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piacere

Dizionario di filosofia (2009)
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piacere


In senso assoluto (come trad. del gr. ἡδονή e del lat. voluptas), viene contrapposto a dolore e variamente considerato nelle diverse scuole filosofiche, in rapporto all’ideale supremo della vita. La considerazione filosofica della natura del p. è oggetto di discussione vivacissima già nell’età socratica, in cui costituisce il tema fondamentale dell’antitesi fra etica cinica, che considera il p. come il massimo nemico in quanto induce l’animo a schiavitù, e l’etica cirenaica, per la quale il p. è il movente fondamentale dell’azione. Tra queste due estreme valutazioni il platonismo e l’aristotelismo assumono una posizione più o meno intermedia. Platone, accortosi che il motivo socratico della necessaria attraenza (cioè piacevolezza) del bene finisce per far coincidere il bene con il piacevole, giunge nel Gorgia (➔) a una prima svalutazione assoluta del p. e quindi alla teoria (Fedone) della necessaria liberazione dell’anima dalla corporeità del piacere. Più tardi (Filebo) Platone tende piuttosto a considerare come ideale supremo la vita in cui la determinatezza della ragione compenetri e domini, non escluda l’illimitatezza del p.; Aristotele poi considera il p. come un’integrazione dell’attività umana, influendo così sullo stoicismo, che, pur continuando la tradizione cinica, ammette una giustificazione del piacere. L’epicureismo, respingendo l’attivismo edonistico dei cirenaici, preferisce al «piacere in movimento» il «piacere stabile», concepito come apatica assenza di dolore: è questa la «teoria negativa» del p., già enunciata da Socrate nel Fedone (➔), e che poi ha trovato formulazione moderna nel Discorso sull’indole del piacere e del dolore di Verri. Nel Medioevo, la tendenza ascetica e la rinuncia ai beni terreni conducono a una svalutazione del p., che ritroverà tuttavia la sua edonistica rivalutazione nell’Umanesimo e nel Rinascimento. Nel pensiero moderno, il problema particolare del p. si fonde in genere con quello più vasto della giustificazione pratica e morale dell’azione, nonché del posto che il movente edonistico o eudemonistico debba avere, o meno, in essa (➔ anche edonismo).

Vedi anche
cirenàici cirenàici Seguaci del filosofo greco Aristippo di Cirene (ca. 435 - 366 a.cirenaici). Tale movimento filosofico, di derivazione socratica e sofistica, riteneva che il bene coincidesse con il desiderabile e il piacevole, e il piacere (edonè) fosse il fine dell'azione. Nell'ambito di tale edonismo, tuttavia, ... edonismo Dottrina filosofica che pone come fine dell’azione umana il piacere. È rappresentata soprattutto dalle dottrine di Aristippo di Cirene e di Epicuro, peraltro tra loro divergenti nella determinazione del concetto di piacere, consistente, per il primo, in una condizione positiva di godimento e, per il ... cinici I rappresentanti del movimento filosofico iniziato nell’età di Socrate da Antistene e perpetuatosi in tutto lo sviluppo della cultura antica. Il nome deriva dal ginnasio di Cinosarge, il luogo di riunione dei giovani ateniesi figli di madre non cittadina in cui insegnava Antistene, o dallo stile di ... etica In senso ampio, quel ramo della filosofia che si occupa di qualsiasi forma di comportamento (gr. ἦθος) umano, politico, giuridico o morale; in senso stretto, invece, l’etica va distinta sia dalla politica sia dal diritto, in quanto ramo della filosofia che si occupa più specificamente della sfera delle ...
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Vocabolario
piacére¹
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piaciménto
piacimento piaciménto s. m. [der. di piacere2]. – Forma ant. per piacere1, tuttora in uso, con l’aggiunta di un pron. pers., nelle locuz. avv. a mio (tuo, suo, ecc.) p., secondo la mia (tua, sua, ecc.) volontà: ha bevuto, ha mangiato a...
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