MOLA, Pier Francesco
– Figlio di Giovan Battista (architetto e pittore) e di Elisabetta Conticilla, nacque a Coldrerio (Coldrè) vicino Como nel 1612 e fu battezzato il 9 febbraio (Voss, p. 177).
Le vicende biografiche del M. si ricavano principalmente da G.B. Passeri, che conosceva direttamente l’artista, e da L. Pascoli. Le notizie riferite da quest'ultimo, al quale probabilmente le fornì il nipote del M., Filippo Germisoni pittore e curatore dello studio di N. Pio, ad eccezione dei dati cronologici della nascita e della morte e degli spostamenti del M. nell’Italia del Nord, presentano una sostanziale concordanza con quelle di Passeri.
Giunto a Roma con la famiglia nel 1616, vi rimase stabilmente fino al 1633. Pascoli ipotizza una precoce attività del M. con il padre, che poi lo avrebbe indirizzato alla bottega di Giuseppe Cesari, il Cavalier d’Arpino, mentre Passeri afferma che il M. iniziò lo studio come pittore con Prospero Orsi. Nel 1626 il M. aveva 14 anni, età opportuna per mandare i giovani a bottega. In quegli anni romani il M. dovette conoscere l’opera di Annibale Carracci e degli altri emiliani, soprattutto di Guercino (G.F. Barbieri), di G. Lanfranco e di Domenichino (Domenico Zampieri); subì il fascino lirico-romantico e neoromantico di N. Poussin e venne attratto da quella corrente di pittura neoveneta sviluppatasi a Roma tra il 1625 e il 1635-40 e vide affermarsi le nuove tendenze promosse da Pietro da Cortona (Pietro Berrettini). Strinse amicizia con Pietro Testa e frequentò la cerchia di artisti vicini all'antiquario e collezionista Cassiano dal Pozzo. È possibile ricostruire il percorso giovanile del M. in base a opere pittoriche databili al 1641-42 e al 1648-50, mentre per gli anni precedenti si ha soltanto un disegno in collaborazione con il padre (1631; Schleier, 1977, p. 20), uno schizzo a china dove il M. si raffigura in viaggio per l’Italia (Riccio) e un disegno eseguito a Lucca nel 1637 in cui il M. ritrasse l’amico e pittore Pietro Testa (Voss, p. 179).
Fin dalla partenza per Bologna del padre, incaricato intorno al 1630 di partecipare alla costruzione del forte urbano di Castelfranco, voluta da Urbano VIII, si manifestò nel M. l’esigenza di allargare le proprie esperienze lontano da Roma (Rudolph, 1969, p. 13). Dapprima si recò a Bologna (1633), dove fu introdotto nello studio di Francesco Albani, e ove si trattenne per circa due anni (Cocke, p. 3; Lanzetta, p. 191 n. 6), poi andò a Venezia «a cercar del Guercino. Stette alcun tempo con lui» (Pascoli, p. 187). Lo studio presso Albani e il Guercino, i soggiorni in Emilia e nel Veneto durante gli anni Trenta e Quaranta del Seicento, lo posero in diretto contatto con opere e artisti, conosciuti già da giovanissimo a Roma, fortemente affini alla sua sensibilità artistica. Furono anni di continui spostamenti, esperienze ed incontri di cui si hanno notizie attraverso le fonti. Passeri (p. 368) ricorda che il M. a Venezia dipinse «solo mezze figure, o altre cose di non molta fatica, ma in piccolo, e v’accompagnava qualche sito di paese di assai buono stile». Si può supporre che in quegli anni passati tra Bologna e Venezia, con viaggi del M. a Lucca e a Roma nel 1637 e ancora a Roma per la Pasqua del 1641, il M. ricevesse molte committenze. Numerose sono le opere che la critica riferisce a questo periodo come il Mercurio e Argo (Berlino, Staatliche Museen), il Paesaggio con l’estasi di s. Bruno e il Paesaggio con due monaci certosini (Londra, collezione Mahon, ma in prestito al City Museum and Art Gallery di Birmingham), il Ratto di Europa (Schleissheim, Bayerische Staatsgemaldesämmlungen, in deposito dall’Alte Pinakothek di Monaco) con manifesti riferimenti stilistici alla scuola bolognese dei Carracci, al Guercino e soprattutto ad Albani. La tela con l’Adorazione dei pastori (Vienna, Kunsthistorisches Museum, siglata in basso a destra: P.F.M.F.; altra sigla M.F. compare nel Giovane con viola e replica) un «esemplare tutto nordico della maniera di Mola» (L. Laureati, in Kahn-Rossi, p. 169) trae ispirazione dal Guercino, ma anche e soprattutto da modelli tizianeschi e da Jacopo Bassano. La figura umana inizia ad assumere un ruolo primario rispetto al paesaggio, come nelle due tele con la Predica del Battista (Londra, National Gallery e Lugano, Fondazione Thyssen-Bornemisza). Nel Mercurio e Argo (Ohio, Oberlin, Allen Memorial Art Museum), ove il mito è interpretato in «chiave idillico-pastorale» (ibid., p. 165), la favola antica è rivissuta attraverso l’esperienza diretta del vero naturale in cui la luce è modulata e sensuale. L'attenzione per il dato naturale si mantiene anche quando il M. si rifà a temi tratti dalla letteratura, ad esempio la poesia di T. Tasso: è il caso dei dipinti Erminia scrive su un albero il nome di Tancredi ed Erminia con Vafrino che curano le ferite di Tancredi dopo il combattimento con Argante (Parigi, Louvre), tanto famosi da essere copiati fino all’Ottocento. Una serena contemplazione della natura è evidente anche nel Figliol prodigo (Rotterdam, Museo Boijmans van Beuningen) e in Diana ed Endimione (Roma, Pinacoteca Capitolina).
Quest' ultima tela fu eseguita per Bonaventura Argenti, amico del M. e celebre musico della Cappella pontificia, per cui lavorò in più occasioni. Il tema del soggetto è magistralmente interpretato dal M., che riesce a fondere modelli carracceschi, le atmosfere lunari del Guercino e i momenti incantati delle favole poetiche di Poussin. Affini sono il Bacco della Galleria Spada di Roma e il Ragazzo con la colomba (Toronto, Art Gallery of Ontario).
Tra il 1641 e il 1642 il M. è documentato a Coldrerio, dove affrescò: S. Sebastiano, S. Rocco, la Madonna del Rosario in trono, la Madonna del Rosario che intercede per le anime del purgatorio e l’Eterno benedicente nella prima cappella sinistra della chiesa della congregazione della Beata Vergine del Carmelo (Voss, pp. 207-209; Genty, 1979, p. 53). Si tratta della prima impresa nota e documentata del M. dove compaiono precise riprese dalla pala con la Messa di s. Gregorio in S. Vittore a Varese del Cerano (G.B. Crespi) e dalla pala Pesaro di Tiziano. Rudolph (1969, p. 19) riconosce anche lo stile di Albani nell’Eterno benedicente e nota la buona qualità dei disegni preparatori (Londra, British Museum), mentre gli affreschi risultano piuttosto modesti. L’impegno successivo fu a Venezia, dove eseguì copie delle Storie della vita di Esther del Veronese (Paolo Caliari) (Boschini), richieste al M. dal cardinale Alessandro Bichi; eseguì anche un S. Pietro martire derivato da Tiziano, oggi perduto (Lanzetta, p. 191 n. 9). Tra il 1644 e il 1649, salvo alcuni rientri a Roma, il M. probabilmente continuò a risiedere tra Bologna e Venezia acquisendo importanti consensi. Al soggiorno veneziano di questi anni Quaranta Rudolph (1969 e 1972) assegna alcune opere «tenebrose» come il Socrate (Lugano, Museo civico) e il Turco dormiente o Allegoria del temperamento flemmatico (Venezia, Gallerie dell'Accademia). Il gusto orientalista ereditato dalla cultura veneta è manifesto anche nell'unica tela firmata e datata 1650, il Guerriero orientale, forse commissionato dalla famiglia Baldocci di Firenze.
Si tratta di una delle celebri «mezze figure» come la Filatrice (Roma, Accademia di S. Luca), in cui amò esprimere la potenza umana attraverso sguardi intensi e volti segnati dal tempo. Si ricordano tra le altre tele: l’Omero (Roma, Galleria nazionale d’arte antica-Palazzo Corsini); il Ritratto idealizzato di Omero ed il S.Pietro piangente (o Eraclito) (Milano, collezione Koelliker; Petrucci); il Filosofo con giovane (Durham, North Carolina, Duke University, Museum of art); la Morte di Archimede (Roma, collezione Busiri Vici; Kahn-Rossi, fig. p. 193) già appartenuta a Cristina di Svezia, a Roma dal 1655.
Nel 1646 il M. era presente a Roma, dove nell’agosto del 1648 fu testimone di nozze della sorella Aurelia; l’anno successivo vi si stabilì definitivamente (Petrucci, p. 28). Pascoli motiva il rientro del M. a Roma per la gelosia che il Guercino aveva iniziato a nutrire nei suoi confronti, vista la fama da lui ottenuta in tutta l’Italia del Nord. A Roma il M. ricevette numerosi incarichi tra cui l’affresco con Bacco e Arianna in palazzo Costaguti a piazza Mattei dove, nel Sileno e nelle menadi danzanti, all’impianto classicistico di gusto albaniano unisce chiari riferimenti al Bacco e Arianna di Tiziano, già a villa Aldobrandini. Per l’altare della cappella Costaguti (terminata nel 1648) nella chiesa dei Ss. Domenico e Sisto il M. eseguì la Visione di s. Domenico a Soriano. Molti quadri del M. compaiono nelle stime dei beni della famiglia Costaguti, tra questi il S. Giovanni Battista nel deserto lasciato dal cardinal Giovan Battista Costaguti alla chiesa di S. Anastasia di Roma (L. Spezzaferro, in Kahn-Rossi, pp. 53-55). Alla fine degli anni Quaranta del Seicento sono datate le tele Rebecca al pozzo e Agar e Ismaele che, con Caino e Abele e la Visione di s. Gerolamo, eseguì per casa Colonna, in cui accanto al naturalismo caravaggesco alla G. Serodine il M. unisce ispirazioni guercinesche e neovenete.
Probabilmente tramite i Costaguti tra il 1650 e il 1651 ottenne l'incarico di realizzare gli affreschi nel chiostro del seminario del santuario di S. Maria della Quercia a Viterbo, identificati, con i disegni preparatori, da Schleier (1977), dove gli sfondi paesistici denotano forti riprese carraccesche unite a una luce dai timbri alti di gusto barocco. Negli anni in cui anche suo padre era al servizio del principe Camillo Pamphili, il M. iniziò a lavorare per la potente famiglia, favorito anche dalla sua amicizia con l’influente abate Niccolò Simonelli.
Il primo incarico ricevuto fu l'esecuzione, tra il 1651 e il 1652, di alcuni affreschi nel palazzo Pamphilj di Nettuno: la sequenza dei quadri riportati, in gran parte distrutti durante l’ultima guerra mondiale, che il M. scelse per la decorazione delle volte, si ispira in egual misura all’esperienza neoveneziana e alla lezione emiliana (A. Tantillo Mignosi, in Kahn-Rossi, pp. 207-213).
Intorno al 1649-50 si datano gli affreschi con S. Pietro in carcere battezza il centurione e la Conversione di s. Paolo, realizzati dal M. nella cappella Ravenna della chiesa del Gesù di Roma, che Sutherland Harris (1964, p. 368) data. Per il cardinale Luigi Omodei il M., intorno al 1652, eseguì la Predica di s. Barnaba nella chiesa dei Ss. Ambrogio e Carlo al Corso.
Le fasi di progettazione del dipinto sono testimoniate dai molti disegni preparatori di forte suggestione guercinesca. I rapporti del M. con il prelato Omodei furono costanti: eseguì un suo ritratto e molte sue opere compaiono nell’inventario dei beni (1685) del cardinale.
Sotto la direzione di Pietro da Cortona, tra il 1653 e il 1656, il M. partecipò alla nuova decorazione della chiesa di S. Marco voluta da Nicolò Sagredo, ambasciatore veneziano a Roma. Sulla parete destra della navata centrale il M. affrescò Il martirio di Abdon e Sennen; nella stessa chiesa realizzò l'Immacolata per l'omonima cappella e la tela con il S. Michele arcangelo, nella cappella di S. Michele, consegnata dopo il 1658, considerata il dipinto più barocco del Mola. La grande fama raggiunta valse al M. la nomina ad accademico di S. Luca il 13 luglio 1655; presso la prestigiosa istituzione ricoprì la carica di estimatore di pitture sino al 1662, quando fu eletto principe dell’accademia. Fece parte anche della Congregazione di s. Giuseppe di Terrasanta o dei Virtuosi al Pantheon dal 1659.
L’impresa collettiva più prestigiosa alla quale il M. collaborò, con l’affresco Giuseppe si rivela ai fratelli, fu la decorazione della galleria di Alessandro VII nel palazzo del Quirinale, eseguita tra il 1656 e il 1657 sotto la direzione di Pietro da Cortona. L’opera del M. ottenne subito molti apprezzamenti soprattutto per la chiarezza del racconto e per il giusto rapporto tra le grandi figure e lo sfondo, che raggiunse attraverso una raffinata sintesi tra il colorismo neoveneto, la lezione bolognese e la maniera di A. Sacchi e del Cortona degli anni Trenta.
Negli stessi anni il M. si propose al principe Camillo Pamphili quale ideatore e responsabile della decorazione da fare nel palazzo di Valmontone; presentò un contratto-progetto per un compenso di 1300 scudi. Le sale sarebbero state affrescate con le Allegorie dei quattro Elementi e le Allegorie delle parti del mondo. Il principe, pur non firmando il contratto del M., diede l’avvio ai lavori e alla fine del 1658 il M. aveva affrescato già i due camerini dell'America e dell'Africa, l’Aurora e quattro riquadri nella stanza dell’Aria; insoddisfatto per i compensi ricevuti in corso d’opera e per il contratto non firmato, il M., dopo varie proteste rivolte al principe, decise di allontanarsi da Valmontone e di iniziare una causa «per mercede» che si sarebbe conclusa solo nel 1664 con esito sfavorevole per il Mola. La risposta del principe, quasi immediata, fu quella di far distruggere l’affresco incompiuto dell'Aurora dal pittore Francesco Cozza (Montalto; A. Tantillo Mignosi, in Kahn-Rossi, pp. 216-219).
Gli ultimi anni di attività del M. furono caratterizzati da problemi di salute, che lo costrinsero a lasciare l’incarico di presiedere alle congregazioni dell’Accademia di S. Luca facendosi sostituire da Cozza (settembre 1663); a partire dal 1661-62 furono sempre più frequenti gli interventi degli allievi del M. nel terminare le opere del maestro.
Negli ultimi anni lavorò molto per la famiglia Chigi; oltre al celebre S. Bruno in estasi (Malibu, Getty Museum), tanto replicato con varianti dal M. e dagli imitatori, si ricordano tra l'altro le tele con le Allegorie dei Sensi (Bacco per il gusto, Giacinto per l’olfatto, Narciso per la vista e Omero per l’udito), citate per la prima volta nell’inventario (databile al 1667-69) del palazzo Chigi di Ariccia senza il nome dell’autore.
Si tratta dei bozzetti preparatori per gli affreschi da realizzare nell’alcova del cardinale Fabio Chigi nel palazzo in piazza Ss. Apostoli a Roma, rimasta incompiuta per la morte del Mola. Ai Chigi vennero perciò consegnate, dagli eredi del M., le quattro tele che erano rimaste nello studio del pittore (L. Spezzaferro, in Kahn-Rossi, pp. 52 s.; Petrucci, pp. 48-52). Le tele hanno un'intonazione meditativa e filosofica che si ritrova in tante opere del M. come l’Endimione (Milano, collezione Koelliker) pubblicato da Petrucci, dove il mito della perenne giovinezza e dell’amore segreto riflette una sensibilità romantica, intimistica e arcadica confrontabile con le Allegorie dei Sensi di Ariccia come con le tante redazioni del tema di Bacco e Arianna (in particolare la tela a Braunschweig, Herzog Anton Ulrich Museum).
Tra i molti personaggi illustri ritratti dal M. vi fu anche Alessandro VII Chigi (Roma, collezione Incisa della Rocchetta, già collezione Chigi) tela incompiuta, ma che rivela la grande capacità introspettiva del pittore e la forza costruttiva delle masse coloristiche. N. Turner (in Kahn-Rossi, p. 110) riconosce al M. una grande abilità nella ritrattistica, come dimostra anche il suo Autoritratto (Firenze, Uffizi): un disegno talmente finito da tendere alla pittura. Da quest’opera Agostino Masucci trasse ispirazione per il Ritratto di Mola che illustra le Vite degli artisti scritte da Pio nel 1724.
Il vasto corpus di disegni del M. comprende numerose copie di quadri e stampe di grandi pittori del passato come di amici e artisti suoi contemporanei. Il disegno fu per il M. un mezzo di studio usato anche per fissare brani di opere che lo avevano particolarmente colpito e che inserì liberamente nei suoi dipinti. Tutte le esperienze e gli incontri con artisti gli fornirono spunti che poi, anche a distanza di molti anni, il M. ripropose rielaborati con grande libertà espressiva, o come citazioni fedeli ai modelli: un amalgama di suggestioni visive e di esperienze artistiche che costituiscono il particolare stile del M. libero ed eclettico. Vanno infine ricordate le sue numerose caricature, che ancora sorprendono per la freschezza, l'arguzia e la modernità del tratto (Kahn-Rossi, pp. 121-133).
Durante i suoi anni di attività il M. raggiunse un alto livello di notorietà, come testimonia anche il fatto, riferito da Pascoli (p. 189), che egli fu chiamato da Luigi XIV come pittore di corte, con l’offerta di 6000 scudi l’anno. Mentre il M. preparava la propria partenza, un malore improvviso ne causò la morte, il 13 maggio 1666 a Roma, quando lavorava alla tela con La nascita della Vergine commissionatagli dai Chigi per la chiesa romana di S. Maria della Pace.
Fonti e Bibl.: M. Boschini, La carta del navegar pitoresco… (1660), a cura di A. Pallucchini, Venezia-Roma 1966, p. 219; G.B. Mola, Breve racconto delle miglior opere… in Roma (1663), a cura di K. Noehles, Berlin 1966; F. Baldinucci, Notizie de’ professori del disegno… (1681-1728), a cura di P. Barocchi, VI, Firenze 75, pp. 141-146, 461; F. Titi, Studio di pittura, scoltura et architettura nelle chiese di Roma (1674-1763), a cura di B. Contardi - S. Romano, I, Firenze 1987, ad indicem; N. Pio, Le vite di pittori, scultori et architetti (1724), a cura di C. Enggass - R. Enggass, Città del Vaticano 1977, pp. 117 s.; L. Pascoli, Vite de’ pittori, scultori, ed architetti moderni (1730-36), Perugia 1992, pp. 187-194 (note critiche di L. Lanzetta); G.B. Passeri, Vite de’ pittori, scultori et architetti dall’anno 1641 sino all’anno 1673 (1772), a cura di J. Hess, Leipzig 1934, pp. 367-372; A. Nibby, Guida di Roma e suoi dintorni, Roma 1892, pp. 50, 339 n. 68; H. Voss, Di P.F. M., Pittore e incisore comasco, in Rivista archeologica della provincia e antica diocesi di Como, 1910, nn. 59-61, pp. 177-209; L. Ozzola, Alcuni quadri di P.F. M., in Bollettino d’arte, V (1911), pp. 318-321; E. Arslan, Opere romane di P.F. M., ibid., n.s., VIII (1928-29), pp. 55-80; L. Montalto, Gli affreschi del palazzo Pamphilj in Valmontone, in Commentari, VI (1955), pp. 267-302; I. Faldi, La quadreria della Cassa depositi e prestiti, Roma 1956; A. Sutherland Harris, P.F. M.: his visits to North Italy and his residence in Rome, in The Burlington Magazine, CVI (1964), pp. 363-368; S. Rudolph, Contributo per P.F. M., in Arte illustrata, II (1969), 15-16, pp. 10-25; Id., P.F. M.: la monografia di R. Cocke e nuovi contributi, ibid., V (1972), 50, pp. 346-354; B. Riccio, Ancora sul M., ibid., 51, pp. 403-411; R. Wittkower, Arte e architettura in Italia 1600-1750, Torino 1972, ad indicem; R. Cocke, P.F. M., Oxford 1972; A. Sutherland Harris, R. Cocke: P.F. M., in The Art Bulletin, LVI (1974), pp. 289-292; E. Schleier, P.F. M. a S. Maria della Quercia, in Antichità viva, XVI (1977), 6, pp. 12-22; J. Genty, P.F. M. pittore, Lugano 1979; J. Bean - L. Turčić, 15th and 16th century Italian drawings in the Metropolitan Museum of art, New York 1982, pp. 307-314; J. Genty, P.F. M. nelle collezioni private svizzere (catal., galleria B. Scardeoni), Lugano 1986, pp. 12 s., 18 s.; P.F. M.: 1612-1666 (catal., Lugano-Roma), a cura di M. Kahn-Rossi, Milano 1989 (con ulteriore bibl.); A. Mignosi Tantillo, Un ciclo inedito di P.F. M.: gli affreschi del palazzo Pamphilj di Nettuno, in Paragone, XL (1989), 471, pp. 72-98; L. Laureati, in La pittura in Italia. Il Seicento, Milano 1989, pp. 818 s.; Die Zeichnungen des P.F. M. und seines Kreises (catal.), a cura di S. Brink, Düsseldorf 2002; M. e il suo tempo: pittura di figura a Roma dalla collezione Koelliker (catal., Ariccia ), a cura di F. Petrucci, Milano 2005; G. Pontecorvo, Il pittore ed il principe: utopie, sogni, realtà nella città di Pamphilia, Lanciano 2007; E. Schleier, P.F. M., London 2008; E. Viganò, Disegni di P.F. M. e di suoi contemporanei, in Grafica d’arte, XIX (2008), 74, p.40; C. van Tuyll van Serooskerken, Three studies for an unknown project by P.F. M., in Master drawings, XLVII (2009), 4, pp. 520-523; U. Thieme - F.Becker, Künstlerlexikon, XXV, pp. 28 s.; The Dictionary of art, XXI, pp. 806-809.