MEGLIA, Pier Francesco
– Nacque a Santo Stefano al Mare, piccolo borgo marinaro della Riviera Ligure di Ponente, il 3 nov. 1810, da Stefano e Maria Caterina Garibaldi, esponenti delle prime famiglie borghesi del luogo.
Compì gli studi al seminario di Genova e di Savona e il 24 sett. 1836 fu ordinato sacerdote a Roma, nella basilica di S. Giovanni in Laterano. Nel 1839 il M. si iscrisse all’Università La Sapienza, dove il 23 maggio 1843 conseguì la laurea in utroque iure con il massimo dei voti. Proprio in virtù delle sua brillante preparazione giuridica e delle capacità dialettiche dimostrate nel corso degli studi gli si aprirono le porte della carriera diplomatica.
Il primo incarico ricoperto dal M. fu nel 1844 quello di segretario di mons. A. Garibaldi, nunzio apostolico presso il re delle Due Sicilie Ferdinando II di Borbone. Nel gennaio 1851 il M. seguì ancora mons. Garibaldi, sempre in qualità di segretario, quando questi fu trasferito alla nunziatura di Parigi, che già aveva retto con notevole successo nel 1843 in qualità di internunzio. Il M. fu quindi partecipe attento della situazione politica in Francia, che dopo il colpo di Stato di Luigi Napoleone Bonaparte e l’instaurazione del secondo Impero sembrava procedere in accordo con quella di Roma. Dopo la morte di Garibaldi, avvenuta nel giugno 1853, il M. fu nominato uditore della nunziatura di Parigi e, di fatto, svolse la funzione di vero e proprio rappresentante pontificio.
Nel nuovo quadro politico internazionale, seguito alla guerra di Crimea e ai nuovi rapporti instauratisi tra la Francia e il Regno di Sardegna, spettò quindi al M. assecondare le complesse direttive impartite da Roma per contrastare il crescente orientamento anticlericale dell’opinione pubblica e per prevenire qualsiasi mutamento della linea politica di Napoleone III nei confronti della S. Sede. Egli, peraltro, si era guadagnato la stima dell’imperatore, che non tardò a nominarlo ufficiale della Legion d’onore. E fu forse proprio per la fiducia di cui godeva presso Napoleone III che a Roma non si pensò di nominare un nuovo nunzio apostolico, ma si continuò ad affidare al M. il compito di sostenere gli interessi della S. Sede a Parigi.
Nella delicata fase che si aprì dopo gli accordi franco-piemontesi di Plombières (1858), e specialmente fra il 1859 e il 1860, dopo la campagna dell’esercito sabaudo nell’Italia centrale e la sottrazione al dominio temporale del papa delle Legazioni, delle Marche e dell’Umbria, il M. cercò di difendere la causa dello Stato pontificio. Tuttavia, non riuscì a influire in maniera determinante sull’imperatore e si limitò pertanto a informare Roma sugli sviluppi della situazione politica in Francia e sulle divergenze all’interno del governo di Parigi circa la questione romana, mostrando una certa comprensione nei confronti di Napoleone III anche quando le sue decisioni lasciavano scarsi dubbi sulle intenzioni di preservare il potere temporale dei papi.
È quanto si evince in particolare dalle vicende seguite alla pubblicazione a Parigi, il 15 febbr. 1861, dell’opuscolo di L.E.A. de La Guéronnière, La France, Rome et l’Italie, che fece molto rumore negli ambienti diplomatici. Il vero autore dell’opuscolo, come si seppe ben presto, era il ministro dell’Interno, J.-G.-V. Fialin duca di Persigny, in accordo con lo stesso Napoleone III, il quale intendeva con quella pubblicazione dissipare ogni speranza che Pio IX potesse contare sull’appoggio della Francia nella rivendicazione dei territori perduti e nella stessa salvaguardia del residuo Stato pontificio. In un rapporto del 16 febbraio che accompagnava un esemplare dell’opuscolo al segretario di Stato G. Antonelli il M., pur condannandone il tenore, in cui ravvisava «il riflesso di una politica che è stata a buon diritto tacciata di doppiezza e di ipocrisia», riconosceva a Napoleone III, che si era impegnato a mantenere un contingente militare francese a Roma per proteggere la persona del pontefice, di aver dato «una prova di grande magnanimità» (Pirri, II, 1, p. 350). Nondimeno, egli fece qualche passo presso il ministro degli Esteri E. Thouvenel, che soltanto in parte condivideva l’opuscolo in questione, essendosi anzi adoperato a modificare o cassare la parte riguardante l’attribuzione di un vicariato generale sullo Stato pontificio a Vittorio Emanuele II, affinché si impegnasse maggiormente a difesa della S. Sede. Per tutta risposta il ministro degli Esteri francese, come lo stesso uditore di nunziatura riferì al card. Antonelli, asserì «che pel momento non v’era nulla a fare e che bisognava lasciar passare la tempesta che agita l’Italia ed attendere la calma» (ibid., p. 351). Ulteriori passi della S. Sede nei confronti dell’imperatore ebbero nel M. un protagonista inevitabilmente passivo, limitandosi l’uditore a far da tramite nella corrispondenza intercorsa tra Pio IX e Napoleone III o a riportare nelle sue relazioni al card. Antonelli i retroscena della politica estera francese riguardo alla questione romana.
Dalla fine del 1861, in seguito alla nomina del nuovo nunzio apostolico a Parigi, F. Chigi, il ruolo del M. divenne alquanto defilato rispetto al recente passato, anche se fu di valido aiuto al nuovo rappresentante pontificio nei due anni e mezzo che si trattenne in quella nunziatura. Il 25 sett. 1864 Pio IX consacrò il M. arcivescovo in partibus infidelium di Damasco e il 1° ottobre successivo lo nominò nunzio apostolico in Messico, presso l’imperatore Massimiliano d’Asburgo, e delegato apostolico negli Stati dell’America centrale.
Il nuovo incarico in Messico costituì una prova estremamente difficile per il M., il quale, nonostante l’esperienza diplomatica acquisita, si trovò immerso in una situazione del tutto nuova. Massimiliano d’Asburgo, creato imperatore con il decisivo appoggio di Napoleone III nel giugno 1864, intendeva infatti promuovere un concordato con la Chiesa cattolica di stampo liberale e aperto al riconoscimento delle altre confessioni, al fine di guadagnarsi il consenso della popolazione moderata ed emarginare l’opposizione armata dei repubblicani capeggiati da B.P. Juárez. D’altro canto il M. aveva ricevuto dalla S. Sede istruzioni per il governo messicano che avevano il carattere di un vero e proprio Diktat: restituzione dei beni ecclesiastici non venduti, abolizione del matrimonio civile, ristabilimento del foro ecclesiastico, esclusione dei culti acattolici, controllo da parte della Chiesa dell’istruzione pubblica e privata. In un Consiglio dei ministri l’imperatore Massimiliano decise di formalizzare un ultimatum alla Chiesa da consegnare al nunzio: nel caso che Roma non avesse accettato il concordato, sarebbero state ratificate le leggi ecclesiastiche promosse dal regime repubblicano nel 1859. L’imperatrice Carlotta, figlia del re del Belgio Leopoldo I, prima della consegna ufficiale dell’ultimatum volle fare un estremo tentativo nei confronti del nunzio per indurlo a non esasperare la situazione, convincere il papa ad accettare le riforme imperiali ed evitare il passo increscioso della consegna dell’ultimatum. Il M., però, si mostrò irremovibile dalla linea tracciata dalla S. Sede, irritando fortemente l’imperatrice e facendo precipitare la situazione. Il 7 genn. 1865 il governo messicano approvò la nazionalizzazione dei beni ecclesiastici e decretò che le bolle papali sarebbero state nulle senza la ratifica imperiale.
Poco dopo il M. fu richiamato a Roma con grande disappunto soprattutto dei ministri di Francia e del Belgio che speravano ancora in una ricomposizione del dissidio. Prima, però, di tornare definitivamente in Italia il M. intraprese un breve viaggio in Guatemala – il nuovo Stato che nel 1847 il dittatore R. Carrera aveva dichiarato del tutto indipendente dalla Federazione delle province unite dell’America centrale, in cui vigeva il concordato con la S. Sede – per verificare la situazione del clero locale.
I rapporti che il M. inviò al card. Antonelli, la cui sintesi costituì un importante dossier vagliato personalmente da Pio IX, dipingevano una situazione della Chiesa locale alquanto grave, con i vescovi costretti a vivere lontani dalle loro sedi e il clero numericamente scarso e inadeguato al suo compito. Per ovviare a tale situazione il M. aveva proposto l’invio in Guatemala dei liguorini, i padri della Congregazione del Ss. Redentore, oppure degli alunni delle missioni estere.
Il 26 ott. 1866 il M. fu nominato nunzio apostolico a Monaco di Baviera presso il re Luigi II, il cui Regno, dopo la sconfitta nella guerra contro la Prussia combattuta al fianco dell’Austria, attraversava una difficile congiuntura.
I rapporti del M. seguirono l’evoluzione della situazione politica interna: dal trattato di alleanza con la Prussia, all’entrata della Baviera nello Zollverein, l’unione doganale degli Stati tedeschi, alla guerra franco-prussiana e alla costituzione dell’Impero germanico. Con l’apertura del concilio Vaticano I (8 dic. 1869) il M. si occupò in maniera precipua dell’atteggiamento dei vescovi bavaresi e tedeschi riguardo alla definizione del dogma dell’infallibilità del pontefice, mostrandosi attento osservatore ma non in grado di contrastare in alcuna maniera l’opposizione antinfallibilista guidata dal teologo bavarese I. Döllinger, che portò allo scisma dei «vecchi cattolici». Più avanti, alla vigilia di Porta Pia, il M. ebbe forse un ruolo nel suggerire all’arcivescovo di Colonia, mons. P. Melchers, di sollecitare l’imperatore di Germania e re di Prussia, Guglielmo I, a prendere le difese del potere temporale. Nel periodo trascorso a Monaco, peraltro, sembrerebbe che il M. avesse commesso una gaffe politica di una certa gravità: nel dicembre 1874, infatti, il cancelliere tedesco O. Bismarck rivelò che il M. aveva confidato a un diplomatico che a consigliare Napoleone III a dichiarare guerra alla Prussia nel 1870 fosse stato il partito gesuita, il quale contava sulla vittoria della Francia per rafforzare il potere temporale. Il suo operato complessivo in Baviera, a giudicare da un rapporto del segretario della delegazione italiana a Monaco del 12 dic. 1874, fu del tutto negativo, avendo egli «assai disgustato» Luigi II per l’incondizionato appoggio dato al partito clericale e «creato ogni sorta di imbarazzi al Governo Bavarese» (I documenti diplomatici italiani, s. 2ª, V, pp. 644 s.).
Il 27 apr. 1874 il M. fu nominato nunzio a Parigi. Le prime istruzioni direttegli dal Vaticano il 15 maggio 1874 rivelavano aspettative positive riguardo ai vescovi francesi, che avevano ormai quasi definitivamente abbandonato le antiche posizioni gallicane e le più recenti tendenze cattolico-liberali avverse all’infallibilità pontificia, riconoscendo largamente la supremazia del papa. Compito del M. avrebbe dovuto essere quello di rafforzare tale atteggiamento, che aveva riflessi positivi anche nei vertici della Repubblica, il cui presidente nel 1874 era il generale M.-E. de Mac-Mahon, cattolico conservatore. Tuttavia, dalla fine del 1876, con la vittoria nelle elezioni politiche dei radicali e, l’anno successivo, con le dimissioni di Mac-Mahon e l’elezione a presidente della Repubblica del radicale L. Gambetta, si assistette a un nuovo peggioramento dei rapporti tra Stato e Chiesa francese e tra lo stesso governo di Parigi e la S. Sede. Il M. si rivelò inadeguato ad arginare le nuove tensioni, non tanto per una sua carenza di qualità diplomatiche, quanto per le rigide direttive impartitegli dal Vaticano, almeno fino alla morte di Pio IX, che lasciavano scarso margine a trattative e compromessi. In seguito, con l’avvento al soglio pontificio di LeoneXIII, si registrò un’inversione di tendenza nei rapporti tra la S. Sede e la Francia; ma il nuovo corso voluto da papa Pecci prevedeva un rinnovamento della diplomazia pontificia e nel 1879 il M. fu perciò sostituito da W. Czacki.
Il 19 sett. 1879 il M. ottenne la porpora cardinalizia, come prevedeva la prassi vaticana per i diplomatici giunti a fine carriera, con il titolo dei Ss. Silvestro e Martino ai Monti.
Il M. fu definito alquanto ingenerosamente da R. De Cesare in un articolo apparso nella Rassegna del 18 marzo 1882 (firmato con lo pseudonimo di Simmaco) «una grossa ma innocua nullità». In effetti non fu una nullità, e tanto meno innocuo, dal momento che in alcune occasioni creò qualche imbarazzo al governo italiano, specie quando era uditore di nunziatura in Francia. Il M., peraltro, aveva sempre goduto della stima del card. Antonelli, che in più occasioni ne lodò l’abilità di giudizio.
Il M. morì a Roma il 31 marzo 1883 e fu sepolto nella chiesa parrocchiale di S. Stefano al Mare.
Fonti e Bibl.: Arch. segreto Vaticano, Segreteria di Stato, Esteri, parte moderna, rubr. 248: Nunziatura di Parigi, 1851-64 e 1874-79; Arch. della Nunziatura Apostolica in Monaco, 1866-74; Arch. particolare di Pio IX, Oggetti vari, n. 2221; Das Ende des Kirchenstaates, a cura di N. Miko, I-IV, Wien-München 1962-70, ad indices; I documenti diplomatici italiani, s. 1ª, I, p. 282; II, p. 86; XIII, pp. 395 s.; s. 2ª, IV, pp. 279 s.; V, pp. 425, 637 s., 644 s.; VIII, pp. 485, 496; IX, p. 408; X, p. 299; E. Soderini, Il pontificato di Leone XIII, Milano 1932-33, I, pp. 22, 37, 40, 189 s, 202 s., 213; II, pp. 253-262, 264-268, 273, 277 s., 281, 337; III, pp. 50, 71; P. Pirri, Pio IX e Vittorio Emanuele II dal loro carteggio privato, II, Roma 1951, parte 1ª, pp. 336, 349-356, 367-371, 380, 382, 385 s., 419, 430-432, 434, 445-447, 450; parte 2ª, p. 219; III, ibid. 1961, parte 1ª, pp. 319 s.; parte 2ª, pp. 235, 395-397; R. Mori, La questione romana (1861-1865), Firenze 1963, pp. XXII, 6, 11 s., 22; Ch. Weber, Quellen und Studien zur Kurie und vatikanischen Politik unter Leo XIII., Tübingen 1973, pp. 270, 312, 330; Id., Kardinäle und Prälaten in den letzten Jahrzehnten des Kirchenstaates, Stuttgart 1978, I, p. 276; B. Lai, Finanze e finanzieri vaticani tra l’Ottocento e il Novecento. Da Pio IX a BenedettoXV, Milano 1979, pp. 76-78; A. Sarchi, Il cardinale P.F. M., Sanremo 1984; G. Martina, Pio IX (1851-1866), Roma 1986, pp. 427, 430, 471-474; Id., Pio IX (1867-1878), ibid. 1990, pp. 142, 151-153, 226 s., 354, 364, 380, 507; G. Ignesti, Francia e S. Sede tra Pio IX e Leone XIII, Roma 1988, ad ind.; C.M. Fiorentino, La questione romana intorno al 1870. Studi e documenti, Roma 1997, p. 90; B. Lai, Affari del papa. Storia di cardinali, nobiluomini e faccendieri nella Roma dell’Ottocento, Roma-Bari 1999, pp. 68, 88, 93; A. Ciampani, Cattolici e liberali durante la trasformazione dei partiti. La «questione di Roma» tra politica nazionale e progetti vaticani (1876-1883), Roma 2000, p. 201; M.F. Mellano, I principi Maria Clotilde e Amedeo di Savoia e il Vaticano (1870-1890) …, Torino 2000, p. 58; G. De Marchi, Le nunziature apostoliche dal 1850 al 1956, Città del Vaticano 2006, pp. 56, 128, 133; Hierarchia catholica, VII, pp. 28 s., 53, 58, 238, 267.
C.M. Fiorentino