Pier Damiani (lat. Petrus Damiani)
(lat. Petrus Damiani) Monaco, cardinale (Ravenna 1007- Faenza 1072), dottore della Chiesa e santo. Compì studi in arti liberali a Ravenna, a Parma e a Faenza; nel 1035 si ritirò nell’eremo di Fonte Avellana di cui divenne priore nel 1043. Fautore, nonostante la crisi sempre più convulsa dei rapporti tra i due poteri, di una collaborazione stretta tra papato e impero, sospettoso verso le nuove forme cenobitiche vallombrosane, sostanzialmente diffidente di fronte alle proteste di correnti religiose popolari, P. D. alternò gli ultimi anni della sua vita tra il ritiro eremitico e le missioni compiute a favore della Chiesa. Morì di ritorno da una missione a Ravenna. Nella nutrita produzione teologica, canonistica, monastica di P. D. (opuscoli, lettere, sermoni – anche se, questi ultimi, non più tutti attribuibili a lui, in quanto almeno 19 sono opera di Nicola di Clairvaux) si possono distinguere due centri di interesse: uno propriamente eremitico-monastico; un altro più generale teologico-ecclesiastico. Convinto della superiorità dello stato di vita monastico e all’interno di esso di quello eremitico, P. D. propone un modello di vita ascetico-eremitica sostanzialmente nuovo nelle sue strutture per l’Occidente, pur con l’esperienza di una ricchissima tradizione orientale e occidentale. La vita eremitica, cui P. D. ritiene possa accedersi senza il tramite di una permanenza obbligata nel cenobio, è continuo affinamento della propria spiritualità che trova un parametro per la sua ascesa in una regolamentazione dell’eremitismo, unica nella storia monastica occidentale. Tale regolamentazione non deve essere, nelle intenzioni di P. D., incentivo alla «immobilitas» spirituale in cui erano cadute molte delle esperienze cenobitiche a lui contemporanee, ma stimolo a un progresso ascetico ulteriore: di qui il carattere elastico delle regole eremitiche da lui proposte e la testimonianza di durissime prove di ascesi nell’ambito dell’eremitismo di Fonte Avellana e dei monasteri ed eremi collegati con esso (non però propriamente congregazione monastica, al momento in cui visse P. D.). Nell’ambito teologico-ecclesiastico, P. D. si mostra sensibilissimo alla problematica sacramentaria dibattuta ai suoi tempi: così, nel Liber gratissimus si manifesta decisamente ostile alla cassazione delle ordinazioni simoniache e all’iterazione dell’ordinazione stessa; così come si dichiara convinto della validità dei sacramenti impartiti dai sacerdoti indegni. Rigidissimo nei confronti della corruzione dei costumi del clero, di cui ha lasciato una testimonianza impressionante nel Liber Gomorrhianus, P. D. è però sostanzialmente incline al recupero del clero tralignante, anziché alla sua condanna definitiva, distinguendosi in ciò dall’altro grande della riforma ecclesiastica, Umberto di Silvacandida. Altre opere teologiche in senso stretto sono il De fide catholica, l’Antilogus contro Iudaeos, il De bono suffragiorum, il De divina omnipotentia (trad. it. De divina omnipotentia e altri opuscoli), ecc. Dante colloca P. D. nel cielo di Saturno tra gli spiriti contemplativi (Paradiso, XXI, 43 segg.), nell’atto di scagliare una violenta rampogna contro il lusso smodato del clero.