore dei prodotti finiti ed in qualche caso a rimuovere gli idrocarburi aromatici. I processi di raffinazione sono ad azione chimica o ad azione fisica.
Raffinazione con mezzi chimici. - Acido solforico: è il reattivo più antico usato nella raffinazione di tutti i prodotti petroliferi. La sua azione è multiforme e i suoi effetti variano a seconda della concentrazione, temperatura e durata dell'azione. L'acido solforico riduce il contenuto in zolfo, elimina i composti azotati, elimina i dieni presenti nelle benzine ottenute per cracking o reforming termico, che sono responsabili per la formazione di gomme, e riduce il tenore in gomme, se sono già presenti. Si può anche usare per eliminare gli aromatici da una benzina solvente o da un p. illuminante. Di solito il trattamento con acido solforico è seguito da un trattamento con acqua e soda caustica ed una ridistillazione, in quanto, se sono presenti idrocarburi non saturi, l'acido solforico ne può provocare la polimerizzazione. La concentrazione dell'acido solforico impiegato in raffineria varia tra 90 e 100%; il rapporto acido solforico/idrocarburi va da 1% per benzine di distillazione e 2% per benzine di cracking a 30% se occorre eliminare gli idrocarburi aromatici.
Il trattamento può essere discontinuo o continuo. Nel primo caso si usano grandi recipienti a fondo conico, che possono avere fino a 200 t di capacità; il rimescolamento si fa con agitatoi a paletta, se la quantità da trattare non supera 20 t, o con pompe di circolazione. Per prodotti più pesanti del p. lampante, si può usare anche insufflazione di aria. Il trattamento continuo comporta un sistema di mescolamento di due correnti continue, p. es. pompa centrifuga, turbomescolatori o semplicemente un recipiente riempito di corpi solidi; un decantatore, per separare il grosso dell'acido; un altro recipiente, pieno di lana di vetro attraverso cui passa la fase oleosa, per trattenere le ultime tracce di melme solforiche.
L'acido solforico è tuttora assai usato nelle raffinerie, ma la sua importanza è certamente diminuita, di fronte al sorgere di processi che impiegano altri reattivi.
Soda caustica: è impiegata per rimuovere l'idrogeno solforato ed altri composti acidi preesistenti, o che si formano dopo il trattamento con acido solforico, ed in parte i mercaptani. Si impiega soluzione al 15% circa. La reazione con idrogeno solforato è però irreversibile, e si adopera la soda solo se le quantità di idrogeno solforato sono molto piccole.
Processo Solutizer: la soda elimina i mercaptani tanto più completamente quanto più basso è il loro peso molecolare, in quanto i mercapturi di sodio più pesanti rimangono in parte sciolti nella fase oleosa. Ma s'è trovato che impiegando soluzioni di soda, o potassa, con aggiunte di sali di sodio o potassio di acidi organici, a 3-5 atomi di carbonio, l'estrazione è assai più completa. I composti di potassio sono preferibili, avendo le soluzioni viscosità un poco inferiore e un potere solvente maggiore. Tipiche soluzioni sono da 4 a 6 volte normali rispetto alla potassa e da 1 a 3 volte normali rispetto all'isobutirrato di potassio, che è il sale preferito. Le soluzioni si possono poi rigenerare, sia eliminando i mercaptani per riscaldamento (che favorisce l'idrolisi dei mercapturi), sia ossidando con aria le soluzioni, dopo aver aggiunto un catalizzatore, come il tanninn: i mercaptani si trasformano in solfuri insolubili, che si possono estrarre con benzina.
Processo Doctor: consiste nel trattare benzine o p. lampanti con soluzioni di soda caustica che contengono in sospensione litargirio e piccole quantità di S. I mercaptani RSH reagiscono secondo l'equazione: 2RSH + S + PbO = R−S−S−R + PbS + H2O. Viene migliorato l'odore delle benzine, ma il contenuto in zolfo rimane pressoché uguale. La soluzione contenente in sospensione il PbS si rigenera mediante insufflamento d'aria. Il processo Doctor è meno usato di un tempo, essendo un processo costoso ed ottenendosi, p. es. con il Solutizer, una maggiore riduzione del tenore in zolfo. Una variante è il processo Straco, che impiega sospensioni di solfuro di piombo il quale favorisce l'ossidazione dei mercaptani a disolfuri.
Ipoclorito: per l'eliminazione dei mercaptani, s'impiega anche l'ipoclorito, che ossida i mercaptani a disolfuri. Occorre però agire con soluzioni diluite, o,5 normali, ed in presenza di un eccesso di alcali, per evitare formazioni di acidi solfonici per ulteriore ossidazione dei mercaptani e solfuri. Inoltre si evita d'impiegare questo processo in presenza di elevate concentrazioni di olefine, in quanto si formano gomme.
Cloruro di rame: vi sono diversi processi basati sull'ossidazione di mercaptani mediante soluzione di cloruro rameico, che viene ridotto a rameoso. Successivamente, in una seconda fase, il liquido viene rigenerato, come nel processo Perco; in altri processi è l'ossigeno sciolto negli idrocarburi che provvede alla rigenerazione continua del reattivo.
Idrogenazione: l'idrogenazione condotta a temperatura relativamente bassa può servire come mezzo per eliminare lo zolfo e saturare doppî legami. Abbiamo già parlato di questa operazione tra quelle cui possono essere assoggettati i gasolî prima del cracking catalitico. Ma il trattamento può anche avere altri scopi, in particolare il gasolio può essere idrogenato per ottenere un prodotto finito quasi esente da zolfo e con migliore numero di cetano (v. carburanti, in questa App.). L'idrogenazione si può condurre a 380 °C e 50 atmosfere su catalizzatore fisso, di solito molibdato di cobalto. Per prodotti che richiedono un trattamento più drastico, si può salire con la pressione a 80 atmosfere ed impiegare più di un reattore, in modo da poter periodicamente rigenerare il catalizzatore. In un processo che si applica a benzine pesanti e p. per autotrazione, non si aggiunge idrogeno, in quanto alla temperatura dell'operazione si forma, per deidrogenazione dei nafteni, idrogeno sufficiente per operare la desolforazione.
Raffinazione con mezzi fisici. - Adsorbimento: un tempo si usava carbone attivo, oggi gli adsorbenti più usati sono terre attive. Le benzine ed i p. dopo trattamento con acido vengono qualche volta trattati per contatto con terre. (Anche i lubrificanti e le paraffine vengono sottoposti a questo processo). Oppure benzine di cracking o reforming termico vengono inviate in fase vapore su terre attivate: in questo caso si ha una azione chimica in quanto sostanze instabili, che formerebbero gomme se rimanessero nei prodotti, vengono polimerizzate e condensate.
Trattamento con solventi: questo trattamento è tipico anch'esso dei lubrificanti. Ma vi sono altre applicazioni. Abbiamo già visto che il trattamento con furfurolo può essere impiegato per la preparazione di cariche per il cracking; anche per migliorare il N di cetano dei gasolî (v. carburanti, in questa App.). Invece il trattamento con anidride solforosa è indicato per estrarre dal p. lampante gli idrocarburi aromatici che ne aumenterebbero la fumosità.
Schemi di raffinazione. - Le raffinerie possono differire l'una dall'altra per le operazioni che vi si compiono in funzione delle qualità del grezzo trattato e dei prodotti che ci si propone di ottenere. Dopo aver analizzato i varî processi, vediamo come i medesimi possano venire razionalmente raggruppati a dare varî schemi di lavorazione.
Il più semplice tipo di raffineria comporta una distillazione atmosferica ed un reforming catalitico. Si ottengono GPL (cioè propano e butano), benzina, petrolio, gasolio e olio combustibile. Questo tipo di raffineria è abbastanza diffuso nei paesi, dove il consumo di benzina è percentualmente basso e non occorre trasformare in benzina una parte delle frazioni più pesanti.
In luogo del reforming catalitico, si potrebbe installare un reforming termico e un impianto di polimerizzazione catalitico per i propileni ed i butileni. Ma oggi, dato l'alto NO richiesto alle benzine, la prima soluzione è preferibile. Tuttavia il reforming termico può anche servire, in unione con il reforming catalitico, nel senso di assoggettare al trattamento termico la frazione più leggera della benzina, che, come abbiamo visto, non è molto suscettibile al trattamento catalitico. Un'alternativa per questa frazione è l'isomerizzazione.
Sia che si vogliano ottenere bitumi, sia che si vogliano preparare lubrificanti, è necessario disporre di una colonna per la distillazione nel vuoto. Il residuo della distillazione nel vuoto può servire come bitume o come olio combustibile, oppure come base per la preparazione di lubrificanti viscosi. I distillati, se debbono servire come lubrificanti, vengono trattati al solvente e l'estratto va ad aggiungersi all'olio combustibile, mentre il raffinato, se si tratta di un greggio paraffinico, deve essere sottoposto al deparaffinaggio ed alla purificazione con terre.
Il reforming diminuisce la quantità di benzina ottenibile da un greggio per distillazione. In una raffineria dove si vuole ottenere una maggiore quantità di benzina, una parte dei distillati medî e del distillato della distillazione nel vuoto viene inviato al cracking catalitico. Dal cracking catalitico si ottengono C3 e C4 anche non saturi, che, se si dispone di isobutano o di butano da isomerizzare, possono servire per processi di alchilazione. Se non si dispone di isobutano, si potrà installare una polimerizzazione catalitica.
Per aumentare la carica da trattare con il cracking catalitico, a spese del residuo ottenuto nella distillazione a vuoto, si può dotare la raffineria di un impianto di coking. Se il coke ottenuto ha un basso contenuto di zolfo, lo si può calcinare e vendere come coke per elettrodi; altrimenti, l'unica utilizzazione è di bruciarlo per produrre vapore.
Una raffineria può essere anche dotata di impianti d'idrogenazione, che possono servire per i varî usi che abbiamo ricordato: normalmente la capacità dell'impianto di desolforazione mediante idrogeno è limitata dalla quantità di idrogeno che si ottiene dal reforming. Naturalmente ogni raffineria è provvista d'impianto di etilazione e d'impianti di raffinazione.
Diamo per finire una tabella in cui sono indicati le percentuali ed i NO di tutta la benzina etilata, e le percentuali dei distillati e dei residui che si possono ottenere da un grezzo del Kuwait con varie combinazioni d'impianti.
Vedi tav. f. t.