Petrolio
Allarmistici messaggi sull'esaurimento delle riserve di p. hanno accompagnato l'eccezionale sviluppo degli impieghi di questa fonte sin dagli inizi del 20° sec., ma la prospettiva di un ridimensionamento del suo ruolo nella prima metà del 21° sec. appare poco probabile.
Nel periodo 1995-2004 il tasso di crescita medio annuo della domanda mondiale di p. è risultato pari all'1,7%, rispetto a una crescita del fabbisogno complessivo di energia pari al 2%.Tra la fine del 20° e l'inizio del 21° sec., il crescente ricorso al gas naturale, al carbone e al nucleare ha ridotto l'impiego delle frazioni pesanti del barile (l'olio combustibile in particolare) per la produzione di energia elettrica; l'espansione del gas naturale ha anche consentito il ridimensionamento della domanda di prodotti come il gasolio da riscaldamento. Questo processo, che per il p. ha consentito di contenere l'espansione della domanda, ne sta peraltro rendendo sempre più rigida la richiesta, poiché le prospettive d'introduzione di nuove tecnologie e di carburanti alternativi nel settore dei trasporti appaiono molto limitate nel breve-medio termine.
Il tasso di crescita della domanda di p. ha risentito, oltre che del fenomeno della specializzazione, anche del grado di maturità dei vari mercati e dei miglioramenti nell'efficienza degli apparecchi utilizzatori, a partire dalle auto. Per questi motivi, nel periodo 1995-2004 la domanda petrolifera è stata caratterizzata da tassi di crescita notevolmente diversi tra le varie aree (tab. 1): l'1,7% medio annuo nell'America Settentrionale, che è rimasta il maggiore mercato di consumo del mondo, lo 0,7% nell'Unione Europea a 25, il 3,4% nei Paesi in via di sviluppo. Tra questi ultimi, oltre alle economie del Sud-Est asiatico che hanno iniziato la fase di crescita già agli inizi degli anni Novanta, spiccano la Cina e l'India, dove nel periodo 1995-2004 i processi di espansione sono stati particolarmente intensi, con immediate ripercussioni sulla domanda di energia, e soprattutto su quella di petrolio, che ha visto tassi di crescita medi annui rispettivamente del 7,5 e del 5,3%. Data la consistenza demografica e il potenziale industriale di questi due grandi Paesi, tali tassi non sono destinati a ridursi nel breve periodo. Di conseguenza, i maggiori centri di analisi e previsione sugli sviluppi futuri della domanda di p. sono concordi nel ritenere piuttosto lontana la fase della stabilizzazione della domanda, e ancor più quella della sostituzione con nuove fonti di energia.
Il rapporto 2004 dell'International Energy Agency sulle prospettive energetiche mondiali al 2030 (IEA 2004; v. tab. 2) prevede per la domanda di p. una crescita (1,6% medio annuo nel periodo 2002-2030) di poco inferiore a quella relativa al complesso delle fonti primarie (1,7%). Anche lo 'scenario alternativo', caratterizzato dal ricorso a più incisive politiche di razionalizzazione della domanda, ipotizza una crescita sostenuta (1,2% medio annuo), e sempre di poco inferiore a quella della domanda complessiva di energia.
La variabilità relativamente scarsa della domanda di p. in scenari con diverse connotazioni, deriva dalla già ricordata rigidità della domanda di questa fonte, il cui ruolo è difficilmente comprimibile; tutto ciò rende particolarmente delicato il problema della consistenza delle risorse e quello dei vincoli tecnici, economici e politici che possono ostacolarne l'utilizzo. Il soddisfacimento della crescente domanda è stato assicurato dallo sfruttamento di riserve già individuate e dall'attività di sviluppo di nuovi giacimenti, che hanno integrato la produzione di quelli in via di declino.
I conflitti e le tensioni che hanno interessato vari Paesi di grande rilievo nella produzione petrolifera, come l'Irāq, la Nigeria, il Venezuela e l'Irān, non hanno mai portato a riduzioni sostanziali dei flussi petroliferi grazie al ricorso, nei momenti più critici, agli stoccaggi strategici e all'utilizzo della capacità produttiva di riserva. Nel periodo 1995-2004 la geografia della produzione petrolifera ha subito però significative modifiche, con pesanti implicazioni per la sicurezza dei futuri approvvigionamenti (tab. 3).
La produzione dell'area OECD (Organization for Economic Cooperation and Development), dove si concentra il 60% circa dei consumi mondiali di greggio, non è stata in grado di tenere il passo con la crescita della domanda ed è rimasta nel complesso stazionaria, perché i progressi di alcuni Paesi sono stati compensati dalle flessioni di altri, a partire dal Regno Unito, che sono entrati nella fase di declino produttivo. Progressi significativi si sono invece avuti in Russia e in alcune repubbliche ex sovietiche dell'area del Caspio, dove il crollo dell'URSS ha consentito l'ingresso di nuovi operatori e l'impiego di tecnologie di avanguardia, che hanno consentito di migliorare sostanzialmente il tasso di recupero delle riserve. In forte espansione anche l'Africa, grazie all'apporto di nuovi Paesi che si sono aggiunti ai produttori già presenti sui mercati, e il Medio Oriente, che ha ulteriormente rafforzato il suo ruolo di assoluta preminenza. Dal punto di vista degli aggregati, il ruolo dell'OPEC (Organization of the Petroleum Exporting Countries) è stato ancora una volta decisivo, con uno sviluppo di poco superiore a quello del totale mondiale.
Il timore di un prossimo esaurimento delle risorse petrolifere è tornato a riaffacciarsi sulla scena mondiale sempre più frequentemente, per l'accentuarsi dei fenomeni di volatilità dei prezzi e il ritorno delle quotazioni su livelli ben più elevati dei valori medi degli anni Novanta. La situazione delle risorse mondiali di p., dal punto di vista strettamente fisico, è però meno preoccupante dello scenario, spesso evocato, secondo il quale le riserve sarebbero destinate a esaurirsi in circa 40 anni se si fa riferimento a quelle già note del 2004 (161,9 miliardi di t o 1188,6 miliardi di barili) e ai consumi dello stesso anno, o ancor più rapidamente se si tiene conto della tendenza alla crescita della domanda. In realtà, il patrimonio di riserve ancora esistenti nel mondo è ben più ampio di quello considerato dalle statistiche ufficiali sulle riserve provate. Secondo uno studio approfondito condotto dall'United States Geological Survey sui bacini sedimentari più promettenti delle diverse aree geografiche, nuove riserve di olio e di gas potrebbero fornire nell'arco di trent'anni 730 miliardi di barili aggiuntivi da rivalutazione delle riserve già note e ulteriori 939 da nuove scoperte (USGS 2003).
Un altro elemento che può giocare a favore di uno spostamento nel tempo del momento in cui le risorse mondiali di idrocarburi inizieranno la fase del declino, è costituito dai non omogenei livelli d'intensità dell'attività esplorativa condotta nelle aree indiziate per la scoperta di idrocarburi. A seguito delle crisi energetiche degli anni Settanta, infatti, le grandi compagnie petrolifere internazionali hanno spostato il baricentro delle loro attività nelle aree non OPEC, conseguendo dei successi notevoli ma certamente inferiori a quelli che si sarebbero potuti ottenere continuando a investire nelle aree OPEC, che si prospettano suscettibili di scoperte ancor più rilevanti di quelle ipotizzate nello studio dell'USGS. Infine, oltre ai giacimenti di p. convenzionale, esistono nel mondo abbondanti riserve di p. non convenzionale, costituite principalmente dagli oli extrapesanti del Venezuela e dal p. estraibile dalle sabbie bituminose del Canada, tra l'altro già in produzione da svariati anni, anche se su scala limitata. Il volume complessivo di queste riserve, in Canada e in Venezuela, è stimato in ca. 580 miliardi di barili (comprendendo le riserve probabili).
In realtà, oltre a quello della dimensione fisica esistono altri vincoli che gravano sul settore, da quello geopolitico a quello ambientale, a quello finanziario. La dimensione geopolitica è un fattore centrale dell'industria petrolifera sin dalle sue origini, a causa della non coincidenza tra aree di produzione e aree di consumo, che ha posto sempre in grande evidenza il problema dei rapporti tra Paesi produttori da una parte e Paesi consumatori e compagnie petrolifere dall'altra. Tra la fine del 20° e l'inizio del 21° sec. la dimensione geopolitica ha acquisito un rilievo ancor più importante per effetto dell'ingresso sulla scena delle repubbliche nate dalla fine dall'Unione Sovietica e del manifestarsi del fondamentalismo islamico. Il primo fenomeno sta avendo un effetto molto positivo sullo sviluppo di nuove risorse in Russia e in Paesi molto promettenti come il Kazakistan e l'Azerbaigian; il secondo si sta prospettando, invece, come un serio pericolo per la regolarità e la sicurezza degli approvvigionamenti petroliferi.
L'andamento dei prezzi del p., che si stanno avvicinando, in valuta costante, ai massimi degli anni Ottanta, fornisce un'indicazione molto precisa dell'impatto sul mercato internazionale delle tensioni geopolitiche in aree critiche come il Medio Oriente e l'Africa. I motivi che hanno portato all'emergere di queste tensioni hanno radici profonde, che non si esauriscono nei differenti livelli di sviluppo economico o nelle ragioni di scambio, storicamente sfavorevoli ai Paesi detentori di materie prime, ma si collegano anche alle differenze culturali, non sempre adeguatamente conosciute nel mondo occidentale. Queste differenze, che il fondamentalismo islamico tende a evidenziare e ad accentuare, possono portare, nei Paesi dove questo movimento è più forte, all'adozione di politiche di utilizzo e di sfruttamento delle materie prime energetiche in contrasto con l'esigenza di soddisfacimento della nuova domanda.
La stretta correlazione tra mondo islamico e futuro dell'energia è messa in evidenza da due dati: la quota della produzione mondiale di greggio controllata dai Paesi dove la presenza della religione musulmana è rilevante (superiore cioè al 40% del totale della popolazione), e dove esiste una potenziale minaccia del fondamentalismo islamico, è pari a circa il 44%; ancor maggiore è la quota delle riserve mondiali di greggio (ovvero del futuro dei rifornimenti di questa fonte energetica) controllata da tali Paesi, pari al 63%.
Le incertezze legate al difficile quadro geopolitico potrebbero spingere i Paesi consumatori a orientare le loro politiche verso una riduzione forzata della dipendenza dall'esterno attraverso lo sviluppo di fonti energetiche interne o collocate in aree considerate politicamente sicure; fonti che, però, in molti casi hanno costi di produzione elevati. Investire in tali fonti può rivelarsi tuttavia una scelta non ottimale, specie in un orizzonte temporale sufficientemente lungo da ridurre quelle tensioni che oggi sembrano insanabili. I Paesi a più alto rischio geopolitico, oltre a controllare quote preponderanti delle risorse mondiali di idrocarburi, dispongono anche di quelle con i costi di produzione più bassi, circostanza che li mette in condizione di operare politiche non soltanto di restrizione dell'offerta, ma anche di contenimento dei prezzi di fronte al pericolo della perdita di quote di mercato. La scelta di puntare sull'autosufficienza può così significare fornire energia all'utenza finale a prezzi comunque elevati (dato che tale energia deriva da fonti o da processi di trasformazione costosi e ancora lontani dalla fase della maturità industriale), rinunciando al tempo stesso a utilizzare le fonti energetiche che presentano i costi di produzione più bassi e, quindi, margini di remunerazione dei capitali investiti interessanti sia per i Paesi produttori sia per le compagnie energetiche. Nonostante le difficoltà del momento che inducono, opportunamente, a tenere sotto controllo gradi di dipendenza energetica eccessivi e a promuovere adeguate misure di gestione di possibili crisi, la via della cooperazione con i principali Paesi produttori appare irrinunciabile per il soddisfacimento dei futuri fabbisogni di petrolio.
bibliografia
USGS, World petroleum assessment 2000, Reston (VA) 2003; IEA, World energy outlook 2004, Paris 2004; World Energy Council, Survey of energy resources, London 2004; BP (British Petroleum), Statistical review of world energy, London 2005.