FIORENTINO, Pier Angelo
Nacque a Napoli da Giacomo e da Elisabetta Durelli il 5 marzo 1811 (la data di nascita fissata al 18 marzo 1809 e ricavata dall'epigrafe posta sulla lapide tombale del F. nel cimitero di Napoli, è stata successivamente corretta dal Brangi sulla base del registro dei battezzati della parrocchia di S. Liborio alla Carità).
Discendente di una famiglia molisana che un tempo era stata fiorente per la professione notarile tramandata di padre in figlio, il F. fu prima allievo dei gesuiti e quindi si iscrisse all'università per seguire i corsi di legge: già allora, a metà anni Venti, si profilava un contrasto tra la volontà del padre, che lo voleva avvocato, e l'inclinazione del giovane che prediligeva invece gli studi umanistici ma era anche affascinato dal giornalismo letterario.
Agli esordi del regno di Ferdinando II questo giornalismo si muoveva su vari versanti, da quello più propriamente colto e politicizzato, in cui operavano poeti e storici, a quello, molto più frivolo, degli spettacoli teatrali, cercando di offrire al pubblico napoletano un prodotto variegato capace di coprire tutta la gamma degli interessi espressi dalla borghesia cittadina.
Il fiorire dei periodici che accompagnò questa ritrovata capacità di iniziativa coinvolse presto anche il F. al quale la conseguita laurea in legge non pareva schiudere altra prospettiva che quella di un lavoro da lui considerato convenzionale e soffocatore di ogni facoltà creativa.
Il F. esordì dunque come giornalista; prima però aveva frequentato la scuola di B. Puoti, il quale doveva aver fondato molte speranze su di lui e sulla sua propensione agli studi se, più tardi, deluso dalle sue "monellerie", aveva deprecato quel "discepolo ingrato" (De Sanctis, Giovinezza, p. 139) che per inseguire un facile successo aveva abbandonato la filologia e i classici del Trecento sciupando, come avrebbe soggiunto il De Sanctis, "fama e ingegno in quei mille pettegolezzi letterari che solo permetteva Ferdinando Borbone" (Viaggio elettorale, p. 491). Fantasia, arguzia, scorrevolezza di scrittura, spirito mordace fino al sarcasmo, erano queste le caratteristiche che il F. mise in mostra sin dalle sue prime prove letterarie vivendo poi tra il 1833 e il 1836 una stagione intensissima con una presenza assidua in periodici la cui fortuna era in ragione diretta della loro superficialità: fu così uno dei redattori dell'Omnibus letterario che, come ricordava il motto sotto la testata, si occupava "de omnibus rebus et de quibusdam aliis"; contemporaneamente collaborava alle Ore solitarie, altra rivista nata nel 1835 per trattare argomenti più seri nei campi del sapere giuridico e filosofico. Lo sbocco a lui più congeniale lo trovava, però, nel Vesuvio, un settimanale "di amena letteratura, scienze, belle arti, moda e varietà" che, fondato nel 1834, fu rilanciato all'inizio del 1835 con l'arrivo del F. il quale vi portò una ventata di rinnovamento ed un programma di rottura che dichiarava "guerra ai pedanti, guerra alle nonne, guerra ai cattivi poeti" (Zazo, p. 109). Ma Napoli non era la città più adatta agli sperimentalismi, sicché il Vesuvio si trovò presto in difficoltà e dal 13 ag. 1835 si riciclò con un nuovo titolo (Il Globo aerostatico), due nuovi direttori-proprietari (il F. e L. Borsini) ed una linea di critica pungente verso ogni vanità intellettuale; negli stessi mesi il F. dava vita ad un altro periodico, Il Vespro, la cui pubblicazione, iniziata nel luglio, non andò oltre il settembre del 1835.
Collante di queste molteplici esperienze del F. era il desiderio di osservare la società del tempo sferzandone i vizi e le debolezze, le fatuità e gli arrivismi: un compito che il giovane F. svolgeva attraverso apologhi, bozzetti, novelle, poesie, che mettevano in scena taluni momenti e personaggi tipici della vita napoletana provocando spesso risentimenti e rancori. D'altra parte il ruolo di fustigatore sceltosi dal F. era indebolito dalla vita non del tutto irreprensibile che la prossimità stessa al mondo degli artisti lo aveva indotto a condurre. In realtà, a dispetto del suo forte spirito antiborghese, al F. non mancavano le ambizioni e le speranze di guadagno, e diverso era solo lo spirito con cui inseguiva tali obiettivi, con una spregiudicatezza, cioè, che trasformava la penna in un'arma e metteva la scrittura al servizio di questo o quell'interesse, cosa peraltro non rara per la stampa napoletana dell'epoca.
Presto stanco di questa situazione e sicuro di poter meglio affermare altrove il proprio talento, il F. decise d'improvviso di trasferirsi a Parigi. Il mito della Francia come paese d'avanguardia era stato alimentato in lui dalla conoscenza che aveva fatto di A. Dumas padre quando costui, all'inizio del 1836, aveva visitato Napoli. Malgrado Dumas l'avesse messo in guardia contro ogni facile illusione, il F. non esitò a partire e a sopportare il duro periodo d'ambientamento nella capitale francese dove i primi proventi li ricavò con le corrispondenze per il Globo aerostatico (dal numero del 26 maggio 1836 non figurava più come proprietario) e quindi collaborando alla Presse di E. Girardin. Fu accolto così nei circoli letterari parigini e conobbe di persona i maggiori scrittori del momento traendone grande gratificazione personale, fino a tentare di lì a poco il lancio di un proprio periodico, Il Bravo, fallito il quale entrò nella redazione di un altro giornale, Le Corsaire, dove la sua facile vena di prosatore impadronitosi presto della lingua francese poteva sbizzarrirsi nella novella come nella cronaca mondana. Qualche anno più tardi, infine, Dumas lo avrebbe reclutato come consulente per i romanzi di sfondo italiano e il F. sarebbe allora entrato in quella sua officina che, anche grazie all'ausilio di scrittori come lui, sfornava volumi a getto continuo.
Il F. avrebbe successivamente sfumato molto il senso e la portata effettiva della sua collaborazione col Dumas passando dall'omaggio denso di gratitudine resogli nella prefazione alla versione francese del foscoliano Ortis (A. Dumas, Jacques Ortis, Paris 1839), alla testimonianza discreta dell'articolo del 1863 sul Théátre complet d'Alexandre Dumas (ora in P.A. Fiorentino, Comédie et comédiens, II pp. 341-358), ove il rapporto tra il Dumas ed i suoi aiutanti era assimilato a quelle botteghe rinascimentali di pittura in cui il maestro si occupava del quadro e gli allievi si dedicavano, per apprendere più che per lasciarsi sfruttare, a qualche dettaglio marginale; tanto che i critici avrebbero circoscritto il contributo dato dal F. a qualche capitolo del Conte di Montecristo, attribuendogli soltanto la stesura integrale di un lavoro, Il Corricolo, una raccolta di impressioni di viaggio a Napoli che aveva visto la luce nel 1843. Pur così limitato, tale apprendistato si rivelò molto redditizio per il F. che avrebbe un giorno affermato: "ce qui m'étonnait c'est qu'il pút me rendre tant d'argent" (ibid., II, p. 350).
Oltre a ricavare una partecipazione agli utili, il F. acquistava in questo modo l'autonomia intellettuale di cui aveva bisogno per ritagliarsi un proprio spazio sia come narratore sia come critico teatrale e musicale: come narratore pubblicando, oltre a qualche dramma e a qualche racconto minore, la sua opera più fortunata, la Fisiologia dell'avvocato, edita nel 1842 a Napoli e a Torino, che era una rapida ed efficace raccolta di schizzi ed aneddoti che con sapido umorismo metteva alla berlina la figura professionale che per il F. aveva sempre rappresentato la quintessenza dell'arrivismo borghese; come critico scrivendo brillanti recensioni per quotidiani e periodici parigini.
Quello della critica musicale era il campo che meglio gli permetteva di tenersi in contatto con il paese d'origine perché spesso lo portava ad occuparsi dell'attività di compagnie e musicisti italiani, ma non di rado lo esponeva anche alle critiche dei connazionali: il mazziniano G. La Cecilia ricorderà di lui, ad esempio, che "squattrinava cantanti con le sue piraterie giornalistiche e corrispondeva misteriosamente con Del Carretto, ministro della polizia borbonica" (Memorie, p. 275): c'era, in queste parole, tutta la misura della distanza del F. dall'emigrazione democratica, mentre forse non è credibile l'insinuazione su un suo reclutamento da parte della polizia borbonica; politicamente, infatti, il F. risultava legato agli esuli moderati, personaggi come G. Massari e P.S. Leopardi che lavoravano per il partito piemontese confluendo sulle proposte giobertiane e rifuggendo da ogni ipotesi di rivoluzione. Anche professionalmente Torino rappresentava per il F. il più solido legame con la penisola da quando, nel 1840, aveva preso ad inviare (e l'avrebbe fatto fino al 1845) racconti e corrispondenze al Museo scientifico letterario, un periodico di cui era editore il torinese A. Fontana.
All'inizio del 1848 il F. tornò in Italia, richiamato dalle grosse novità politiche determinatesi con la concessione degli statuti. A Torino una lettera di V. Gioberti lo introduceva nei circoli liberali democratici di cui era portavoce il quotidiano La Concordia per il quale il F. scrisse alcuni articoli: uno in particolare, intitolato Fatti e non parole, attaccava l'antipiemontesismo di N. Tommaseo che se ne risentì molto fino a vedere nella prosa del F. un saggio di servilismo.
In effetti è forte il sospetto che il F. tendesse a trarre il massimo guadagno dal proprio lavoro, sospetto che diventerà certezza quando a fine '48 il Gioberti, posto alla testa del governo piemontese, lo invierà a Parigi "avec la mission de tácher de rendre la presse française moins hostile et plus juste" verso il Piemonte (lett. di Gioberti a F. Arese del 27dic. 1848, in Epistolmio, VIII, p. 136), dolendosi poco più avanti di "rion potere per ora più largamente retribuire la di lui opera stante la massima scarsezza del numerario nelle finanze del Regno" (a G. Ruffini, 14febbr. 1849, ibid., IX, pp. 163 s.). Nel frattempo il F. aveva cercato di calarsi ancor più nelle cose italiane: lo aveva interessato in particolare la figura di Pio IX, cui si era rivolto direttamente con una lettera aperta datata 15apr. 1848che lo sollecitava a guidare il moto della rigenerazione nazionale; due settimane più tardi aveva diffuso un suo Comento all'allocuzione del 29aprile nel quale, reputando di leggere nell'ultimo documento pontificio solo "la separazione intera del potere spirituale dal temporale e il rifiuto espresso dal sommo Pontefice d'essere capo d'una repubblica italiana", aveva affermato di ritenere ancora possibile un recupero del Papato alla causa dell'indipendenza; in subordine gli pareva che l'Italia potesse quanto meno "riunirsi in un sol regno costituzionale, fondato su larghissime basi": l'affermazione di poco successiva che quel regno non poteva che essere il Piemonte gli avrebbe tirato addosso le accuse dei democratici sul Corriere livornese, accuse alle qua i F. si sarebbe difeso con una lettera sdegnata (a G.B. Laffond, 3nov. 1848, in Museo centr. del Risorgimento di Roma, busta 714/29) che chiamava a testimoni della sua lealtà uomini come P. Sterbini, T. Mamiani e M. D'Ayala. Tuttavia nel liberale G. Gabussi non si sarebbe più cancellata l'impressione di una sua ambiguità attribuita ai suoi legami con il governo di Parigi, cosa che lo stesso F. sembrava confermare con una lettera, ripresa sul quotidiano bolognese La Dieta italiana del 6 giugno 1848, in cui aveva presentato la Francia come la "naturale alleata" dell'Italia contro Austria, Inghilterra e Russia coalizzate.
Tramontate le speranze del '48, il F. tornò all'attività giornalistica, richiestissimo dalle testate parigine come il Constitutionnel e il Moniteur che apprezzavano la sua verve vedendovi un'ottima sintesi di spirito francese e di arguzia meridionale. Spesso in lui stile professionale e modalità di vita si coniugavano in un'esistenza non priva di emozioni (in un duello il F. uccise un giornalista francese) connesse al suo carattere irrequieto. In profondo contrasto con questa sua realtà quotidiana stava il frutto Più maturo della sua operosità di letterato, una versione in prosa francese della Divina Commedia che, compiuta già nel 1849 sotto l'impulso di un entusiasmo tutto romantico per i contenuti spirituali del poema, ebbe moltissime edizioni, alcune illustrate dai disegni di G. Doré, l'ultima pubblicata da Hachette nel 1906.
Non sembra che il F. avesse parte alcuna negli eventi che portarono all'unificazione dell'Italia ed alla liberazione del Mezzogiorno. In quegli stessi anni la sua fortuna di critico era al culmine e i suoi guadagni si erano così rimpinguati da consentirgli più tardi di preparare un testamento in cui si parlava di un patrimonio di "600.000 franchi non compreso il mobiliare" (Brangi, p. LX) e si disponeva che un terzo di tale cifra andasse all'attrice che gli era stata compagna per molti anni.
Il documento recava la data del 14 apr. 1864: poco più di un mese dopo, il 31 maggio 1864, il F. morì d'improvviso a Parigi.
Il De Sanctis lo ricordava in un necrologio per un giornale napoletano come un giovane un po' scapestrato, "un appendicista nato... applaudito, ben pagato e ben pasciuto" dalla cui penna era uscito "un fiume di spirito, concetti, epigrammi, motti, ironia, sarcasmo, buffoneria, caricatura" (Un viaggio elettorale, p. 492).
A pochi anni dalla morte l'editore M. Lévy di Parigi raccolse e pubblicò gli articoli più significativi scritti dal F. per il Constitutionnel, la France e il Moniteur universel tra il 1849 e il 1863 nei due volumi di Comédie et comédiens, Paris 1866, e in Les Grands Guignols, 2voll., Paris, 1870-72.
Fonti e Bibl.: Due le biografie dei F. che, per quanto esteriori, offrono molte notizie sulle sue vicende umane e professionali: quella scritta da E. Brangi come introduzione a P.A. Fiorentino, Fisiologia dell'avvocato, Napoli 1925, e M. Tempestini, P.A. F. o un italiano in Francia, San Severino Marche 1949, da integrare con le indicazioni riportate in nota ad A. D'Ancona, Carteggio di M. Amati, I, Torino 1896, pp. 446 s., e a F. De Sanctis, La letterat. ital. nel sec. XIX, a cura di N. Cortese, II, Napoli 1932, ad Indicem. Sempre del De Sanctis si vedano La scuola liberale e la scuola democratica, a cura di F. Catalano, Bari 1954, ad Indicem; Un viaggio elettorale, a cura di N. Cortese, Torino 1968, pp. 491 s., e La giovinezza, a cura di N. Savarese, Torino 1972, p. 139. La presenza del F. nel giornalismo napoletano è bene illustrata da A. Zazo, Il giornalismo in Napoli nella prima metà del sec. XIX, Napoli 1985, ad Indicem, mentre per il rapporto col Dumas sono importanti le annotazioni di B. Croce, Uomini e cose della vecchia Italia, s. 2, Bari 1927, pp. 360 ss., e Id., Aneddoti di varia letteratura, Bari 1954, pp. 23 ss., e l'introduzione di G. Doria a A. Dumas, Il conicolo, Napoli 1950; quanto alla traduzione della Commedia, un giudizio coevo molto positivo si legge nella rassegna letteraria della Revue des deux mondes, 1°nov. 1840, pp. 456 s.; inoltre si veda Enciclopedia dantesca, II, p. 902. Per la parte del F. nelle vicende del 1848italiano le fonti più consistenti sono rappresentate da G. Gabussi, Memorie per servire alla storia della rivoluz. degli Stati romani..., II, Genova 1851, pp. 355 s.; N. Tommaseo - G. Capponi, Carteggio ined. 1833-1874, a cura di I. Dei Lungo - P. Prunas, II, Bologna 1914, pp. 644 s.; V. Gioberti, Epistolario, a cura di G. Gentile - G. Balsamo Crivelli, VIIIX, Firenze 1934-36, ad Indicem; G. La Cecilia, Memorie stor. polit., a cura di R. Moscati, Roma 1946, ad Indicem.