MANZOLI (Manzolli), Pier Angelo (Marcello Palingenio Stellato)
Si ignorano il luogo e la data di nascita, avvenuta presumibilmente tra la fine del XV e l'inizio del XVI secolo; più noto come Marcello Palingenio Stellato, forma del nome che compare sul frontespizio della prima edizione del poema filosofico Zodiacus vitae.
Scarsissime sono le notizie biografiche certe sulla enigmatica figura del Manzoli. Fu per primo I. Facciolati, nel 1725, a sostenere, in alcune lettere scambiate con J.A. Fabricius, che sotto l'appellativo "Marcello Palingenio" si celasse, "per via di anagramma" e con un lieve adattamento, la reale identità di un Pier Angelo Manzolli, nativo di Stellata, borgo nei pressi di Bondeno (Ferrara). Una tale origine - non attestata però in alcuno dei repertori dedicati agli scrittori fioriti nel Ferrarese - era stata proposta anche in precedenza sulla base dell'equivalenza di significato tra l'appellativo "Palingenius" e quello di "Renatus", inteso quale omaggio cortigiano a Renata di Francia, consorte di Ercole II d'Este, come aveva osservato il luterano Abraham Scultetus menzionando la presenza del M. alla corte di Ferrara insieme con Marcantonio Flaminio e altri "Evangelii amici" (Annalium Evangelii… decas secunda, Heidelbergae 1620, pp. 148, 248). Dunque cadrebbe nello pseudonimo il richiamo alla palingenesi, come concezione legata all'influenza di teorie ficiniane, ermetiche o simbologie alchemiche.
Recenti ricerche hanno portato in tutt'altra direzione. Sulla base di quanto indicato nella licenza concessa a Venezia, l'8 febbr. 1535, dal Consiglio dei dieci per la stampa dello Zodiacus vitae a "Marcellus Stellato Neapolitanus", Bacchelli (1985, p. 280) ha ritenuto che il M. sia nato in Campania e che il suo vero cognome sia Marcello Stellato (o Stellati), nome di famiglia attestato in area campana, negando quindi l'esistenza di un Pier Angelo Manzoli. L'appellativo "Palingenio" perderebbe così il significato sopra esposto e sarebbe nome accademico non meglio acclarato.
Manca qualsiasi notizia sugli anni della formazione e il possibile indirizzo degli studi del Manzoli. La tesi che lo voleva medico attende ancora quelle "sicure prove" di cui lamentava l'assenza già Tiraboschi (p. 258), né vi è conferma di una sua formazione conventuale sostenuta da chi fa notare come lo Zodiacus vitae riveli un uso della lingua latina e una padronanza della tradizionale dialettica scolastica tipici dell'insegnamento monastico. Alcuni dati biografici sono però rintracciabili nello stesso Zodiacus vitae, poema in esametri in dodici libri, ognuno dei quali intitolato a una costellazione. Concreti riferimenti alla Roma del tempo inducono a ritenere che il M. vi abbia soggiornato durante il pontificato di Leone X (l. XI, Aquarius, vv. 846-851). La permanenza romana trova ulteriore conferma non solo in un preciso ricordo dell'eremo di S. Silvestro, fondato dal camaldolese Paolo Giustiniani sul monte Soratte (l. X, Capricornus, vv. 454, 507-509), ma anche nella presenza di alcuni distici del M. a corredo del Libellus aureus de lapide a vesica per incisionem extrahendo del medico pugliese Mariano Santo, stampato a Roma per M. Silber nel 1522. La vicinanza del M. ad ambienti accademici romani è inoltre testimoniata da un'altra sua composizione poetica rintracciata nell'edizione del Parthenias liber in divae Mariae historiam dell'accademico pomponiano Marco Probo Mariano, pubblicata postuma a cura di personaggi direttamente legati al Mariano o al circolo di cui aveva fatto parte (Napoli, A. Frezza, 1524). Non ha trovato ancora conferma l'ipotesi avanzata dal Bacchelli che il M. sia stato allievo dello stesso Mariano, elemento che porterebbe a retrodatarne la nascita agli anni Settanta-Ottanta del Quattrocento.
Alcuni versi dello Zodiacus vitae accennano al rapporto stretto, durante il soggiorno romano, con alcuni familiari del cardinale Franciotto Orsini di Monterotondo, cugino di Leone X Medici, al quale era affidata la cura della Chiesa di Rimini (l. X, Capricornus, vv. 795-851), e proprio in Romagna potrebbe essersi trasferito il M. già intorno al 1530, data dell'incontro a Bologna tra Clemente VII e l'imperatore Carlo V, avvenimento ricordato nel poema (l. IX, Sagittarius, vv. 1010-1012). Sempre nel libro IX il M. menziona sia Rimini e il limitrofo monastero di S. Maria di Scolca degli Olivetani (vv. 996-1000) sia Verrucchio (vv. 1016-1017), borgo situato nella contea di Zenobio de' Medici, legato da parentela al ricordato cardinale Orsini. Nel giugno 1533, Lionello Pio da Carpi, che di Zenobio aveva sposato la vedova diventando così il nuovo signore di Verrucchio, indirizzò una lettera al locale Consiglio, lamentandone la decisione di non aver assunto "quel maestro Marcello" come "maestro di schola" (Bacchelli, 1985, p. 289).
Nel febbraio 1535 il M. era a Venezia per richiedere la licenza di stampa per lo Zodiacus vitae, poi accordatagli dal Consiglio dei dieci su certificazione di Giovita Rapicio, e nel maggio dello stesso anno fu nominato dal Consiglio municipale di Forlì magistrum humanarum litterarum (Arch. di Stato di Forlì, Atti del Consiglio segreto, XI, c. 81r). Tra i compiti legati all'insegnamento rientrava l'obbligo di tenere la domenica una lezione pubblica sulle orazioni di Cicerone, nonché di pronunciare una solenne orazione in occasione del rinnovo delle cariche cittadine, come effettivamente accadde il 31 luglio 1535 (ibid., c. 134r). L'ultima cedola di pagamento per la condotta è datata 26 ott. 1537; dopo questa data, del M. si perdono le tracce.
Non si conosce la data della morte, avvenuta sicuramente prima del 1551, anno della pubblicazione a Firenze dei Dialogi duo de poetis suorum temporum di L.G. Giraldi, che riporta la notizia della riesumazione del corpo, i cui resti furono poi bruciati "ob impietatis crimen" (p. 95).
Un codice vaticano, che comprende documenti della congregazione dell'Indice degli anni 1571-90, informa che il disseppellimento del M., "nihil credens neque divinitatem Christi", avvenne a Cesena, senza però indicarne la data (Biblioteca apost. Vaticana, Vat. lat., 6207, c. 232v), mentre nel novembre 1558 il gesuita bolognese Francesco Palmio informò il generale G. Lainez che "il suo cadavere fu dishumato et publicamente bruggiato" a causa del ritrovamento di "certi libri heretici che lui havea composto" (Bacchelli, 1990, p. 360). Alcuni studiosi, come il Borgiani, hanno invece individuato la causa della esecuzione postuma in quella eccessiva attenzione ai fenomeni magici che aveva indotto M. Del Rio a farne un adepto della magia demoniaca (Disquisitiones magicae, Coloniae Agrippinae 1633, p. 97).
Se il M. appare "uomo ancora oscuro e di poche relazioni sociali" (Croce), notevole fu invece la fortuna dello Zodiacus vitae, l'opera a cui lo stesso filosofo, conscio della sua scarsa fama, affidò il compito di diffondere il proprio nome (l. IV, Cancer, vv. 52-55; l. XII, Pisces, v. 584). La prima edizione - priva dell'anno di stampa, ma databile con ogni probabilità al 1536 - apparve a Venezia presso l'officina di B. Vitali con il titolo di Zodiacus vitae pulcherrimum opus atque utilissimum. Riferimenti interni al poema stesso portano a datarne la redazione tra il 1520 e il 1536, ampio arco temporale che giustificherebbe l'affermazione del M. circa il "longum opus et longo studio longoque labore confectum" (l. XII, Pisces, v. 550). La stesura potrebbe quindi essere iniziata a Roma, negli ultimi anni del pontificato di Leone X, per poi proseguire nel tempo - chiare sono le allusioni a Clemente VII (l. X, Capricornus, vv. 821-828) e al sacco di Roma del 1527 (l. VIII, Scorpio, v. 1106) -, fino alla primavera del 1536, con la menzione dell'entrata dell'esercito francese in Piemonte e dei preparativi del duca di Ferrara Ercole II d'Este alla guerra (l. I, Aries, vv. 37-38).
Lo Zodiacus vitae è indirizzato fin dal frontespizio al duca, a cui si rivolge anche l'epistola dedicatoria, dalla cui lettura risulta evidente la sostanziale estraneità alla corte ferrarese del M., spinto - come scrive in queste carte preliminari - a scegliere tale dedicatario non da una familiarità con gli Estensi, ma dal suggerimento di A. Brasavola (Musa), archiatra di Ercole II. Non sono, però, note le circostanze in cui Brasavola conobbe il M., con il quale non intrattenne alcuna corrispondenza e che dello "Stellatus poeta" si limita a citare alcuni versi nell'opera Examen omnium catapotiorum vel pilularum (Basilea 1543, pp. 5 s.). L'edizione veneziana dello Zodiacus vitae comprende, poi, un indirizzo in versi del non identificabile Thomas Scauranus - probabilmente "un buon amico" del M. (Borgiani, p. 98) -, che illustra le finalità del poema, e uno Scazon in metro giambico, in cui si sottolinea come l'autore voglia fornire precetti utili alla condotta umana, senza ricorrere a quelle favole poetiche o a quelle invenzioni mostruose e voluttuose di cui si avvale la turba dei pedagoghi, tema ripreso anche in conclusione dell'opera (l. XII, Pisces, vv. 571-576). Il titolo e la cornice astrologica della esposizione sono un indubbio riflesso del radicamento dell'astrologia nella cultura rinascimentale, ma se le stelle appaiono scandire la struttura del poema e il ritmo della vita umana, l'astrologia è per il Palingenio - come già per il Pontano - "soprattutto poesia, e il cielo popolato di spiriti e di divinità diventa una zona archetipa di superiore bellezza" (Garin, 1976, p. 119). La finalità è, infatti, squisitamente filosofica: lo Zodiacus vitae vuole tracciare l'itinerario, intellettuale e morale, che conduce l'uomo dalla oscurità terrena al cielo etereo e infine a Dio.
Il libro I (Aries) introduce all'intero poema, che si propone di svelare, per giungere all'autentico sommo bene, la vanità e illusorietà dei beni materiali: la ricchezza (l. II, Taurus), il piacere (l. III, Gemini), la nobiltà (l. IV, Cancer), la gloria (l. V, Leo). Il libro VI (Virgo) è dedicato alla morte, da intendere come un bene che libera l'uomo dalle sofferenze del suo breve passaggio terreno. Se il lamento sulla vanità delle cose mondane e sulla fragilità della vita umana percorre l'intero Zodiacus vitae, è in questo libro che il tema acquista maggiore profondità, in una visione del mondo terreno come regno del male, tanto da arrivare alla giustificazione del suicidio quale risposta alla radicale assurdità dell'esistenza (ibid., vv. 964-966) e ai suoi "tristia causa et tristia fata" (ibid., v. 774). Nel libro VII (Libra) il M. espone la concezione dell'anima, di cui sostiene, contro le teorie atomistiche, l'immortalità. Il libro VIII (Scorpio) affronta la questione - di importanza centrale - del fato, della libertà e della predestinazione, con accenni che fanno presumere la conoscenza del De fato, de libero arbitrio et de praedestinatione di P. Pomponazzi, dato alle stampe nel 1557, ma di cui è nota l'ampia circolazione manoscritta (ibid., vv. 169-220). Il libro IX (Sagittarius) illustra la Luna quale confine tra mondo terreno corruttibile e regno celeste incorruttibile, sede del tribunale delle anime, mentre dei vizi da fuggire e delle virtù da coltivare in vista di tale giudizio tratta, più approfonditamente, il libro successivo (Capricornus). Il libro XI (Aquarius) è il più prettamente astrologico dell'intero poema, e nell'illustrare i pianeti e le costellazioni il M. ipotizza che il cielo e gli astri siano abitati. La cosmologia manzoliana si sviluppa in modo compiuto nel XII e ultimo libro (Pisces), in cui si ascende all'ultima sfera dell'universo, regione della luce immateriale di estensione infinita prodotta da Dio stesso, e regno - secondo l'insegnamento platonico - delle forme archetipe delle cose, immateriali, perfette e pure.
Se lo Zodiacus vitae, pur non scevro di elementi aristotelici, esprime una visione essenzialmente platonizzante della vita di chiara ispirazione ficiniana, e in cui non mancano espliciti riferimenti al Corpus Hermeticum, molteplici sono i motivi che il M. trae da altre tradizioni filosofiche. Evidenti e diffusi nell'intero poema sono i temi della morale e della fisica epicureo-lucreziana, dalla quale riprende il determinismo e la netta opposizione tra la perfezione dei cieli eterei e il travaglio del mondo sublunare, nonché l'idea che Dio abbia creato il mondo non per l'uomo, ma a celebrazione della propria gloria. Altrettanto numerosi sono i richiami alle opere erasmiane, e in primo luogo all'Encomium moriae. Rimandano a Erasmo l'elogio della pace e - in particolare nel libro VI - la rappresentazione della vita umana che, nel suo vano e cieco perseguire falsi beni e illusorie virtù, si rivela una commedia dominata dalla stultitia. Tagliente - e di tono tipicamente erasmiano - è infine la satira contro i grammatici, i ricchi, i potenti, i monaci e l'intera gerarchia ecclesiastica, di cui il M. critica l'ignoranza, l'ipocrisia e la dissolutezza, arrivando a colpire lo stesso Clemente VII, colpevole di aver tradito l'autentico insegnamento di Cristo (l. X, Capricornus, v. 822).
Già nel 1537 si ebbe a Basilea una seconda impressione dello Zodiacus vitae, per i tipi di R. Winter. L'edizione, che ripropone l'originaria dedica a Ercole II, è la prima a essere corredata di un copioso indice che facilita la lettura di un'opera di cui si è colta la densità e la complessità, e che sarà presente, in forma accresciuta, nelle numerose stampe successive. Vasta fu, infatti, la fortuna editoriale del poema, da allora noto sotto il titolo di Zodiacus vitae, hoc est, de hominis vita, studio, ac moribus optime instituendis libri duodecim. Una terza edizione apparve - sempre presso Winter - nel 1543. Nelle carte preliminari il curatore Johann Herold loda del M. non solo l'eleganza stilistica, la squisita erudizione e i limpidi costumi, ma anche le incomparabili conoscenze nell'arte medica, osservazione che può aver contribuito a diffondere l'opinione che il M. fosse un medico. Riproposta più volte a Basilea e a Francoforte, con l'aggiunta di un elogio poetico di H. Pantaleon e di una breve rassegna di giudizi sull'opera, nel 1558 ne fu data alle stampe a Cracovia una parafrasi in lingua polacca curata da Nico¢ai Rej, a cui doveva seguire nel 1564 la versione tedesca di Johann Spreng, impressa a Francoforte da S. Feyerabendt. Nella sua prefazione Spreng, già traduttore delle Metamorfosi di Ovidio, definisce lo Zodiacus vitae un tesoro di sapienza, in cui trovano forma poetica episodi e azioni reali, avvertendo, con una certa prudenza, che il frequente richiamo a divinità pagane non cela che la lode dell'unico Dio. Anche in Francia lo Zodiacus vitae ebbe grande fortuna, attestata sia dalla precoce citazione che ne fece il poeta Nicolas Bourbon (Nugarum libri octo, Lugduni 1538) sia dalla edizione che ne apparve anche questa a Lione, nel 1552 presso J. de Tournes, poi più volte ristampata. Nel 1579 ampi estratti in francese furono inseriti all'interno delle Oeuvres di Scévole de Sainte-Marthe, contribuendo alla successiva fortuna dell'opera in ambiente libertino, tanto che Bayle (p. 577) osserva come proprio il M. fosse l'autore d'elezione di G. Naudé.
Particolare diffusione ebbe, infine, lo Zodiacus vitae nell'Inghilterra elisabettiana. Il poeta Barnabe Googe ne curò nel 1560 una versione dei primi tre libri, alla quale fece seguito nel 1565, sempre a opera di Googe, la traduzione completa. Già noto nella lingua originaria, il testo ebbe vasta accoglienza nel circolo di Th. Digges, che in diverse opere lo cita con ammirazione.
È con ogni probabilità durante il soggiorno londinese degli anni 1583-85 che Giordano Bruno ebbe modo di conoscere lo Zodiacus vitae, di cui nel 1591 citerà letteralmente o parafraserà alcuni versi nel libro VIII del De immenso. Della cosmologia palingeniana Bruno apprezza in particolare la critica alla creazione finita, di per sé incompatibile con l'infinita potenza divina, che si esprime - come si legge nel libro XII dello Zodiacus vitae - nella creazione di luce intelligibile, pura, immensa e incorporea. Malgrado tale intuizione, Bruno ritiene che il P. non riesca del tutto a destarsi da ciò che definisce il mero sogno o la finzione di un universo finito e limitato, restando così sostanzialmente fedele alla concezione aristotelica, che pone una netta distinzione tra la regione sublunare e quella sopralunare, negando la possibilità di un corpo infinito (Bruno, Opere latine, I, 2, pp. 314 ss.).
Sono oltre sessanta le edizioni note dello Zodiacus vitae apparse tra il XVI e il XVIII secolo, e tutte impresse - con la sola eccezione della prima stampa veneziana, oggi di grande rarità - fuori dei confini dell'Italia, prevalentemente in area protestante. Il silenzio tipografico italiano si spiega con l'inserimento dell'opera, a partire dal 1557, nell'Index librorum prohibitorum, condanna poi ribadita, fino al 1900, nei successivi indici romani, e presente anche nelle liste censorie pubblicate dalla Università di Lovanio (1558) e dalle Inquisizioni portoghese (1581) e spagnola (1583). Il titolo dello Zodiacus vitae compare per la prima volta, senza indicazione del nome dell'autore, nel mai promulgato Index librorum prohibitorum del 1557, mentre nel 1559 - nel primo indice romano effettivamente diffuso - è il nome di "Marcellus Palingenius Stellatus" a essere inserito tra gli autori della prima classe. Nel 1562, in fase di redazione dell'Indice tridentino del 1564, si decise di procedere al riesame di diverse opere già condannate in vista di una loro possibile espurgazione. Tra esse figura anche lo Zodiacus vitae, la cui lettura fu affidata a Francisco Foreiro, segretario della commissione conciliare per l'Indice (Città del Vaticano, Arch. della Congregazione per la Dottrina della Fede, Index, Protocolli A, c. 127r). Il voto di Foreiro, non più conservato, fu però negativo, e il nome del Palingenio venne inserito tra gli auctores primae classis anche nell'Indice del 1564. Sulle ragioni della proibizione, interessanti notizie sono fornite da Giulio Maria Bianchi, segretario della congregazione dell'Indice tra il 1684 e il 1707, che annotò che il M. fu "poeta Lutheranus" e lo Zodiacus vitae opera deprecabile per le opinioni espresse in materia di teologia morale (Ibid., Index, XI, Index libr. prohib., I, p. 67). Lo stesso M. è del resto consapevole che il suo poema poteva essere sgradito alla Chiesa e nella dedicatoria a Ercole II si preoccupa di dare assicurazione della propria ortodossia, sottolineando come eventuali opinioni false ed erronee rinvenibili nello Zodiacus vitae siano da imputare a quei filosofi - in particolare platonici - delle cui teorie è mero espositore. Non poteva però sfuggire ai censori romani come la profonda religiosità che pervade l'opera fosse del tutto estranea alla dottrina cattolica. Malgrado il M. abbia cercato di mantenersi distante da Lutero (l. X, Capricornus, vv. 821-828), lo Zodiacus vitae finì per essere considerato opera di un luterano, subendo la stessa damnatio memoriae che aveva colpito le spoglie mortali del suo autore.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Forlì, Atti del Consiglio segreto, XI, cc. 81r, 119-120, 134r; Arch. di Stato di Venezia, Notatorio 10° del Consiglio dei dieci, 1533-34 (m.v.), c. 179r; Città del Vaticano, Arch. della Congr. per la Dottrina della Fede, Index, Protocolli B, c. 197v; Biblioteca apost. Vaticana, Barb. lat., 1558: R. Lucarini, Notationes ad Indicem, et post Indicem authorum, et librorum prohibitorum, pp. 1284, 1286; 6207: Instructiones nonnullae circa libros nominatim prohibitos in S. Indice, c. 232v; Modena, Biblioteca Estense e universitaria, Sorbelli, 248: Verbali del segr. F. Foreiro, c. 3v; G. Postel, De rationibus Spiritus Sancti libri duo, Parisiis 1543, cc. 10r-11r; G.C. Scaligero, Poetices libri septem, [Lugduni] 1561, p. 306; I. Gaddi, De scriptoribus non ecclesiasticis Graecis, Latinis, Italicis…, Florentiae 1648, pp. 172 s.; P. Bayle, Dictionnaire historique et critique, III, Rotterdam 1697, pp. 577 s.; Ch.A. 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