PICTOR
Pingere significava in latino dipingere, ma ancora prima ricamare con fili di diverso colore (Ernout-Meillet, Diction. étym. d. l. lat., Parigi 1960, ii, p. 508), quindi pictor è nell'accezione più comune il pittore, ma può indicare anche il ricamatore (pictor acu, C. I. L., vi, 6182, cfr. A. Giuliano, art cit. in bibl., p. 265, n. 4). D'altra parte colui che dipinge o piuttosto colora, era chiamato a Roma anche colorator (v.), da ritenersi piuttosto il decoratore o l'imbianchino. Pictor significa pittore, senza che sia dato sempre distinguere negli autori il pittore professionista dal dilettante; nelle iscrizioni indica sempre la professione (v. anche pittura).
Il pittore professionista aveva un campo di attività assai largo. Si dipingevano le pareti, i soffitti degli ambienti degli edifici pubblici e privati, dei templi, delle tombe (parietum picturae, tectoria); si facevano quadri di cavalletto (tabutae pictae), destinati ad essere appesi od incassati: ex voto, rappresentazioni di battaglie, di giochi, stendardi trionfali, ritratti. Si dipingeva su muro, marmo, legno, tela, pergamena, vetro; anche per decorazioni di mobili, di cofani e per illustrazioni di libri. Si coloravano statue e bassorilievi.
Nelle iscrizioni si trovano le seguenti specificazioni: p. imaginarius e p. parietarius (Editto di Diocleziano, C. I. L., iii, Suppl., p. 1935), p. scaenarius (C. I. L., vi, 9794), p. quadrigularius (C. I. L., vi, 9793), p. coronarius (Ann. Epigr., 1936, 24), perfector et p. (C. I. L., ii, 4085).
Non è naturalmente possibile sapere sino a che punto tali specializzazioni fossero di veri artisti creatori o di esecutori da cartoni preparati da altri, di copisti o di aiutanti di bottega. Pittori restauravano, più o meno felicemente, i quadri antichi (Plin., Nat. hist., xxxv, 100).
Se non la pittura, che richiede qualità innate che non tutti hanno, il disegno probabilmente si insegnò ai fanciulli, anche se non ne abbiamo notizie precise (Plin., Nat. hist., xxxv, 77, allude alla Grecia del IV sec. a. C.; C. I. L., viii, 724, all'Africa del III sec. d. c.; Cato, ap. Non. Marc., s. v. Plumarium, ed. Lindsay, p. 239, piuttosto a ricamo); particolare è il caso di Quintus Pedius, nobile fanciullo avviato alla pittura perché muto dalla nascita (Plin., Nat. hist., xxxv, 21). I primi pittori romani sembra siano state persone che tra i varî interessi e capacità ebbero anche quella di saper dipingere. Fabius Pictor (v.), nobile della casata dei Fabii, firmò gli affreschi del tempio di Salus sul Quirinale, dedicato il 303 (Plin., Nat. hist., xxxv, 19, cfr. Cic., Tusc., i, 2, 4; Val. Max., viii, 14, 6) e per questa sua attività ebbe il soprannome di Pictor, poi divenuto cognomen della sua famiglia. È rimasto nella tradizione romana come un caso eccezionale e poco spiegabile.
Pacuvio, lo scrittore nipote di Ennio, dipinse il tempio di Ercole nel Foro Boario (Plin., Nat. hist., xxxv, 19) ma l'epitaffio che gli è attribuito lo chiama solo poeta (Gell., i, 24). Plinio dice che la pittura postea non est spectata honestis manibus (Nat. hist., xxxv, 20), o forse a lui mancava notizia di pittori che fossero stati anche cittadini di ceto elevato; che ve ne fossero stati, anche se dimenticati, fa supporre il fatto che Plinio stesso nomini, come apparente eccezione, due contemporanei, il cavaliere Turpilio e il consolare Titedio Labeone. Si sa inoltre che erano stati, e furono dopo, pittori, gli imperatori Nerone (Suet., Nero, 52), Adriano (Hist. Aug., Hadr., 14), Marco Aurelio (Hist. Aug., M. Ant., 4), Alessandro Severo (Hist. Aug., Alex. Sev., 27), Valentiniano (Amm. Marc., xxx, 9, 4).
La pittura era esercitata anche dalle donne (pinxere et mulieres, Nat. hist., xxxv, 147), Plinio ne ricorda alcuni nomi; donne pittrici sono raffigurate su bassorilievi (Blümner, op. cit., in bibl., iv, p. 461, fig. 72), su pitture (S. Reinach, Rép. Peint. p. 262, 7 [?], 8, 9). I pittori lavoravano in botteghe (Plin., Nat. hist., xxxv, 143, ricorda un quadro del greco Philiskos rappresentante officinam pictoris ignem conflante puero) oppure a domicilio del committente; il loro lavoro si configurava sia come locatio-conductio (fatto su commissione) che come emptio-venditio (vendita dell'oggetto già preparato). Plinio il Giovane (Epist., iv, 28) scrive all'amico Vibio Severo di trovargli un pittore che sappia fargli i ritratti dei morti illustri suoi concittadini Cornelio Nepote e Tito Cassio. Egli pensa infatti che sia più facile avere un buon lavoro fatto sul luogo. Ma l'espressione pliniana adsumere pictorem fa pensare, più che ad un'ordinazione da effettuarsi in una bottega di pittore, alla assunzione di un lavoratore (cfr. anche Cic., De inv., ii, 1, 1). Il pittore locator (o redemptor, cfr. C. I. L., vi, v, 9794) normalmente lavorava con proprio materiale, ma prevalendo la moda di alcuni colori assai costosi, nei contratti si stabiliva che essi fossero forniti dal committente (Vitr., De arch., vii, 8). Ciò indica una generale modestia economica delle botteghe dei pittori, attestata anche da un passo di Marciano ove sono elencati gli strumenti del pittore in caso di legati: cerae, colores similiaque... item peniculi et cauteria et conchae (Dig., xxxiii, 7, 17; cfr. i due corredi in tombe di pittori gallo-romani descritti da Borda, op. cit. in bibl., p. 383-4). Colleghi di bottega, o forse piuttosto associati di un collegio devono essere i collegae di un iscrizione della Pannonia del II sec. d. C. (C. I. L., iii, 4222) e i collegae pingentes che hanno curato ad Ostia il sepolcro evidentemente di un pittore (C. I. L., xiv, 4699; cfr. R. Meiggs, Roman Ostia, Oxford 1960, pp. 312, 439). Rappresentazioni di pittori al lavoro si vedono sui mosaici o pitture (S. Reinach, Rép. Peint., p. 161, 6, oltre a quelle sopra citate).
I prezzi di pitture riferiti dagli autori riguardano le opere dell'arte greca ed ellenistica, che avevano valori d'affezione. Le opere ordinate agli esecutori dovevano avere naturalmente un valore più modesto. Plinio considera che i quadri diano maggior gloria delle pitture murali (Nat. hist., xxxv, 118), osservando come le ultime fossero inamovibili e soggette al pericolo della distruzione per incendio. Effettivamente anche secondo il diritto la pittura murale cedeva alla parete, e pretiosissimae pic turae sono contrapposte a vulgaria tectoria (Dig., viii, 2, 13, 1). Tuttavia che per le une e le altre si potesse spendere moltissimo è evidente dalla norma di farne sempre una moderata aestimatio (e non infinitam vel immoderatam) in caso di rivendicazione di danno (Dig., xxxix, 2, 40). Da questo passo è anche evidente l'impossibilità di una valutazione oggettiva. Si prevedeva la eventualità di acquisti di immobili fatti propter marmora et statuas et tabulas pictas, ivi contenuti (Dig., xviii, 1, 34). Diversamente dalla statuaria e dalla toreutica, il prezzo della pittura avrebbe potuto essere determinato esclusivamente dal valore del lavoro (usando solo colori di basso costo) e questo fu avvertito nelle opposte risoluzioni dei giuristi al caso di pittore che dipinge su tavola non sua (Dig., vi, 1, 23, 3; Gaius, ii, 77; Inst., ii, 33-34).
Ben pagati erano i ritrattisti: Plinio racconta che la pittrice Iaia di Cizico, che lavorò a Roma nella prima metà del I sec. a. C., faceva ritratti, soprattutto di donne, facendosi pagare anche di più dei due ritrattisti allora più in voga, Sopolis e Dionysios (Nat. hist., xxxv, 148).
Plinio il Giovane descrive un padre che in memoria del figlio morto ne fa fare innumerevoli ritratti, e fa lavorare tutte le officinae: lo fa ritrarre coloribus... cera... aere... argento... auro... ebore marmore (Epist., iv, 7).
Nell'Edictum de pretiis di Diocleziano del 301 d. C. (C. I. L., iii, Suppl., p. 1935) la paga giornaliera del pictor panetarius è fissata in 75 denari, e quella del pictor imaginarius in 150 denari, oltre al pasto. Ma si tratta di paga giornaliera operariorum, cioè della categoria più bassa degli esecutori delle pitture decorative delle case, non certo di artisti creatori. Il pittore della neroniana domus aurea, Fabullus, poteva permettersi di lavorare poche ore al giorno (Plin., Nat. hist., xxxv, 120). Un trattamento particolare, ma non del tutto chiaro per noi dal punto di vista del diritto, avevano le operae fabriles vei pictoriae dei liberti (Dig., xxxviii, 1, 23, 124; xii, 6, 26, 12). Infine l'alto prezzo degli schiavi pittori è deducibile da un esempio illustrativo della lex Aquilia del III sec. d. C. relativo allo schiavo pretiosus pictor (Dig., ix, 2, 23, 3).
I nomi di pittori raccolti dalle iscrizioni sono 42, per circa una metà (22) di Roma; per lo più da iscrizioni funerarie oppure votive, tre firme (per alcune altre presunte firme, v. Giuliano, art. cit., p. 263, n. 1), un'iscrizione commemorativa di pitture, una menzione del pittore in iscrizione metrica funeraria cristiana. Nessuna delle iscrizioni funerarie o votive di pittori allude a opere compiute o comunque a meriti artistici. Un epigramma autoelogiativo è riportato da Plinio, ma come appartenente alla pittura eseguita, non alla tomba del pittore (Plin., Nat. hist., xxxv, 115); 12 nomi sono sicuramente di liberti (dei quali 3 imperiali), 6 schiavi (dei quali 2 imperiali); 11 probabilmente di ingenui (con due o tre nomi), altri ingenui verosimilmente devono trovarsi tra i 13 pittori che sono indicati con un nome singolo, parecchi dei quali su iscrizioni provinciali o cristiane. Due iscrizioni funerarie del I sec. ci fanno conoscere i pittori C. Sallustius Aiax (C. I. L., vi, 33427) e Amanus (C. I. L., vi, 37814), rispettivamente liberto e schiavo di un Sallustio Crispo, forse il figlio adottivo dello storico. Di lui Tacito (Ann., iii, 30) dice che, amico di Augusto, sostituì Mecenate dopo la morte di quest'ultimo; si sarebbe tentati di considerarlo un protettore anche delle arti figurative, come Mecenate non pare essere stato. Un pittore è liberto della famiglia dei Livineii (C. I. L., vi, 33399), un altro di Nerone è sepolto ad Anzio (C. I. L., x, 6638), ove Nerone aveva una villa. Publius Aelius Fortunatus, forse liberto di Adriano, pictor et praepositus pictorum (Giuliano, art. cit., 2) lascia un importante monumento funerario per sé, la moglie e i liberti. Il titolo di praepositus fa intravedere un permanente ufficio di direzione di un gruppo di pittori impiegati per i lavori dell'imperatore. Arius, pictor et aedituus, era probabilmente uno schiavo addetto alla custodia di un tempio, nel quale provvedeva anche alla manutenzione delle parti dipinte. Il pittore di Ostia P. Ragonius Erotianus (C. I. L., xiv, 4699) ha lo stesso nomen del praefectus annonae Vincenzo Ragonio Celso della fine del IV sec., patrono della città (C. I. L., xiv, 173, cfr. 138-9; vi, 1759; x, 4560). Nessun cognomen dei pittori delle iscrizioni indica sicuramente una provenienza; sono solo latini o greci, e nomi greci si davano anche a schiavi nati in Italia e in province occidentali.
Una serie di privilegi ai picturae professores, si modo ingenui sunt della provincia d'Africa fu concessa dagli imperatori Valentiniano, Valente e Graziano nel 374 (Cod. Th., xiii, 4, 4): essi, le mogli ed i figli furono esentati dalla capitatio (imposta personale), dalla denuncia degli schiavi anche se barbari, dalla lustralis collatio (tassa quinquennale sulle industrie e i mestieri), dall'ospitalità obbligatoria e da altre prestazioni. Potevano rifiutare la giurisdizione del iudex pedaneus e trasferire dove volevano il loro domicilio. Godevano di pergulae e officinae gratuite in luoghi o edifici pubblici; non potevano essere costretti a fare ritratti degli imperatori o restaurare opere pubbliche senza compenso.
I pictores erano anche stati contemplati in un elenco di altri artigiani ed operai costruttori esonerati da munera in una costituzione di Costantino, del 337, diretta a Massimo, prefetto del pretorio per la Gallia, ma che forse era una costituzione generale (De Francisci, art. cit. in bibl., pp. 66) (Cod. Th., xiii, 4, 2; cfr. Cod. Iust., x, 66, 1).
Pictores. - Abbreviazioni: ing. = ingenuus; lib. = libertus; ser. = schiavo; iscr. comm. = iscrizione commemorativa; iscr. fun. = iscrizione funeraria; iscr. v. = iscrizione votiva.
P. Aelius Fortunatus (lib. imperiale, Roma, II sec. d. C., iscr. fun.; Giuliano, 2).
Albu ... (? Germania, C. I. L., xiii, 5704).
Amanus (ser., Roma, età augustea, iscr. v., C. I. L., vi, 37814; Giuliano, 18).
Antiochus (lib., Roma, II sec. d. C., iscr. fun., C. I. L., vi, 37815; Giuliano, 19).
Antiochus Gabinius (lib., Roma, I sec. a. C. [?], Cic., Ad Att., iv, 18, 4; E. A. A., i, p. 430, s. v.).
Q. Antonius Eutychus (lib., Roma, iscr. fun., C. I. L., vi, 9786; Giuliano, 7).
Arellius (lib.[?], Roma, I sec. a. C., Plin., Nat. hist., xxxv, 119; E. A. A., 1, p. 601, s. v.).
Aristodemos (III sec. d. C., Philostr. Maior, Imag., proem., 3; E. A. A., i, p. 646, s. v.).
Arius (ser., Roma, iscr. v., C. I. L., vi, 9102 b, 18; Giuliano, 6).
Artemidor (Mart., v, 40; E. A. A., i, p. 696, s. v.).
Q. Attius Messor (Spagna, II sec. d. C., iscr. comm. di un restauro, C. I. L., ii, 4085; García y Bellido, xi).
Attius Priscus (Roma, età di Vespasiano, Plin., Nat. hist., xxxv, 120; E. A. A., i, p. 908, s. v.).
Aurelius Felicianus (ing.[?], Chiusi, iscr. fun.; Année Epig., 1891, n. 156).
Aurelius Felix (ing.[?] Roma, 382 d. C., iscr. fun. crist., C. I. L., vi, 9787; I. L. C., 669 a; Giuliano, 8).
Calenus (ser.[?], Bordeaux, iscr. fun., C. I. L., xiii, 641).
L. Calpurnius Festus (ing., Pozzuoli, iscr. fun., C. I. L., x, 1950).
Carterius (Porph., Vita Plot., 1; E. A. A., iv, p. 323, s. v. Karterios).
Ti. Claudius Soter (Roma, iscr. fun., C. I. L., vi, 9793; Giuliano, 14; E. A. A., ii, p. 708, s. v.).
P. Cornelius Philomusus (lib., Roma, iscr. fun., C. I. L., vi, 9794; Giuliano, 15; E. A. A., ii, p. 855, s. v.).
Cornelius Pinus (Plin., Nat. hist., xxxv, 120; E. A. A., ii, p. 855, s. v.).
December (ser., Roma, II-III sec. d. C., iscr. fun., C. I. L., vi, 9788; Giuliano, 8).
Decorosus (Roma, menzione del pittore in iscr. metrica fun. crist., I. L. C., 1325).
Demetrios (Diod. Sic., Exc., xxxi, 18, 2; Val. Max., v, 1, 1; E. A. A., iii, p. 70, s. v., n. 6).
Diodoros (Anth. Pal., xi, 213; E. A. A., iii, p. 104, s. v., n. 3).
Diogenes (Lione, iscr. fun., C. I. L., xiii, 2810).
Diognetos (Roma, età di Marco Aurelio, Hist. Aug.; E. A. A., iii, p. 107, s. v.).
Dionysios (I sec. a. C., Plin., Nat. hist., xxxv, 113 e 148; E. A. A., iii, p. 118, s. v., n. 7).
L. Domitius Menocrates (ing., Roma, I-II sec. d. C., iscr. fun., Année Epigr., 1936, 24; Giuliano, 1).
Eumelus (Philostr., Vit. Sophist., ii, 5, 1; Imag., proem., 3; E. A. A., iii, p. 526, s. v.).
Eutactus Eudaemon (ser., Roma, I sec. d. C., iscr. fun., C. I. L., vi, 7614; Giuliano, 5).
Euthychos (Roma, età di Nerone, Anth. Pal., xi, 215).
Euticus (ser. imperiale, Sorrento, iscr. fun., C. I. L., x, 702).
Fabius Pictor (ing., Roma, IV sec. a. C.; Plin., Nat. hist., xxxv, 19; Val. Max., viii, 14, 6; Cic., Tusc., i, 24; E. A. A., iii, p. 565 s. v.).
Fabullus (Roma, età neroniana, Plin., Nat. hist., xxxv, 120; E. A. A., iii, p. 566, s. v.).
Heracla (lib. imperiale, Roma, età augustea, iscr. fun., C. I. L., vi, 4008, cfr. vi, 4000; Giuliano, 3).
Hermogenes (II sec. d. C., Tertull., Ad., Herm., i; E. A. A., iv, p. 12, s. v., n. 4).
Hilarius di Bitinia (Eunap., Vitae philos. et sophist., Priscus; E. A. A., iv, p. 32, s. v.).
Iaia di Cizico (I sec. a. C., Plin., Nat. hist., xxxv, 147-8; E. A. A., iv, p. 65, s. v.).
(?) Ianuarius (ser. imperiale, 50 d. C., Anzio, C. I. L., x, 6638).
(?) L. Iaroviaius Cato (lib., presso Verona, iscr. comm. di lavoro eseguito, C. I. L., v, 3908).
Kallides (Luc., Dial. meretr., 8, 3; Pauly-Wissowa, x, c. 1632).
Launio (Pannonia Sup., iscr. fun. cristiana, C. I. L., iii, 4222; I. L. C., 670).
L. Livineius Eutactus (lib., Roma, I sec. d. C., iscr. fun., C. I. L., vi, 33399; Giuliano, 16).
Lucillus (Symmach., Epist., ii, 2 e ix, 5o; Pauly-Wissowa, xiii, c. 1648).
Lucius (firma (?), Belgio, C. I. L., xiii, 3589; cfr. A. Blanchet, op. cit., p. 47).
Lucius (Pompei, I sec. d. C., firma su pittura parietale, C. I. L., iv, 7535; Pauly-Wissowa, xiii, c. 1653).
Ludius (o Studius) (età di Augusto, Plin., Nat. hist., lxxxv, 116; Pauly-Wissowa, xiii, c. 1711).
L. Mallius (Macrob. Sat., ii, 2, 10; Pauly-Wissowa, xiv, c. 910).
Marcellus (Pavia, iscr. fun. cristiana, C. I. L., v, 6466; I. L. C., 671).
Mestrius Martinus (Dacia, iscr. v., C. I. L., iii, 1005).
Metrodorus (Pauly-Wissowa, xv, c. 1480).
Myro (lib. imperiale, Anzio, 50 d. C., C. I. L., x, 6638).
Pacuvius (scrittore drammatico, 220-130 a. C., Roma, Plin., Nat. hist., xxxv, 19).
Papirius Vitalis (ing., Roma, II-III sec. d. C., iscr. fun., C. I. L., vi, 9792; Giuliano, 13; Pauly-Wissowa, xviii, c. 1075).
Philarguros (Roma, iscr. fun., C. I. L., vi, 9789; Giuliano, 11; Pauly-Wissowa, xix, c. 2125).
L. Pituanius Clemens (lib., Roma, II sec. d. C., iscr. fun., N. S., 1916, p. 101, n. 56; Giuliano, 20).
M. Plautius Lycon (II sec. a. C., Plin., Nat. hist., xxxv, 115; Pauly-Wissowa, xxi, c. 18-9).
L. Plautius Menecrates (ing., Roma, I sec. d. C., iscr. fun. [?] C. I. L., vi, 9790; Giuliano, 11).
Primigenius (ser., Alba Fucens, iscr. fun., C. I. L., ix, 4013; Pauly-Wissowa, xxii, c. 1974).
Priscus (Roma, iscr. fun. cristiana, C. I. L., vi, 9791; I. L. C., 669 a; Giuliano, 12; Pauly-Wissowa, xxiii, c. 11).
Publius (Brunn, ii, p. 209; Mart., i, 109).
P. Ragonius Erotianus (ing., Ostia, iscr. fun., C. I. L., xiv, 4699).
Restitutus (Cartagine, VI sec. d. C., iscr. fun. cristiana, C. I. L., viii, 23358).
Rufos (Pauly-Wissowa, i, A, c. 1213; Anth. Pal., xi, 233).
C. Sallustius Aiax (lib., Roma, età augustea, iscr. fun., C. I. L., 33427; Giuliano, 17).
Secundinus (Pannonia Sup., iscr. fun. cristiana, C. I. L., iii, 4222; I. L. C., 670).
C. Silvanus (?) (Spagna, García y Bellido, art. cit., n. x).
Sopolis (I sec. a. C., Roma, Plin., Nat. hist., xxxv, 148).
L. Sulpicius Eros (lib., Trevi, iscr. fun., C. I. L., xi, 5009).
Theodotus (Pauly-Wissowa, v, A, c. 1965; Naev. Tunic., xi, 233).
Titidius Labeo (Plin., Nat. hist., xxxv, 20; Pauly-Wissowa, vi, A, 2, 1936-7).
Tlepolemus (Cic., in Verr., ii, 4, 13; Pauly-Wissowa, vi, A, c. 1619).
Turpilius (Plin., Nat. hist., xxxv, 20; Pauly-Wissowa, vii, A, 2, c. 1431).
C. Vettius Capitolinus (ing., Roma, I sec. d. C., iscr. fun., C. I. L., vi, 6182; Giuliano, 4).
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