PHILOXENOS (Φιλόξενος, Philoxenus)
1°. - Pittore di Eretria, forse del demo attico di questo nome, o della città dell'Eubea. È noto da Plinio, che lo ricorda con Ariston ed Aristeides tra i discepoli di Nikomachos (Nat. hist., xxxv, 110). È forse uno dei pittori più importanti delle ultime generazioni della scuola attica, alla fine del IV sec. a. C.
L'età di Ph. si ricava, oltre che dalla successione dei pittori della scuola tebano-attica tracciata da Plinio, dalla notizia che Ph. lavorò per Cassandro, re della Macedonia dal 316 al 298 a. C. Plinio ricorda solo due opere di Ph.: la Battaglia di Alessandro e Dario dipinta per Cassandro, ed una scena orgiastica, un kòmos (lasciviam in qua tres Sileni comissantur). Molto chiara è però nel testo pliniano l'eco dell'ammirazione degli antichi per questo pittore: la Battaglia è giudicata "un quadro da non posporre a nessun altro" e si ricorda con lode la continuità della sua maniera da quella del grande Nikomachos, riconoscendogli una certa superiorità rispetto al maestro nella rapidità del dipingere. A questo proposito Plinio parla di alcune invenzioni dell'artista, apparentemente in funzione abbreviante del procedimento pittorico, che sono state solitamente intese come artifici tecnici (Klein, Pfuhl) o espedienti prospettici (Fuhrmann), ma potrebbero anche alludere a sostanziali innovazioni stilistiche (Ferri, Bianchi Bandinelli). Già le opere ricordate da Plinio, pur rappresentando una scelta limitata nella produzione di un pittore celebrato per la sua rapidità, sono infatti sufficienti a richiamare le più alte esperienze artistiche del IV sec. a. C., e a farci riconoscere in Ph. un pittore impegnato nei temi di maggiore attualità. La Battaglia con i Persiani si inserisce nella serie di opere celebrative commissionate da Alessandro stesso e dai Diadochi, e la scena dioniasiaca ha un precedente nelle Baccanti insidiate da satiri di Nikomachos, non meglio note purtroppo del quadro di Ph., ma certamente da annoverare tra le ricerche di composizione di figure in movimento seguite, per esempio, dagli scultori del Mausoleo di Alicarnasso. La possibilità di conoscere con maggiore chiarezza l'arte di Ph., e forse anche di interpretare l'espressione pliniana sulle invenzioni di questo pittore, è tuttavia legata all'attribuzione dell'originale del mosaico con la battaglia di Alessandro e Dario, del Museo Nazionale di Napoli (v. alessandro; dario; helene; mosaico; pittura; pompei). È stato largamente dimostrato che il mosaico, eseguito forse ad Alessandria nel III sec. a. C., traduce, non senza incertezze, una grande pittura (Winter, Pfuhl, Bianchi Bandinelli) della quale rappresenta forse solo una parte, certamente con una lacuna nella zona centrale (Byvanck).
Il passaggio da un quadro parietale al pavimento musivo, con il conseguente mutamento del punto di vista, potrebbe aver suggerito al copista qualche enfasi negli scorci prospettici (Napoli), ma non si può dubitare della sostanziale fedeltà del mosaico all'originale, nella composizione, nelle figure, nei più minuti dettagli e soprattutto nel colore: la pittura conserva infatti il tetracromatismo che era stato certamente superato al momento dell'esecuzione del mosaico.
Il quadro rappresenta una battaglia in cui i Macedoni tentano l'aggiramento delle schiere persiane, mentre Alessandro con pochi cavalieri raggiunge Dario. L'episodio si può riferire all'ultima vittoria di Gaugamela (Arrian., Anabasis, iii, 1-15; Diodor., xvii, 54-61; Plut., Vita Alexandri 31-33), ma alcuni particolari, come le aste lunghissime dei Macedoni e la testa nuda di Alessandro, possono alludere rispettivamente alla battaglia di Isso (Arrian., ii, 6-11; Diodor., xvii, 33, 2-34, 7; Plut., Vita Alexandri, 20, 1-5) o del Granico (Arrian., i, 13-16; Diodor., xvii, 18-21). Viene pertanto naturale attribuire al quadro il titolo, preciso e insieme elusivo, con il quale Plinio ha conservato la tradizione del quadro di Ph.: Alexandri proelium cum Dario.
L'uso dei soli quattro colori, bianco, giallo, rosso e blunero, caratteristici dei pittori del tempo di Alessandro, rivela l'adesione dell'autore alla tradizione classica, seguita dallo stesso Nikomachos, maestro di Ph.; ma lo sfondo del quadro è bianco, e se ancora non se ne traggono tutti i possibili effetti di risalto delle figure colorate, come nel sarcofago detto di Alessandro da Sidone, si tratta già di una novità rispetto al fondo blu-nero usato alla metà del IV sec. nel fregio del Mausoleo di Alicarnasso, e di una precisa rispondenza con l'inversione dei tradizionali valori del bianco e del nero attribuita anche a Nikias. La composizione, secondo la più antica prospettiva polignotea, è per piani paralleli allo spettatore, da quello alto e lontano dell'albero al primo piano dei caduti, con continue sovrapposizioni e tagli delle figure, come già dovevano esserci nel quadro di battaglia di Aristeides con cento personaggi; una novità tuttavia è anche qui nel tentativo di raccordare i diversi piani con oggetti e figure rappresentate in iscorcio. Si tratta dunque di un'esperienza immediatamente precedente alla prospettiva di alcuni dipinti pompeiani di soggetto omerico, riferibili a Theon di Samo della fine del IV sec. a. C., dove resta la necessità di legare le parti della composizione con oggetti scorciati (Achille a Sciro, dalla Casa dei Dioscuri), ma c'è anche il tentativo di una disposizione obliqua dei piani stessi (Achille e Briseide, dalla Casa del Poeta Tragico). Il modo di comporre i personaggi con attente rispondenze negli sguardi e nei gesti, la particolare pateticità delle figure dei morenti, lo spirito eroico esaltato nella persona del vincitore e riconosciuto anche al nemico vinto, hanno un'eco immediata nello psicologismo manierato dell' ultima produzione vascolare a figure rosse, specialmente nelle pelìkai con battaglie di Greci ed Amazzoni che si datano attorno al 300 a. C. Questa stessa ceramica, insieme alla contemporanea produzione dei tipi "Westabhang" e Gnathia, in cui compaiono sorprendenti effetti luministici, documenta anche la diffusione e la fortuna della più importante novità stilistica rappresentata per noi dal quadro con la battaglia di Alessandro: la vivacità cioè della soluzione del problema della luce. Questa infatti, non solo interviene nel modellato delle figure, come forse nel quadro di Nikias col sacrificio dei tori, ma concorre alla costruzione unitaria dell'insieme cadendo, sulla varia folla dei personaggi, da una fonte rigorosamente identificabile in alto a sinistra; partecipa inoltre, con i forti lumi sulle parti rilevate, agli effetti di profondità suggeriti dallo scorcio, fino a dare, con la disposizione di nitide ombre sul suolo, un'evidenza allucinante alle armi ed ai corpi dei morenti che sono sul piano più vicino allo spettatore. La luce gradua poi i toni del colore, dalla fronte al fondo del quadro, quasi per un presentimento di atmosfera, e ciò, insieme a certi preziosi cangiantismi, è certamente una straordinaria conquista per un pittore legato alla tradizione del tetracromatismo. Se ora si pensa alla definizione pliniana della personalità di Ph., come quella di un pittore che continuava la maniera del maestro Nikomachos, ma intanto inventava nuovi e sorprendenti mezzi di espressione pittorica, si è portati quasi necessariamente all'identificazione dell'originale del mosaico con il quadro di Philoxenos. Le compendiariae di cui parla Plinio, echeggiando forse un'espressione greca, συντομιαὶ (Fuhrmann, Ferri) o piuttosto σύντομα τῆς γραϕῆς, possono riferirsi con buon fondamento alla nuova maniera di far intervenire la luce nel quadro, con la conseguente esaltazione dei valori cromatici a scapito di quelli grafici dominanti nella tradizione classica (v. pittura).
La fama della pittura di Ph. nel mondo antico è documentata non solo dalla lode di Plinio, ma anche dalla diffusione dell'iconografia della battaglia di Alessandro e Dario per tutta l'età ellenistica, come è provato dal mosaico stesso e da monumenti minori in cui sono raffigurati i due protagonisti della battaglia negli atteggiamenti noti dal mosaico: si tratta di alcune anfore àpule al Museo Nazionale di Napoli, un rilievo da Isernia di arte italica ed una coppa a rilievo dell'officina di C. Popilius, forse dalla fine del II sec. a. C. Quest'ultima è particolarmente interessante perché riproduce abbastanza chiaramente un cavaliere ed un guerriero appiedato tra il gruppo di Alessandro e il carro di Dario, in una zona che nel mosaico sembra essere stata alterata (Byvanck). Una serie di altre opere, invece, caratterizzate dalla sola presenza del tipo di Alessandro armato di lancia col braccio destro alzato o abbassato, non si possono ritenere con sicurezza dipendenti dalla pittura di Philoxenos. Partendo infatti dalla più antica di queste, le facce del sarcofago di Alessandro da Sidone, pressocché contemporaneo al dipinto, si nota che la figura di Alessandro col braccio abbassato come nel mosaico, compare non nella scena di battaglia ma in quella di caccia, delle due che ornano il sarcofago: poiché un altro motivo di questa caccia, cioè il gruppo di due uomini e la cerva è apparso in una grandiosa riproduzione a mosaico di Pella, che richiama immediatamente le lastre del fregio di Alicarnasso attribuite a Leochares, si ha motivo di credere che il sarcofago dipenda dal celebre donario di Cratero a Delfi, opera di Lisippo e Leochares. Dalla caccia di Cratero, può ben dipendere per qualche aspetto anche la pittura di Ph.: il quale aveva poi presente a Dion in Macedonia, dove lavorava per Cassandro, l'altro monumento lisippeo, la grandiosa cavalcata di Alessandro e dei venticinque compagni al Granico. Qui poteva anche esservi il particolare di Alessandro che abbatteva un persiano, ma impugnando l'asta col braccio levato, come ritorna nella battaglia del sarcofago, mentre Ph. può aver preferito l'altra tradizione iconografica per rispettare la isocefalia, così attentamente cercata nella battaglia. Anche l'altro motivo comune al quadro di Ph. ed al sarcofago, cioè il Persiano che frena il cavallo, avrà un precedente, per così dire un archetipo, non tanto in un'opera pittorica, come un quadro di Apelle di simile soggetto (Winter), quanto in un gruppo a tutto tondo, al quale si sono ispirati con assoluta fedeltà iconografica, ma come da differenti punti di vista, Ph. per lo scorcio al centro del quadro, e l'autore del sarcofago per una veduta di profilo che prosasticamente sottolinea i valori decorativi dell'impennata del cavallo.
Se si pensa alla fama ed alla accessibilità del gruppo di Cratero in Delfi, ed alla circostanza che l'altra composizione con la battaglia del Granico fu trasportata dalla Macedonia a Roma, non è difficile supporre che ad un modello lisippeo risalgano, più o meno direttamente, anche le altre opere, che sono state chiamate a testimoniare la fama della pittura di Ph.; cioé le urne etrusche con scene di battaglia, e i rilievi romani in cui l'imperatore richiama il gesto di Alessandro a cavallo. Va notato soprattutto che sia il fregio traianeo dell'Arco di Costantino, sia il modesto rilievo pubblicato dal Rizzo, accolgono come parte integrante della composizione figure estranee al mosaico, come il ferito che cade piegando il corpo ad arco, il guerriero appiedato con il torso tirato indietro e la spada levata sul capo, o il caduto supino con un braccio incurvato dietro il capo. Queste figure ripetono schemi notevolmente più "arcaici" di quelli dei combattenti di Ph., e la loro storia si può seguire partendo addirittura da tipi polignotei e fidiaci, attraverso il fregio di Bassae, fino ai rilievi del Mausoleo, mentre più tardi si possono rintracciare solo in opere che, come il sarcofago delle Amazzoni a Vienna, si rifanno espressamente a modelli della metà del IV sec.: si tratta dunque ancora di elementi riferibili ad un archetipo lisippeo, certamente superati da Ph. nel quadro di Alessandro e Dario. Qui infatti la fedeltà ai modelli classici si nota solo nelle figure principali della composizione, mentre i personaggi per così dire minori, come i Persiani abbattuti al suolo, offrono al pittore lo spunto per sorprendenti soluzioni: una forte invenzione è certamente quella del morente che appare specchiato, quasi al centro del quadro, nel grande scudo rotondo. L'ipotesi dell'ispirazione lisippea dei rilievi romani, e quindi di tutta la tarda iconografia dell'Alessandro a cavallo, nei bronzi di Aosta e di Velia, sui medaglioni di Tarso, fino ai sorprendenti echi nella miniatura francese del sec. XV, se da una parte limita la fama di Ph., che resta documentata solo in età ellenistica, serve d'altra parte a chiarire meglio la portata delle innovazioni da lui introdotte. La partecipazione del pittore alle ricerche sui temi celebrativi delle imprese di Alessandro, si rivela anche per questa via molto attiva; si potrebbe pensare a qualcosa come l'arte di Eutykrates, che ripeteva gli stessi soggetti del padre e maestro Lisippo: la Caccia e la Battaglia equestre, valorizzando però, a detta di Plinio, solo un aspetto, quello più austero, dell'arte di Lisippo. Ph. sembra sensibile a ben altre sollecitazioni offerte dalla plastica e dalla pittura del IV sec.: lo scorcio in funzione di movimento, il colore che dà pienezza al modellato, e soprattutto la luce che investendo variamente i particolari del quadro li valorizza o li attenua, e ne dà il vero contenuto drammatico.
La definizione che si può dare della personalità di Ph. è, relativamente al nostro grado di conoscenza della pittura antica, così chiara, che si è tentati di procedere, sulla scorta del mosaico di Pompei, ad un'altra attribuzione: cioè l'originale del mosaico di Palermo (v.) con scena di caccia. Si tratta probabilmente ancora di una versione del donario di Cratero, poiché vi compare il tipo di Alessandro a cavallo, il leone, ed un persiano fuggente che caratterizza come un paràdeisos orientale il luogo dell'azione. L'opera è peraltro molto lacunosa e lo stesso cavaliere è incerto; ma la figura del persiano richiama certi personaggi di Ph. (o anche del sarcofago di Sidone), un cane ferito è rappresentato nell'atto di posare la testa sulla zampa come il cavallo ferito del mosaico e del sarcofago, infine un altro cane ringhiante (è il tipo da cui deriva un cave canem di Pompei; v. anche petronio) è posto in iscorcio come il cavallo al centro del quadro di Philoxenos. Se si pensa che il paesaggio, certo più profondo che nella battaglia, è però come quello concluso da un grande albero spoglio, non si può negare una notevole rispondenza almeno iconografica con l'opera di Philoxenos. Senza poter parlare di una Alexandri venatio di Ph. (Fuhrmann), si può certamente dire che l'originale di questa caccia è nato nel clima di rielaborazioni degli analoghi soggetti del IV sec. cui partecipò, con un così originale contributo, anche Philoxenos.
Un'attribuzione, o meglio un'identificazione da respingere, è invece quella del quadro della Battaglia di Isso, conservato nel Tempio della Pace a Roma, con l'opera di Ph. (Fuhrmann): vi è infatti una precisa notizia dello scrittore Tolomeo Chennos, della prima metà del II sec. d. C., che lo attribuisce ad Helene (v.) figlia di Timon, fiorita al tempo delle imprese di Alessandro. Non c'è nessuna difficoltà ad ammettere che accanto ai quadri di Nikomachos e di Protogene, che erano della stessa età, si conservasse nel recinto della Pace anche l'opera di un'artista per noi altrimenti sconosciuta: soprattutto non è necessario sostenere che il dipinto ricordato da Tolomeo fosse quello di Ph. perché si è visto quale potesse essere in Roma la fonte di ispirazione per i rilievi di battaglia. Non sono d'altra parte indizî sufficienti per attribuire ad Helene l'originale del mosaico di Pompei, la probabile provenienza alessandrina del manufatto e la vaga possibilità che il mosaico rappresenti la battaglia di Isso; argomenti stilistici suggeriscono infatti una datazione dell'originale alla fine del IV sec. e non nella generazione contemporanea ad Alessandro in cui visse Helene.
Monumenti considerati. - Mosaico di Alessandro da Pompei, Casa del Fauno, Napoli, Museo Nazionale: v. alessandro; dario; helene; mosaico; pittura; inoltre: A. W. Byvanck, La bataille d'Alexandre, in Bulletin van de Vereening tot Bevordering der Kennis van de antieke Beschaving, xxx, 1955, p. 28 ss.; B. Andreae, Das Alexandermosaik, Brema 1959; M. Napoli, Pittura antica in Italia, Bergamo 1960, p. 44.
Mausoleo di Alicarnasso: v. alicarnasso; mausoleo; leochares. Pelìkai con amazzoni: Leningrado: K. Schefold, Untersuchungen zu den Kertscher Vasen, tav. 37, 2; New York, id., ibid., tav. 38, 4; L'Aja: id., ibid., fig. 64. Pitture pompeiane, Napoli, Museo Nazionale: Achille a Sciro, dalla Casa dei Dioscuri: id., ibid., Die Wände Pompejis, Berlino 1957, p. 117; Achille e Briseide, dalla Casa del Poeta Tragico: id., ibid., p. 104.
Coppa a rilievo firmata da C. Popilius, Boston, Metropolitan Museum: P. Hartwig, in Röm. Mitt., xiii, 1898, p. 399 ss.; A. Bandrillart, in Mélanges d'Archéologie et d'Histoire, ix, 1889, p. 288 ss.; G. E. Rizzo, in Boll. d'Arte, v, 1925-1926, p. 538, fig. 8; F. Follin Jones, Record of the Art Museum Princeton University, xvii, 1958, 1, p. 21 ss. Anfora da Ruvo, Napoli, Museo Nazionale: Furtwängler-Reichhold, Griech. Vasenm., ii, p. 153; G. E. Rizzo, op. cit., p. 536, fig. 6. Urne etrusche, Perugia, museo: H. Brunn-G. Körte, I rilievi delle urne etrusche, iii, tav. 111 ss.; G. E. Rizzo, op. cit., p. 529, fig. 9. Rilievo da Isernia, collezione privata: id., op. cit., p. 537, fig. 7. Rilievo traianeo dell'Arco di Costantino: A. Giuliano, L'arco di Costantino, Milano 1955, fig. 7; v. roma. Rilievo con scena di battaglia, collezione privata: G. E. Rizzo, op. cit., p. 535, fig. 5, tav. p. 529. Balteo di bronzo con scena di battaglia, Aosta, museo: C. Carducci, in Arch. Class., xi, 1959, p. 36 ss.; bronzi simili sono stati rinvenuti a Velia: P.C. Sestieri, in Archaeology, x, 1957, p. 6 ss.; B. Neutsch, in Jahrbuch (Arch. Anz.), 1956, p. 351 ss. Sarcofago detto di Alessandro, da Sidone: v. alessandro. Medaglioni da Tarso con Alessandro a cavallo: v. alessandro. Mosaico con scena di caccia, da Palermo; Palermo, Museo Nazionale: E. Gabrici, in Mon. Ant. Lincei, xxvii, 1921-22, c. 190 ss., fig. 6, tavv. i, iii, iv; H. Fuhrinann, Philoxenos von Eretria, op. cit., tavv. vi, viii; v. palermo. Miniature che ripetono il motivo di Alessandro a cavallo, Napoli, Biblioteca Nazionale: xilografia miniata di Ph. Pigouchet, 1498: G. E. Rizzo, op. cit., fig. 10; xilografia di Th. Kerwer, 1526: id., op. cit., fig. 11. Mosaico con la caccia alla cerva, Pella: Am. Journ. Arch., lxvi, 1962, tav. 109.
Bibl.: E. Sellers, The Elder Pliny's Chaptes on the History of Art, Londra 1896, pp. 143; 238; W. Klein, Geschichte der Griechischen Kunst, III, Lipsia 1907, p. 22; 391; H. Fuhrmann, Philoxenos von Eretria, Gottinga 1931; E. Pfuhl, Mal. u. Zeichn., Monaco 1923, p. 764; R. Bianchi Bandinelli, Un "pocolom" anepigrafe del Museo di Tarquinia, in Scritti in onore di G. B. Nogara, Roma 1937, p. 11 ss.; G. Lippold, in Pauly-Wissowa, XX, 1942, c. 202 ss.; S. Ferri, Note esegetiche ai giudizi d'arte di Plinio il Vecchio, in Ann. d. Scuola Normale Sup. di Pisa, 1942, p. 68 ss.; S. Ferri, Plinio il Vecchio, Roma 1946, p. 182; A. Rumpf, Handbuch der Archäologie, VI, 4, Monaco 1953, p. 147.