Pestalozza, Pettazzoni e Pincherle
La vicenda intellettuale di Ernesto de Martino appare fortemente correlata con quella di numerosi interlocutori. Isolarne una parte presuppone una volontaria limitazione e l’assunzione, necessariamente critica, di una premessa. Gli studi storico-religiosi, in cui l’intellettuale napoletano decise di collocare l’intera propria opera intellettuale, avevano – prima di lui – una già sedimentata tradizione. Per propria particolare condizione storica, l’Italia nel passaggio tra il 19° e il 20° sec. faticò a isolare lo specifico delle religioni al di fuori della dimensione confessionale cui lo condannava la tradizione culturale del Paese. Lo Stato unitario non ebbe la forza di assumere un ruolo formativo anche in questo ambito. Diversamente dalla contemporanea Francia della terza Repubblica non si diede luoghi laici di studio della scienza delle religioni. Per arbitrario che appaia allora, volendo costruire un terreno di fondo sul quale collocare l’opera demartiniana, si possono indicare tre figure, ineguali tra loro per valore, influenza e capacità di restare nel tempo e pure accomunate dall’identificazione della religione come comune oggetto di interesse e di studio: Uberto Pestalozza (Milano 1872-ivi 1966), Raffaele Pettazzoni (S. Giovanni in Persiceto 1883-Roma 1959) e Alberto Pincherle (Milano 1894-Roma 1979).
Tra loro diversissimi, interagirono nel tempo che li accomunò. Ebbero tutti, nelle diverse sedi universitarie ove studiarono, una formazione antichistica, filologica, storica, e in due dei casi almeno, anche archeologica, assai più profonda di quella che de Martino poté ricavare dai suoi studi napoletani. Ciascuno ne trasferì in modo differenziato gli esiti nel proprio lavoro di ricerca e di insegnamento. Il primo, nell’ordine anagrafico, Pestalozza si concentrò sulla ricerca di un sostrato mediterraneo nelle religioni dei Greci e dei Romani. Influenzò, nel suo lungo magistero milanese, l’opera di scolari e anche di colleghi tra cui spicca, per importanza dell’impatto intellettuale, Mario Untersteiner. Non si può parlare di una sua importanza per de Martino. Del pari può dirsi di Pincherle. Storico del cristianesimo di solido impianto filologico, legato al suo maestro, il modernista Ernesto Buonaiuti, esule dall’Italia in ragione delle leggi razziali, fu estraneo all’universo demartiniano. Ben più lungo discorso è necessario per il rapporto, problematico ma stretto e intenso, che legò de Martino con Pettazzoni, dal loro primo contatto epistolare, nel dicembre del 1933, per la pubblicazione della tesi di laurea del più giovane, fino alla morte di Pettazzoni, di poco successiva alla conclusione del concorso che il grande persicetano interpretò come trasmissione del testimone degli studi storico-religiosi alla generazione successiva. Con la sua rivista «Studi e materiali di storia delle religioni», le collane che fondò e diresse, gli studi innumerevoli che realizzò e – forse soprattutto – con la fondazione della scuola romana di studi storico religiosi, Pettazzoni fu fondamentale per de Martino e resta importante per noi tutti. Lo straordinario lavoro biografico, condotto per decenni da Mario Gandini nei quaderni della sua «Strada maestra» presso la Biblioteca comunale di S. Giovanni in Persiceto appare oggi premessa alla pubblicazione del carteggio tra i due, che renderà più chiara la rilevanza del loro dialogo per la cultura italiana.