Territorio, pianificazione del
'Territorio' è parola polisemica che ha acquisito significati differenti entro diversi universi discorsivi e disciplinari. Spazio, terra, suolo, paesaggio, regione, ambiente sono termini altrettanto ricchi di significati, che a esso si accostano e in parte si sovrappongono. Porzione di terra sufficientemente estesa, delimitata da confini o frontiere, con una specifica posizione e forma, si legge nella definizione della maggior parte dei dizionari e delle voci enciclopediche; terra assoggettata o meno a una specifica giurisdizione, come il territorio di una provincia, di una regione, di uno Stato o di una diocesi; area di insediamento di un singolo o di un gruppo, sia esso umano o animale, e da questo stesso gruppo difesa nei confronti delle intrusioni altrui.
Un territorio ha un'estensione, ma anche uno spessore; è abitato, lavorato, scavato, rimodellato, ma anche pensato, ricordato, immaginato; è misurato e rappresentato in modi analogici o metaforici. Né puro artefatto, pensabile solo in relazione al soggetto che lo ha prodotto e lo pensa, né puro supporto indipendente da chi lo abita, il territorio può essere molte cose.
Può essere risorsa, origine, mezzo e sede di numerosi processi di produzione di beni, servizi e valori in grado di soddisfare, almeno parzialmente, bisogni materiali e immateriali; risorsa limitata, ma anche costruita e riproducibile. Non solo preesistente ai gruppi umani e animali che lo abitano e ne fanno uso, ma anche esito delle loro azioni individuali e collettive, volute e inconsapevoli, il territorio è risorsa costruita e difesa lungo la storia; è deposito di enormi quantità di lavoro speso per allontanare le calamità - la piena del fiume, la marea, la frana, la valanga, l'invasione - e per difendersi dalle intemperie o dalle asprezze del clima; un lavoro che si è congiunto, sovente nella stessa opera, a quello speso per costituire il territorio in quanto risorsa: al disboscamento, al dissodamento, al terrazzamento, all'appoderamento, alle opere di arginatura e irrigazione, alla stessa scelta dei luoghi nei quali edificare e transitare, alla costruzione di strade, di villaggi e di città. Le une e le altre opere si sono associate e sovente si identificano con quelle che fanno del territorio la sede non solo della riproduzione delle basi materiali di una società, ma anche del suo ordinamento religioso, politico e culturale.In questo senso ogni territorio è un grande palinsesto (v. Corboz, 1985), un magazzino stratificato di oggetti, di segni e di loro significati che testimoniano del passato e che a esso si legano per il tramite della memoria e dell'immaginario; testimoni delle tecniche, dei costumi, delle credenze, delle tendenze all'integrazione e al conflitto, delle forme passate del potere. Negli elementi costitutivi del territorio-palinsesto le differenti società riconoscono spesso una propria specifica eredità, segni nei quali si manifesta e rappresenta la propria identità; alla conservazione di questo patrimonio si sentono vincolate sotto pena della perdita di importanti aspetti della loro vita.
Ma il territorio è anche distanza che separa e che deve essere superata compiendo un lavoro, impiegando tempo ed energia. All'interno del territorio soggetti e oggetti si avvicinano e si allontanano nello spazio e nel tempo. Per questo esso consente l'integrazione selettiva delle varie costellazioni di soggetti nelle diverse formazioni sociali, nei diversi sistemi economici, nelle diverse situazioni urbane, nei diversi cicli produttivi e stili di vita, ma costruisce o consente anche il perpetuarsi di differenze tra tecniche, costumi, credenze, miti e identità sociali.
In questo senso il territorio è anche spazio nel quale i tempi individuali e sociali, la temporalità storica e quella naturale si articolano e assumono forme specifiche: quella regolare e ripetitiva dei riti individuali e collettivi e delle pratiche quotidiane; quella dei ritmi imposti dalla natura o dalle grandi istituzioni sociali; quella della conservazione e dell'innovazione, del ricordo e dell'immaginazione.
I territori ristretti sono sovente testimoni dei tempi lunghi dell'evoluzione sociale. I territori più vasti sono sovente percorsi dai ritmi veloci del confronto e dello scambio di beni e idee, quelli rurali sono spesso vissuti entro un tempo canonico e liturgico; i loro calendari sono ritmati dalla natura, dal corpo e dall'immaginario, dal ciclico ripetersi delle stagioni e delle festività a esse collegate. I territori urbani sono invece vissuti entro un tempo laico e lineare; i loro calendari, più minutamente suddivisi, sono determinati dal ritmo della produzione meccanica e dello scambio mercantile (v. Camporesi, 1995).
Il territorio è insomma una porzione di terra trasformata lungo la storia in area ecologica e culturale, cui direttamente o indirettamente si associano una specifica popolazione, una cultura, un ordinamento istituzionale e giuridico e la loro storia; è ambito di legittimità e di efficacia di credenze, di norme e di comportamenti individuali e collettivi; è area nella quale si esercita il potere amministrativo, giurisdizionale, politico e militare; ambito del dominio e patria con la quale spesso si identifica lo Stato, "la più territoriale di tutte le istituzioni" (v. Roncayolo, 1981); area nella quale di continuo si sviluppano nuove forme di conflitto e di integrazione che costantemente ne mettono in discussione i caratteri e la specificità.
Gran parte delle scienze naturali e sociali fa riferimento al territorio concettualizzandolo in modi propri e specifici, tra loro non omogenei o semplicemente accostabili. Esse hanno dato luogo e continuano a produrre descrizioni, rappresentazioni, interpretazioni e progetti tra loro differenti. La geografia nelle sue diverse declinazioni, la topografia, la geologia, la geometria, la demografia, l'architettura, l'urbanistica, le scienze ambientali, la botanica, la meteorologia, la sociologia e le scienze economiche, la linguistica, l'archeologia, l'antropologia e l'etnografia, le scienze politiche, mediche e giuridiche, le scienze storiche nelle loro diverse specificazioni, le scienze agrarie e quelle della comunicazione, per non richiamare che i principali campi disciplinari, hanno assunto, soprattutto nei decenni a noi più vicini, il territorio come proprio campo privilegiato di osservazione e hanno considerato l'analisi delle specificazioni territoriali dei fenomeni e dei problemi da ciascuna studiati come una importante strategia di ricerca. Nel loro costituirsi e progressivo articolarsi, le diverse discipline hanno utilizzato le osservazioni sparse, puntuali e contraddittorie di un enorme numero di viaggiatori, esploratori e mercanti; gli esperimenti e i progetti di ingegneri minerari e idraulici, di costruttori di strade e di tecnici dei trasporti, di militari, amministratori e uomini di governo, di architetti e di agronomi; le ricerche di archeologi, di igienisti, storici, pittori, letterati, fotografi e cineasti mossi dalla curiosità scientifica o estetica, da interessi professionali o da obiettivi militari. Diviene pertanto arduo, per non dire impossibile, restituire un quadro completo e dettagliato delle attività di ricerca di ciascuna disciplina, dello stato delle ricerche, dei risultati ottenuti, delle frontiere di avanzamento.In linea generale, però, per ciascuna disciplina il territorio è divenuto occasione per confrontarsi con la varietà delle situazioni concrete, con casi specifici, origine e pretesto di studi comparati. Entro ciascuna disciplina l'osservazione meticolosa del territorio ha opposto resistenza all'astrazione, è divenuta stimolo per sottoporre a verifica o falsificazione generalizzazioni che rischiavano di non apparire giustificate, per riconoscere e spiegare la differenza e i suoi limiti.
Per ciascuna disciplina il territorio è divenuto paesaggio, modo di vedere e rappresentare a se stessi e agli altri il mondo circostante e le proprie relazioni con esso; modo che ha, per ciascuna disciplina, una specifica storia. Il territorio è divenuto così paesaggio fisico, sociale, economico, culturale; di volta in volta riempito, nelle diverse epoche e dalle diverse culture, di valori differenti che sono all'origine delle descrizioni, delle misure, delle rappresentazioni e delle interpretazioni non solo delle diverse scienze, ma anche della letteratura, delle arti visive e di quelle musicali.
Nello studio del territorio diviene spesso difficile distinguere linguaggi scientifici e artistici, separare la descrizione letteraria da quella geografica o sociologica, l'interpretazione del territorio proposta entro determinati periodi dalle arti visive dai risultati ottenuti dalle scienze naturali o sociali. Nelle une e nelle altre troviamo però sempre un forte debito nei confronti di immagini e miti specifici di singoli gruppi sociali e locali, tracce e testimonianze del loro vissuto estese a intere epoche e culture.Da sempre il territorio è stato oggetto implicito o esplicito di pianificazione, cioè di azioni tese a conservarlo, a modificarlo o a trasformarlo in vista di determinati scopi e interessi.
Dalle grandi strategie della geopolitica alle più minute azioni del contadino entro il proprio podere, passando attraverso la realizzazione dei grandi lavori pubblici, gli ordinamenti agrari come quelli di polizia, l'organizzazione amministrativa, le politiche sanitarie, assistenziali e urbanistiche, le norme che governano i grandi riti collettivi o che disciplinano il traffico, la distribuzione commerciale nonché le politiche della comunicazione, ogni azione umana consapevole, specie se azione collettiva, ha dovuto interrogarsi circa la necessità di conservare, modificare o trasformare uno o più aspetti rilevanti del territorio pertinente e ha di volta in volta selezionato alcuni elementi materiali o immateriali che ha considerato utile conservare e altri che ha ritenuto importante modificare, distruggere o radicalmente trasformare. Il territorio - tanto più quanto più estesamente e lungamente è stato antropizzato - è l'esito di un processo di selezione cumulativa, di una lunga successione di scelte di conservazione, modificazione e trasformazione di sue parti o di suoi elementi costitutivi, è il deposito e il cumulo degli esiti di un'interminabile serie di piani, di progetti e di azioni, e dei cangianti criteri di razionalità che li hanno guidati.
Ogni disciplina, d'altra parte, ha studiato il territorio con un implicito intento pianificatorio; pianificazione del territorio non è termine che definisca una particolare area di studio, quanto un atteggiamento e un intento che possono essere comuni a tutte le aree di ricerca, anche a quelle che sinora più ne sono state distanti. La consapevolezza dell'importanza della dimensione territoriale di molti fenomeni, naturali e sociali, sinora studiati astraendo da essa, è il corrispettivo della consapevolezza dell'importanza della dimensione temporale per molte discipline che sinora avevano considerato lo spazio come una dimensione separata dal tempo. Pianificazione del territorio e del tempo tendono oggi, se non a sovrapporsi e identificarsi, quantomeno a collegarsi indissolubilmente e a farsi perciò intento che attraversa ogni campo di ricerca e ogni dimensione del progetto.
Nei piani che hanno investito il territorio con minore o maggiore successo e nella loro storia possiamo però cogliere qualcosa di più che il tentativo di conservarlo, modificarlo o trasformarlo in vista di scopi condivisi e perseguiti in modi espliciti. I piani si offrono a noi come immagini e rappresentazioni di un futuro più o meno correttamente concepito come possibile, talvolta necessario o solamente probabile. Ma, come ogni immagine del futuro, i piani sono anche importanti tracce del passato, dei desideri e delle ansie che esso ha suscitato. In questo senso la storia dei piani, per vaste regioni come per singole città o villaggi, o per singole opere - una strada, una diga, un argine -, è storia che, al pari di quella della letteratura, delle arti visive o musicali, delle scienze e delle tecniche, ci illumina su importanti aspetti delle società, delle culture e civiltà che li hanno studiati, elaborati e prodotti.
Sino a poco tempo fa si poteva ritenere che mari, monti, valli e pianure, laghi e paludi, delta ed estuari avessero un'esistenza indipendente dalle specie che li abitano; che le foreste e i ghiacciai avanzassero e arretrassero, i vulcani nascessero e si raffreddassero, le spiagge fossero erose, i fiumi cambiassero il loro corso indipendentemente dalle azioni di quelle stesse specie; che la maggior parte delle modifiche delle terre sulle quali le specie animali vivono appartenessero a una storia della quale esse erano solo stupiti spettatori. È possibile rintracciare gli echi di questa convinzione in alcuni grandi miti. Oggi di tutto ciò siamo assai meno sicuri.Descrivere, raccontare e interpretare aspetti sempre più importanti di queste modifiche, comprenderne le origini e le ragioni è, per l'uomo, esigenza prima, all'origine di ogni ricerca e di ogni scienza. La prima azione di Adamo è stata la denominazione, l'elenco degli elementi che costituiscono l'ambiente circostante, la loro distinzione e classificazione e con ciò la costruzione e la presa di possesso di una dimora. La seconda è stata la scoperta del carattere ambiguo di molti di questi elementi che si offrono al contempo come dono e come pena; come risorsa che richiede fatica per essere posseduta nei modi, nelle quantità e qualità volute.
Le descrizioni e rappresentazioni dei caratteri del territorio, sia pure inteso come mero supporto della vita animale, hanno costruito nel tempo uno dei più importanti archivi dello sforzo compiuto dall'umanità per conoscere se stessa attraverso i propri rapporti con la natura (v. AA.VV., 1983): dei modi cioè nei quali l'uomo ha, di volta in volta, percepito se stesso come parte della natura o, all'opposto, come suo conquistatore e padrone, e ha percepito la natura come altro da sé o come totalità nella quale era immerso. L'idea del territorio come puro supporto è un'idea astratta ma fertile, un concetto limite; isolando il territorio dalla sua storia e dai suoi significati per ciascuna società o individuo è possibile operare una concettualizzazione che è all'origine di una più profonda conoscenza di alcuni suoi aspetti, ad esempio di quelli geometrici. Nessuna descrizione e rappresentazione del territorio è mai riuscita a restituire l'idea del puro supporto, ma molte hanno cercato di farlo. Tra queste, una parte delle rappresentazioni cartografiche ha forse costruito la storia più affascinante.
Passando dalla più antica rappresentazione di un territorio su di una superficie piana alle moderne elaborazioni numeriche dei dati satellitari, descrizione e rappresentazione del territorio-supporto hanno richiesto l'elaborazione di concetti, apparati categoriali, linguaggi, metodi, algoritmi, tecniche e strumenti di rilievo e di misura di sempre maggior precisione e sofisticazione: dallo squadro agrimensorio al goniometro e al teodolite, dai 'procedimenti per misurare con la vista' di Fibonacci, nel XIII secolo, alle tecniche di misurazione indiretta e di rilevamento degli ingegneri militari e degli architetti rinascimentali, fino alle odierne complesse apparecchiature per il telerilevamento. E ancora: dall'idea di Dicearco, nel IV secolo a.C., di rappresentare la terra abitata disponendola lungo una linea che dalle colonne d'Ercole, passando per Rodi, attraversava da ovest a est tutto il Mediterraneo costituendo il primo parallelo, a quella di Ipparco nel secolo successivo di moltiplicare i paralleli associandovi climi differenti in funzione del diverso angolo di incidenza del raggio solare, ai concetti di latitudine e longitudine, alle già moderne proiezioni di Tolomeo come le conosciamo nell'affresco di S. Michele a Murano, alle carte di Mercatore e degli studiosi che l'hanno seguito nel XVI secolo. Nel XVIII secolo abbiamo le carte dei Cassini, che nei due secoli successivi saranno ulteriormente perfezionate da diversi istituti e accademie militari, per interesse dei nascenti Stati nazionali. Arriviamo, infine, alle carte sismologiche, a quelle dei fondi marini e dei sedimenti oceanici, fino agli attuali sistemi informativi nei quali le informazioni relative a oggetti e a eventi vengono immagazzinate come in una collezione di strati tematici collegati tra loro attraverso le coordinate geografiche. La storia della costruzione cartografica corrisponde al tentativo di fornire un'immagine concreta di alcuni concetti abitualmente utilizzati per identificare, descrivere e misurare una situazione spaziale: sopra, sotto, destra, sinistra, davanti, dietro, o ancora unito, separato, incluso, escluso, posto in successione, in continuità, ecc.; al tentativo riduzionista di trasformare la nostra personale percezione dello spazio in una operazione ripetibile e comunicabile in modi trasparenti.
Non tutti i popoli però hanno costruito carte, ma ciò non ha impedito loro - come hanno segnalato molti esploratori e viaggiatori dei secoli scorsi e molti etnografi e antropologi nel nostro secolo, o come sembrano mostrare gli studi sulla percezione dello spazio da parte dei bambini - di avere un'esatta conoscenza topologica e topografica del territorio abitato ed esplorato, di percorrere vaste pianure o di solcare i mari. In modo analogo, tutti i tentativi riduzionisti, tutti gli sforzi per associare in modo biunivoco le cose a dei segni che le rappresentino, hanno mostrato il proprio carattere di esercizio limite; un limite indicato dal sogno di una carta in scala 1:1. Le carte, come ogni altro testo, anche quando più tentano di restituire l'idea del territorio come supporto, nascondono sempre un non detto di credenze, di superstizioni, di immagini e congetture che, di volta in volta, hanno frenato, ma anche stimolato una più approfondita conoscenza del territorio.
Ciò che ha sospinto verso una sempre maggiore conoscenza del territorio è il fatto che da esso l'umanità, come le altre specie animali, trae una gran parte di ciò di cui necessita per soddisfare i propri bisogni e desideri: il fatto cioè che il territorio è, in primo luogo, una risorsa.Risorsa è certamente termine ambiguo. Si è soliti pensare a una risorsa in termini fisici, come a una materia che può essere destinata al soddisfacimento di un'esigenza materiale, eventualmente al soddisfacimento alternativo di più esigenze diverse. In realtà è difficile separare la materia prima, la risorsa originaria, dal lavoro che ne consente l'utilizzo, che la trasforma mediante strumenti derivati, a loro volta, da materie precedentemente trasformate. In questa catena ogni elemento è materia prima per un elemento successivo, è al contempo risorsa e prodotto (v. Raison, Risorse, 1981). La storia dell'umanità è segnata da un continuo allungamento di questa catena: verso elementi progressivamente meno riducibili e verso processi di sempre maggiore complessità. Ma non tutto ciò di cui disponiamo è coinvolto in questi processi; la progressiva 'mineralizzazione' del mondo sviluppato, il suo rivolgersi cioè prevalentemente a risorse minerali, appare anzi ridurre lo spettro delle risorse utilizzate e aumentarne, sino ai limiti di un paventabile esaurimento, l'intensità d'uso. Altre materie prime costituiscono, oggi come ieri, solo delle riserve disponibili, ma non utilizzate o non utilizzabili allo stato delle tecniche e nella configurazione delle esigenze del periodo cui ci si riferisce. Solo alcune materie, quelle appunto che le nostre conoscenze tecniche consentono di utilizzare e trasformare nel senso indicato dalle nostre esigenze, sono risorse.
Nell'idea di risorsa è necessariamente implicita un'idea dello stato delle tecniche che consentono di sfruttarle, dei bisogni al soddisfacimento dei quali esse possono essere destinate e che assegnano loro un valore d'uso, e degli istituti, tra i quali la proprietà e le forme di mercato, che ne consentono o meno l'accesso. È implicita, in particolare, un'idea dello stato delle conoscenze e della loro distribuzione nel territorio, della distribuzione territoriale dei bisogni dei differenti gruppi sociali che lo abitano, e della distribuzione territoriale delle forme di potere che possono promuoverne o interdirne l'utilizzo.Nell'immaginario collettivo all'idea di risorsa è associata anche quella di rarità: le risorse sono date in quantità finita e, in linea generale, sono insufficienti a soddisfare ogni possibile domanda e desiderio; il territorio è lo scrigno segreto che ne nasconde i giacimenti sino a che, attraverso una sempre più accurata esplorazione, non vengano scoperti.
In un periodo sufficientemente breve, nel quale tecniche, esigenze e desideri possano essere considerati stabili e costanti, ciò è perfettamente vero: esplorazione e scoperta sono il mezzo principale, se non unico, per aumentare le nostre dotazioni di risorse. In un periodo molto esteso, al di là della storia immaginabile, è anche probabilmente vero che le possibilità di sviluppo tecnologico, di invenzione di nuovi procedimenti di modificazione e trasformazione di ciò che già esiste, non siano infinite e che le risorse siano quindi date e scarse. Ma in un periodo intermedio e assai lungo, che è quello che interessa l'intera storia dell'umanità, le risorse, complessivamente intese, non sono date. La continua modifica delle esigenze umane e l'estendersi e approfondirsi delle nostre conoscenze tecniche e del territorio modificano di continuo la loro configurazione e disponibilità: ciò che era un tempo risorsa non lo è più nei tempi successivi, ciò che non lo era lo è divenuto. Nuove combinazioni di materie e nuovi procedimenti dilatano e modificano il catalogo di ciò che può e deve essere considerato risorsa e l'ubicazione dei suoi giacimenti.
La storia della conoscenza del territorio, fatta di esperimenti e di esperienze che del territorio hanno esplorato l'estensione e lo spessore, fa parte di questa vicenda. È storia di percorsi, ma anche di scavi, di costruzioni e di misure; è storia della ricerca di terreni più fertili, del percorso dei grandi flussi migratori e delle carovane, della navigazione dei fiumi e del loro addomesticamento, della perlustrazione dei mari interni e degli oceani; è storia, infine, di misure di estensioni, di distanze, di tempi.
In questa incessante ricerca di nuovi giacimenti o di difesa, miglioramento e collegamento di quelli esistenti, in questa ricerca estensiva e intensiva delle risorse utilizzabili nei processi di riproduzione sociale, l'umanità ha di continuo modellato e rimodellato il territorio. "Il suolo sguarnito, il suolo puro, indipendente dalla sua copertura vivente [...] il suolo impiantito, il suolo supporto", come nella concezione che L. Febvre (v., 1922) imputava a F. Ratzel, non esiste forse più se non in angoli sperduti della terra e per piccoli gruppi sociali divenuti marginali nella storia dell'umanità. Oggi qualsiasi territorio, specie se da lungo tempo antropizzato, appare come una immensa stratificazione di segni che testimoniano di un processo continuo di progettazione e riprogettazione.
Piste, tratturi e strade, reti ferroviarie e di irrigazione, canali navigabili e scolmatori, condotte forzate, dighe e laghi artificiali, argini, muri, terrazzamenti, sofisticate modificazioni dei livelli e delle pendenze del suolo atte a trattenere le acque come in una risaia o a farle scorrere come in una marcita, miriadi di insediamenti - dal più piccolo raggruppamento di capanne alla grande città e metropoli - testimoniano un incessante confronto tra i caratteri locali del substrato e le possibilità di modificarli attraverso un progetto. Essi attestano anche un sapere che lentamente, a ridosso di questo confronto, si costruisce in modi sempre più esaustivi. La storia delle tecniche agrarie, dell'ingegneria e dell'arte edificatoria, la stessa storia delle misure del territorio ne sono testimoni.
L'insieme del territorio e di questi inseparabili segni e manufatti nei quali fisicamente si condensano quantità enormi di lavoro umano, perlopiù svolto da generazioni passate, costituisce un fondo, una infrastruttura di base, un capitale, che consente alla società il suo continuo riprodursi.
Sovente, quando si osservano territori fortemente segnati dall'antropizzazione e, in specie, territori rurali ove i segni della presenza umana si sono depositati lentamente lungo i secoli - in Europa o in Giappone, come nel continente africano - ciò che appare aver guidato la costruzione del territorio è una fondamentale razionalità minimale, una razionalità cioè che non ne ha investito ogni elemento, ma solo quelli utili e necessari per risolvere una limitata serie di problemi percepiti come principali: facilitare o trattenere lo scorrimento delle acque, come nella aggeratio romana, nella marcita lombarda o nelle risaie giapponesi; consentire il rinnovo del terreno agricolo, come nelle colture in pendio praticate da contadini privi di mezzi meccanici e di concimi chimici nelle zone tropicali e temperate (v. Raison, Terra, 1981); oppure permettere l'aratura con grandi aratri trainati da più animali come nei campi allungati dei terreni pesanti del nord d'Europa.
Non è all'opera un unico criterio di razionalità, neppure qualora si cerchi di risolvere un unico problema come, ad esempio, quello dello scorrimento delle acque in terreni poco permeabili e con deboli pendenze. Un'enorme quantità di aspetti culturali, magici, religiosi, relativi alla storia e alle procedure di costruzione di specifici saperi, al sistema di relazioni sociali quali si rappresentano in alcuni fondamentali istituti, condiziona, come la maggior parte delle ricerche etnografiche e antropologiche ha mostrato, i criteri di razionalità minimale cui in ciascuno specifico territorio ed epoca si è fatto e si fa riferimento. Ma sembra di poter osservare, anche se ogni generalizzazione in questo campo è da prendersi con le dovute cautele, che una fondamentale razionalità minimale, nel senso precisato sopra, pervada tanto più la costruzione del territorio quanto più questa costruzione avviene in una situazione di deficit tecnologico, e tanto meno, di converso, quando essa avviene in una situazione opposta di surplus tecnologico.
Quando ciò che viene percepito come problema appare di difficile soluzione con le tecniche disponibili, le stesse tecniche agiscono come elemento di forte razionamento, limitazione e repressione di atteggiamenti incongrui, che richiedono cioè maggior lavoro o maggior consumo di altri beni o strumenti. In questo compito esse vengono sostenute e aiutate da diversi aspetti culturali che non necessariamente appaiono come immediatamente e semplicemente repressivi di comportamenti devianti, ma offrono anzi a questi vie alternative per esprimersi. Essi costruiscono simboli, riti, modalità di divisione del lavoro tra i membri della società, determinano i tempi e i modi, assegnano valori specifici ai luoghi. Nel caso della costruzione di manufatti - siano essi edifici, giardini o interi paesaggi - gli aspetti ornamentali, ad esempio, svolgono sovente questo ruolo. Proprio per la loro origine a questi aspetti viene spesso attribuito un importante significato culturale: in essi spesso le società locali si identificano; divengono simboli, monumenti gelosamente conservati che ne testimoniano la storia e la specificità, la differenza rispetto ad altre società locali.
In ogni territorio è possibile cogliere tracce di qualcosa che è stato, il persistere nel tempo di una strada, un edificio, un muro, una divisione dei campi o delle proprietà o il permanere di altre cose entro configurazioni differenti: la divisione dei campi, il filare che sono divenuti strada, terreni di uso collettivo che sono divenuti parco pubblico, il giardino che è divenuto area edificabile, il tracciato dell'aggeratio che è divenuto trama dell'impianto di una nuova parte della città. Il territorio è apparso così a molti simile a una collezione o a una grande biblioteca, ove un appassionato collezionista, bibliotecario o archivista ha raccolto e conservato, attraverso un lungo processo di accumulazione selettiva, materiali appartenenti a epoche differenti.
Quando si osserva un territorio occorre interrogarsi non solo su ciò che le diverse epoche hanno introdotto come innovazione, ma anche su ciò che hanno conservato e su ciò che hanno fatto sparire, sulle ragioni della conservazione e della distruzione. In ciascun momento la società seleziona ciò che ritiene si debba conservare, o eventualmente modificare e trasformare riattualizzando il passato e appropriandosene, e ciò che, all'opposto, occorre distruggere e sostituire con qualcosa d'altro. Il territorio, più e oltre che collezione enciclopedica delle tracce delle generazioni che ci hanno preceduto, è deposito dell'accumularsi di queste scelte-selezioni e della modifica lenta o repentina dei criteri di scelta e selezione.
Nel tempo i criteri di scelta mutano per molteplici ragioni: per modifiche culturali conseguenti a nuove forme di organizzazione dei principali processi di riproduzione sociale, ma spesso anche perché sono divenuti autocontraddittori o perché incontrano limiti che si presentano nella forma di ostacoli insormontabili, almeno con le tecniche a disposizione.
La storia di ogni territorio, specie se fortemente e da lungo tempo antropizzato, è in larga misura la storia di questo processo di selezione cumulativa; di un mutamento di habitus e stile di vita dei suoi abitanti che si traduce nella modifica di immagini, di trame simboliche, di criteri di razionalità, di teorie che a loro ridosso sono state formulate e dei criteri di selezione e scelta che esse hanno costruito. Se si osserva la lunga storia dei progetti che nella città e nel territorio sono stati realizzati ci si rende conto che ogni nuovo piano è stato un tentativo di dare evidenza e legittimità ai criteri di una nuova selezione.
Attraverso il processo di selezione cumulativa le differenti società, nelle varie epoche, hanno assegnato valori diversi alle differenti porzioni di territorio: sia che si trattasse di valori simbolici, sia che si trattasse di valori traducibili in misure monetarie. Un territorio è sempre costituito da posizioni specifiche e non facilmente riproducibili, ciascuna perciò dotata di un proprio valore, esito instabile dei suoi caratteri naturali, del lavoro depositatovi, del significato che gli uni e l'altro hanno assunto entro una determinata cultura, entro determinate pratiche sociali e individuali, entro determinati gusti e preferenze estetiche.
Il campo privilegiato per studiare il processo di selezione cumulativa e di costruzione di valori posizionali è certamente rappresentato dalla città o dai territori fortemente urbanizzati. In essi i processi di sostituzione di nuovi manufatti a manufatti preesistenti, di costruzione, demolizione e ricostruzione, di consolidamento e modifica di valori simbolici e materiali appaiono più frequenti e rapidi, e più facilmente documentabili. Le campagne appaiono connotate solitamente da ritmi più lenti, da un susseguirsi meno veloce di innovazioni tecniche e culturali.
Ciò, ovviamente, non è vero ovunque e in ogni epoca: in alcuni casi sono proprio le innovazioni introdotte nelle campagne che hanno consentito alla città di accumulare un surplus che è all'origine di innovazioni nel campo tecnologico o culturale. Ma nella città una storia forse più ricca, veloce e densa si è depositata in strati successivi, che si offrono ora al nostro scavo permettendoci un percorso a ritroso nel tempo. Nei diversi strati, siano essi intesi o meno in senso fisico, i depositi delle diverse epoche si trovano spesso mischiati e confusi tra loro come nella memoria; ciò che è venuto prima sta qualche volta più alla superficie ed è più visibile di quanto è avvenuto dopo.
Da sempre la città è stata considerata sede privilegiata e teatro del potere, istituzione politica, complesso di strutture e di funzioni connesse al suo esercizio, alla sua conquista e mantenimento, al controllo dell'attività produttiva e della produzione culturale (v. Weber, 1922). Non sempre ovviamente, e non ovunque, il potere è stato esercitato dalla città: il castello, l'accampamento, la tenda del capo dell'orda, la sede dell'oracolo e del tempio ne sono state spesso sedi altrettanto importanti e diffuse; né sempre e ovunque il mercato o i luoghi di formazione e conservazione del sapere hanno coinciso con la città: fiere e mercati hanno avuto sovente sedi differenti; il sapere, non solo nel mondo occidentale, si è spesso rifugiato nei conventi, in luoghi lontani dalla città.
La città è però, almeno nella cultura occidentale, sede privilegiata di un autonomo potere politico, burocratico, religioso e culturale; è sede del sapere, delle conoscenze tecniche, delle pratiche e del potere mercantili e, più generalmente, del potere economico. Alle diverse forme del potere hanno sovente corrisposto differenti modelli di città (v. Rossi, 1987); ai diversi tipi di distribuzione del potere, alla sua maggiore concentrazione o dispersione, alla sua maggiore o minore strutturazione gerarchica, ai differenti livelli di centralizzazione o di autonomia locale hanno sovente corrisposto diverse reti e gerarchie di città; al succedersi delle diverse forme e distribuzioni del potere ha sovente corrisposto un nuovo passo nel processo di selezione cumulativa che ha costruito il territorio urbano o il territorio in generale.
La città ha solitamente avuto bisogno di un territorio dal quale trarre parte dei propri mezzi di sostentamento, quantomeno le proprie risorse alimentari. Molti studiosi associano del resto l'origine della città a quella dell'agricoltura. Le due principali forme di insediamento stabile sarebbero così tra loro complementari. I rapporti tra città e campagna sono però forse più ambigui; la polemica sul lusso e il parassitismo della città percorre la storia non solo europea (v. Borghero, 1974). Non sempre, d'altra parte, il territorio dal quale la città trae il proprio sostentamento si configura come una campagna a essa circostante; città-fortezza o città mercantili hanno tratto i propri mezzi di sostentamento da territori non necessariamente e immediatamente a loro contigui; la guerra, come il commercio a lunga distanza, ha da sempre reso le relazioni tra città e campagna circostante meno cogenti di quanto appaiano nell'immagine proposta da Ambrogio Lorenzetti nel Palazzo Comunale di Siena; i grandi centri del potere finanziario contemporaneo esercitano il proprio potere su territori praticamente privi di confini, l'immagine della globalizzazione fa apparire svincolati dal territorio i sistemi economici odierni.
Ubicazione dei centri del potere, delimitazione dell'area di competenza di ciascuno e costruzione del tempo sociale sono aspetti di un'unica storia. Così alle forme di potere ecclesiale o signorile diffuse nelle pievi e nei castelli delle campagne dell'alto Medioevo corrispondono una più vaga demarcazione dei confini e un tempo ciclico, uditivo, scandito dalle campane e connesso al carattere ripetitivo delle stagioni e della giornata: nello svolgersi di questo tempo regolare irrompono eventi eccezionali, improvvisi e imprevedibili come le guerre e le malattie. Al potere mercantile dei Comuni corrispondono invece una più precisa definizione dei confini e un tempo visivo, misurato ora dall'orologio, riferimento che orienta pratiche sociali articolate e complesse, che coinvolgono scambi materiali e immateriali tra più soggetti dispersi in territori più vasti; scambi che vengono ora riferiti a comuni termini di misura (v. Attali, 1983). Al potere dell'economia industriale corrisponde il tempo meccanico e ripetitivo degli orari e dei ritmi di lavoro, dei percorsi sistematici casa-lavoro, delle festività regolarmente distribuite lungo l'anno lavorativo. Al potere, infine, dei grandi centri finanziari odierni corrisponde lo svolgimento di pratiche sempre più riferite a un tempo astronomico universale che rende simultaneo ciò che avviene in ogni luogo del globo terrestre, apparentemente in modi indipendenti dal tempo vissuto localmente; ragioni di scambio e tempi dello scambio tendono a confondersi e a unificarsi. A questo nuovo tempo globale corrispondono anche, secondo alcuni studiosi, la deterritorializzazione delle economie contemporanee e la dissoluzione dello stesso concetto di città.
Meta di flussi migratori, mescolanza nell'antichità come oggi di popolazioni diverse, luogo di incontro dell''altro', sede anche per questo di tensioni sociali e intellettuali, la città è stata anche sovente origine della maggior parte delle innovazioni, sia nel campo del sapere e delle tecniche, sia in quello dei costumi e delle pratiche sociali; innovazioni che si sono riversate nelle campagne tramutando l'antica familiarità con il territorio, il procedere empirico e consuetudinario del contadino, nella moderna conoscenza delle basi tecniche e scientifiche del suo stesso lavoro, modificandone gli stili di vita e il sistema di valori.
La città soprattutto, nelle sue diverse forme, è stata ed è ancor oggi luogo e istituzione principe dell'organizzazione del territorio, talché diviene difficile pensare e descrivere un territorio antropizzato senza far riferimento alle modalità dell'insediamento al suo interno, alla distribuzione e densità degli insediamenti, alla loro concentrazione o dispersione, al loro organizzarsi o meno in insediamenti gerarchicamente e dimensionalmente ordinati - dal villaggio alla metropoli, alla città diffusa - ai ruoli da ciascuno assunti lungo la storia, ai loro caratteri specifici, ai conflitti e alle alleanze che li hanno divisi o uniti nel tempo, ai percorsi e ai collegamenti che tra loro si sono stabiliti, ai limiti che ciascuno ha opposto all'altro. Così l'emergere in tempi recenti, in vaste regioni del mondo occidentale, di una nuova forma di città connotata dalla dispersione, dalla frammentazione e dal localismo, che per alcuni versi si oppone alla città moderna così come si era venuta costituendo tra Rinascimento e XIX secolo, e tanto più alle forme che l'hanno preceduta, ha imposto una nuova e più attenta lettura del territorio e della sua articolazione, della varietà dei suoi caratteri originari e dei modi nei quali è vissuto, pensato e immaginato.
Ogni territorio è percorso da una fitta rete di confini: il solco tracciato nei riti di fondazione della città antica, la cinta che delimita il giardino di una casa; il filare o i cippi che segnano il limite di una proprietà, le mura di una città, il vallo, il limes, la Grande Muraglia; reti, fili spinati, linee di fortificazione. Una parte dei confini è però invisibile, formata da linee ideali segnate in qualche carta, che delimitano porzioni di territorio senza che necessariamente a esse corrispondano dei segni fisici: i confini di un comune, di una provincia, dell'area di competenza di una pretura o di una unità sanitaria, dell'area cui corrisponde un toponimo o l'uso di un dialetto non sono indicati sul terreno. Qualche volta queste linee ideali aderiscono all'idea ottocentesca del confine naturale che si rappresenta nel fiume, nella cresta dei monti o nel limite delle terre verso il mare, ma il più spesso ne astraggono. Incomprensibili in alcuni casi nel loro svolgimento, sono però profondamente radicati nell'immaginario collettivo; non è raro, ad esempio, che diversi abitanti di un luogo sappiano delimitare con esattezza e indipendentemente l'uno dall'altro l'area identificata da un toponimo.Il confine rivela e istituzionalizza differenze reali o presunte, ma produce anche differenze, particolarizza, spezza continuità apparenti, mostra la suddivisibilità del territorio e la sua misurabilità.
Indipendentemente da ciò che delimitano, i confini possono spostarsi nel tempo, dilatarsi o contrarsi, farsi più o meno numerosi: a periodi di progressiva unificazione delle società e dei territori, ad esempio durante la formazione dei grandi imperi o degli Stati nazionali percorsi da tendenze all'universalismo, possono seguire periodi dominati da un sempre più accentuato localismo, cui corrisponde una progressiva frammentazione dei territori; ad esempio, una distinzione sempre più minuta delle aree di insediamento di popolazioni tra loro in conflitto.
I confini delimitano soprattutto aree all'interno delle quali si esercita, in forme diverse, il potere: della proprietà, della tradizione, del costume, dell'unificazione linguistica o religiosa; il potere delle istituzioni che queste stesse tradizioni e unità impongono e difendono; il potere di un centro amministrativo, di una città, di una potenza militare. I confini infine assumono sovente un'autonomia che li separa da ciò che delimitano, divengono essi stessi territori, più che linee: aree di confine, territori marginali posti tra altri territori.
La città, intendendo il termine in senso proprio o traslato, ha spesso concepito i limiti dei territori sui quali esercitava il proprio potere come una frontiera, immagine della finitezza del proprio spazio e potere e sfida al suo superamento, limite ultimo oltrepassare il quale era sondare l'ignoto, opporsi al volere degli dei e della natura o ad altri centri di potere. Da quando i primi insediamenti hanno cercato di allargare l'area dissodata a essi circostante, invadendo, addomesticando e riducendo il saltus o l'area disabitata che li separava da altri insediamenti, a quando intere popolazioni hanno spostato in modo pacifico, o più spesso attraverso la guerra e la conquista, i limiti del proprio spazio abitabile o della propria campagna, la frontiera ha costruito, come nel caso della nazione americana, un'immagine forte che è divenuta "una realtà morale, una tesi politica, un mito creatore della nazione" (v. Roncayolo, 1981).
Confini e frontiere non corrispondono solo a dati di fatto, reali o presunti; sono anche categorie che rendono pensabile il territorio, così come il periodo è una categoria che rende pensabile il tempo della storia. La storia dell'idea di confine naturale o quella dell'idea di paesaggio ne sono esempi. Nell'idea di confine e di frontiera e nella concreta configurazione che ciascuna epoca e ciascuna cultura hanno dato ai propri confini e alle proprie frontiere, nei paesaggi che ciascuna frontiera ha isolato e fatto oggetto della propria attenzione come del proprio godimento estetico, nella periodizzazione del tempo passato che ciascuna epoca ha costruito, si rappresenta una fondamentale idea di ordine, un'immagine e un progetto dello stesso ordine.
Ogni territorio è ricco di immagini: mostruose, fantastiche, verosimili o meno, esse hanno sovente radici lontane e dimenticate (v. Baltrusatis, 1972).Base materiale del vissuto dei differenti gruppi sociali, il territorio ha costruito immagini forti e persistenti che, nel tempo, si sono spesso dilatate, opposte e sovrapposte. Naturalmente negli immaginari collettivi non si trova una sola immagine del territorio, quanto piuttosto una varietà di fasci di immagini difficili da districare e catalogare, nei quali si rappresentano le differenti esperienze personali, di gruppo e collettive e le loro successioni nel tempo. Non sempre questi fasci di immagini convergono verso rappresentazioni unificanti; il territorio oppone sempre una forte resistenza a ogni tentativo di generalizzazione e unificazione.
Un primo fascio di immagini appare collegato alla dimensione corporale dell'esperienza che ciascun soggetto fa del territorio, al suo conoscere il territorio attraverso l'esperienza che ne fa il proprio corpo; alla dimensione visiva, olfattiva, tattile e acustica del territorio; all'esperienza del freddo e del caldo, del silenzio o del rumore, della luce e dell'ombra, della paura, della fatica, del piacere che esso induce. Una vita multiforme, umana o animale, si impadronisce negli immaginari collettivi dell'universo. Il territorio diviene zoomorfo; come in Nicolò Cusano o Marsilio Ficino o come, ancor prima, nell'antico Egitto o nell'Estremo Oriente, forze segrete sembrano animare la crosta terrestre. Lo stesso territorio diviene corpo vivente nel quale l'individuo o il gruppo è accolto e si confonde annullando l'opposizione tra natura e società.
Nell'esperienza corporale e nelle vicende che la segnano alcuni elementi assumono una rilevanza eccezionale e questo loro ruolo è rappresentato da un secondo fascio di immagini: il monte diviene un mostro sonnolento come certe colline di Bruegel o di Bosch, ma diviene anche riserva di cacio e di zuppa come nel Baldus del Folengo. Il mare, l'orrido, la grotta, il fiume e i fenomeni dei quali essi sono causa o che li coinvolgono - come l'eruzione, il terremoto, la piena - orientano l'azione individuale e collettiva, costruendo credenze, superstizioni, tabù, divenendo primi elementi di misurazione dello spazio e del tempo. Il terremoto è attribuito all'ira di Dio, ma anche agli spostamenti degli elefanti che sostengono il mondo in India, a quelli di una gigantesca rana nel Tibet, o di un enorme pesce gatto che vive sottoterra in Giappone.
Un terzo fascio di immagini riguarda i manufatti e le opere, i grandi lavori di difesa dalle calamità naturali o atti a far superare ostacoli: la strada, il ponte, la diga, la miniera, la città (v. Sébillot, 1894). Nell'eredità giudaico-cristiana che Le Goff (v., 1985) ritiene la più importante nella costruzione dell'immaginario medievale europeo, l'umanità inizia la propria vicenda in un giardino e la conclude in una città, nella Gerusalemme celeste del libro di Isaia e dell'Apocalisse: "Il futuro eterno dell'umanità, la cornice in cui si collocano i suoi ultimi giorni felici è una città". Nelle immagini urbane delle chansons de geste e nei mirabilia medievali la città, fatta di torri che svettano sopra le mura, è il luogo ove l'alto, nella gerarchia dei valori e in quella sociale, incontra il basso, e ove un interno attraverso la porta è posto in comunicazione o separato, come nell'affresco di Ambrogio Lorenzetti, da un esterno più rozzo e selvaggio. La città è il luogo ove nella gerarchia dello spazio si rappresenta un sistema di valori che privilegia la verticalità e l'interiorità.Un quarto fascio di immagini riguarda il tempo, il suo ricorrere ciclico: le stagioni, le annate dei raccolti ricchi e quelle delle vacche magre. Allargandosi all'intero campo delle esperienze umane, questo gruppo di immagini tende a confondersi con un ulteriore insieme che abbraccia l'intero cosmo e le sue origini (v. de Santillana e von Dechend, 1969).
Troviamo immagini appartenenti a ciascuno di questi gruppi nei miti, ma anche nei riti, nei costumi, nel linguaggio e nel senso comune; nelle leggende, nelle fiabe, nei proverbi, negli indovinelli, nelle superstizioni, nelle loro rappresentazioni letterarie e pittoriche, nella tradizione orale, negli ex voto, negli almanacchi e nei saperi che si sono consolidati nei diversi gruppi sociali e nei diversi luoghi. La produzione di immagini, di racconti e di miti è fenomeno continuo, che si svolge sotto i nostri occhi; alle immagini più consolidate e radicate, delle quali spesso si sono perse l'origine e la ragione, si aggiungono di continuo nuove immagini nelle quali le esperienze odierne acquisiscono un senso. Esse svolgono un eccezionale ruolo costruttivo nei confronti dello sviluppo delle nostre conoscenze.
Osservando il territorio da differenti punti di vista le diverse discipline hanno, nel tempo, prodotto differenti sue rappresentazioni; con diversi gradi di astrazione l'hanno variamente tematizzato e problematizzato, vi hanno cercato un ordine.Un grande mito percorre e domina la storia della scienza occidentale ed è quello dell'invarianza (v. de Santillana e von Dechend, 1969): la storia della scienza è, in Occidente, ricerca della ripetizione, della corrispondenza, della regolarità, della legge e delle sue ragioni.Il territorio, da sempre, ha però sottoposto a dura prova ogni ricerca dell'invarianza, a cui ha opposto la specificità: dei luoghi e delle situazioni, dei caratteri di ciascuna sua porzione di volta in volta percepiti come rilevanti e delle situazioni che l'incrocio tra questi caratteri e il vissuto dei differenti soggetti veniva formando. Cionondimeno il territorio è all'origine di una disciplina, come la geometria, che forse più di ogni altra ha prodotto immagini astratte dalle contingenze e dalle specificità locali.
Nel secondo libro delle Storie Erodoto racconta l'origine della geometria, lasciando aperta la questione se essa abbia un'origine fisica (la misurazione dei terreni invasi dalle piene del Nilo) oppure giuridica (la restaurazione dei diritti d'uso dei contadini), oppure ancora fiscale (la variazione dei tributi conseguente alle variazioni delle estensioni dei terreni coltivabili a seguito delle azioni erosive del fiume). Ogni anno la piena del fiume riporta la terra nel disordine, fisico, giuridico e fiscale; al caos dell'origine, al tempo zero, alla natura si oppone la misura che riordina la terra e la fa rinascere alla cultura (v. Serres, 1993; tr. it., pp. 253-254). Descrivendo, misurando e rappresentando il territorio ogni disciplina ne ha proposto un ordinamento.Inseguire l'universo delle descrizioni del territorio è come ripercorrere lo sguardo che a esso hanno rivolto le diverse epoche, interrogarsi su ciò che le diverse società vi hanno scorto e su ciò che non hanno visto, su ciò che è apparso loro rilevante o trascurabile e sulle ragioni per le quali sguardi e strategie dell'attenzione sono mutati nel tempo (v. Jacob, 1992).
Per lungo tempo, ad esempio sino al XVII secolo, nel mondo occidentale le città hanno occupato un posto preponderante nella descrizione e rappresentazione degli itinerari e dei paesi. Ma se quelle dei mirabilia urbis e di molte laudes civitatum medievali sono città meravigliose piene di luoghi, monumenti e bellezze di sapore magico, nella descrizione della penisola data dal Folengo le città italiane sono ricordate soprattutto per i loro prodotti, per le peculiarità e i costumi dei loro abitanti: "È un'Italia di cose e di genti, di mestieri e di anti-mestieri, di affari e malaffari, una lunga sfilata di oggetti, manufatti, prodotti, attività, messa a fuoco e identificata non dal nobile senso della vista, ma da quelli più popolari del tatto, del gusto e dell'olfatto. Un paese di verze, di meloni, di anguille, di maiali salati, ma non di affreschi o di tele; di barche, di montagne, di scarpe, di speroni, [...] ma non di cattedrali e di regge. È però un paese reale [...] nel quale abitare, vivere, comprare, commerciare, mangiare, lavorare, oppure da scansare e di cui diffidare" (v. Camporesi, 1992).Tra Quattrocento e Cinquecento architetti, ingegneri idraulici e militari - il Filarete e i senesi Francesco di Giorgio e Biringuccio in Italia, o Frisius nei Paesi Bassi - primi esperti della res metallica alla perenne ricerca delle vene nascoste di mercurio, rame, ferro, piombo e zinco, anticipando di un secolo l'inizio delle scienze della terra svolgono minuziosi rilevamenti e letture del territorio, in particolare dei segnali che rivelano presenze minerali. La stessa attenzione descrittiva troviamo negli acquerelli del Dürer.
Mantegna, Bellini, Leonardo restituiscono sovente, nei loro dipinti, un'immagine mineraria della natura che è una nuova e diversa descrizione e rappresentazione del territorio rispetto a un sia pur recente passato.Le descrizioni delle terrae incognitae del XVI secolo, testi instauratori dell'etnografia e dell'antropologia, sono colme anche di elementi meravigliosi e fantastici. Il mondo europeo si trova a dover fronteggiare un altro da sé, rapporti tra società e natura, tra economia e territorio differenti da quelli abituali.Le vedute olandesi del XVII secolo hanno precisi riferimenti topografici, divengono rappresentazioni della topografia, cosa che nell'arte italiana rimane un'eccezione sino all'epoca di Claude Gellée il Lorenese e di Poussin (v. Greppi, 1995).
Le descrizioni del XVIII secolo sono pervase dalla figura del sublime. "Tutto ciò che può destare idee di dolore e di pericolo, ossia tutto ciò che è in certo senso terribile, o che riguarda oggetti terribili, o che agisce in modo analogo al terrore, è una fonte del sublime; ossia è ciò che produce la più forte emozione che l'animo sia capace di sentire" (v. Burke, 1757; tr. it., p. 71): cose grandi e vaste come la montagna, l'orrido, la falesia, la foresta, l'oscurità, la profondità, l'infinità, il vuoto, la successione e l'uniformità, il non finito, la luce, la magnificenza degli edifici, il suono e lo strepito, la subitaneità, costruiscono una nuova estetica che sollecita l'attenzione di ogni viaggiatore. Il valico delle Alpi che sino al XVII secolo era faticoso e noioso diviene un secolo dopo affascinante. A partire dalla metà del XVII secolo un gran numero di viaggiatori visita i paesi settentrionali e soprattutto l'Olanda e Scheveningen: lo spettacolo del mare e della sua conquista da parte degli Olandesi diviene un topos della nuova estetica e, insieme all'Olanda, lo diventano le coste campane, calabresi e siciliane, il Vesuvio, Capri. La pittura e la letteratura del romanticismo ne sono colme. Ciò si accompagna, d'altra parte, all'insorgere di nuove pratiche sociali come l'alpinismo, le terapie marine, il nuoto, la ginnastica, la villeggiatura, la cura di sé, il turismo, che rendono il territorio sempre più domestico (v. Corbin, 1988).
Nel XIX secolo è piuttosto la concentrazione urbana, rappresentazione e metafora della concentrazione del potere, della produzione, della ricchezza, del consumo e dei privilegi, che attira l'attenzione degli osservatori. "Uno degli avvenimenti più importanti per l'intero sviluppo della nostra Kultur", scrive Werner Sombart nel 1912, "è il rapido aumento demografico di tutta una serie di città a partire dal XVI secolo, e la nascita con ciò di un nuovo tipo di città: la città di molte centinaia di migliaia di abitanti, la 'metropoli', che, verso la fine del XVII secolo si avvicina, come Londra e Parigi, alla moderna forma della città con milioni di abitanti". Ma quando Sombart scrive, una nuova figura si è già affacciata ed è quella della dispersione, dello scattering o dello sprawl urbano, della città diffusa, dell'incubo della dissoluzione della città e di ciò che essa ha rappresentato soprattutto nella cultura occidentale. Un impetuoso flusso di descrizioni e di linguaggi speciali sommerge l'uomo contemporaneo, come in Musil e in Joyce, rendendo il mondo e il territorio sempre più difficili da decifrare. Ma allo stesso tempo i linguaggi speciali, propri delle diverse discipline e correnti artistiche, migrano nel linguaggio comune riavvicinando scienza e arte.
Ogni disciplina articola le principali idee che segnano i diversi periodi, soprattutto i più recenti, in modi propri. Ad esempio: "In quell'epoca [fine del XVIII secolo] i medici erano, per un certo verso, degli specialisti dello spazio. Essi ponevano quattro problemi fondamentali: quello dei luoghi (clima regionale, natura dei suoli, umidità e siccità: sotto il nome di 'costituzione', studiavano questa combinazione delle determinanti locali con le variazioni stagionali che favorisce in un momento dato un certo tipo di malattia); quello delle coesistenze (sia degli uomini tra di loro: questione della densità e della prossimità; sia degli uomini e delle cose: questione delle acque, delle fogne e dell'aerazione; sia degli uomini e degli animali: questione dei mattatoi, delle stalle; sia degli uomini e dei morti: questione dei cimiteri); quello delle residenze (habitat, urbanismo); quello degli spostamenti (migrazione degli uomini, propagazione delle malattie). Essi sono stati con i militari i primi amministratori dello spazio collettivo. Ma i militari pensavano soprattutto lo spazio delle 'campagne' (quindi dei 'transiti') e quello delle fortezze; i medici, invece, hanno pensato soprattutto lo spazio delle residenze e quello delle città" (v. Foucault, 1983).E cionondimeno le descrizioni delle diverse discipline lasciano interstizi, i loro confini non dividono il territorio fisico e della ricerca in aree che ne esauriscano la superficie e lo spessore. Esse danno luogo piuttosto ad aree di confine ed è in queste aree poste tra le diverse discipline, tra le scienze dure e quelle morbide, tra scienze naturali e sociali, tra scienza e arte, che diviene forse più fertile lavorare.
L'urbanistica è la disciplina che studia specificamente il territorio ed elabora progetti per la sua conservazione, modificazione e trasformazione. Tra le scienze naturali e sociali l'urbanistica non è evidentemente la sola ad aver posto il territorio al centro del proprio campo osservativo. Rispetto ad altre discipline, essa ha però sviluppato un punto di vista specifico e autonomo, connotato dalla riflessione sui materiali costitutivi dello spazio abitato da diverse formazioni sociali e sulle possibilità di un suo miglioramento.I materiali costitutivi dello spazio abitato possono essere osservati da un punto di vista fisico, della loro costituzione e consistenza materica, delle tecniche costruttive utilizzate per produrli, delle loro forme e delle deformazioni subite nel tempo. Essi possono essere osservati anche dal punto di vista della loro composizione, dei modi nei quali sono accostati e integrati dando luogo alla formazione di materiali più complessi che, a loro volta, possono entrare a far parte di successive e ancora più complesse composizioni. I criteri di composizione, come nel caso dello studio delle formazioni discorsive, possono essere osservati dal punto di vista delle regole grammaticali e sintattiche di volta in volta utilizzate per dar luogo a semplici accostamenti, a ripetizioni, a serie, a sequenze dotate di un senso che possa essere colto e compreso dall'osservatore e utente. Materiali, loro composizioni e regole compositive possono ovviamente essere osservati dal punto di vista della loro storia e del senso che in ciascuna epoca è stato loro assegnato dai differenti soggetti sociali. Ognuno di questi approcci di ricerca ha di fatto implicato la messa a punto di un vocabolario, di tecniche di analisi, di abbozzi di teorie che, nel loro complesso, costituiscono un'articolata formazione discorsiva che da poco più di un secolo nelle lingue neolatine si è soliti indicare con il termine 'urbanistica'.
Disciplina che ha acquisito una propria riconoscibile autonomia scientifica tra la fine del XVIII secolo e la prima metà del XIX, quando dal vasto corpo delle scienze morali si sono staccate le grandi discipline che formano oggi l'insieme delle scienze sociali, l'urbanistica ha radici, più che origini, che affondano in un tempo e in saperi assai antichi: nella geografia, nella topografia, nella geologia e nelle arti militari e minerarie, nel sapere dell'ingegnere, dell'architetto e del medico, dell'igienista, del funzionario di polizia, del sociologo, dell'economista, dello storico, dello statistico, e in una lunga riflessione sulle forme ottime di convivenza civile quale si ritrova nelle utopie che, dall'antichità, le diverse società e culture hanno elaborato e, in parte, sperimentato.Il pensiero utopico, ben lungi dal rappresentare una sorta di evasione che rimuove la concretezza dei rapporti tra gli individui e i gruppi, esprime, nel caso dell'urbanistica, uno sforzo estremo dell'immaginazione di un'intera società o di sue parti, lo sforzo cioè di individuare, con maggior o minor precisione, e sovente in termini metaforici, i temi e i problemi che quella stessa società dovrebbe affrontare e le direzioni lungo le quali cercarne le soluzioni. In questo senso il pensiero utopico è progetto concreto. Non solo l'urbanistica, d'altra parte, ha affidato a esso un importante ruolo costruttivo di temi, di problemi, di loro soluzioni e di conseguenti esperimenti e dimostrazioni. Nella sua lenta e progressiva acquisizione di una riconoscibile autonomia l'urbanistica ha pagato e paga un tributo immenso ad altre discipline, sia alle scienze naturali, sia a quelle sociali, e ciò è stato sovente interpretato, dagli stessi urbanisti, come un sintomo della debolezza del suo statuto scientifico. In realtà l'urbanistica è sempre stata una disciplina aperta, che ha amato soggiornare nelle aree di confine e, forse a causa della resistenza offerta dal territorio a ogni generalizzazione forte, ha rifiutato ogni forma troppo spinta di codificazione e dogmatizzazione. Questo atteggiamento l'ha sempre collocata in una posizione intermedia, tra le scienze dure e quelle morbide, tra le scienze naturali e quelle sociali, tra le scienze e le arti, posizione che nel tempo si è dimostrata fertile e forse anticipatrice di ipotesi oggi coltivate da molti studiosi di storia delle scienze. Più che da teorie che si siano succedute passando o meno attraverso rivoluzioni, l'urbanistica è stata, lungo la sua storia, dominata da idee che ne hanno informato la ricerca e la sperimentazione; più che il contenuto di verità delle proprie asserzioni, la loro verifica o falsificazione, l'urbanistica ha cercato la fertilità delle proprie interpretazioni e dei propri progetti, la loro capacità di dar luogo a processi di interazione sociale che venissero percepiti dagli stessi protagonisti come migliorativi dello spazio abitabile.
Per lungo tempo, ad esempio tra Rinascimento e XX secolo, l'urbanistica moderna, che è stata soprattutto progetto della città, è stata dominata dall'idea della continuità. Idea e immagine, nel XVI secolo, di un nuovo ordine mentale e materiale che si oppone, come nelle parole di Descartes e nella città-mondo di Amsterdam, all'irregolarità della città e della società medievale; essa diviene nel XVII secolo e nella città barocca conquista dell'infinito, "spazio prospettico unico, infinito, misurabile e distinto dagli oggetti che vi sono collocati" (v. Benevolo, 1973, p. 142); diviene regolarità nel XVIII secolo nella città dei Lumi, gerarchia e precisione nel XIX nella città della rivoluzione industriale. Alla svolta del secolo questa idea di un ordine preciso, continuo ed estensibile all'infinito, regolare e gerarchico, che ben si rappresenta nell'unificazione linguistica dello spazio urbano delle grandi capitali europee di questo periodo, entra in crisi di fronte all'erompere di una nuova soggettività. Da allora in poi la città e l'urbanistica occidentali, come peraltro la letteratura, la musica, le arti visive, saranno dominate dalle idee del frammento, dell'eterogeneità, della discontinuità, dalla difficoltà di trovare una regola d'ordine che riconduca a unitarietà la molteplicità dei soggetti, degli oggetti e delle situazioni, e contemporaneamente saranno dominate dall'immagine della globalità, della comunicazione in tempo reale, dell'annullamento della distanza e delle sue conseguenze (v. Sassen, 1991 e 1993): è questo il grande tema che l'urbanistica del XX secolo affronta con grande fatica e alla luce di differenti criteri di razionalità, in un ambiente culturale sovente ostile che ne nega l'utilità e la legittimità (v. Koolhaas, 1993).In questa ricerca l'urbanistica allarga lo sguardo ad aree di studio e territori più vasti; cerca di comprendere le differenti situazioni alla luce delle teorie e dei risultati ottenuti da altri studiosi, in particolare da sociologi ed economisti, e di collocarle in contesti più ampi. Da ciò nasce una progressiva presa di possesso dell'intero territorio da parte di piani e progetti che si situano su differenti scale: dall'area vasta investita dai piani territoriali all'area più ristretta della città, a quella di sue singole parti.
Benché la costruzione del territorio sia da sempre l'esito di progetti e piani, 'pianificazione del territorio' è locuzione e insieme di pratiche politiche, tecniche e amministrative più recente. Difficile, forse neppure molto importante, stabilirne un'origine, tantomeno una data di inizio. La messa a coltura di nuovi e sempre più estesi terreni, la loro difesa dalle calamità naturali, il consolidamento e la difesa di approdi, la penetrazione mercantile o militare in nuove regioni, la definizione di confini difendibili, lo sfruttamento di nuovi giacimenti, l'intensificazione dei commerci, la conquista e l'approfondimento di nuovi mercati, hanno di fatto costruito nel passato, in modi impliciti o espliciti, una serie innumerevole di piani territoriali. Se però si vuole utilizzare la locuzione nel senso contemporaneo occorre rifarsi a esperienze più recenti.
La storia della pianificazione territoriale, nell'accezione odierna del termine, può forse essere suddivisa in tre periodi. Il primo si situa tra gli ultimi decenni del secolo scorso e il primo conflitto mondiale. Dominato dai cosiddetti 'municipalisti', ha il proprio centro tematico nella ricerca di una dimensione del governo municipale che consenta la corretta soluzione dei problemi conseguenti all'enorme espansione urbana di fine secolo. Dominano in questo periodo, che vede le riflessioni dei primi economisti del benessere, considerazioni relative all'efficienza e all'indivisibilità di molti beni e servizi, alle economie di scala ed esterne, alla definizione del concetto di bene pubblico e al suo prezzo. Importante è il contributo fornito da un insieme assai variegato di tecnici che si occupano del rifornimento idrico delle maggiori città, del loro sistema fognario e dei trasporti, della soluzione di problemi igienici e sociali, ma anche quello dei primi architetti del paesaggio che progettano e realizzano, specie nelle grandi città statunitensi, i primi grandi sistemi di parchi e spazi verdi. Benché problemi e riflessioni di questo periodo perdurino sino ai giorni nostri, si può dire che esso termina negli anni venti di questo secolo con il Regional plan of New York e soprattutto con la crisi della fine del decennio.Il secondo periodo, dagli anni trenta sino agli anni cinquanta, ha il proprio centro tematico nello sviluppo delle regioni depresse. Tra le esperienze più importanti, che molti studiosi pongono all'origine della pianificazione territoriale nell'accezione contemporanea del termine, vale la pena ricordare quelle che maturano negli Stati Uniti, in Europa e nell'Unione Sovietica negli anni tra le due guerre, quando l'idea della costruzione di piani territoriali si associa alle politiche della spesa pubblica a sostegno dello sviluppo economico. Parafrasando Friedmann e Alonso (v., 1964), si può affermare che in quegli anni molti paesi scoprirono che l'aritmetica della macroeconomia diveniva più potente se unita alla geometria della pianificazione territoriale. La costruzione di piani di sviluppo per intere regioni, come ad esempio la Tennessee Valley negli Stati Uniti; la costruzione, come in Unione Sovietica, di nuove città collegate all'utilizzo di importanti giacimenti minerari; lo studio, come in Italia, di piani connessi alla bonifica di aree paludose e malsane, allo sviluppo del Mezzogiorno, alla costruzione di importanti reti infrastrutturali innovative, come la rete autostradale, danno luogo in questo periodo a una intensa sperimentazione e riflessione teorica, che si accompagna a una nuova concezione del ruolo della spesa pubblica nei processi di sviluppo economico.
Questi piani avevano avuto dei precedenti in alcuni esperimenti condotti tra la fine del secolo scorso e l'inizio di questo nelle aree coloniali: esperimenti di riordinamento produttivo e sociale di intere regioni e reti di città che la critica successiva giudicherà in alcuni casi assai severamente, ma che hanno sollecitato ricerche e concettualizzazioni, nuove formulazioni teoriche, nuove abitudini di comunicazione tra gruppi disciplinari differenti, che daranno i loro frutti migliori negli anni successivi al secondo conflitto mondiale. Si formano e consolidano negli anni tra le due guerre, specie in seguito alle esperienze europee e americane, alcuni grandi filoni di ricerca e riflessione, quali la teoria della 'base economica', la teoria della 'localizzazione' delle attività economiche e alcune delle principali tecniche della regional analysis. Esse costituiranno l'armamentario del piano territoriale degli anni successivi.Il terzo periodo, dalla fine degli anni cinquanta in poi, è dominato dalla regional analysis. Teoricamente eclettica, animata da una forte tensione verso la formulazione rigorosa, possibilmente formalizzata in termini matematici, di modelli o rappresentazioni dei diversi fenomeni e dei diversi schemi di ragionamento, fortemente influenzata da un'interpretazione sistemica del territorio, dell'economia e della società, la regional analysis costituisce per tutti gli anni sessanta uno dei grandi fronti di avanzamento della ricerca territoriale (v. Meyer, 1966; v. Secchi, 1984). Sotto la spinta dei nuovi economisti del benessere il centro tematico si era nel frattempo ulteriormente spostato dallo sviluppo al riequilibrio tra regioni sviluppate e depresse, tra aree, tra parti di città. Ciò ha fatto sì che i piani di questo periodo ponessero al centro della propria attenzione la previsione di infrastrutture, di aree produttive e di zone direzionali e commerciali sovente sovradimensionate rispetto alle reali possibilità di sviluppo delle singole regioni o città.
Una più acuta e diffusa sensibilità ambientale, la rallentata crescita delle economie urbane occidentali, la formazione in numerose regioni europee e occidentali di una vasta 'città diffusa' hanno forse inaugurato, a partire dalla fine degli anni settanta, un nuovo periodo connotato da uno spostamento del centro tematico. Globalizzazione e localismo sembrano ora al centro della riflessione sul territorio e della maggior parte dei piani studiati e predisposti in questo periodo (v. Hall, 1997). Ciò ha portato a una maggiore attenzione per i caratteri originari del territorio e per la sua storia, per le formazioni sociali locali, per il loro specifico sistema di valori e il loro immaginario, a una maggiore attenzione per la formazione di distretti produttivi specializzati e per le loro ragioni, per le dimensioni del quotidiano e per le pratiche sociali. Meno fiduciosi nelle astrazioni passate, gli studiosi del territorio, nei diversi campi disciplinari, hanno ricominciato a descriverne sistematicamente e dettagliatamente i caratteri salienti. Alcune importanti concettualizzazioni del piano territoriale si sono consolidate lungo questa storia. Tra queste le principali sono forse quelle del polo, del cannocchiale, dell'equilibrio e della rete, a cui sembrano ispirarsi tutti i piani. L'idea del polo di sviluppo ha le proprie origini nella riflessione sul ruolo della città nella crescita economica e nello sviluppo sociale e culturale di vaste regioni mondiali, e propone quindi che le azioni tese allo sviluppo di un territorio si concentrino inizialmente in alcuni luoghi ristretti, i poli appunto, per poi irradiarsi nelle zone circostanti. Il piano dovrà scegliere accuratamente l'ubicazione dei poli e disegnarne correttamente dimensione e fisionomia.
La teoria del cannocchiale - che si radica nello studio dei sistemi economici e ha un'origine più specifica nella teoria della base economica elaborata negli Stati Uniti verso la fine degli anni trenta come primo abbozzo della più sofisticata input-output analysis - considera ogni aspetto di ogni porzione di territorio funzione dell'andamento di alcune variabili esogene, relative cioè alle condizioni del resto del mondo, e di alcune variabili endogene, relative ai caratteri del territorio stesso. Compito del piano è prevedere correttamente l'andamento delle variabili esogene, sulle quali per definizione non può agire, e studiare azioni che facciano sì che gli andamenti delle variabili endogene assicurino il maggior accostamento possibile agli obiettivi perseguiti. In questa concezione l'osservazione progressivamente più accurata di territori sempre più piccoli corrisponde anche al passaggio dallo studio delle grandi variabili che governano lo sviluppo di interi paesi e regioni a quello degli elementi che a esso oppongono resistenza. Questa concezione del piano, che ben si attaglia alla costruzione politico-amministrativa degli Stati moderni e alla distribuzione di competenze tra livelli di governo gerarchicamente ordinati, pur mettendo in evidenza i rapporti, spesso conflittuali, tra dimensione globale e dimensione locale delle economie e delle società contemporanee, è divenuta, almeno nei paesi occidentali, la concezione corrente, ma sempre più pervasivamente sottoposta a critica, del piano territoriale.
La teoria dell'equilibrio assume la disuguaglianza (nei livelli di reddito, di occupazione, di occupazione industriale, nelle condizioni abitative, nel livello dei servizi, ecc.) come il principale problema della costruzione del piano. Scopo del piano diviene, in questa concezione, l'eliminazione delle disuguaglianze, per indicare le quali viene utilizzato il termine poco preciso, ma semanticamente ricco, di squilibrio.
La teoria della rete, cercando di riassumere quanto proposto dalle teorie precedenti e concettualizzando il territorio in termini di nodi e di archi che li congiungono, pone al centro dell'attenzione le relazioni tra attori, attività o luoghi, relazioni che possono essere materiali, e consistere nel trasporto di materia, o immateriali investendo il tempo presente, come il passato e il futuro: città e strade, ma anche comunicazioni telematiche e percorsi della memoria.
A questi approcci teorici dobbiamo alcune importanti concettualizzazioni del territorio: la prima ne mette in evidenza la non omogeneità, la non isotropia, la necessità di considerare, al suo interno, reti e nodi (ad esempio nodi come città, reti come linee di comunicazione e trasporto). Il piano diviene sovrapposizione al territorio fisico di un'immagine deformata che introduca nello stesso territorio tensioni che, per ipotesi, ne dovrebbero facilitare la crescita e lo sviluppo. La seconda, mettendo in evidenza la compresenza della dimensione globale e locale, di ciò che spinge verso l'omogeneizzazione delle culture e delle relazioni sociali ed economiche e di ciò che a questa tendenza oppone resistenza, propone il grande tema delle ripetizioni e delle differenze che attraversano le economie e le società contemporanee. Il piano diviene modo di valorizzarle trasformandole da ostacoli a risorse. La terza, insistendo almeno analiticamente, nello studio delle disuguaglianze o, meglio, delle differenze, mette in luce l'articolazione delle domande sociali e il suo radicarsi nelle culture e nelle mitologie locali. La quarta infine mostra come il territorio visibile sia solo il supporto di un insieme assai più complesso di relazioni e di identità in continuo cambiamento.
La pianificazione urbanistica e quella territoriale sono state soggette negli anni recenti a una forte critica, a un processo di progressiva delegittimazione che ne ha certamente indebolito l'autorevolezza sia sul piano scientifico sia, soprattutto, su quello operativo. La distanza, spesso esagerata, tra i risultati attesi e quelli ottenuti lungo il secolo è stata certamente importante, ma probabilmente l'idea che nei sistemi economici, culturali e politici odierni sia in corso una progressiva deterritorializzazione, una perdita di rilevanza delle specificazioni spaziali e temporali, che l'aritmetica dell'economia finanziaria non necessiti della geometria del territorio, ha avuto, lungo tutti gli anni ottanta, un'influenza determinante. La maggiore facilità della comunicazione a distanza ha generato l'idea che ogni cosa possa avvenire in ogni luogo; che quindi i caratteri dei luoghi e le loro reciproche relazioni non abbiano più la rilevanza del passato (v. Castells, 1989). Ha contribuito a sostenere questa immagine l'effettiva dispersione di gran parte della produzione e di una parte della residenza in territori che sino a qualche decennio orsono erano percepiti come campagna; a questa dispersione è conseguita la formazione di un paesaggio che molti indicano con l'espressione 'città diffusa' e che, per alcuni, è la rappresentazione più che evidente della dissoluzione della città.
Alla progressiva deterritorializzazione delle economie le società occidentali sembrerebbero reagire, almeno in parte, con un'accentuazione esasperata del carattere locale delle singole culture. Il territorio diverrebbe così museo di differenze culturali, importanti per il vissuto dei diversi soggetti sociali, ma irrilevanti per la gestione dell'economia e del potere (v. Sassen, 1993); la politica territoriale sarebbe dominata da altre più importanti politiche: quella economico-finanziaria in primo luogo. È ovviamente difficile dire se in queste immagini e nelle nuove mitologie cui esse danno luogo sia contenuta una parte importante del nostro futuro. Molti indizi fanno pensare l'opposto. Gli anni recenti sembrano preludere a un minor entusiasmo, tra gli stessi studiosi, per le grandi generalizzazioni dei monetaristi e per le immagini riduttive che ne sono conseguite; sembrano preludere a un ritorno allo studio delle economie e delle società reali, a una maggiore attenzione per le differenze che permangono anche entro sistemi economici e finanziari fortemente comunicanti, per gli specifici aspetti locali e quindi, in ultima analisi, per il territorio. (V. anche Città; Urbanizzazione).
AA.VV., Il disegno del mondo, Milano 1983.
Attali, J., Histoires du temps, Paris 1983 (tr. it.: Storie del tempo, Milano 1983).
Baltrusatis, J., Le Moyen Âge fantastique, Paris 1972 (tr. it.: Il Medioevo fantastico, Milano 1993).
Benevolo, L., Storia dell'architettura del Rinascimento, Roma-Bari 1973.
Borghero, C. (a cura di), La polemica sul lusso nel Settecento francese, Torino 1974.
Burke, E., Philosophical enquiry into the origin of our ideas of the sublime and beautiful, London 1757 (tr. it.: Inchiesta sul bello e il sublime, Palermo 1985).
Camporesi, P., Le belle contrade. Nascita del paesaggio italiano, Milano 1992.
Camporesi, P., I due volti del tempo. Calendario agrario e calendario urbano, in La terra e la luna, Milano 1995, pp. 55-81.
Castells, M., The informational city, Oxford-Cambridge, Mass., 1989.
Corbin, A., Le territoire du vide, Paris 1988.
Corboz, A., Il territorio come palinsesto, in "Casabella", 1985, n. 516, pp. 1-22.
Cosgrove, D., Social formation and symbolic landscape, Dover, N.H., 1984 (tr. it.: Realtà sociali e paesaggio simbolico, Milano 1990).
Febvre, L., La terre et l'évolution humaine. Introduction géographique à l'histoire, Paris 1922 (tr. it.: La terra e l'evoluzione umana, Torino 1980).
Foucault, M., L'occhio del potere, introduzione a Panopticon, ovvero la casa d'ispezione, di J. Bentham, Venezia 1983.
Friedmann, J., Alonso, W., Regional development as a policy issue, in Regional development and planning (a cura di J. Friedmann e W. Alonso), Cambridge, Mass., 1964.
Greppi, C., Il geografo al museo: sull'iconografia del paesaggio, in "Casabella", 1995, n. 624, pp. 36-38.
Hall, P., Megacities, world cities and global cities, Amsterdam 1997.
Jacob, C., L'empire des cartes, Paris 1992.
Koolhaas, R., Urban operations, in Columbia documents of architecture and theory, New York 1993.
Kubler, G., The shape of time, New Haven, Conn., 1962 (tr. it.: La forma del tempo, Torino 1972).
Le Goff, J., L'imaginaire médiéval, Paris 1985 (tr. it.: L'immaginario medievale, Roma-Bari 1988).
Meyer, J.R., Regional economics: a survey, in Surveys in economic theory, American Economic Association e Royal Economic Society, London-New York 1966.
Raison, J.-P., Risorse, in Enciclopedia Einaudi, vol. XII, Torino 1981, pp. 132-150.
Raison, J.-P., Terra, in Enciclopedia Einaudi, vol. XIV, Torino 1981, pp. 199-217.
Roncayolo, M., Territorio, in Enciclopedia Einaudi, vol. XIV, Torino 1981, pp. 218-243.
Rossi, P. (a cura di), Modelli di città. Strutture e funzioni politiche, Torino 1987.
Santillana, G. de, Dechend, H. von, Hamlet's mill, Boston 1969 (tr. it.: Il mulino di Amleto, Milano 1983).
Sassen, S., The global city, Princeton, N.J., 1991.
Sassen, S., Analytic border-lands: economy and culture in the global city, in Columbia documents of architecture and theory, New York 1993.
Sébillot, P., Les travaux publics et les mines dans les traditions et les superstitions de tous les pays (1894), Neuilly 1979.
Secchi, B., Il racconto urbanistico, Torino 1984.
Serres, M., Les origines de la géometrie, Paris 1993 (tr. it.: Le origini della geometria, Milano 1994).
Weber, M., Wirtschaft und Gesellschaft, Tübingen 1922 (tr. it.: Economia e società, 2 voll., Milano 1961, pp. 530-669).