piacere (sost.; piacire)
Sostantivo attestato in tutto il D. canonico, nel Fiore e nel Detto, ma che si trova impiegato con particolare frequenza nelle opere in poesia, soprattutto nelle Rime e nella terza cantica della Commedia, mentre è quasi del tutto assente dall'Inferno (un solo caso, e quel che si può già da ora rilevare, con un valore assai particolare e pregnante; ma si confronti più sotto, nella discussione di If V 104).
In Rime dubbie XVIII 1 compare l'allotropo piacire, in " due fortissime rime siciliane " (: servire: parire " parere ", Contini); tuttavia si veda ora quanto osservato per queste rime dal Baldelli, nella voce RIMA 2.
1. Il valore fondamentale di p., così nell'uso dantesco come in quello contemporaneo, rispecchia da vicino la sua formazione dall'infinito originario, attraverso un processo di fattualizzazione (‛ nominalizzazione ') dell'idea verbale, e che si può rendere, con una certa approssimazione (e non senza il rischio della tautologia) con " fatto, atto (psicologico, e dunque sensazione) del piacere ", e simili.
Si tratta di un valore semantico il cui ambito resta piuttosto astratto, e che proprio per tale astrattezza si presta bene al ragionamento argomentativo di tipo teorico, in genere tanto filosofico quanto teologico, dove una determinazione maggiormente localizzata sarebbe per lo meno superflua: tale è il caso di Pg XVIII 21 L'animo... / ad ogne cosa è mobile che piace, / tosto che dal piacere in atto è desto, e ancora al v. 27; si noti come il Sapegno interpreti p. come " in concreto, la cosa piacente ", che sembra peraltro da intendersi nel senso più generale e astratto di " sensazione di piacere provocata dalla cosa... che piace " da cui appunto l'animo è ‛ destato ' in atto.
Un impiego abbastanza simile, anche se maggiormente delimitato nella sua estensione referenziale, è quello di Pd XXVI 128 nullo effetto mai razïonabile, / per lo piacere uman che rinovella / seguendo il cielo, sempre fu durabile; il Mattalia spiega: " l'astratto per il concreto: poiché l'uomo, in quanto dotato di libero arbitrio, è libero di operare a proprio piacere ", rinviando nel contempo a beneplacito di VE I IX 6, e a piacimento di Cv I V 8; tuttavia l'accostamento a una connotazione soggettivo-volontaristica (per cui cfr. più sotto), che pure potrebbe andare ravvisata in tale spiegazione, sembra da escludere senza esitazioni, anche con il conforto di altri commentatori, come il Sapegno, che per l'appunto intende " gusto... che si muta e si rinnova permanentemente secondo il vario influsso degli astri... essendo l'uomo animale ‛ trasmutabile... per tutte guise " (Par., V, 99) ".
Qui va ancora Cv III XV 12 appetito diritto, che s'ingenera nel piacere de la morale dottrina (cfr. il commento Busnelli-Vandelli, che riporta diverse citazioni di s. Tommaso a confronto con il passo in questione).
1.1. Assai più spesso il sostantivo, anche con un valore molto vicino a quello or ora esaminato, é sentito come collocato in una precisa angolazione dell'esperienza psicologica, che ne diminuisce di gran lunga l'astrattezza e la genericità, ma lo arricchisce nel contempo di un'ampia connotazione di riferimenti concreti: si tratta in breve di una sensazione hic et nunc, cioè, in questo caso, di un ‛ godimento ', fisico (ma pur sempre idealizzato) o spirituale, di una ‛ gioia ', e così via (e si rimane quindi costantemente nell'ambito di ‛ p. oggettivo ').
Gli esempi, come si è detto, sono non pochi: Vn XIV 1 in parte ove molte donne gentili erano adunate... fui condotto per amica persona, credendosi fare a me grande piacere (in questo sintagma ‛ fare ' non è meramente fraseologico - in altre parole, non è del tutto esatto parafrasare " credendo di compiacermi grandemente " -, ma pare avere una decisa funzione di ‛ causativo ', quasi " procurare ", " causare ", ecc.; si veda anche il § 3 dello stesso capitolo, in cui peraltro il sintagma è costruito con ‛ di ', e si confronti inoltre Rime LXVIII 43); Pg XIX 21 io son dolce serena, / che ' marinari in mezzo mar dismago; / tanto son di piacere a sentir piena!; XXVII 120 strenne / ... di piacere a queste iguali (" che dessero tanto piacere a chi le riceveva ", Sapegno; e cfr. Barbi, Problemi 1283-284); XXXIII 69 se stati non fossero acqua d'Elsa / li pensier vani intorno a la tua mente, / e 'l piacer loro [oggettivo: " il piacere che trovavi in essi ", Sapegno] un Piramo a la gelsa...; Pd XX 144 a buon cantor buon citarista / fa seguitar lo guizzo de la corda, / in che più di piacer lo canto acquista.
Per Pd XXXII 1 (Affetto al suo piacer, quel contemplante / libero officio di dottore assunse, / e cominciò) le opinioni dei commentatori divergono considerevolmente: per alcuni, a cominciare dal Buti, " Affetto ... è participio de l'afficior, -eris, secondo lo Grammatico, e ponsi adiective a quel contemplante... Et è la sentenzia: poi che Santo Bernardo, contemplante la gloria della Vergine Maria, fu affetto, cioè innamorato et infiammato della sua visione di lei tanto quanto li piacque ", per cui il Mattalia spiega ulteriormente al suo piacer come " a lungo (cfr. Purg. XXVI, 103), ma, e come di frequente, con implicita indicazione dell'oggetto fonte di ‛ piacere ' (bellezza: la Vergine): in precisa rispondenza a nel suo calor, del v. 141 del canto precedente ".
Il Sapegno invece lascia aperte diverse vie: " può significare: intento, fisso, nella contemplazione dell'oggetto del suo piacere (la Vergine); o anche, con maggiore aderenza forse alla situazione particolare, ma in modo più involuto: dopo avere a piacer suo goduto del proprio contemplare. Quest'ultima è l'interpretazione del Buti... Tenendo fermo il valore passivo di affetto, si potrebbe prendere al suo piacere come complemento d'agente: tutto preso, assorto dal suo piacere (dell'oggetto amato) ".
Il Petrocchi, dopo aver discusso, e scartato, le varianti come (l')effetto, l'affetto, conclude: " Resterà da spiegare il significato di Affetto: sembra preferibile ‛ preso d'amore ', ‛ intento ', anche ‛ assorto ', che è l'orientamento dei commentatori più recenti... e le esemplificazioni in testi coevi non mancano, cfr. il Tommaseo Dizionario par. I ": e in definitiva si potrà considerare p. in questo caso come un ulteriore esempio di quest'area semantica, cioè col valore di ‛ (la Vergine Maria, per s. Bernardo) fonte di gioia, di godimento celestiale ', e simili.
Qui inoltre si può far rientrare l'impiego di p. nel sintagma ‛ essere in p. (a qualcuno) ': Pd XXV 60 Li altri due punti... non per sapere / son dimandati, ma perch'ei rapporti / quanto questa virtù t'è in piacere.
2. Sempre rimanendo nell'area di p. inteso come realtà oggettiva (cioè autosufficiente, che persiste anche al di fuori dell'attività psichica del soggetto percipiente), si può osservare un'evoluzione semantica assai significativa: il passaggio dal valore di ‛ p. oggettivo ' come ‛ cosa che piace (perché è bella) ' a " cosa bella ", poi a " bellezza " tout court. Va rilevato, del pari, che tale evoluzione di significato non è propria di D., ma già in pieno svolgimento nella lirica provenzale, e di qui, per il tramite siciliano, nello Stil nuovo.
Nell'opera dantesca si ritrovano, effettualmente, tutti quegl'impieghi che possono venire assunti a segnare le diverse tappe ideali di tale evoluzione. È possibile considerare come ipotetici punti di partenza casi come quello di Cv IV XXV 12 'l corpo... quando... è bene ordinato e disposto, allora è bello per tutto e per le parti; ché l'ordine debito de le nostre membra rende uno piacere non so di che armonia mirabile (con un rinvio, oltre che a s. Tommaso, a Cic. Off. I XXVIII 98), o come Rime dubbie XVIII 1 La gran virtù d'Amore e 'l bel piacire / che nel mio cor di voi, mia donna, è nato (in cui " piacere non ha il valore tecnico di ‛ bellezza ' ", Contini).
Di qui si passa, sempre in un continuum ideale, a un referente più ristretto e determinato, cioè " la donna bella, che del piacere è origine e causa ", come in Vn IX 11 12 Io vegno di lontana parte, / ov'era lo tuo cor per mio volere; / e recolo a servir novo piacere (che parafrasa le parole della razo [§ 5]: Io vegno da quella donna la quale è stata tua lunga difesa... e... quello cuore che io ti facea avere a lei, io l'ho meco, e portolo a donna la quale sarà tua difensione); Rime XCI 55 parmi esser di merzede oltrapagato / ... così dinanzi a li occhi del piacere [" bellezza, anzi propriamente " la bella donna ", Contini] / si fa 'l servir merzé d'altrui bontate; e ancora LXVII 75 e CXI 13.
Si giunge infine a instaurare l'equazione p.-‛ bellezza ', con un traslato assai perspicuo in Vn XXXIII 8 20 'l piacere de la sua bieltate / ... divenne spirital bellezza grande; Rime LVIII 7 Tu, Violetta, in forma più che umana, / foco mettesti dentro in la mia mente, / col tuo piacer ch'io vidi; XCI 74 Io non la vidi tante volte ancora / ch'io non trovasse in lei nova bellezza; / onde Amor cresce in me la sua grandezza / tanto quanto il piacer novo s'aggiunge; Rime dubbie XII 14 tu miri / là dove è scritta la sentenzia nostra / ditratta del piacer di costei forte (" bellezza crudele " per il Contini); Pg XXXI 50 e 52 Mai non t'appresentò natura o arte / piacer, quanto le belle membra in ch'io / rinchiusa fui... / e se 'l sommo piacer sì ti fallio / per la mia morte, qual cosa mortale / dovea poi trarre te nel suo disio?
Si veda inoltre Rime LXXXVII 8 (non mi fu in piacer alcun disdetto), dove Barbi-Pernicone commentano: " questo verso si presta a diverse interpretazioni, delle quali la più coerente al contesto sembra questa: ‛ poiché non mi si disse di no, non mi fu fatto diniego (fu disdetto, forma impersonale) per nessuna bellezza (in piacer alcun), quando Natura ' ecc. Meno probabile ci sembra che in piacere alcun debba intendersi per ‛ in alcuna cosa da piacere altrui ' o ‛ in alcuna cosa che fosse di mio piacere ' (Dionisi, Fraticelli). Da respingere senz'altro l'interpretazione: ‛ poiché non mi fu in grado (non mi fu in piacer) alcun rifiuto (alcun disdetto) ", e anche al v. 17 (" attraverso la bellezza di alcuna ", Contini); Rime dubbie VIII 8 (che tuttavia il Contini spiega costruendo ‛ altro non osa piacere '), e, da ultimo, XXIX 12 e 14 Amor non è sustanza / ... anzi è passione in disianza; / piacer di forma dato per natura, / sì che 'l voler del core ogni altro avanza: / e questo basta finche 'l piacer dura (da notare, in senso differente, al v. 8 piacer del core, che va confrontato con XXVIII 8 lo cor... ha perso lo su' bel piacere, che il Contini interpreta senz'altro come " bel volto ", per cui bel sarebbe pleonastico, ma che peraltro si potrebbe anche riferire, più in generale, a non poter vedere / quella che di mia vita era nutrice, e ai versi successivi); pure qui si può considerare Rime XLVII 6.
Un discorso a sé richiede If V 104 Amor... / mi prese del costui piacer sì forte, / che, come vedi, ancor non m'abbandona, per il quale va sottolineata la coincidenza dell'unica occorrenza in questa cantica con un valore che è fortemente connotato di risonanze sensualistiche, e dunque, anche per questo versante, un hapax nell'insieme degli usi danteschi (neppure commensurabile, sotto questo aspetto, sia pure assai da lungi, con Cv IV XXVI 8 Enea... avendo ricevuto da Dido tanto di piacere... si partio, in cui il sostantivo, a parte la divergenza sostanziale della denotazione immediata, non è neanche ravvicinabile per la sua connotazione emotivo-psicologica, qui fredda e distaccata, tecnicamente asettica, da ragionatore esterno, calda e con enormi risonanze intime, perché vissuta e sofferta, sulle labbra di Francesca). Va notato che alcuni interpreti, quale il Paparelli (Questioni dantesche, Napoli 1967), preferiscono interpretare p. come forma verbale, per cui sarebbe la " femminile disposizione a fare ciò che dell'altro (costui) era in piacere " (confortato da Benvenuto: " me strinxit ad complacendum isti de mea pulcra persona "); ma, a parte la quasi totale unanimità dei commentatori in contrario, sembra difficile conciliare questo valore di p. con l'Amore ... / che ... ancor non m'abbandona.
È del tutto naturale che, al contrario, nel Paradiso, dove p. compare con la più alta frequenza (insieme con le Rime), il termine si colori di note senza immediati riferimenti concreti, anche psicologici: perciò p. è una delle parole-chiave nella costruzione dell'aura di divinità della terza cantica: così la bellezza di Beatrice è ormai il piacer santo (XIV 138, e cfr. il v. 131, con un rinvio a Vn XXXIII 8 20, già citato), e anzi Dio stesso è il piacere etterno che diretto raggia in Beatrice (Pd XVIII 16, e anche XXVII 95): Dio che è etterno piacere come superamento e sintesi somma del nesso .‛ Amore-Bellezza-Bene infiniti ' (cfr. il commento del Mattalia a XX 77; la stessa espressione in Pg XXIX 32, dove le sue primizie sono " quaedam praeambula aeternorum bonorum venientium ", Benvenuto), e che appunto in questo suo aspetto totalizzante viene indicato da s. Bernardo nella preghiera alla Vergine: E io ... tutti miei prieghi / ti porgo, e priego che non sieno scarsi, / perché tu ogne nube li disleghi / di sua mortalità co' prieghi tuoi, / sì che 'l sommo piacer li si dispieghi (XXXIII 33; e il Sapegno, per questo passo, istituisce un confronto con Pd VIII 87 là 've ogne ben si termina e s'inizia, Pg XXXI 23-24, e anche con Cv IV XII 17 l'ultimo desiderabile).
A quest'area specifica, come ‛ bellezza-beatitudine ' (oggettiva e soggettiva, psichica e reale), appartengono anche diverse attestazioni di p. (per lo più al plurale, ma come si vedrà alcune volte anche al singolare), presenti nel terzo trattato del Convivio, che prendono le mosse da Amor che ne la mente 56 Cose appariscon ne lo suo aspetto: che mostran de' piacer di Paradiso (passo per cui si può anche confrontare Vn XXVI 3 Io dico ch'ella si mostrava sì gentile e sì piena di tutti li piaceri, che quelli che la miravano comprendeano in loro una dolcezza onesta e soave, con il relativo sonetto Tanto gentile e tanto onesta pare), ripreso e commentato in VIII 5 (due volte), 6 e 8, XV 2 (due volte), e 11.
In quest'area rientra bene anche un caso come Pd I 135 la creatura... ha podere / di piegar ... in altra parte / ... sì l'impeto primo / l'atterra torto da falso piacere, con un'espressione che si ritrova in Pg XXXI 35 (Le presenti cose / col falso lor piacer volser miei passi), e che si spiega sempre nell'ambito di ‛ bene=bellezza '.
3. Il sostantivo può avere anche un'ulteriore specificazione del suo contenuto semantico in direzione soggettiva mentalistica: in questo caso il ‛ piacere ' è ‛ quanto piace ' al soggetto, cioè, in ultima analisi, quello che il soggetto ‛ vuole ' (dove però la ‛ volontà ' non è intesa come facoltà strettamente razionale, ma comprende anche componenti affettive, cioè vale quasi in un certo senso ‛ libitum '): questo senso appare ben chiaro in Rime LXVIII 2 Lo doloroso amor che mi conduce / a fin di morte per piacer di quella / che lo mio cor solea tener gioioso (e il Contini puntualmente interpreta " arbitrio "); Pg XXVII 131 lo tuo piacere omai prendi per duce; Pd V 84 agnel che lascia il latte / de la sua madre, e semplice e lascivo / seco medesmo a suo piacer combatte; il sintagma ‛ a p. di X ' con questo valore si ritrova, con il complemento specificato dal possessivo ‛ tuo ', in Pd V 120 e in VIII 33 (che però appare alquanto diverso); in XXVI 13 al suo piacere vale " secondo il piacere, la volontà di Beatrice ", mentre in XXXII 65 vale " il piacere, la volontà divina ", ed è quindi formalmente equivalente a 'l piacer di Dio di XXII, 80; ulteriori esempi sono forniti da Rime dubbie XVI 2 Io non domando, Amore, / fuor che potere il tuo piacer gradire (che è analogo a Vn II 7 Amore... cominciò a prendere sopra me... tanta signoria... che me convenia fare tutti li suoi piaceri compiutamente; e cfr. anche Rime XLVII 11); Pg XX 2 Contra miglior voler voler mal pugna; / onde contra 'l piacer mio, per piacerli, / trassi... (assai indicativo per questa scambio ‛ volere '-‛ piacere ', incrociati in chiasmo); ancora Pd III 102 quello sposo ch'ogne voto accetta / che caritate a suo piacer conforma (" quelli [voti] che procedono da carità e conformarsi colla sua [di Dio] volontà e col suo piacere ", Buti), e qui pure Pd III 53 Li nostri affetti... solo infiammati / son nel piacer de lo Spirito Santo, cioè, come spiega ancora il Buti, " altro desiderio non hanno, se non di piacere allo Spirito Santo ", e quindi " s'informano all'ordine universale disposto da Dio " (Sapegno), che è appunto, in ultima analisi, la sua ‛ volontà '.
In quest'ultimo ambito si colloca precisamente il sintagma ‛ (x) è piacere di y ', nel senso che " y vuole (x) ": Vn VIII 1 Appresso lo partire di questa gentile donna fue piacere del segnare de li angeli di chiamare a la sua gloria una donna, e ancora XLII 2 (con un'ipotetica con protasi al futuro); Rime LXVII 84 Qui giungerà... la bella figura / ... che sarà donna sopra tutte noi, / tosto che fia piacer de li occhi suoi (le interpretazioni dei commentatori, anche se per il resto alquanto divergenti, concordano sostanzialmente su questo punto); Cv I III 4 Poi che fu piacere de li cittadini ... di gittarmi fuori, e III X 9; Pg XIX 125 quanto fia piacer del giusto Sire, / tanto staremo immobili e distesi (da rilevare la concomitanza di p. e di ‛ giustizia ', che tende a eliminare la connotazione di ‛ volere capriccioso ' che il primo termine avrebbe potuto recare con sé).
4. Restano da esaminare alcuni casi abbastanza particolari, per il loro significato, o, almeno, perché su di essi non vi è accordo tra i commentatori; per Rime XCI 88 Canzon mia bella... / Se cavalier t'invita o ti ritene, / imprima che nel suo piacer ti metta, / espia... de la sua setta, il Contini spiega " prima d'entrare nel suo favore ", con un rinvio alla canzone Tempo vene, " probabilmente di Re Enzo ", che ai vv. 11-12 ha: " Colui... che col tempo si sa comportare, / e mettesi in piacere de la gente ", mentre Barbi-Pernicone confrontano il passo in questione con Pd III 52-53, e lo spiegano come " prima che tu ti disponga a fare il suo volere, il suo beneplacito ": si rimane comunque all'interno dell'ambito di piacere ‛ soggettivo ', dove pure sembra collocarsi Pd XI 60 tal donna... a cui, come a la morte, / la porta del piacer nessun diserra (" nessuno apre alla povertà la porta del piacere "; cioè la povertà non piace a nessuno). Per l'Auerbach (Lett. Dant. 1564) la porta del piacer sarebbe l' " accesso al corpo femminile ", giacché per lui la Povertà sarebbe addirittura una repellente meretrice, sì da mettere in rilievo la grandezza dell'amore di s. Francesco per lei.
Completamente diverso, in quanto oggettivato in senso fattuale sino a essere ‛ cosalizzato ', è Rime CV 4 Se vedi li occhi miei di pianger vaghi / ... ti priego ... / Signor, che tu di tal piacere i svaghi, che va senz'altro inteso, col Barbi-Pernicone (che si accorda sostanzialmente col Contini), come riferito a quanto segue nei vv. 5-6; " dia loro (agli occhi) lo svago di questa consolazione ": con la tua dritta man, che paghi / chi la giustizia uccide; si veda al riguardo la lunga nota del commento citato.
Infine, per Pd XII 26 li occhi ... al piacer che i move / Conviene insieme chiudere e levarsi, gli stessi commentatori antichi avevano opinioni assai divergenti: alcuni intendevano p. qui in senso soggettivo, di desiderio interno: " al piacere di colui che gli ha in testa " (l'Ottimo, con cui concorda il Lana), e altri all'opposto in direzione oggettiva, come il Buti: " li due occhi s'accordano insieme ne l'omo a chiudersi e ad aprirsi a la cosa... che li muove [perché piace] ".
5. Un esame a parte richiedono i sei esempi del Fiore (sette se vi s'include anche la personificazione di I 4, corrispondente al Deduit del Roman de la Rose: cfr. i vv. 588-592, ediz. Lecoy), in quanto si tratta sempre di casi che, per il loro costante riferimento sensualistico concreto, formano per un verso un tutto unico e coerente che si oppone categoricamente, sul versante ‛ esterno ', a tutto il D. canonico, ivi compreso If V 104, che ne è lontanissimo, non foss'altro per la sua tensione poetica.
Si va così da XVIII 10 basci il fior che tanto gli è 'n piacere, in cui si gioca ancora sulla metafora-universo del discorso su cui è costruito tutto il Fiore, a CCXXVII 14 or ne può fare tutto 'l su' piacere, che è poi quanto descritto, in un doppio senso appena mascherato, nei successivi sonetti CCXXVIII-CCXXX (e che corrisponde da vicino al valore che ha ‛ dilettare ', ad es. nel sonetto XL; e non è un caso che proprio in tale sonetto Amante concluda: Faccia Dio po' del fiore su' piacere!, fortemente ironico nei suoi risvolti polisemici); si vedano infine LIX 11 (dove il maggior piacere che Amante può fare alla sua donna è quello di ‛ richiederla '), LXVII 4 (vivanda ch'a piacer ... sia), e CCI 8.
Da ultimo, anche l'unica occorrenza del Detto: Amor amar è: / i' 'l truova' dolce e fine, / e su' comincio e fine / mi piacque e piacerà, / che'n sé gran piacer ha (v. 145), si situa, senza particolari difficoltà, all'interno degli impieghi già rilevati per il Fiore.