GUARNERIO, Pier Enea
Nacque a Milano il 1° luglio 1854. Conseguita la laurea in lettere, scelse l'insegnamento e fu destinato alle scuole medie della Sardegna, dove restò per cinque anni. Questa non breve esperienza di vita e di lavoro fu determinante per il sorgere e il consolidarsi dei suoi interessi scientifici, imponendolo, nel volgere di alcuni anni e almeno fino alla pubblicazione delle opere di M.L. Wagner, come uno del massimi esperti di linguistica sarda. Per decenni, infatti, il G. impiegò gran parte delle sue energie intellettuali nello studio dell'uso vivo di numerose località e pubblicando testi redatti nei vari volgari isolani. Fra le sue ricerche, da quelle giovanili fino alle più tarde, ve ne sono diverse dedicate al folklore e alla narrativa popolare (tra le altre Primo saggio di novelle popolari sarde, in Arch. per lo studio delle tradizioni popolari, II [1883], pp. 19-38, 185-206, 481-502; III [1884], pp. 233-240; Il fantoccio del Carnevale e il giovedì grasso a Sassari, in Wörter und Sachen, III [1912], pp. 196-198; Le "launeddas" sarde, in Rendiconti del R. Istituto lombardo di scienze e lettere, s. 2, LI [1918], pp. 209-226). Egli, essendo stato tra coloro che collaborarono con G. Pitré e S. Salomone Marino, va considerato non solo il primo indagatore sul terreno di sicura formazione scientifica che abbia operato in Sardegna per il settore linguistico-dialettologico, ma uno dei primi anche in quello etnografico.
Di questa prima fase della produzione scientifica del G., che ben presto abbracciò anche la Corsica, vanno menzionate la rassegna critica Dialetti sardi, apparsa tra il 1890 e il 1913 nel Kritischer Jahresbericht über die Fortschritte der romanischen Philologie (I, pp. 141-146; II, pp. 105-111; IV, pp. 190-192; VI, pp. 182-194; VIII, pp. 153-178; IX, pp. 119-133; X, pp. 113-123; XI, pp. 148-183; XII, pp. 139-150; XIII, pp. 155-172), e la memoria I dialetti odierni di Sassari, della Gallura e della Corsica (in Arch. glottologico italiano, XIII [1892], pp. 125-140; XIV [1896-98], pp. 131-200, 385-422), opera per la quale fu premiato dalla R. Accademia dei Lincei. A essa si ricollega una parte notevole della saggistica successiva, quella per la quale il suo nome è ancora oggi ricordato: Il sardo e il còrso in una nuova classificazione delle lingue romanze, ibid., XVI (1902-05), pp. 491-516; Note etimologiche e lessicali corse, in Rendiconti del R. Istituto lombardo di scienze e lettere, XLVIII (1915), pp. 517-532, 601-616, 653-668, 703-719, 841-853; XLIX, pp. 74-89, 159-170, 249-262, 298-306; L'esito di EX- F- in sf- cagliaritano e sci- campidanese, in Arch. stor. sardo, XI (1916), pp. 171-173.
Agli anni giovanili risale anche l'interesse, altrettanto vivo, per il sardo antico, che si tradusse in studi, edizioni e commenti linguistici a statuti, condaghes e altri documenti d'archivio, proseguiti, come le indagini sui dialetti (Gli statuti della Repubblica sassarese, testo logudorese del sec. XIV, nuovamente edito d'in sul codice, in Arch. glottologico italiano, XIII [1892], pp. 1-124; La lingua della Carta de Logu, secondo il ms. di Cagliari, in Studi sassaresi, III [1905], pp. 67-145; L'antico campidanese dei sec. XI-XIII secondo "le antiche Carte volgari dell'Archivio Arcivescovile di Cagliari", in Studi romanzi, IV [1906], pp. 189-259; Intorno ad un antico condaghe sardo tradotto in spagnolo nel sec. XIV, di recente pubblicato, in Rendiconti del R. Istituto lombardo di scienze e lettere, XLVI [1913], pp. 253-274); ancor più precoce l'ampio saggio sulla varietà catalana parlata ad Alghero (Il dialetto catalano di Alghero, in Arch. glottologico italiano, IX [1885-86], pp. 261-364), al quale seguirono, oltre un ventennio dopo, l'edizione e il commento della Dotrina dels Infans, attribuita a Raimondo Lullo, uno dei pochi studi allora disponibili sul catalano antico (Contributio agli studi Luliani. De la doctrina dels Infans. Cod. Ambr. 0-87 sup., in Anuari de l'Institut d'estudis catalans, II [1908], pp. 497-519).
Trasferito a Genova, intorno ai quarant'anni il G. si occupò anche di testi medievali genovesi (La Passione ed altre prose religiose in dialetto genovese del sec. XIV, in Giorn. ligustico di archeologia, storia e letteratura, XX [1893], pp. 270-295, 369-383; Del trattato dei Sette peccati mortali in dialetto genovese antico, in Nozze Cian Sappa - Flandinet, Bergamo 1894, pp. 29-45), a riprova della sua versatilità di dialettologo, che aveva, a ogni buon conto, precise ragioni di scuola: il G. era infatti uno degli allievi di G.I. Ascoli, e rimase per tutta la vita fedele ai principî che informarono l'attività del maestro, non certo "per inerzia mentale, ma in forza di una intelligente adesione. Egli infatti non rifuggiva dal meditare sulle massime questioni della nostra scienza; allorché si discuteva sul posto occupato dal sardo e dal corso nella famiglia romanza, egli ci ha dato limpide osservazioni sul concetto di dialetto e sui criteri di cui disponiamo per stabilire la parentela di due dialetti" (Terracini, p. 100).
Certo, per quanto riguarda i due problemi di linguistica sarda nella cui discussione si ritrovò più a lungo coinvolto - da un lato la posizione del gallurese e del sassarese rispetto alle restanti varietà dell'isola, dall'altro la natura non del tutto conservativa dei nessi sardi ke, ki (i quali, in estrema sintesi, non rappresenterebbero per il G., come già per l'Ascoli, la pura e semplice conservazione della fase latina, ma la regressione alla sola componente velare k di un suono che già in latino aveva subito un intacco palatale, passando da k a k'; cfr. il suo L'intacco latino della gutturale di ce, ci, in Supplementi dell'Archivio glottologico italiano, IV [1897], pp. 21-51) - le sue posizioni sono state da tempo superate, il che però non implica, oggi, drastici ridimensionamenti della rilevanza scientifica del suo lavoro. Relativamente alla prima questione, anzi, G. Bottiglioni sposava ancora in pieno, nella voce Sardegna dell'EnciclopediaItaliana (XXX, Roma 1936, pp. 858 s.) le tesi del G., che l'autore stesso riassunse, ancora verso la fine della sua carriera, nel 1911, in questi termini: "Il sardo costituisce, di mezzo alle due zone orientale e occidentale delle lingue romanze, un gruppo linguistico indipendente, di cui il logudorese è il tipo fondamentale, donde si degrada a mezzogiorno nel campidanese, che va a toccarsi coi dialetti siculi, e a settentrione nel sassarese e gallurese, che traverso al còrso oltremontano finiscono nel còrso cismontano, spettante alla famiglia dei dialetti italiani e più propriamente toscani" (Il dominio sardo. Relazione retrospettiva degli studi sul sardo fino al 1910, in Revue de dialectologie romane, III [1911], p. 200).
Il Bartoli, però - come del resto G. Campus e più tardi il Wagner -, aveva preferito riconnettere gallurese e sassarese al dominio corso, negando, in buona sostanza, la loro appartenenza al "genuino" sistema sardo, anche se echi delle tesi del G. sono rinvenibili ancora nella classificazione delle varietà della Sardegna proposta da C. Tagliavini nel manuale Le origini delle lingue neolatine (Bologna 1972, p. 388). Per quanto riguarda, invece, i nessi ke, ki, lo stesso Tagliavini ricorda, malgrado le opinioni del G. e dell'Ascoli, un dato importante: "che l'innovazione dell'intacco palatale non sia troppo antica e sia partita dall'Italia in epoca da non poter più raggiungere le zone periferiche è provato dal trattamento delle palatali latine nella "Romania perduta". Conservarono intatte le velari, anche dinanzi a vocali palatali, le voci latine che troviamo nel Basco […], nel Berbero […], nel celtico insulare […] e i più antichi elementi latini nelle lingue germaniche" (ibid., p. 173).
Il G. non cambiò opinione, né in un caso, né nell'altro, pur ammettendo in tutto o in parte la fondatezza di alcune obiezioni; gli va comunque riconosciuto "il merito d'aver cercato di stabilire su nuove basi che l'intacco, in alcune regioni della Romània, è un'innovazione relativamente antica" (Terracini, pp. 96, 98).
Nel 1901 apparve a Milano l'ampio Dizionario etimologico di dodicimila vocaboli italiani derivati dal greco, redatto dal G. in collaborazione con A. Amati, un repertorio che ancora decenni dopo veniva ritenuto il meno inaffidabile fra quelli disponibili, in un settore di ricerca che, peraltro, restava ancora in gran parte da esplorare.
Divenuto frattanto libero docente di storia comparata delle lingue classiche e neolatine, dal 1891 nell'Università di Genova, poi in quella di Pavia, nel 1903 il G. successe a C. Salvioni nella cattedra di glottologia classica e romanza di quest'ultimo ateneo, incarico che mantenne fino alla morte.
In questo periodo proseguì, sviluppandole, le sue ricerche in ambito indoeuropeo e latino, iniziate già nel 1893 con il contributo che volle intitolare Diporti glottologici. Di alcuni recenti studi di fonologia latina (Milano); da menzionare - soprattutto per la discussione che suscitò - la nota Le sorti latine dell'ide. dw- iniziale, in Rendiconti del R. Istituto lombardo di scienze e lettere, XL (1907), pp. 419-432. Collaboratore, nello stesso arco di tempo, del Salvioni e del giovane C. Merlo all'Opera del vocabolario della Svizzera italiana, affrontò con rinnovato entusiasmo lo studio delle parlate lombardo-ladine, pubblicando una corposa serie di appunti sul lessico della Val Bregaglia (Appunti lessicali bregagliotti, ibid., XLI [1908], pp. 199-212, 392-407; XLII [1909], p. 970; XLIII [1910], pp. 372-390), in seguito ampiamente utilizzati da J. Jud nelle ricerche sul sostrato linguistico di quelle zone.
Di un qualche rilievo anche i suoi contributi agli studi di semasiologia e toponomastica (La rosa delle Alpi. Contributo allo studio dei nomi romanzi del "Rhododendron", in Studi letterari e linguistici dedicati a P. Rajna, Firenze 1911, pp. 675-694; Intorno al nome del Monte Rosa, in Athenaeum, IV [1916], pp. 355-368; Ancora sul nome del Monte Rosa, ibid., V [1917], pp. 294-300), in cui accolse e applicò alcuni principî della nascente geografia linguistica, e che gli valsero lusinghieri riconoscimenti, anche postumi, fra cui quello di aver dimostrato "che il nome del Monte Rosa non ha nulla a che fare col nome del colore rosa, ma rispecchia una forma preromanza che vive nei dialetti franco-provenzali sotto le forme ruise, ruiza, reuse, rosa col senso di "ghiacciaio"" (C. Tagliavini, voce Neolatine, lingue, in Enc. Italiana, XXIV, Roma 1934, p. 570).
Nel campo della divulgazione letteraria pubblicò nel 1910 a Milano il volume Gli Italiani e il bel paese. La letteratura, un profilo in cui la sua chiarezza espositiva riusciva a emergere con particolare risalto e che, pertanto, ottenne un buon successo. Alla sua città natale il G. aveva in precedenza dedicato uno studio sulla genesi e l'originario aspetto della maschera di Meneghino (L'origine di Meneghino, in Natura ed arte, 15 luglio - 1° ag. 1908, pp. 232-238, 311-316).
Nel 1918, appena un anno prima della sua scomparsa, il G. licenziò, per i tipi della Hoepli (Milano), il manuale Fonologia romanza.
È questa un'introduzione generale alla materia sulla quale i giudizi dei contemporanei, molti dei quali più giovani del G., furono contrastanti, anche se, in linea generale, è possibile cogliere, accanto all'apprezzamento per il notevole sforzo compiuto, la perplessità per un'aderenza agli schemi ascoliani ritenuta talvolta eccessiva, poiché, "se con tali schemi si ottiene una classificazione abbastanza armonica e chiara dei suoni e delle loro modificazioni […] con essi, viene, per avventura, troppo spezzettata e in gran parte perduta la concatenazione dei singoli fatti e la complessiva visione della loro storia" (Terracini, p. 99).
Da tempo gravemente malato, il G. morì a Milano il 1° dic. 1919.
Fonti e Bibl.: Necr. in Arch. stor. lombardo, XLVI (1919), p. 679; C. Salvioni - C. Pascal, in Rendiconti del R. Istituto lombardo di scienze e lettere, LII (1919), pp. 746-749; J. Jud, in Neue Zürcher Zeitung, 16 dic. 1919; B. Terracini, in Rivista di filologia e di istruzione classica, XLVIII (1920), pp. 95-107 (con bibl. completa); F. Ribezzo, in Rivista indo-greco-italica, III (1920), p. 177; N. Zingarelli, in Il Giornale d'Italia, 9 genn. 1920; S. Debenedetti, in Giorn. stor. della letteratura italiana, LXXV (1920), p. 149; C. Tagliavini, Le origini delle lingue neolatine, Bologna 1972, pp. 64, 173, 340, 388, 457, 462, 563, 564; A. Nesi, Korsisch, in G. Holtus - M. Metzeltin - Ch. Schmitt, Lexikon der Romanistischen Linguistik, IV, Tübingen 1988, pp. 799, 801 s., 804, 808; M. Virdis, Sardisch: Areallinguistik, ibid., pp. 898, 912; A. Dettori, Sardisch: Grammatikographie und Lexikographie, ibid., pp. 914, 933; A. Stella, Liguria, in Storia della lingua italiana, a cura di L. Serianni - P. Trifone, III, Le altre lingue, Torino 1994, pp. 108, 124, 132, 137; A. Dettori, Sardegna, ibid., pp. 460, 469, 481, 483 s.; E. Blasco Ferrer, Sardisch, in G. Holtus - M. Metzeltin - Ch. Schmitt, Lexikon der Romanistischen Linguistik, II, 2, Tübingen 1995, pp. 259, 265, 267, 269; Enc. Italiana, XVIII, p. 29.