piaga [plur. anche piage, in rima: cfr. Parodi, Lingua 249]
È adoperato una volta nel Convivio e largamente nella Commedia.
Nel suo significato fisico il vocabolo ha un impiego pressoché esclusivo nella prima cantica, per la descrizione di alcuni supplizi: i membri dei sodomiti sono pieni delle piaghe prodotte dal fuoco che li colpisce (If XVI 10); nella bolgia dei ladri, dalla piaga inferta a Buoso dal serpente (come dalla bocca del serpente stesso) esce un denso fumo (XXV 92); le orribili, multiformi mutilazioni dei dannati della nona bolgia (le diverse piaghe che muovono D. al pianto: XXIX 2) sono addirittura indescrivibili: Chi poria mai pur con parole sciolte / dicer del sangue e de le piaghe a pieno...? (XXVIII 2).
Nella seconda cantica, a parte l'uso ancora letterale di Pg III 111 [Manfredi] mostrommi una piaga a sommo 'l petto, il vocabolo tende a riempirsi d'implicazioni simboliche e metaforiche. Così in IX 114 Fa che lavi / ... queste piaghe, e in XV 80 Procaccia pur che tosto sieno spente / le cinque piaghe, le p. a cui si allude (le sette P incise con la spada dall'angelo portiere sulla fronte di D.), anche se sono da intendersi fisicamente come vere ferite, assumono tuttavia un chiaro valore simbolico, fondato sull'accezione che il termine ha spesso nel linguaggio scritturale, a indicare il peccato e insieme la punizione divina che lo colpisce (cfr. Ps. 38, 11 " Amove a me plagas tuas "; Is. 1, 6 " A planta pedis usque ad verticem non est in eo sanitas: vulnus et livor et plaga tumens "; ecc.). Come metafora del peccato, p. è adoperato in Pg XXV 139 con tal cura conviene e con tai pasti / che la piaga da sezzo si ricuscia; e in Pd XXXII 4 la piaga che Maria richiuse e unse designa il peccato originale. Come metafora della punizione divina il vocabolo s'incontra in Pg XXIV 38 là, ov'el sentia la piaga / de la giustizia che sì li pilucca: ossia sulle labbra, dove il peccatore sentiva il tormento della fame e della sete.
Altri usi metaforici del termine sono più o meno autorizzati dalla tradizione: tale in Cv I III 4 la piaga de la fortuna, per cui cfr. il ciceroniano (Acad. pr. III 11) e lucaneo (Phars. VIII 72) ‛ fortunae vulnus '; tale ancora in Pg VII 95 le piaghe c'hanno Italia morta (cioè i disordini del malgoverno), immagine medica ben nota alla letteratura politica del tempo.
D'intensità tutta dantesca appare invece la metafora di Pg XXV 30 lui chiamo e prego / che sia or sanator de le tue piage, ossia risolutore dei dubbi che assillano la mente di D.: dove l'espressione rientra in una costellazione di metafore dantesche, tutte particolarmente intense, legate al tema del dubbio e del desiderio di sapere (cfr. ad es. Pg XVI 53-54 io scoppio / dentro ad un dubbio, s'io non me ne spiego; Pd I 83-84 un disio / mai non sentito di cotanto acume; ecc.).