CESI, Pier Donato
Nacque a Roma intorno al 1585 da Federico, signore di Oliveto, e da Pulcheria di Giordano Orsini. L'appartenenza a una famiglia nobile (il suo era il ramo di Pier Donato) che aveva già dato alla Chiesa, nel secolo XVI, un cardinale omonimo del C., dovette spingerlo sen'altro, ad abbracciare la carriera ecclesiastica, che percorse con notevole successo. Terminati gli studi giuridici, negli anni 1613-1615 lo troviamo referendario utriusque Signaturae nonché, nel 1615, protonotario apostolico partecipante. Provvisto dei pingui benefici di tre abbazie nelle diocesi di Crema, Cremona e Perugia, il C. fu nominato da Urbano VIII chierico della Camera apostolica prima dell'8 maggio 1625, quando scrisse in questa veste a Federico Borromeo una lettera conservata nella Biblioteca Ambrosiana. Ancora a Urbano VIII il C. dovette la prefettura del porto di Civitavecchia e soprattutto la carica di tesoriere generale conferitagli all'inizio del 1634 in sostituzione del genovese Stefano Durazzo che era stato da poco elevato al cardinalato.
L'ufficio ricoperto dal C. rivestiva particolare importanza in un periodo in cui l'erario pontificio era messo a dura prova dalla politica di grandezza perseguita da papa Barberini. Alle necessità finanziarie della S. Sede il C. venne incontro mediante l'emanazione di severissime norme per la raccolta degli spogli degli ecclesiastici e l'adozione di più accurati sistemi di controllo sull'attività dei Monti. È significativa in proposito la reazione di Fulvio Testi, rappresentante a Roma di Francesco I d'Este, che, lamentandosi in una lettera del 4 febbr. 1634 di non poter concludere un affare ben avviato per conto del suo signore, gli spiega che le difficoltà sono dovute alla recente nomina del C., "uomorozzo, di natura aspra e da dar poca o nissuna soddisfazione nella carica". Il 6 marzo seguente il Testi ribadisce il suo parere sul C. scrivendo al duca che "quest'uomo è terribile di natura, austero, di poca creanza e minor discrezione, onde si può temere ogni cosa di male" (Lettere, nn. 582, 630).Il C. rimase tesoriere fino al 1641, quando, il 16 dicembre, Urbano VIII lo elevò alla porpora assegnandogli il 10 febbr. 1642, il titolo presbiterale di S. Marcello. Ascritto a numerose congregazioni, legato a latere a Perugia durante la guerra di Castro, camerlengo del Sacro Collegio nel 1651, il C. non sembra tuttavia aver più goduto, da cardinale, del potere e dell'influenza esercitati come tesoriere. Nel conclave che portò all'elezione del papa Innocenzo X (1644) egli si schierò col partito spagnolo contro la candidatura Sacchetti. Presente con soli altri quattro cardinali al Te Deum celebrato il 26 apr. 1648 nella chiesa romana di S. Giacomo per festeggiare la presa di Napoli da parte delle truppe spagnole, il C. non nascose mai le sue simpatie per Filippo IV, che lo ricompensò con un canonicato della metropolitana di Toledo.
Il ruolo preminente ricoperto dal C. in seno al partito filospagnolo della corte pontificia è sottolineato dal feroce giudizio espresso su di lui dall'ambastiatore francese Henri d'Estampes de Valençay nelle istruzioni al successore (1653): "cattivo ... dico loro quos neminem amantes amat nemo si fece spagnuolo perché non haueua modo più facile di esser ingrato alla Casa Barberina; ... guai a quelli ... che gli danno fede". L'eco suscitata nel mondo diplomatico romano dalle osservazioni del Valençay fu talmente vasta da costringere il C. a difendersi con una lettera al ministro di Filippo IV Luís de Haro in cui si scagionava dall'accusa d'ingratitudine verso i Barberini e ribadiva la sua assoluta e disinteressata fedeltà alla Corona spagnola.
Nel conclave di Alessandro VII non si distinse particolarmente. Morì il 30 genn. 1656 a Roma, nella sua casa presso la chiesa di S. Marcello, e fu sepolto in S. Prassede, dove suo padre aveva fatto costruire nel 1595 la cappella di famiglia.
Fonti e Bibl.: La lettera al de Haro è conservata in numerosi manoscritti. Le citaz. sono tratte dal codice Vat.lat. 8354, che contiene ai ff. 241r-264r le istruz. del Valençay e ai ff. 265r-277r la replica del Cesi. Su di lui vedi inoltre: F. Testi Lettere, a cura di M. L. Doglio, II, Bari 1967, nn. 582, 630, 685, 738, 834, 884, 911, 919, 954; A. Oldoini, Athenaeum Romanum Perusiae 1676, pp. 546 s.; A. Chacón-A. Oldoini, Vitae,et res gestae Pontificum Romanorumet S. R. E. Cardinalium ..., Romae 1677, coll. 606 s.; G. V. Marchesi Buonaccorsi, Antichitàed eccellenza del protonotariato apost. partecipante, Faenza 1751, pp. 428 s.; F. A. Vitale, Mem. istor. de' tesorieri generali pontificj, Napoli 1782, p. LII; L. Cardella, Mem. stor. de' cardinalidella S. Romana Chiesa, VII, Roma 1793, pp. 8 s.; V. Forcella, Iscrizioni delle chiese e d'altri edificii di Roma ..., XII, Roma 1878, p. 377 n. 472; T. Ameyden, La storia delle famiglie romane, I, Roma s. d., pp. 305 s.;E. Martinori, Annali della Zecca di Roma(Sede vacante 1621,Gregorio XV 1621-1623,Sede vacante 1623,Urbano VIII 1623-1644), Roma 1919, pp. 63, 92; B. Katterbach, Referendarii utriusque Signaturae, Città del Vaticano 1931, p. 242; E. Martinori, Geneal. e cronistoria di una grande famiglia umbro-romana, Roma 1931, pp. 37, 39 s.; Bibl. Ambr., Milano, Card. Federico Borromeo arciv. di Milano. Indice delle lett. a lui dirette conserv. all'Ambrosiana, Milano 1960, p. 118; L. von Pastor, St. dei papi, XIII, Roma 1961, pp. 756, 879 n. 10; XIV, 1, ibid. 1961, pp. 14, 17, 66 n. 7, 311, 315; G. Moroni, Diz. di erudiz. stor.-eccles., ad Indices; P.Gauchat, Hierarchia catholica ..., IV, Monasterii 1935, pp. 24, 59; P. Litta, Le fam. celebri ital., s. v. Cesi di Roma, tav. I.