Pico della Mirandola, Giovanni
Nacque a Mirandola nel 1463 da Giovan Francesco I e da Giulia Boiardo. Studiò diritto canonico a Bologna e Ferrara negli anni 1477-78. Tra il 1478 e il 1480 cadde la sua prima visita a Firenze, dove conobbe, tra gli altri, Angelo Poliziano e Girolamo Benivieni (che ricorda P. nella Bucolica degli anni 1478-80), suoi fedeli amici per tutta la vita, e forse Marsilio Ficino. In quegli anni P. si dilettò soprattutto nello scrivere poesie, in latino e in volgare (queste ultime egli richiederà a Poliziano anni dopo, nel 1483). Tra il 1480 e il 1482 lo ritroviamo a Padova alla scuola del filosofo aristotelico Nicoletto Vernia, dove conobbe e frequentò Girolamo Donà e il cretese Elia del Medigo, che lo guiderà nello studio della tradizione araba di Aristotele e dei suoi commentatori. Tra il 1482 e il 1483 scrisse a Ficino chiedendogli la Theologia platonica, appena pubblicata (1482) presso Antonio Miscomini, e conobbe a Reggio Emilia Girolamo Savonarola. Nel 1484 fu nuovamente a Firenze, dove frequentò con assiduità Ficino. In quello stesso anno scrisse a Lorenzo il Magnifico una celebre lettera in cui ne lodava la poesia come superiore a quella di Dante e di Petrarca. Del 1485 è l’altra famosa lettera indirizzata all’umanista Ermolao Barbaro sullo stile dei filosofi, in difesa del cosiddetto stile parigino. Quello stesso anno P. si recò a Parigi a studiare alla Sorbona. Forse a Parigi concepì l’idea di riunire a Roma un convegno di filosofi, invitandoli a sue spese, che avrebbero dovuto discutere sulla Verità comune a tutte le dottrine e sul contributo di ciascuna alla definizione della Verità stessa.
Nel 1486 P. tornò a Firenze, ma soggiornò anche a Perugia e a Fratta, dove Guglielmo Raimondo Moncada (conosciuto dai suoi contemporanei come Flavio Mitridate) lo avviò alla lingua ebraica e tradusse per lui una serie di testi cabalistici oggi conservati presso la Biblioteca Apostolica Vaticana; apprese anche i rudimenti dell’arabo e del caldeo. Stese le Conclusiones sive theses DCCCC, originariamente in numero di settecento, e compose la celeberrima Oratio de hominis dignitate, per l’inaugurazione del convegno romano, incentrata sui temi della dignità dell’uomo e della concordia tra le diverse filosofie. Contemporaneamente scrisse il Commento alla canzone d’amore di Girolamo Benivieni, inteso in origine come parte di un nuovo commento al Simposio platonico. Rimasto manoscritto, il testo venne pubblicato a stampa nel 1514 da Benivieni in versione rivista (scomparvero, per es., le critiche a quanto scritto sull’argomento da Ficino).
Alla fine del 1486 P. si recò a Roma per il convegno e pubblicò, il 7 dicembre dello stesso anno per i tipi di Eucharius Silber, le Conclusiones. Per intervento di papa Innocenzo VIII il convegno fu, tuttavia, proibito e venne istituita una commissione con l’incarico di esaminare l’‘ortodossia’ delle Conclusiones. Una bolla papale (emessa il 4 agosto 1487, ma pubblicata solo il 31 dicembre) ne vietò la stampa e la lettura. A nulla valse l’Apologia che P. stese in tutta fretta (fu pubblicata forse a Napoli il 31 maggio 1487) prima di fuggire in Francia. Qui venne catturato e incarcerato per ordine del papa nella prigione di Vincennes (1488). Grazie all’intervento di molti potenti, tra i quali Lorenzo il Magnifico e lo stesso Carlo VIII, P. fu rilasciato e poté tornare in Italia. Raggiunto a Torino da una lettera di Ficino che lo invitava a Firenze, Pico vi si traferì sotto la tutela laurenziana. Fu lui a convincere il Magnifico a chiamare Savonarola a Firenze e il frate ferrarese divenne, con Poliziano e con Lorenzo stesso, uno degli amici più intimi di Pico. Nel 1489 presso Antonio Miscomini pubblicò l’Heptaplus, un commento ai primi sette versetti del Genesi, e nel 1491 compose il De ente et uno, dedicandolo a Poliziano, dove presenta un’interpretazione del Parmenide in disaccordo con l’esegesi ficiniana del dialogo platonico. Da allora sino alla morte, avvenuta nel novembre del 1494, si dedicò alla stesura delle Disputationes adversus astrologiam divinatricem, che furono poi completate e pubblicate negli Opera pichiani dal nipote Giovan Francesco nel 1496. Il 18 giugno 1493 papa Alessandro VI lo aveva finalmente assolto dalla condanna del suo predecessore.
P. viene nominato una sola volta da M., nel libro VIII delle Istorie fiorentine:
Amava maravigliosamente qualunque era in una arte eccellente; favoriva i litterati, di che messer Agnolo da Montepulciano, messer Cristofano Landini e messer Demetrio greco ne possono rendere ferma testimonianza; onde che il conte Giovanni della Mirandula, uomo quasi che divino, lasciate tutte l’altre parti di Europa che gli aveva peragrate, mosso dalla munificenzia di Lorenzo, pose la sua abitazione in Firenze (xxxvi 11).
L’amore che il Magnifico nutriva nei confronti di umanisti eccellenti quali Poliziano, Cristoforo Landino e Demetrio Calcondila, avrebbe dunque indotto P., dopo che ebbe percorso in lungo e in largo l’Europa, a fermarsi a Firenze. La notizia riportata da M. reca in sé alcune osservazioni che denotano una certa conoscenza delle vicende biografiche pichiane (i viaggi in Europa, il suo stabilirsi a Firenze), accanto a un accenno, divenuto quasi un topos, alle straordinarie doti intellettuali di P., «uomo quasi che divino».
È difficile individuare una possibile influenza di P. su M., a meno che non si vogliano attribuire a quest’ultimo opinioni e atteggiamenti diametralmente e coscientemente opposti rispetto a quelli del conte di Mirandola, e nati per così dire come reazione a essi. Così è, per es., sulle capacità camaleontiche dell’uomo di trasformarsi, di elevarsi a livelli divini o di abbassarsi a livello dei bruti, attribuite da Dio ad Adamo nel discorso riportato nella celebre Oratio pichiana, in contrasto con lo scetticismo palesato da M. nei confronti del libero arbitrio e dell’autonomia dell’uomo nei confronti del fato che hanno fissato per lui le stelle (cfr. Sasso 1988, pp. 48-50). Così è pure per l’atteggiamento, forse non privo di una certa ironia, di M. nei confronti dell’influenza astrale sul comportamento dell’uomo, ricordando nei Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio «che sendo questo aere, come vuole alcuno filosofo, pieno di intelligenze» (I lvi 9; cfr. Garin 1993, p. 56) – riferendosi alle divinità intermedie, ai demoni di tradizione platonica o agli angeli della tradizione cristiana –, queste invierebbero agli uomini segni per preannunziare loro il futuro e prepararli ad affrontarlo, in contrasto con la netta presa di posizione antiastrologica di P., proprio nei confronti dei signa, nelle Disputationes adversus astrologiam divinatricem (IV 12, a cura di E. Garin, 1° vol., 1946, pp. 494-501). L’allusione di M. alle «intelligenze» potrebbe far pensare a letture e ascendenze ciceroniane (De divinatione I xxx 64), apuleiane (in partic. De deo Socratis 6-7, 132-37), ma anche plotiniane, o, meglio, ficiniane (cfr., per es., il Comm. in Plot., in Marsilii Ficini ... Opera et quae hactenus extitere [...], 1576, pp. 1610-11, 1621-23; cfr. Plot. Enneadi 2, 3, 7), che sono poi quelle stigmatizzate da P. nelle Disputationes, se non si trattasse di un tema comunque assai diffuso (cfr. Discorsi, ed. Inglese 1984, p. 281 nota 9; si aggiunga, per es., L.B. Alberti, Libri della famiglia, I IV, a cura di R. Romano, A. Tenenti, nuova ed. a cura di F. Furlan, 1994, p. 337).
Bibliografia: Disputationes adversus astrologiam divinatricem, a cura di E. Garin, 2 voll., Firenze 1946-1952 (rist. anast. Torino 2004). Fonti: Marsilii Ficini Florentini ... Opera et quae hactenus extitere et quae in lucem nunc primum prodiere omnia, 2 voll., Basileae 1576 (rist. anast., con lettera di P.O. Kristeller e premessa di M. Sancipriano, Torino 1959, rist. 1962, 1979, 1983; éd. sous les auspices de la Société M. Ficin, préfation de S. Toussaint, Paris 2000); L.B. Alberti, Libri della famiglia, a cura di R. Romano, A. Tenenti, nuova ed. a cura di F. Furlan, Torino 1994.
Per la biografia di P. si vedano: E. Garin, Giovanni Pico della Mirandola. Vita e dottrina, Firenze 1937; Pico, Poliziano e l’Umanesimo di fine Quattrocento, a cura di P. Viti, catalogo della mostra, Firenze, Biblioteca medicea laurenziana, 4 nov.-31 dic. 1994, Firenze 1994, pp. 31-302. Per P. e M. si vedano: G. Sasso, Qualche osservazione sui Ghiribizzi al Soderino, in Id., Machiavelli e gli antichi e altri saggi, 2° vol., Milano-Napoli 1988, pp. 3-56; E. Garin, Aspetti del pensiero di Machiavelli, in Id., Dal Rinascimento all’Illuminismo, Firenze 19932, pp. 33-72.