ZANARINI, Petronio
Attore, nato a Bologna verso il 1737, morto dopo il 1802. Figlio d'arte, fu dal padre Agostino avviato agli studî letterarî; si appassionò all'incisione in legno, in cui fece buona prova, e al teatro. Come dilettante fermò l'attenzione di Antonio Sacco, che nel 1767 lo scritturò come primo innamorato. Esordì a Torino rivelando quei pregi che fecero di lui il maggiore artista del suo tempo. Impareggiabile nelle parti di primo attore tragico, di nobile portamento, bella voce, spirito sensibile, ottenne veri trionfi in Padre di famiglia di Diderot, Gustavo Vasa di Piron, La principessa filosofa e Il moro dal corpo bianco del Gozzi, ecc. Alla sagace interpretazione dei personaggi univa la scrupolosa esattezza dei costumi che egli stesso disegnava. Lo Z. precorse gli attori di Francia anche nella riforma del costume, la quale meritò tanti elogi al Talma. Nel 1787 al Teatro Valle di Roma creò la parte di Aristodemo nella tragedia del Monti. Vi assistette il Goethe che nella Italienische Reise scrisse che "pareva di veder sulla scena uno degli antichi imperatori romani". Lo Z. aveva formato compagnia propria e la tenne fino al 1790, recitando anche Galeotto Manfredi del Monti, in cui ottenne grande successo come Ubaldo degli Accarisi. Era, allora, al colmo della popolarità per le splendide interpretazioni non solo delle tragedie, ma dei drammi e nelle commedie. In questi ultimi generi teatrali sapeva all'occorrenza - e si verificava spesso - cantare e danzare con abilità e grazia, essendo ottimo musico e così buon ballerino da potere, in seguito, dare lezioni di danza. Smesso il capocomicato, si scritturò con Antonio Goldoni come primo attore e direttore. Nel 1795, con la compagnia Perelli, al San Luca di Venezia, nel ruolo di "padre" ebbe successi entusiastici come re nell'Adelasia in Italia, e come Benedetto nello Sposo Veneziano rapito. Stanco, si ritirò presso Bologna con la madre e il fratello parroco. Questi, costretto a far innalzare l'"albero della libertà" (1797), lo fece abbattere la mattina seguente. Fu arrestato e subito impiccato. Sgomento, lo Z. fuggì a Venezia dove, non ostante le offerte di Antonio Goldoni, rimase seminascosto fino al 1800. Ritornò con Goldoni per due anni: poi scomparve, menando una vita misera. Scrisse versi in italiano e in bolognese.
La nipote, Antonia Z.-Bianchi, esordì a Parigi (1766), cantando con grazia negl'Intermezzi alla Comédie Italienne; più tardi recitò come amorosa negli Amori di Arlecchino e di Camilla del Goldoni. Scomparsa la Veronesi, ne prese il posto di "servetta" col nome di "Argentina", riuscendo piena di vivacità e grazia.