Pianeti
Maxume vero sunt admirabiles
motus earum quinque stellarum,
quae falso vocantur errantes
(Cicerone, De natura deorum)
Il presente e il futuro dell'esplorazione
del Sistema solare
di Ellis D. Miner
14 gennaio
Dopo il successo della missione su Marte delle sonde Spirit e Opportunity, il presidente degli Stati Uniti George Bush presenta il programma delle future attività della NASA, che prevede la creazione di una base permanente abitata sulla Luna, da usare per il successivo sbarco dell'uomo sul Pianeta Rosso. È un'ulteriore, ambiziosa, tappa sulla via dell'esplorazione spaziale del Sistema solare, che in quarant'anni ha avuto uno sviluppo al di là di ogni aspettativa.
I limiti dell'esplorazione da Terra
L'esplorazione del Sistema solare ebbe inizio, ben prima che cominciasse l'era spaziale, con le osservazioni a occhio nudo del Sole, della Luna, dei pianeti e delle comete che di tanto in tanto navigavano maestosamente e misteriosamente sullo sfondo del cielo stellato. I dischi del Sole e della Luna si differenziavano dalle stelle dello sfondo e i pianeti Mercurio, Venere, Marte, Giove e Saturno si distinguevano come oggetti brillanti ma essenzialmente senza disco, in moto rispetto alla struttura invariante delle stelle. Studiati per rilevarne e predirne il moto nel cielo, battezzati con il nome delle maggiori divinità, questi sette oggetti celesti (non le comete, il cui moto non era predicibile) furono anche immortalati nel nome dei giorni della settimana. Nelle lingue neolatine lunedì prende il nome dalla Luna; martedì da Marte, il pianeta intitolato al dio della guerra; mercoledì da Mercurio, messaggero degli dei e portatore del tuono; giovedì da Giove, signore degli dei; venerdì da Venere, dea dell'amore. Analogamente in inglese troviamo monday, giorno della Luna, tuesday dall'antico nome inglese del dio germanico della guerra Tiu, wednesday da Odin (Woden), il principale dio norvegese che noi assimileremmo a Giove, thursday dal dio norvegese del tuono Thor; friday viene da frigedoeg, equivalente in inglese antico del latino 'giorno di Venere', e infine saturday è il giorno di Saturno e sunday è intitolato all'oggetto più brillante nel cielo, il Sole.
L'uso dei telescopi per gli studi astronomici ebbe inizio con le osservazioni del pianeta Giove da parte di Galileo. La scoperta dei primi quattro satelliti 'galileiani' di Giove fornì un'evidenza incontestabile del fatto che ci sono alcuni corpi celesti che orbitano attorno a un oggetto diverso dalla Terra, e segnò così la morte dell'astronomia geocentrica aristotelica, con l'accettazione del Sistema solare eliocentrico copernicano. La dimostrazione da parte di William Herschel dell'esistenza della radiazione infrarossa diede inizio allo studio dell'astronomia su lunghezze d'onda più lunghe e più corte del visibile. Da allora e fino al lancio del satellite russo Sputnik, nel 1957, telescopi e strumentazioni hanno continuato a migliorare e ad allargare l'indagine del Sistema solare.
L'uso di telescopi terrestri (cioè con base sulla Terra) continua a essere un modo di esplorazione efficace per lo studio dettagliato dei corpi appartenenti al Sistema solare e al mezzo interplanetario. Tuttavia questo tipo di esplorazione presenta cinque limitazioni principali che non possono essere superate se non utilizzando sonde spaziali con strumentazione appropriata.
1) La turbolenza dell'atmosfera terrestre disturba la luce (o, più precisamente, la radiazione elettromagnetica) che arriva dagli altri pianeti. Questa turbolenza offusca la visione telescopica dei corpi solari, facendoli apparire sfocati e luccicanti. È lo stesso effetto che rende tremolante la luce delle stelle nel cielo notturno, sia che si effettui l'osservazione a occhio nudo sia con un telescopio. Anche se la turbolenza atmosferica è bassa, la massima risoluzione ottenibile con un telescopio di alta qualità e con larga apertura è generalmente di uno o pochi secondi di arco. Con l'avvento del calcolo veloce si è resa disponibile la tecnologia dell''ottica adattiva', che permette sostanzialmente di correggere all'istante molti degli effetti della turbolenza atmosferica. Attualmente, i sistemi con ottica adattiva operano quasi esclusivamente alle lunghezze d'onda del vicino infrarosso, ma nel caso di telescopi terrestri a larga apertura, tali sistemi riescono spesso a raggiungere una risoluzione di 0,02 secondi d'arco, confrontabile con la risoluzione ottenibile alle lunghezze d'onda nel visibile utilizzando il telescopio orbitante Hubble.
2) Il grado di trasparenza dell'atmosfera terrestre varia con le condizioni meteorologiche, con l'altitudine del luogo di osservazione e con la lunghezza d'onda della luce. In condizioni di limpidità e in siti ad alta quota, l'atmosfera è relativamente trasparente alle lunghezze d'onda nel visibile, ma diventa completamente opaca alle lunghezze d'onda ultraviolette e a quelle ancora più corte. La trasparenza varia moltissimo nell'infrarosso, essendo l'atmosfera praticamente opaca alle lunghezze d'onda a cui è alto l'assorbimento della luce da parte dei gas atmosferici e invece trasparente alle altre.
3) L'atmosfera diffonde efficacemente la luce del Sole, rendendo impossibili le osservazioni delle stelle e dei pianeti sia nell'ultravioletto sia nel visibile o nell'infrarosso, da un'ora prima dell'alba a circa un'ora dopo il tramonto. La luce del Sole è un problema minore alle lunghezze d'onda delle microonde e delle onde radio, ma il riscaldamento solare dei radiotelescopi può peggiorare in maniera grave il rapporto segnale/rumore dei dati ricevuti.
4) La risoluzione angolare di un oggetto visto attraverso un dato telescopio non cambia molto cambiando oggetto, ma le dimensioni lineari del dettaglio più fine che si può distinguere nell'oggetto in osservazione dipendono anche dalla distanza dell'osservatore. Molti degli oggetti di maggiore interesse scientifico nel Sistema solare sono a grande distanza dalla Terra.
I dettagli delle superfici, degli anelli e delle nuvole atmosferiche associati a questi oggetti non possono essere distinti senza portare l'equipaggiamento necessario all'osservazione molto vicino ai corpi stessi. Analogamente, spesso è necessario osservare alcune particolarità della Terra da una più vasta scala. Così, la comprensione di alcune caratteristiche locali del pianeta può trarre grande giovamento da una visione globale acquisita dall'orbita terrestre.
5) Alcune misurazioni non possono essere dedotte da un'osservazione fatta a distanza, ma richiedono una rilevazione diretta dei dati ambientali. Per esempio, la comprensione dei campi magnetici planetari, delle particelle cariche a essi associate e dei campi di radioonde non è stata possibile fino a che non si è potuto immettere nella magnetosfera in esame un appropriato sistema di misura.
Queste sono alcune delle ragioni per cui un'esplorazione dettagliata del Sistema solare deve includere navicelle spaziali robotizzate come parte integrante delle ricerche. Tenendo presente ciò, ripercorriamo brevemente i vari stadi attraverso cui procede l'esplorazione.
Gli stadi dell'esplorazione spaziale
La NASA (National aeronautics and space administration) è stata la prima agenzia spaziale del mondo ed è tuttora quella più attiva. Ha il suo quartier generale a Washington e dispone di vari centri sparsi in varie parti degli Stati Uniti: il Centro di ricerche di Ames in California, il Centro di ricerche di volo di Dryden in California, il Centro di ricerche Glenn nell'Ohio, il Centro di voli spaziali Goddard (GSFC, Goddard space flight center) nel Maryland, il Laboratorio di propulsione a jet (JPL, Jet propulsion laboratory) in California, il Centro spaziale Johnson (JSC, Johnson space center) in Texas, il Centro spaziale Kennedy in California, il Centro di ricerche Langley in Virginia, il Centro di volo spaziale Marshall in Alabama e il Centro spaziale Stennis in Mississippi. L'Ufficio per la scienza spaziale (codice S) è responsabile dell'esplorazione robotizzata dello spazio, suddivisa in quattro aree tematiche generali: esplorazione del Sistema solare (SSE, Solar System exploration), connessione Sole-Terra, struttura ed evoluzione dell'Universo e ricerca delle origini (dell'Universo). L'Ufficio per il volo spaziale (codice M) è responsabile dell'esplorazione dello spazio con missioni con uomini a bordo. L'Ufficio per le scienze terrestri (codice Y) ha la responsabilità degli studi della Terra condotti da navicelle spaziali in orbita attorno al pianeta. Sebbene gli studi non siano ristretti a singoli centri, tuttavia il JPL guida l'esplorazione robotica del Sistema solare (esclusivamente per il Sole e la Terra), il GSFC l'esplorazione della Terra dallo spazio e il JSC l'esplorazione dello spazio con uomini a bordo. Gran parte della ricerca teorica e sperimentale relativa all'esplorazione del Sistema solare, anche quella che si conduce nelle università e nei centri di ricerca che non appartengono alla NASA, è finanziata da fondi NASA, così come lo sono i gruppi scientifici associati alle strumentazioni che sono a bordo di sonde spaziali NASA. Si è detto che la NASA è la più grande agenzia spaziale nel mondo. Tuttavia non è certo l'unica a essere coinvolta nell'esplorazione del Sistema solare. Tra le altre ci sono l'ESA (European space agency), l'ASI (Agenzia spaziale italiana), la RKA (Rosaviakosmos, agenzia spaziale russa), la JAXA (Japan aerospace exploration agency) e la CNSA (China national space administration).
L'esplorazione del Sistema solare consiste, per ciascun pianeta o corpo celeste anche più piccolo, in: a) studi eseguiti da Terra; b) missioni di sorvolo dette flyby; c) missioni orbitali; d) missioni con atterraggio; e) missioni con carico umano.
a) Da Terra si eseguono sia studi teorici, sia osservazioni dalla superficie e da osservatori aviotrasportati od orbitanti attorno al pianeta. Questi studi sono generalmente meno costosi, di maggior durata e più semplici da continuare rispetto a quelli eseguiti su analoghi obiettivi da sonde spaziali. Attorno alla Terra al momento orbitano, fra gli altri, i quattro grandi osservatori della NASA: il telescopio spaziale Hubble (che sarà sostituito dal James Webb), l'osservatorio Chandra a raggi X, l'osservatorio Compton a raggi γ e il telescopio spaziale Spitzer. Hubble e Spitzer tengono sotto osservazione gli oggetti del Sistema solare; Chandra e Compton sono invece più adatti alle osservazioni delle stelle e delle galassie.
b) Le missioni flyby vengono progettate per studi veloci in periodi di tempo relativamente brevi quando la navetta spaziale naviga, di solito a velocità relativamente alte, vicino al suo obiettivo, raccogliendo dati durante il passaggio. La prima di queste missioni verso un altro pianeta fu la Mariner 2, partita il 27 agosto 1962, che giunse su Venere il 14 dicembre dello stesso anno. Le missioni Stardust e Deep impact sono esempi di missioni flyby con obiettivi specifici specializzati: Stardust il 2 gennaio 2004 è passata vicino alla cometa Wild 2, raccogliendo campioni di polvere della coda, che riporterà sulla Terra ai primi del 2006; Deep impact è programmato per far esplodere materiale ghiacciato del nucleo della cometa Tempel 1 a metà 2005 e analizzarlo.
c) Le missioni orbitali permettono a una navicella di rimanere nelle vicinanze dell'obiettivo per periodi di tempo sufficientemente lunghi da assicurare un esame completo, comprensivo delle variazioni temporali. La prima missione orbitale attorno a un altro pianeta fu la Mariner 9 su Marte, lanciata il 30 maggio 1971 e inserita nell'orbita di Marte il 14 novembre dello stesso anno. Alcune missioni orbitali comprendono l'utilizzo di landers di superficie o sonde atmosferiche, come Viking 1 e Viking 2 per Marte (1976), Pioneer per Venere (1978), Galileo per Giove (1995) e Cassini-Huygens per Saturno e Titano (2004), dove le date tra parentesi indicano il momento di arrivo.
d) Le missioni con atterraggio includono meccanismi d'impatto, o surface impactors, e per l'atterraggio morbido, o soft landers (che utilizzano una varietà di metodi per rallentare la navicella spaziale e assicurare il suo atterraggio sicuro), sonde di superficie, sonde atmosferiche, missioni aeree (con strumentazione su palloni sonda e aviotrasportata), e altre navicelle spaziali o equipaggiamenti mirati a studiare i rispettivi obiettivi attraverso il contatto con il bersaglio o da una distanza assai vicina. La prima missione ad atterrare su un altro pianeta è stata Viking 1 che, lanciata il 20 agosto 1975 e arrivata nell'orbita di Marte il 19 giugno 1976, ha toccato il suolo del pianeta il 20 luglio dello stesso anno. La maggior parte di queste missioni trasmette i dati raccolti a un satellite orbitante, che li inoltra alla Terra. Due eccezioni importanti sono i rovers di Marte,
Spirit e Opportunity, atterrati sulla superficie del pianeta nel gennaio 2004, che trasmettono i dati direttamente alla Terra, sebbene possano anche passare attraverso i due satelliti in orbita attorno a Marte, Odyssey e Mars global surveyor.
e) Missioni con uomini a bordo non sono mai state compiute su nessun pianeta, avendo per ora raggiunto solo la Luna. Le missioni Apollo risalgono alla fine degli anni Sessanta e ai primi anni Settanta. Apollo 11 toccò il suolo lunare il 20 luglio 1969, Apollo 17 sbarcò sul satellite il 14 dicembre 1972. In tutto, riuscirono nell'allunaggio sei missioni con carico umano. Apollo 13, incorso nelle difficoltà raccontate nel film omonimo, girò attorno alla Luna e riportò i suoi astronauti sani e salvi sulla Terra, ma non si posò sul satellite. Lo stesso avevano fatto Apollo 8 e Apollo 19 alla fine del 1968 e all'inizio del 1969, che tuttavia non erano stati programmati per lo sbarco. Le esplorazioni scientifiche con carico umano hanno il vantaggio che gli astronauti possono controllare i dati raccolti e provvedere quindi in maniera più efficace a osservazioni o a raccolte di campioni aggiuntive. Hanno però lo svantaggio di essere assai costose e di mettere comunque a rischio la vita degli astronauti. Il presidente degli Stati Uniti George Bush ha annunciato all'inizio del 2004 che la NASA tenterà di portare altri uomini sulla superficie della Luna e in futuro di mandare astronauti su Marte. I tempi del programma di queste missioni umane non sono stati ancora annunciati.
Lo svolgimento progressivo dei tipi di missione sopra elencati costituisce la strategia di massima delle esplorazioni del Sistema solare. Per la sua espletazione sono necessari altri elementi fondamentali, quali un insieme di priorità scientifiche per l'esplorazione futura e una roadmap che le organizzi in una sequenza logica, sviluppi tecnologici chiave che supportino questa sequenza di missioni, programmi di ricerca e sviluppo atti a focalizzare l'attenzione sui problemi specifici ancora in attesa di risposta. Inoltre, sono necessari fondi sufficienti per sostenere lo sviluppo tecnologico, la ricerca di base, le missioni che sono al momento in atto e quelle programmate.
Priorità scientifiche delle esplorazioni future
Nel 2003 il National research council della National academy of sciences ha pubblicato un documento di 248 pagine intitolato New frontiers in the Solar System. An integrated exploration strategy, in risposta all'appello rivolto da Edward Weiler, amministratore associato per i programmi spaziali della NASA. Weiler affidava alla comunità scientifica il compito di stabilire una serie di priorità per l'esplorazione futura del Sistema solare che potessero essere usate dall'ente spaziale per decidere tra le diverse missioni, visto che tutte si contendevano le stesse limitate risorse. Nella preparazione della strategia sono state fondamentali la cooperazione e l'assistenza della DPS (Division for planetary sciences) della American astronomical society, la più grande organizzazione professionale di scienze planetarie del mondo che associa 1200 membri, di cui il 20% circa non statunitense. Il progetto, sebbene finanziato dalla NASA e condotto dal National research council, ha coinvolto un gran numero di esperti di scienze planetarie, tutti membri anche della DPS, ed è stato diretto da Michael J.S. Belton; esso ha richiesto più di anno per il completamento.
Il gruppo di Belton ha evidenziato quattro temi scientifici trasversali, che formano una base per la strategia integrata. Li riportiamo, citando alla lettera dal volume: 1) Il primo miliardo di anni della storia del Sistema solare. Questo primo tema copre il periodo di formazione contrassegnato dalla concrezione iniziale e dallo sviluppo della Terra e dei pianeti consimili, nonché l'inizio della vita sul nostro pianeta, epoca chiave nella storia del Sistema solare sulla quale al momento si ha solo un'idea vaga.
2) La materia della vita: volatili e organici. Il secondo tema affronta il dato di fatto che la vita ha bisogno di materiali organici e volatili, in particolare di acqua allo stato liquido; questi materiali originariamente si condensarono nelle regioni più esterne della nebulosa solare e furono in seguito trasportati sui pianeti da comete e asteroidi ricchi di materiale organico.
3) L'origine e l'evoluzione dei mondi abitabili. Il terzo tema prende atto del fatto che il concetto di 'zona abitabile' è stato sovvertito ed enormemente allargato dalle recenti scoperte fatte sulla Terra e anche altrove nella galassia; l'inventario del nostro vicinato planetario aiuterà a tracciare il cammino evolutivo degli altri pianeti e anche a individuare l'eventuale destino del nostro. 4) Come funzionano i sistemi planetari. Il quarto tema approfondisce la comprensione dei meccanismi fondamentali alla base del Sistema solare; comprendere tali meccanismi e le modalità secondo cui si applicano ai corpi planetari è la chiave di volta della scienza planetaria, che fornirà una conoscenza più approfondita dell'evoluzione di tutti i mondi del Sistema solare e della moltitudine dei pianeti che si stanno scoprendo attorno ad altre stelle.
Da questi quattro temi si sono dedotte dodici domande chiave, per ciascuna delle quali sono state proposte missioni scientifiche. Tali domande, che rappresentano dunque la priorità massima nell'esplorazione del Sistema solare, sono: 1) Quali processi hanno caratterizzato gli stadi iniziali della formazione dei pianeti e dei satelliti? 2) Quanto tempo fu necessario perché si formasse il gigante gassoso Giove e in cosa fu diversa la formazione dei pianeti giganti ghiacciati (Urano e Nettuno) da quella di Giove e del suo consimile pianeta gassoso Saturno? 3) Come andò diminuendo durante la giovinezza del Sistema solare il flusso cosmico incidente e in quale modo, o in quali modi, questo decadimento influenzò l'apparizione della vita sulla Terra? 4) Qual è stata la storia dei composti volatili, dell'acqua in particolare, nel Sistema solare? 5) Qual è la natura della materia organica nel Sistema solare e come si è evoluta? 6) Quali furono i meccanismi complessivi che influenzarono l'evoluzione dei materiali volatili sui pianeti? 7) Quali processi planetari sono responsabili dell'origine e del mantenimento della vita sui pianeti e quali sono
le zone abitabili nel Sistema solare? 8) Esiste o è esistita la vita al di fuori della Terra? 9) Perché
i pianeti terrestri si sono differenziati così tanto nella loro evoluzione? 10) Quali pericoli presentano per la biosfera terrestre i corpi del Sistema solare?
11) Come hanno operato e interagito i processi che hanno forgiato nelle caratteristiche attuali i corpi planetari? 12) Cosa ci dice il Sistema solare riguardo allo sviluppo e all'evoluzione dei sistemi planetari al di fuori di esso, e viceversa?
Sulla scorta di questa lista di domande, Belton e i suoi comitati hanno raccomandato per gli anni 2003-2013 una serie di missioni (oltre a quelle già in orbita), che riportiamo in tabella, indicate in ordine di priorità all'interno di ciascuna sottocategoria.
La roadmap dell'esplorazione del Sistema solare
Sulla base dei risultati descritti in New frontiers in the Solar System. An integrated exploration strategy l'ufficio della NASA per la scienza spaziale ha pubblicato nel maggio 2003 un programma intitolato Solar System exploration roadmap, in cui vengono evidenziati alcuni punti salienti: per affrontare l'ampia gamma di sfide scientifiche e tecnologiche è necessario un insieme bilanciato di missioni piccole, medie e 'di bandiera'; il valore scientifico ottimale dell'intero programma è assicurato da un complesso di strategie (missioni di sorvolo, orbitali, aeree, di superficie e con prelievo di campioni). Poiché l'educazione e la pubblica informazione rappresentano una delle responsabilità primarie e un punto focale dei programmi di esplorazione del Sistema solare e di Marte, ogni missione dovrà essere considerata un'occasione da sfruttare appieno per attirare e coinvolgere il pubblico e ispirare ed educare i giovani.
Ampio sviluppo riceveranno il programma Discovery e tutto l'insieme delle missioni minori di Mars Scout, che permettendo indagini mirate saranno in grado di dare rapidamente risposta alle nuove scoperte. Il programma di missioni a medio costo indicate in New frontiers rappresenta un passaggio fondamentale sulla strada dell'esplorazione del Sistema solare. La prima di queste missioni, chiamata New horizons, porterà alla ricognizione del sistema Plutone-Caronte e della Cintura di Kuiper. Le missioni successive dovrebbero avere come oggetto la composizione e la chimica del sottosuolo lunare, la struttura di Giove e la composizione degli strati più profondi della sua atmosfera, l'esplorazione in situ di Venere e l'analisi di campioni della superficie delle comete. La strategia per l'esplorazione di Marte raccomandata dal Gruppo di accertamento del programma Mars exploration sarà perseguita con missioni a medio e lungo termine, da definire sulla base delle scoperte risultanti dalle missioni precedenti.
Nei tempi opportuni la NASA programmerà l'inizio di nuove importanti missioni di bandiera, avendo come obiettivo prioritario lo studio di possibili oceani sotto la superficie di Europa e degli altri satelliti galileiani. Altri obiettivi sono stati identificati e saranno selezionati per il volo in base alle scoperte scientifiche e ai progressi tecnologici.
Tabella
Sistemi di propulsione e di potenza concettualmente avanzati possono rivoluzionare l'esplorazione del Sistema solare e aprire nuovi ambiti scientifici: come primo potenziale utilizzo della tecnologia a fissione per la propulsione, la NASA sta studiando una missione orbitante attorno alle lune ghiacciate di Giove, che rappresenterebbe un passo fondamentale nella comprensione degli ambienti abitabili e della vita nel Sistema solare. Sono in via di sviluppo altresì tecnologie ottiche per le telecomunicazioni in grado di accrescere sensibilmente la ricaduta scientifica delle missioni spaziali. La prima applicazione è prevista su Mars Telesat nel 2009.
Si perseguirà nell'esplorazione di Marte secondo quanto raccomandato dall'Assessment group del programma Mars exploration, definendo le missioni di medio e lungo termine ogni volta in base alle scoperte delle missioni precedenti.
Ogni impegno ed energia verranno posti nella ricerca di sviluppi tecnologici che rendano possibili e più efficaci le future missioni e forniscano nuove opportunità di ampi benefici, mentre un'adeguata copertura finanziaria continuerà a essere assicurata alla ricerca scientifica e all'analisi di base. Questi investimenti sostengono l'analisi dei dati scientifici provenienti dalle missioni, aiutano a inquadrare le finalità scientifiche e gli scenari delle missioni future e costituiscono un terreno di formazione per la prossima generazione di esploratori planetari. Altri investimenti riguarderanno le attrezzature e le infrastrutture (compresa la rete di antenne facenti parte del Deep space network), la strumentazione da laboratorio, la banca dati del Planetary data system e l'equipaggiamento necessario per maneggiare, preservare e analizzare in maniera sicura i campioni riportati sulla Terra.
Queste sono dunque nelle linee generali le direttive principali di un programma ambizioso che prevede una serie continuata di esplorazioni solari negli anni a venire, per dare risposta ai quesiti sulla genesi e le caratteristiche del Sistema solare che sopra abbiamo elencato.
Le missioni in corso
I progetti per le missioni future non devono far dimenticare l'importanza delle 17 missioni spaziali già lanciate e operanti nello spazio, nei cui obiettivi la componente dell'esplorazione del Sistema solare è maggioritaria, quando non esclusiva. Le elenchiamo seguendo l'ordine della loro data di lancio, indicata tra parentesi.
La sonda Voyager 2 (20 agosto 1977) ha avuto incontri ravvicinati con Giove, Saturno, Uranio e Nettuno. Al momento sta ricercando i confini esterni del campo magnetico solare, l'eliopausa. Voyager 1 (5 settembre 1977) ha raggiunto e sorpassato la sonda gemella a meno di un anno dal lancio. Dopo aver incontrato Giove e Saturno, compiendo anche un sorvolo sulla luna più grande di Saturno, Titano, è alla ricerca dell'eliopausa. Raggiungerà lo spazio interstellare al di là di questa anni prima di Voyager 2.
Il telescopio ottico Hubble (24 aprile 1990) è utilizzato per studi ad alta risoluzione delle stelle e delle galassie, ma è anche uno strumento fondamentale per lo studio dei pianeti e degli altri oggetti del Sistema solare. La missione Ulysses (6 ottobre 1990), progettata per studiare i poli del Sole, fornisce anche dati su Giove, che ha incontrato due volte, e sullo spazio tra i pianeti.
Mars global surveyor (7 novembre 1996) nel marzo 1999 ha iniziato la sua prima missione di tracciare una carta geografica dettagliata della superficie di Marte e continua a svolgere una funzione di mappatura, oltre a trasmettere i dati raccolti dai Mars exploration rovers.
Cassini (15 ottobre 1997) è la navicella interplanetaria spaziale più grande e capace che sia mai stata in orbita. Nel suo viaggio verso l'obiettivo finale, l'orbita di Saturno, ha incontrato Venere (due volte), la Terra e Giove. La missione in orbita attorno a Saturno, la cui durata è programmata di quattro anni, dal luglio 2004 al luglio 2008, consentirà di investigare il pianeta, i suoi anelli, la sua magnetosfera, Titano e un gran numero dei suoi satelliti di ghiaccio.
La sonda Huygens (15 ottobre 1997), costruita e manovrata dall'Agenzia spaziale europea, è stata lanciata a bordo di Cassini e sarà portata fino a Titano da questa navicella, che poi trasmetterà anche alla Terra i dati raccolti da Huygens. Titano è l'unica luna del Sistema solare che abbia un'atmosfera di rilevanti proporzioni.
Stardust (7 febbraio 1999) ha sorvolato il suo obiettivo primario, la cometa Wild 2, nel gennaio 2004, raccogliendo campioni di polvere della sua coda. Questi campioni saranno portati sulla Terra per l'analisi scientifica all'inizio del 2006.
Mars 2001 Odyssey (7 aprile 2001), come il precedente Global surveyor, ha utilizzato l'azione frenante dell'atmosfera di Marte per rallentare la sua velocità e abbassare la sua orbita in modo da poter eseguire la mappatura dell'altitudine. Uno dei suoi scopi principali è la ricerca di acqua ghiacciata sulla superficie di Marte, sia direttamente dalla vista, sia dalla mappatura spettrale alle lunghezze d'onda dell'infrarosso.
Genesis (8 agosto 2001) ha raccolto, a partire dal novembre 2001, particelle di vento solare in un punto tra la Terra e il Sole dove l'attrazione gravitazionale tra i due corpi si eguaglia. Il trasferimento dei campioni sulla Terra è fissato per il settembre 2004.
L'arrivo della missione giapponese Hayabusa (MUSES-C; 9 maggio 2003) presso l'asteroide Itokawa è stabilito per l'ottobre 2005. Dopo aver raccolto un campione dell'asteroide, la missione lo porterà sulla Terra nel giugno 2007.
La missione orbitale marziana dell'ESA Mars express (2 giugno 2003) sta cercando prove della presenza di acqua sotterranea. Ha trasportato un lander (Beagle 2), ma ha perso i contatti prima del momento programmato per il suo arrivo sulla superficie di Marte.
Il primo dei due rovers gemelli che costituiscono la missione Mars exploration rover (MER), Spirit (10 giugno 2003), è atterrato nel cratere Gusev e si muove sulla superficie di Marte in quell'area, cercando segni di acqua, presente o passata.
Il secondo rover, Opportunity (5 luglio 2003), atterrato sul lato opposto di Marte in un piccolo cratere nel Planum Meridiani, è ugualmente impegnato nella ricerca di acqua.
Il telescopio spaziale Spitzer (23 agosto 2003) costituisce la controparte nell'infrarosso di Hubble e come questo studia stelle e galassie, ma è anche uno strumento molto potente per l'indagine dei pianeti, degli asteroidi, delle comete e della polvere del Sistema solare. Gli osservatori a raggi X Chandra e a raggi Compton completano il programma Great observatories, ma sono meno utili di Hubble e Spitzer per l'esplorazione del Sistema solare.
La missione dell'ESA SMART-1 (27 settembre 2003) ha una doppia finalità: sperimentare un certo numero di nuove tecnologie e fornire poi una carta geografica dettagliata della Luna, specialmente nelle vicinanze del Polo Sud lunare, dove una montagna è permanentemente esposta alla luce del Sole mentre il fondo di alcuni crateri, che non sono mai raggiunti dalla luce del Sole, potrebbe contenere acqua ghiacciata.
Rosetta (2 marzo 2004) è una missione dell'ESA di durata decennale rivolta all'esplorazione della cometa Churyumov-Gerasimenko, attorno alla quale orbiterà, controllandone l'attività per due anni quando la cometa avvicinerà il Sole. Nel novembre 2014 Rosetta rilascerà un piccolo lander con strumenti scientifici, il primo a tentare di atterrare sulla superficie di una cometa.
Queste missioni in corso e quelle programmate per il futuro costituiscono lo stato dell'arte dell'esplorazione del Sistema solare. Il significato globale può essere riassunto in quanto recita il frontespizio della Solar system exploration roadmap: "Nei 40 anni che sono passati dal lancio della prima sonda interplanetaria Mariner 2, la nostra conoscenza del Sistema solare e la nostra capacità di esplorarlo sono aumentate a un ritmo sorprendente. Abbiamo iniziato con piccoli passi e traguardi modesti, tentando di fare quello che non era mai stato fatto in precedenza. Oggi i nostri explorers robotizzati hanno viaggiato attraverso tutto il Sistema solare, rivelando livelli di complessità e diversità che non erano immaginabili prima dell'avvento dell'esplorazione spaziale".
repertorio
Il Sistema solare
Il Sistema solare è costituito dai corpi celesti che rientrano nella zona di influenza gravitazionale del Sole. Oltre al Sole stesso, ne fanno parte i nove grandi pianeti (Mercurio, Venere, Terra, Marte, Giove, Saturno, Urano, Nettuno e Plutone; l'esistenza di un decimo pianeta, provvisoriamente denominato Sedna, è stata ipotizzata nelmarzo 2004), i rispettivi satelliti, gli asteroidi, le comete, una miriade di piccoli e piccolissimi agglomerati (meteoroidi), la polvere (di dimensioni submillimetriche) e il vento solare, composto da particelle elementari espulse dal Sole.
L'orbita di Plutone è di circa 40 unità astronomiche (1 UA equivale a 150 milioni di km, ovvero la distanza media Terra-Sole). Oltre Plutone, il vento solare permea l'eliosfera, una regione che si estende fino a distanze di 1000 UA dal Sole. Ancora più lontano troviamo il confine del Sistema solare: la nube di Oort, un guscio sferico del raggio di circa 50.000 UA dove si addensano le comete. Nel suo complesso, il Sistema si muove in direzione della stella Vega a una velocità di circa 20 km al secondo.
Dalle cosmologie al modello eliocentrico
Le origini delle conoscenze sul Sistema solare possono essere rintracciate nelle più antiche cosmologie di cui abbiamo testimonianza. In esse si trovano i primi tentativi di correlare i principali oggetti celesti (il Sole, la Luna, la Terra e le stelle) con i fenomeni astronomici direttamente accessibili all'uomo (l'avvicendarsi del giorno e della notte, il ripresentarsi delle stagioni). Fu la civiltà dei greci a dare per prima, fin dalla metà del 6° secolo a.C., una rappresentazione dell'Universo secondo schemi armoniosi e geometrici, pur mantenendo il punto di vista antropocentrico e geocentrico dei precedenti modelli cosmologici.
L'Universo era allora descritto in termini di strati sferici concentrici, in moto di rotazione intorno alla Terra, situata immobile al centro. Sulla sfera più esterna erano posizionate le stelle fisse, mentre i pianeti erano collocati su sfere via via più interne secondo il loro periodo orbitale decrescente. In un sistema così semplice non trovavano facile spiegazione i moti apparentemente complicati dei pianeti, che furono infatti denominati dai greci con il termine planètes "errante, vagante". Fu pertanto necessario introdurre un numero maggiore di sfere. Nella teoria delle sfere omocentriche di Eudosso (prima metà del 4° secolo a.C.) sono presenti 27 sfere suddivise in 8 gruppi: 3 per il Sole, 3 per la Luna, 4 per ciascuno dei cinque pianeti noti e uno per le stelle. Ciascuna sfera di ogni gruppo ruotava con velocità costante intorno a un asse differente, e l'astro relativo a quel gruppo (fissato alla sfera più interna) partecipava alla rotazione di tutte le sfere del gruppo. Mentre per Eudosso il sistema delle sfere era più un modello geometrico che una realtà fisica, Aristotele, materializzando le sfere, fu portato a supporre che i vari gruppi non fossero fra loro indipendenti, ma che i poli di ciascuna sfera fossero fissati alla superficie di quella immediatamente più esterna. I movimenti delle sfere più esterne si trasmettevano quindi a tutte le sfere più interne. Per riprodurre correttamente il moto dei pianeti, Aristotele dovette ricorrere a un gran numero di sfere: ben 56.
La complessità e la macchinosità del sistema delle sfere omocentriche spinsero alcuni filosofi greci a esplorare vie alternative nella descrizione dell'Universo. Notevole è il contributo di Aristarco (3° secolo a.C.) che propose un sistema eliocentrico, in cui tutti i pianeti compresa la Terra ruotassero attorno al Sole. Intorno alla Terra avrebbe ruotato soltanto un satellite, la Luna, e il moto della Terra consisteva in una rivoluzione attorno al Sole e in una rotazione attorno a un asse inclinato rispetto al piano orbitale. Il sistema eliocentrico di Aristarco aveva due importanti punti di forza: descriveva il moto degli astri in modo più semplice e spiegava la variazione di luminosità apparente dei pianeti nel tempo. Quest'ultima era dovuta alla diversa distanza a cui si veniva a trovare la Terra dagli altri pianeti come conseguenza del suo moto orbitale attorno al Sole. Il modello di Aristarco incontrò però forti opposizioni nel mondo scientifico-filosofico greco e finì per essere abbandonato, anche in virtù di una più elegante ed efficace formulazione del modello geocentrico a opera di Ipparco (2° secolo a.C.) e di Tolomeo (2° secolo d.C.). Nel sistema tolemaico ogni pianeta descriveva in un anno un'orbita circolare, detta epiciclo, il cui centro si spostava a sua volta su un'altra circonferenza, detta deferente, leggermente eccentrica rispetto alla Terra. La combinazione di questi due moti dava luogo a una curva epicicloidale, quale è appunto la traiettoria dei pianeti osservata dalla Terra.
Con il decadere della civiltà greca e la distruzione della biblioteca di Alessandria, ebbe inizio un periodo durato 10 secoli durante il quale la concezione tolemaica cadde nell'oblio e la speculazione scientifica sulla struttura dell'Universo fu abbandonata. Il sistema tolemaico fu recuperato soltanto tra il 12° e il 13° secolo attraverso traduzioni arabe e gli studi astronomici rifiorirono nel corso del Rinascimento. Nel 1543, Niccolò Copernico pubblicò il trattato De revolutionibus orbium caelestium, in cui avanzava l'ipotesi che tutti i pianeti ruotassero attorno al Sole, invece che attorno alla Terra. Copernico ebbe la notevole intuizione che è possibile dare a tutti gli epicicli del sistema tolemaico la stessa dimensione, quella dell'orbita della Terra, se ai rispettivi deferenti vengono attribuiti diametri opportuni. La nuova visione del Sistema solare suscitò un acceso dibattito scientifico e filosofico, riproponendo il tema della centralità dell'Uomo e della Terra nell'Universo. Verifiche sperimentali della teoria erano necessarie per accettare o rigettare il nuovo modello. Queste vennero dalle accurate osservazioni dei moti planetari dell'astronomo Tycho Brahe, che permisero a Johannes Kepler di stabilire che le orbite dei pianeti erano ellittiche e non circolari come aveva supposto Copernico. A Keplero si devono le tre leggi che sintetizzano le proprietà del moto dei pianeti e che furono poi spiegate da Isaac Newton nei Principia (1687) nel contesto delle leggi della dinamica e della gravitazione universale. La prima asserisce che le orbite dei pianeti sono ellissi con il Sole occupante uno dei due fuochi, la seconda che ciascun pianeta mantiene costante la velocità areolare durante il moto e la terza che il rapporto tra il cubo del semiasse maggiore dell'orbita e il quadrato del periodo di rivoluzione è eguale per tutti i pianeti.
Importanti conferme del sistema copernicano vennero dalle osservazioni raccolte con il telescopio da Galileo Galilei. Questi scoprì che Venere presentava delle fasi, ovvero la porzione illuminata del disco del pianeta cambiava nel tempo come avviene per la Luna. Tale fenomeno mostrava che Venere ruota intorno al Sole come implicava il sistema copernicano e non poteva invece essere spiegato all'interno della teoria di Tolomeo. Poiché questa scoperta andava contro le Sacre Scritture, Galileo non la pubblicò apertamente, ma la nascose dietro una metafora in latino: Cynthiae figuras aemulatur mater amorum "La madre degli amori, Venere, imita le forme di Cinzia, la Luna". Galileo scoprì anche l'esistenza di alcuni corpi celesti, da lui nominati Stelle Medicee, che ruotavano intorno a Giove. La scoperta dei satelliti gioviani mise ulteriormente in crisi il sistema aristotelico-tolemaico, poiché dimostrava che la Terra non era il centro attorno a cui tutto ruota. La conferma definitiva del sistema copernicano venne il 7 novembre 1631, quando il filosofo e matematico francese Pierre Gassendi osservò il transito di Mercurio sul disco solare in accordo con le previsioni fatte da Keplero alcuni anni prima.
Origine del Sistema solare
Tutte le teorie e le congetture sull'origine del Sistema solare partono sempre dal problema comune della formazione delle stelle e, di conseguenza, della nascita del Sole. Fu Cartesio, nei Principia philosophiae (1644), tra i primi in epoca moderna a proporre una teoria evolutiva del Sistema solare, che si sarebbe formato da condensazione di materia primitiva in movimento vorticoso attorno a un centro. Questa ipotesi venne ripresa da Immanuel Kant (1755) ed elaborata soprattutto da Pierre-Simon de Laplace verso la fine del Settecento. Secondo Laplace, il Sistema solare avrebbe avuto origine da una nube di gas in lenta rotazione che raffreddandosi si sarebbe andata via via contraendo sotto l'effetto della sua stessa attrazione gravitazionale. Durante la contrazione, la nube avrebbe aumentato la propria velocità di rotazione, come conseguenza della conservazione del momento totale della quantità di moto, assumendo la forma di un disco. Nel corso di questo processo, all'estremità del disco si sarebbero staccati anelli rotanti di materia. Laplace trovò che tali anelli erano instabili e tendevano a frammentarsi. Attraverso collisioni e ulteriore condensazione dovuta alla gravità, i frammenti di ogni singolo anello si sarebbero aggregati formando i pianeti e i loro satelliti. Dopo il distacco dell'ultimo anello, quello che dette origine a Mercurio, la nube avrebbe continuato la sua contrazione fino ad accendersi in una stella: il Sole. La teoria evolutiva di Laplace, che per prima dava una descrizione dinamica della formazione del Sistema solare, dovette essere abbandonata principalmente perché non riusciva a giustificare il basso valore del momento della quantità di moto posseduto dal Sole. Secondo Laplace, infatti, la fase finale della contrazione della nube avrebbe portato alla formazione di una stella con un periodo di rotazione di poche ore, mentre in realtà il Sole compie una rotazione attorno al proprio asse in 25 giorni.
Per risolvere questa e altre inconsistenze, nacque una serie di teorie 'dualistiche' basate sull'ipotesi di un incontro ravvicinato tra il Sole e un altro corpo celeste dotato di massa paragonabile a quella della nostra stella. Le forze mareali generate durante tale incontro avrebbero estratto dal Sole un filamento di materia. Questo filamento si sarebbe allungato e frammentato allontanandosi dalla stella e raffreddandosi, e avrebbe dato origine ai pianeti e ai loro satelliti. Questa teoria, proposta dapprima da Harold Jeffreys (1916) e James Hopwood Jeans (1917), dava una spiegazione alla complanarità dei pianeti e al loro comune senso di rotazione, ma non riusciva a motivare la ripartizione delle masse tra i pianeti interni, più piccoli e leggeri, e quelli esterni, grandi e massivi. Considerata anche la comune origine dal materiale stellare, non era possibile spiegare la diversa composizione chimica dei vari pianeti. L'incontro tra due stelle nella nostra Galassia inoltre è un evento estremamente improbabile (un incontro ogni circa 3 miliardi di anni). Per tale motivo le teorie 'dualistiche' sono state abbandonate e si cercano modelli che non abbiano un carattere di eccezionalità, ma che possano descrivere la formazione di un generico sistema planetario.
La concezione odierna dell'origine del Sistema solare riprende l'ipotesi di Laplace di una nebulosa primordiale di gas e polveri. L'evoluzione dinamica di questo sistema isolato di materia ed energia porta alla formazione di una stella collocata al centro della nube, e di un sistema di pianeti in rotazione attorno all'astro centrale. Si ritiene che lo stato di partenza sia una nube gassosa di bassa densità e bassa temperatura. La nube primordiale che diede origine al nostro Sistema era composta da idrogeno ed elio e da una piccola frazione (circa 2%) di elementi pesanti. Inizialmente la nube era stabile rispetto al collasso gravitazionale perché la pressione del gas bilanciava l'attrazione gravitazionale. A innescare il processo di contrazione sarebbe stato un evento esterno alla nube, per esempio l'esplosione di una supernova nelle vicinanze, oppure l'attraversamento di uno dei due bracci a spirale della Galassia. Entrambi questi eventi avrebbero causato la propagazione nella nube di un'onda di compressione che avrebbe favorito il formarsi di addensamenti locali di materia. Una volta spezzatosi l'equilibrio iniziale, la nube cominciò a collassare e a contrarsi. In questo processo, la velocità di rotazione di tutta la nube aumentò, come conseguenza della conservazione del momento della quantità di moto. La nube si appiattì assumendo la forma di un disco via via che la velocità di rotazione aumentava. Per effetto della maggiore densità e dell'accresciuta velocità del gas, la temperatura subì un forte aumento, soprattutto nella zona centrale. Qui infatti il riscaldamento derivato dalla conversione di energia gravitazionale in energia termica era più marcato, poiché l'energia irradiata veniva riassorbita negli strati interni più vicini e non riusciva a sfuggire all'esterno della nube.
Dopo una prima fase di contrazione durata circa 100.000 anni, la pressione interna rallentò la contrazione della nube protosolare e venne raggiunto un secondo equilibrio idrostatico. Allora il raggio della nube si era contratto di un fattore 3000 e aveva circa le dimensioni dell'orbita attuale di Saturno. La temperatura continuò a crescere fino a quando, raggiunti i 1800 K, la dissociazione delle molecole di idrogeno assorbì la maggior parte dell'energia prodotta. A questo punto si verificò un secondo, breve e violento collasso della durata di appena una decina d'anni. Al termine di questa fase il protosole aveva un raggio pari a 50 volte il raggio attuale del Sole. L'alta temperatura e densità della parte centrale provocarono l'innesco delle reazioni di fusione nucleare. Il protosole si accese allora e la sua luminosità aumentò di 30-40 volte per un periodo compreso fra 100.000 e 1.000.000 di anni. In questa fase tipica delle stelle appena nate (detta fase T Tauri) circa il 10% della massa fu espulso dal protosole e il fortissimo vento solare di particelle e radiazione emesso spazzò via i resti gassosi della nebulosa mentre i pianeti si andavano nel frattempo formando attorno alla stella.
Circa 4,5 miliardi di anni fa il Sole entrò nella fase attuale della sua esistenza, destinata a durare altri 5 miliardi di anni e durante la quale la stella brucerà le proprie scorte di idrogeno. Esaurito quindi il combustibile primario, secondo la teoria sull'evoluzione stellare, il Sole si gonfierà rapidamente in una gigante rossa, inglobando gran parte dei pianeti. Alla fine, gli strati esterni della stella verranno espulsi e la restante parte centrale collasserà in una nana bianca destinata a raffreddarsi e 'spegnersi' lentamente nel corso di alcuni miliardi di anni.
repertorio
I pianeti
La formazione dei pianeti
Tutte le teorie maggiormente diffuse sulla origine e la formazione dei pianeti sono basate sull'ipotesi che sia esistito un disco iniziale di accrescimento, in rotazione attorno al protosole e formatosi dalla nebulosa primordiale. A causa di instabilità idrodinamiche e gravitazionali, il disco finì per frammentarsi e una parte del materiale in esso contenuto diede luogo ai pianeti, mentre la parte restante venne attratta sul corpo centrale o venne espulsa durante la fase T Tauri dell'evoluzione solare. Si ritiene che, nel corso di circa 200.000 anni, il disco di accrescimento si sia prima espanso fino a raggiungere un raggio di circa 500 UA, e successivamente contratto fino a qualche decina di UA. Nel corso di questo processo, avvenuto durante la formazione del protosole, circa il 20% della massa del disco venne catturato dall'astro nascente. A causa dello scorrimento e dell'attrito tra gli strati rotanti del disco, il momento della quantità di moto venne un po' alla volta trasmesso all'esterno, mentre la massa veniva compressa verso l'asse di rotazione. Questo spiega perché quasi il 99% del momento della quantità di moto del Sistema solare sia posseduto dai pianeti, mentre la massa è concentrata nel Sole, il quale è circa 1000 volte più massivo di tutti i pianeti messi assieme. I pianeti si formarono mentre ancora continuava ad accumularsi materia sul protosole; via via che la massa centrale aumentava, i raggi delle orbite dei pianeti diminuirono, per poi espandersi nuovamente durante la fase T Tauri, quando il Sole perdette una parte della sua massa.
Il meccanismo che portò alla formazione dei pianeti non è ancora stato individuato con certezza. Secondo una delle ipotesi maggiormente accreditate, instabilità gravitazionali del disco di accrescimento avrebbero creato localmente le condizioni per la formazione di grandi addensamenti di materia. Su una scala temporale di circa 10.000 anni, in vari punti del disco si formarono enormi protopianeti con massa paragonabile a quella attuale di Giove e aventi raggi dell'ordine di 2 UA. Allora il disco aveva un raggio di alcune centinaia di UA e poteva agevolmente accomodare oggetti dalle dimensioni così grandi. Durante la prima fase dell'evoluzione dei protopianeti, il pulviscolo e gli elementi pesanti precipitarono verso le regioni centrali dell'oggetto dove formarono un nucleo. Allo stesso tempo l'orbita del protopianeta spiraleggiava avvicinandosi al Sole come conseguenza dell'evoluzione e della dinamica del disco. L'attrazione gravitazionale della stella divenne più intensa e asportò gli strati esterni del protopianeta mentre questo andava a collocarsi in prossimità della sua orbita finale. Secondo questa teoria, i protopianeti più vicini alla stella sarebbero stati quasi completamente spogliati degli strati esterni gassosi e avrebbero dato origine ai pianeti interni, o terrestri, caratterizzati da piccole dimensioni e da abbondanza di silicati, ossidi e composti pesanti. I protopianeti che invece si formarono a distanze maggiori ebbero più tempo per evolversi e, non avvicinandosi altrettanto al Sole, conservarono buona parte dei componenti più leggeri, dando luogo ai grandi pianeti esterni.
Principali caratteristiche dei pianeti
Mercurio. - A causa della sua vicinanza al Sole, Mercurio è difficilmente osservabile (Copernico non lo vide mai). Con un raggio di circa 2400 km, questo pianeta ha dimensioni paragonabili a quelle di alcuni satelliti di Giove. La sua orbita ha la maggiore eccentricità e inclinazione rispetto al piano dell'eclittica, fatta eccezione per Plutone, che potrebbe però essere un corpo catturato.
La velocità di avanzamento del perielio (ovvero il punto di distanza minima dal Sole) è di 43″ d'arco per secolo, più grande di quella dovuta all'influenza degli altri pianeti. Questa apparente discrepanza fu spiegata dalla teoria della relatività generale, per la quale costituì un importante banco di prova. A causa della commensurabilità tra il periodo di rivoluzione e quello di rotazione, alcune porzioni della superficie di Mercurio ricevono un flusso solare 2,5 volte maggiore di altre. Di conseguenza la temperatura alla superficie è compresa tra 100 e 700 K.
Nel 1974-75 la sonda spaziale Mariner 10 raccolse immagini di circa metà di Mercurio, mostrando un terreno ricco di crateri come quello lunare. In prossimità della zona calda è stato osservato il vasto bacino Caloris, con un diametro di 1400 km. Agli antipodi di questo cratere da impatto sembra ci sia una regione di dimensioni simili e dalla strana morfologia, che si ritiene sia dovuta al fronte d'onda provocato dall'impatto che formò il bacino Caloris, focalizzatosi sulla parte opposta del pianeta.
Venere. - Per dimensioni, massa, densità e distanza dal Sole, Venere è il pianeta che più assomiglia alla Terra. Notevoli sono però le caratteristiche che la differenziano: la rotazione diurna di ben 243 giorni, la quasi totale assenza di campo magnetico, l'assenza di lune, di acqua e di un movimento della crosta come avviene nella tettonica a placche. L'atmosfera di Venere è costituita per il 96% da anidride carbonica. La superficie del pianeta è costantemente coperta da una coltre di nuvole, collocata a una quota di circa 60 km sulla superficie, dove la pressione è di 200 mbar. La componente più importante delle nuvole è costituita da microgocce di acido solforico. La velocità di rotazione delle nubi è di appena 4 giorni, corrispondenti a 100 m al secondo in quota, mentre a livello del suolo i venti si riducono fino a circa 1 m al secondo.
La missione Magellan (1990-94) ha raccolto dettagliate immagini della superficie del pianeta e ha prodotto anche un'accurata mappa gravimetrica che descrive la distribuzione delle masse in prossimità della crosta. La superficie appare letteralmente coperta da centinaia di migliaia di vulcani grandi e piccoli da cui partono canali lunghi anche migliaia di chilometri. Si ritiene che la crosta del pianeta, formatosi come la Terra 4,6 miliardi di anni fa, sia stata rimodellata dall'intensa attività eruttiva in tempi relativamente recenti, circa 500 milioni di anni fa. Attualmente il pianeta appare quiescente, dal momento che nel corso delle sue osservazioni Magellan non ha rilevato alcuna attività vulcanica. Per quanto riguarda l'interno di Venere, è probabile che esso abbia composizione simile a quello terrestre e che sia fluido, ma la lenta rotazione esterna non sembra in grado di dar luogo a un effetto dinamo per la creazione di un campo magnetico.
Marte. - Il pianeta rosso ha un raggio pari a circa metà di quello della Terra e una massa dieci volte più piccola. Marte orbita a 1,5 UA dal Sole e compie una rivoluzione in circa 2 anni. Il giorno marziano dura poco più di 24 ore e l'asse di rotazione è inclinato rispetto all'eclittica di un valore prossimo a quello dell'asse terrestre. Questo significa che Marte presenta un ciclo di stagioni simile a quello della Terra. Come per Mercurio e la Luna, anche la superficie di Marte è coperta di crateri, ma su di esso sono presenti notevoli tracce di erosione. Le osservazioni delle missioni Viking (1975-80) hanno evidenziato zone della crosta marziana modellate da acque correnti in epoca remota. I dati raccolti nel 1996-97 dalle missioni del Mars pathfinder e del Mars global surveyor e nel 2004 dalla missione Mars express e dai Mars exploration rovers hanno rafforzato l'idea che l'acqua sia esistita in forma liquida su Marte per lunghi periodi, creando fiumi e laghi. Non è chiaro se l'acqua si sia formata in seguito alla temporanea fusione del permafrost a causa di eventi catastrofici (impatto di meteoriti), oppure se siano esistiti corsi d'acqua permanenti alimentati da sorgenti come sulla Terra. L'acqua liquida sarebbe scomparsa dalla superficie marziana circa 2 miliardi di anni fa. Parte di essa sarebbe rimasta congelata nelle bianche calotte polari o sotto la crosta del pianeta, che sembra essere al di sotto di 0 °C fino a una profondità di 3 km.
Su Marte si trova il vulcano più alto finora osservato: il Mons Olympus, di circa 27 km, con un cratere di 70 km di diametro e una base di quasi 700 km di diametro. Misure magnetometriche delle sonde spaziali che hanno raggiunto il pianeta indicano che Marte è sprovvisto di campo magnetico globale. Questo pare confermare l'ipotesi che Marte abbia un nucleo completamente solido (infatti alla luce delle attuali conoscenze, per la generazione di un campo magnetico planetario è necessario che esista un nucleo fluido in rotazione).
Gli asteroidi. - Nello spazio compreso tra Marte e Giove si trovano alcune decine di migliaia di piccoli corpi celesti, detti asteroidi, il più grande dei quali, Cerere, ha un raggio di circa 400 km. La massa totale degli asteroidi è minore di quella della Luna. Le orbite degli asteroidi sono fortemente ellittiche e sono frequentemente perturbate dalla presenza dei pianeti, soprattutto da Marte e dalla Terra. Circa un migliaio di questi oggetti attraversa l'orbita terrestre e pertanto è possibile che possa collidere con il nostro pianeta. Questi asteroidi sono denominati gruppo Apollo e si calcola che la loro frequenza di impatto con la Terra sia dell'ordine di una collisione ogni 6 milioni di anni. Lo studio e l'osservazione degli asteroidi sono motivati, oltre che da interesse scientifico, dalla necessità di tenere sotto controllo e di seguire nei loro movimenti questa classe di oggetti in modo da prevedere un eventuale impatto con il nostro pianeta. Gli asteroidi potrebbero essere in un futuro anche raggiunti da missioni robot teleguidate per essere agganciati ed eventualmente sfruttati come vere e proprie miniere di minerali e metalli pregiati. Nel 1993 la sonda Galileo si è avvicinata all'asteroide Ida scoprendo che esso possiede un piccolo satellite, Dattilo. Nel 2000 la sonda NEAR (Near Earth asteroid rendez-vous) si è messa in orbita attorno all'asteroide Eros del gruppo Apollo. Dalle osservazioni di queste recenti missioni sembra che gli asteroidi con dimensioni superiori a 150 km non siano costituiti da un blocco monolitico di rocce, ma siano un agglomerato di rocce autogravitanti con spazi vuoti all'interno.
Giove. - È il più grande tra i pianeti e da solo contiene il 72% della massa del sistema planetario, anche se rappresenta un granello rispetto al Sole che è mille volte più massivo. L'interno di Giove è quello meglio conosciuto tra i pianeti terrestri, in quanto le alte temperature e le elevate pressioni non consentono la formazione di strutture complesse al suo interno. Si ritiene che al centro di Giove vi sia un nucleo denso composto di ferro e silicati, di massa pari a 14 volte la Terra. Il nucleo sarebbe letteralmente immerso in uno strato di idrogeno metallico liquido che si estenderebbe fino a tre quarti del raggio del pianeta. La parte più esterna sarebbe formata da idrogeno ed elio molecolare che all'aumentare del raggio passa gradualmente dalla fase liquida a quella gassosa fino a diventare parte dell'atmosfera. Giove emette più calore di quanto ne riceva dal Sole, come è stato confermato dalle misure della missione Galileo. Secondo vari schemi di formazione del protosole e dei protopianeti, il Sole e Giove dovrebbero avere la stessa composizione percentuale di elio e idrogeno. È stata misurata invece un'abbondanza di elio significativamente inferiore rispetto a quella del Sole nell'atmosfera di Giove. Questo fa pensare che l'elio stia tuttora precipitando lentamente in forma di goccioline verso il mantello gioviano. La conversione di energia gravitazionale dell'elio in energia termica potrebbe essere la fonte dell'intenso flusso di calore proveniente dal pianeta. Un'interessante caratteristica di Giove è rappresentata dai sistemi nuvolosi che si muovono in modo turbolento e ciclonico nella fascia equatoriale. Il più grande di questi, la cosiddetta 'grande macchia rossa', era osservabile già ai tempi di Galileo. Il breve periodo di rotazione di Giove (poco meno di 10 ore) e le violenti correnti convettive verticali presenti nell'atmosfera fanno sì che la dinamica delle nuvole gioviane sia notevolmente complicata e non ancora compresa a fondo.
Saturno. - Per molti aspetti simile a Giove, anche Saturno è un grande pianeta gassoso composto per lo più da elementi leggeri, cioè idrogeno ed elio. La sua struttura interna è definita da un nucleo roccioso e da un mantello di ghiaccio che arriva fino a circa un quarto del raggio del pianeta. Uno spesso strato di idrogeno ed elio metallico avvolge la parte centrale e si estende per metà del raggio. Lo strato più esterno è costituito da idrogeno ed elio in forma molecolare e allo stato liquido. Anche per Saturno la causa del calore emesso attualmente dal pianeta è imputata alla precipitazione di goccioline di elio verso l'interno del pianeta con conseguente liberazione di energia gravitazionale. La caratteristica più evidente di questo pianeta sono i grandi anelli che lo cingono. Galileo per primo distinse con il suo telescopio nel 1610 due protuberanze del disco di Saturno che furono circa 50 anni più tardi identificate come anelli dall'olandese Christiaan Huygens. Gli anelli sono costituiti da frammenti di materia con dimensioni variabili da meno di un millimetro ad alcune centinaia di metri. Questi frammenti sono confinati nel piano equatoriale e formano una fascia larga circa 60.000 km e spessa solo 1,5 km. L'origine degli anelli sembra essere imputabile alla cattura di un grosso corpo roccioso, probabilmente un satellite, che è stato poi frantumato dalle intense forze mareali del pianeta. Nelle immagini degli anelli è chiaramente visibile una banda scura, chiamata intervallo di Cassini. In questa zona quasi vuota si ritiene siano presenti onde di bassa densità che trasportano particelle verso l'interno e momento della quantità di moto verso l'esterno. La posizione dell'intervallo di Cassini è dovuta a una forte interazione risonante con il satellite Mimas.
La missione europeo-statunitense Cassini-Huygens, lanciata nel 1997, ha lo scopo di studiare la struttura degli anelli di Saturno e di lanciare una sonda sulla superficie del satellite Titano. Su quest'ultimo, che è il più grande tra tutti i satelliti del Sistema solare, è presente un'atmosfera di azoto, metano e idrogeno molto simile a quella esistente sulla superficie terrestre prima che vi si formasse la vita. L'interazione del metano con la radiazione cosmica e ultravioletta innesca una serie di reazioni chimiche che potrebbero portare alla formazione di complessi organici. Lo studio di tali reazioni nell'atmosfera di Titano potrà fornire importanti informazioni sui meccanismi che diedero inizio alla vita sulla Terra 4,5 miliardi di anni fa.
Urano, Nettuno e Plutone. - Sconosciuti fino all'avvento dell'astronomia osservativa, i tre pianeti più esterni sono molto lontani dal Sole e per questo difficilmente visibili a occhio nudo. Urano venne scoperto per caso da William Herschel nel 1781, mentre era impegnato nella catalogazione delle stelle tramite osservazioni al telescopio.
La principale caratteristica di Urano è l'orientazione dell'asse di rotazione che, unico caso tra i pianeti, giace quasi sul piano dell'orbita. Questo comporta che, durante gli 84 anni di rivoluzione attorno al Sole, gli emisferi polari siano rivolti verso la stella una sola volta, così che i poli sono alternativamente le regioni più calde e più fredde del pianeta. Il colore azzurro del pianeta è causato da una significativa presenza di metano nell'atmosfera di idrogeno ed elio. È il metano infatti ad assorbire la banda rossa dello spettro solare, lasciando passare la componente verde-blu della luce. Anche Urano ha un sistema di anelli e di satelliti in orbita sul suo piano equatoriale. Tra i vari tentativi di spiegare l'inclinazione dell'asse di rotazione è stata considerata la possibilità che Urano, come gli altri pianeti, ruotasse inizialmente attorno a un asse perpendicolare all'orbita. In epoche remote avrebbe quindi catturato su un'orbita inclinata di 140° rispetto alla propria un corpo celeste di massa paragonabile a quella terrestre. In seguito, a causa dell'interazione mareale tra i due corpi, il satellite catturato avrebbe spiraleggiato verso Urano provocando l'inclinazione dell'asse di rotazione del pianeta. Infine, giunto in prossimità di Urano, il satellite si sarebbe frantumato per l'intensa attrazione gravitazionale e i suoi pezzi avrebbero dato luogo al sistema di anelli.
Il Voyager 2 è l'unica sonda spaziale ad aver finora visitato Urano, nel 1986, nel corso del suo viaggio verso l'ottavo pianeta, Nettuno. Quest'ultimo venne scoperto in seguito all'osservazione di alcune anomalie nell'orbita di Urano, che potevano essere spiegate con la presenza di un corpo celeste massivo non ancora avvistato oltre l'orbita dello stesso pianeta. Ne seguì una caccia al pianeta mancante che portò all'individuazione di Nettuno nel 1846 a meno di 1° dal punto in cui i calcoli matematici lo avevano collocato. Come Urano, Nettuno è costituito da un nucleo roccioso, da un mantello di ghiaccio e da una densa atmosfera di idrogeno, elio e metano.
Presunte anomalie nell'orbita di Nettuno spinsero a cercare un altro pianeta, il pianeta X, denominato poi Plutone, quando fu scoperto nel 1930. Osservazioni e calcoli più accurati hanno successivamente mostrato che non è necessario invocare la presenza di un altro pianeta per spiegare l'orbita di Nettuno, tanto più che la massa di Plutone è talmente piccola (circa un quinto della Luna) da non poter influenzare significativamente il moto del gigante Nettuno. Nel 1978 è stato scoperto che Plutone è accompagnato da un massiccio satellite, Caronte, assieme al quale forma un sistema binario. I due corpi ruotano attorno al comune centro di massa in 6,4 giorni e a causa delle forze mareali si mostrano reciprocamente sempre la stessa faccia. Il sistema Plutone-Caronte si muove su un'orbita dall'elevata eccentricità e angolazione rispetto al piano dell'eclittica. Questo fa pensare che Plutone non abbia avuto origine attraverso i processi di formazione planetaria che si verificarono sul piano dell'eclittica, ma che si tratti piuttosto di un corpo catturato. A tutt'oggi nessuna missione spaziale si è avvicinata a Plutone.
Tabella