ZINI, Pier Francesco
ZINI, Pier Francesco. – Nacque in data incerta, tradizionalmente attribuita al 1520, ma che sarebbe opportuno posticipare di almeno un lustro sulla scorta del suo rapido e brillante percorso formativo. Il padre, esponente di una famiglia di origini bresciane concentrata intorno a Bagnolo, ebbe nome Francesco, mentre non si hanno notizie della madre; Natale, Giovan Francesco, Martino e Caterina erano alcuni dei fratelli di Pier Francesco.
Orientati verso Verona, dove è probabile che già risiedessero, gli Zini si misero a servizio del vescovo Gian Matteo Giberti, che dal 1529 aveva inaugurato un pionieristico programma di riforme attraverso visite pastorali e la pubblicazione di testi devozionali in volgare e di opere patristiche latine e greche. A riprova dello strettissimo legame con il presule, basti ricordare che Natale, l’unico maritato e quasi certamente il più anziano dei fratelli di Zini, modificò il proprio nome in Giberto, mentre lo stesso Zini, con il suo Boni pastoris exemplum (1556), ne fu il primo e più influente biografo.
Non sono tuttavia chiare circostanze e modalità con cui quest’ultimo prese parte ai progetti di Giberti e al circolo di letterati raccolti intorno a lui. Per ragioni cronologiche è del resto presumibile che un suo coinvolgimento diretto possa avere avuto luogo solo negli ultimi anni di vita del celebre vescovo, di cui potrebbe aver trascritto l’orazione funebre tenuta dal carmelitano Angelo Castiglione nel 1543, curandone la pubblicazione e firmando la prefazione «ai Veronesi». Zini non fu dunque protagonista, ma testimone attento e devoto della stagione gibertina, soprattutto perché passaggio determinante per le sorti familiari e per la propria formazione giovanile. Venne infatti incluso tra gli allievi della Scuola degli Accoliti, antica istituzione pedagogica rilanciata e riorganizzata da Giberti, e qui ricevette con ogni probabilità l’ordinazione a chierico.
Si spostò poi a Padova per affinare la preparazione giuridica, godendo nel 1545 di un sussidio della stessa Scuola in qualità di adoloscens assai promettente, forse dietro raccomandazione del neoeletto vescovo di Verona, Pietro Lippomano. Il soggiorno nel principale centro culturale e universitario della Serenissima gli permise di rinsaldare i legami con gli eredi effettivi e spirituali di Giberti, sia con il nipote Antonio sia con Pietro Contarini del ramo «dalli Scrigni», successore designato e poi mancato alla cattedra episcopale veronese. Zini poté inoltre farsi apprezzare da tre dei suoi futuri protettori: Reginald Pole, Alvise Priuli e un giovanissimo Agostino Valier. Potrebbero infine risalire a questo periodo i primi contatti con Paolo Manuzio, latinista e più tardi editore di Zini, che si avvicinò anche al figlio di Paolo, Aldo il Giovane.
Addottoratosi con successo in utroque iure, nel 1547 e nel 1549 tenne due prolusioni presso lo Studio patavino, entrambe date prontamente alle stampe, la prima in apertura a un proprio corso di filosofia aristotelica, la seconda in lode del diritto. Sempre nel 1547, fu data alla luce la latinizzazione dei commentari sulla Passione scritti anni prima da Tullio Crispoldi, braccio destro di Giberti e simpatizzante della spiritualità di Juan de Valdés diffusa in Italia da Marcantonio Flaminio, altro collaboratore del vescovo veronese. Se in questo e in altri casi appaiono troppo vaghi e contraddittori gli elementi per inquadrare la religiosità di Zini, non v’è dubbio che nel fertile ambiente padovano egli poté abbracciare la propria autentica vocazione di studioso e traduttore di letteratura greca del primo cristianesimo, riallacciandosi ancora una volta alle intuizioni di Giberti. All’edizione del 1547 del De pauperibus amandis di Gregorio di Nissa, autore prediletto, Zini fece seguire nei trent’anni successivi molte altre fedeli trasposizioni latine di opere patristiche greche (un elenco completo in Da Como, 1928 e Bossina - Maltese, 2002).
In virtù dei comuni interessi in quest’ambito, maturò rapidamente il rapporto di fiducia con Luigi Lippomano, dal 1549 severissima guida della diocesi veronese, e attraverso di lui con il cardinale Marcello Cervini, fautore di un ambizioso programma editoriale ricalcato in buona parte sul precedente gibertino, ma con migliore organizzazione e un indirizzo più marcatamente antiprotestante. Di concerto con Guglielmo Sirleto, principale assistente di Cervini, a Zini furono assegnate alcune traduzioni delle vite dei santi pubblicate da Lippomano nella sua raccolta, così come l’orazione contro l’iconoclastia di Damasceno (1553). Per Cervini, che lo aiutò ad approntare anche l’edizione della Panoplia di Eutimio Zigabeno (1555), Zini avrebbe dovuto inoltre trasporre il De virginitate del Nisseno e alcune opere di Crisostomo (Vat. lat. 6177, cc. 378r-v, 380r-381r e 6178, cc. 50r, 54r, 140r).
Di rientro da una delle frequenti incursioni romane alla ricerca di manoscritti, si stabilì nel 1552 a Bagnorea presso Pole, continuando a lavorare alle proprie traduzioni e forse mancando di cogliere i risvolti eterodossi della fede coltivata dal cardinale e dai suoi familiari, tra cui Flaminio. Rimase al fianco dell’illustre porporato nei pellegrinaggi presso Loreto e il convento di Maguzzano nella tarda primavera del 1553, senza tuttavia proseguire il viaggio della legazione papale che avrebbe condotto Pole verso l’Inghilterra di Maria la Cattolica e lontano dalle indagini inquisitoriali romane. Che fosse a conoscenza o meno delle nubi che si addensavano attorno alla figura del suo più recente mecenate, Zini decise di trattenersi nell’area natia, tornando a servire Lippomano e accettando di buon grado la nomina ad arciprete di Lonato. Nell’ottenimento del beneficio, è importante sottolineare la centralità, finora ignota, di Cervini che, ormai assestatosi su posizioni intransigenti, già aveva strappato a Pole un altro abile traduttore, quale Gentian Hervet (Vat. lat. 6177, c. 381r).
Il legame con Pole rimase forte, come dimostrano i paratesti del Boni pastoris exemplum. Pubblicata con qualche ritardo nel 1556, in un momento delicatissimo per la compagine ‘spirituale’ a seguito dell’elezione di Paolo IV Carafa, questa biografia glorificante di Giberti permise a Zini di inaugurare un fortunato filone della pubblicistica controriformata, così come di parte della storiografia novecentesca, applicando per primo lo «schema dell’esemplarità al concreto operare di una precisa figura di vescovo» (Prosperi, 1969, p. XIV). E fu verosimilmente attraverso Pole, oltre che a Contarini, che Zini venne consultato per l’edizione latina di quattro opere di Filone Alessandrino curata ad Anversa nel 1553 da John Christopherson, prelato cattolico inglese e studioso dei Padri.
Tra 1560 e 1561, Zini ottenne, non senza difficoltà, la nomina a canonico della chiesa di S. Stefano a Verona, rientrando a stretto contatto con i vescovi della città scaligera. Dopo avere resistito per un triennio alle pressioni del clero veronese perché rinunciasse all’arcipretura di Lonato, in linea con le norme tridentine contro l’accumulo di benefici, riuscì infine a resignare l’antico incarico in favore del fratello Giovan Francesco. Nel frattempo, i suoi lavori sulla Catena dei tre Padri trovarono spazio nella prima produzione della stamperia papale fondata a Roma nel 1561 proprio per supplire alla carenza di edizioni patristiche da parte cattolica. Nel 1563, snaturatisi gli intenti della tipografia papale, Zini scelse i torchi veneziani di Rampazetto per ripubblicare le Costituzioni gibertine del 1542; la dedica a Bernardo Navagero, nuovo vescovo di Verona e cardinale legato al concilio, non pare rilevare il fatto che, a Trento, le istanze di riforma più apertamente episcopaliste erano appena state aggirate a favore del verticismo romano. In questi anni di fervente attività, rimane traccia anche dell’insegnamento impartito privatamente ad alcuni rampolli del patriziato veneziano, tra cui i Priuli, i Contarini e il figlio del vescovo Navagero.
Di contro, il decennio 1564-74 si presenta particolarmente inoperoso. Come già sostenuto (Bossina - Maltese, 2002, pp. 257-260), è assai probabile che tale vuoto produttivo fosse causato da un estenuante processo per simonia dal quale Zini uscì indenne solo grazie all’intervento cardinalizio di Marcantonio Maffei e di Tolomeo Gallio, potente segretario di papa Gregorio XIII. Se non è da escludersi che, nel clima di rigore inquisitoriale sotto il papato di Pio V, Zini venisse punito, attraverso questo procedimento, per le passate frequentazioni con Pole e altre personalità legate agli ‘spirituali’, è bene non trascurare il carattere tutto locale della diatriba, scaturita verosimilmente dalla ritorsione dei parenti del precedente canonico di S. Stefano, tale Domenico Pellegrini, rinunciatario in favore di Zini; l’accusatore, Ortensio, risulta dagli atti portare anch’egli questo cognome, così come era un Pellegrini il Giulio ringraziato da Zini per la felice, seppure tardiva, conclusione della vicenda.
Con evidenti propositi di rivalsa, tra 1573 e 1575 Zini, oltre a licenziare due opere di Filone, organizzò la ristampa di tutti i precedenti lavori, redigendo nuove dediche in cui spiccano Gregorio XIII e Valier, vescovo di Verona dal 1565. Nel suo De cautione adhibenda (p. 55), Valier dichiara tuttavia che molte di queste edizioni uscirono per merito di Carlo Borromeo, che aveva avuto modo di notare Zini già nei primi anni Sessanta, come cardinal nipote di Pio IV. Per diretto interessamento di Valier, Zini editò invece alcuni importanti testi diocesani in volgare, incluso L’ordine e cerimonie per le celebrazioni veronesi del Giubileo con gli inediti Discorsi intorno alle indulgentie di Crispoldi, e quasi certamente stese una grammatica greca per gli allievi del seminario vescovile, creatura prediletta di Valier ancor più che la Scuola degli Accolti, visitata insieme a Zini nel 1566.
Morì con ogni probabilità tra 1579 e 1580, pochi anni dopo aver dettato l’iscrizione della propria lapide in S. Stefano. Era defunto nel novembre del 1580, quando il fratello Giberto chiese al cardinale Sirleto di raccomandare il proprio figlio, Teodoro, offrendo al porporato i libri greci di Zini (Vat. lat. 6193, cc. 626r, 630r-v, 634r). Sirleto si mosse in effetti presso Valier, il nunzio di Venezia e il vescovo di Vicenza, ricordando con trasporto il servizio compiuto da Zini a favore della causa cattolica attraverso le sue traduzioni (Vat. lat. 6946, cc. 313v, 325r).
Più che nella sfuggente collocazione nel panorama politico della Chiesa cinquecentesca, di cui non seppe o volle ravvisare le profonde fratture in atto, la cifra distintiva di Zini va ricercata proprio nella costante dedizione al corpus patristico greco, scientemente selezionato e trasposto in latino per una più larga fruizione, con una maestria elogiata ancora da Jacques-Paul Migne. Un impegno pressoché univoco e autonomo, svincolato dagli orientamenti e dalle vicende individuali dei suoi numerosi protettori, tale da rendere Zini il più esemplare e prolifico esponente del gruppo di studiosi cinquecenteschi attivi in Italia, che, padroneggiati gli strumenti della scuola umanistica sui testi della classicità pagana, volsero la propria attenzione di filologi agli scritti dei Padri; come molti suoi sodali – Sirleto, Hervet, Pietro Galesini e Gerardus de Vos (Gerardus Vossius Borchlonius) –, anche Zini proveniva dalle fila del clero regolare, prima dell’affermarsi, con il volgere del secolo, del primato gesuitico e più tardi benedettino in questo ambito di ricerca. L’unica incursione che Zini si concesse al di fuori dell’universo patristico fu una serie di annotazioni a Esiodo, non a caso incompiuta, pervenutaci attraverso l’Add. Mss., 10380 della British Library, un tempo parte della biblioteca di Scipione Maffei.
Fonti e Bibl.: Un gran numero di documenti è pubblicato in U. Da Como, Umanisti del XVI secolo. P.F. Z., suoi amici e congiunti, Bologna 1928. Si dovranno ora aggiungere: Biblioteca capitolare di Verona, Sommacampagna, b. 112, f. XXIV; Iter Italicum, II, London-Leiden 1977, pp. 295, 338, VI, 1992, p. 275; e le occorrenze della corrispondenza Cervini e Sirleto qui citati a testo.
A. Valier, De cautione adhibenda in edendis libri. Nec non Bernardi Cardinalis Naugeriii vita, Patavii 1719, pp. 55, 96; S. Maffei, Verona illustrata. Parte prima, Verona 1732, coll. 169 s.; I. Facciolati, Fasti Gymnasii Patavini, Patavii 1757, p. 314; L. Federici Prete, Elogi istorici dei più illustrati ecclesiastici veronesi, II, Verona 1818, pp. 18-22; F. Barberi, Paolo Manuzio e la Stamperia del Popolo Romano (1561-1570), Roma 1942, pp. 110, 127 s.; A. Prosperi, Tra evangelismo e Controriforma. Gian Matteo Giberti (1495-1543), Roma 1969, pp. XIV s., XXIII s., 221, 231, 234, 256 s., 260, 268, 271 s., 325; L. Bossina - E.V. Maltese, Dal ‘500 al Migne. Prime ricerche su P.F. Z. (1520-1580), in I Padri sotto il torchio: le edizioni dell’antichità cristiana nei secoli XV-XVI, a cura di M. Cortesi, Firenze 2002, pp. 265-273; L. Bossina, Teodoreto restituito. Ricerche sulla catena dei Tre Padri e la sua tradizione, Alessandria 2008, ad ind.; P. Salvetto, Tullio Crispoldi nella crisi religiosa del Cinquecento. Le difficili «pratiche del viver christiano», Brescia 2009, pp. 13, 65, 224, 262; E. Patrizi, Pastoralità ed educazione. L’episcopato di Agostino Valier nella Verona post-tridentina (1565-1606), 2 voll., Milano 2015, ad ind. (in partic. I, pp. 106-108); D. McKitterick, John Christopherson, humanist and benefactor, in G. Proot et al., Lux librorum: essays on books and history for Chris Coppens, Mechelen 2018, pp. 53-63 (in partic. p. 57); P. Sachet, Publishing for the popes: the Roman Curia and the use of printing, Leiden-Boston 2020, ad indicem.