CAPRIATA, Pier Giovanni
Nacque a Genova negli ultimi anni del sec. XVI. Studiò diritto e, dopo aver esercitato l'avvocatura, si dedicò ben presto alla storiografia "perché poco gli profittava di far con toga enfiata il fariseo" (il giudizio polemico è di Emanuele Tesauro, portavoce di violentissime critiche volte a colpire il C. sia come uomo sia come storico, nella Parenesi di F. Franchi al dottor Capriata inserita nell'Apologia in difesa del conte E. Tesauro, Torino 1673). Di elogi e pungenti detrazioni fu costellata tutta l'attività del C. che, come storico politico sempre in cerca di protezione, fu costretto ad operare una scelta mai del tutto disinteressata fra Spagna e Francia.
Si propose all'attenzione delle corti nel 1625 pubblicando a Genova i primi due libri della Historia sopra i movimenti d'arme successi in Italiadall'anno di N.S. 1613 fino al 1618 (ripubblicati a Milano nel 1627 da G. B. Bidelli, "aggiuntivi i sommarii degli altri quattro libri che mancano al completamento dell'opera"), in cui era narrata la prima guerra del Monferrato in chiave decisamente filospagnola.
Infatti il governo di Madrid veniva scagionato dall'accusa di ambiguità e presentato come leale paladino dei diritti legittimi del duca di Mantova, mentre si attaccava Carlo Emanuele I per la sua politica di aggressione. L'opera si diffuse rapidamente e, sebbene introdotta a Torino con molta cautela presso pochi librai, un esemplare giunse alla corte del duca il 24 febbr. 1626. La reazione fu immediata: tutte le copie esistenti in Piemonte vennero requisite e l'uditore di Camera del cardinal Maurizio, Ferrero Ponziglione, consigliò una "salsa" per confutare quell'"appassionato ed imboccato da' Spagnoli Genovese". A Genova l'opera fu tollerata benevolmente, perché la tendenza ispanofila del C. venne interpretata in linea con l'amichevole politica della Repubblica nei confronti della Spagna, la quale, debitrice dei banchieri genovesi e angustiata da una profonda crisi finanziaria, rimaneva sempre un potente baluardo contro le mire espansionistiche dei Savoia. Ma che la scelta del C. fosse dettata dalla ricerca di un sicuro finanziatore più che dalla fedeltà al regime oligarchico di Genova lo dimostrarono in seguito i suoi rapporti con la congiura del Vachero, scoperta il 31 marzo 1628 e ordita d'accordo con G. A. Ansaldo, agente di Carlo Emanuele I, per sovvertire le istituzioni della Repubblica e sottometterla al duca di Savoia.
Il C., per sfuggire agli inquisitori genovesi, che si apprestavano a punire in modo esemplare i responsabili del complotto, si rifugiò in Spagna. A Madrid, cui stava a cuore sia l'alleanza con la Repubblica che il recente avvicinamento ai Savoia, uniti a don Gonzalo de Cordoba nell'assedio di Casale, si svolsero difficili negoziati per conciliare Genova, fiera nella difesa del suo ordinamento minacciato, e il duca, che esigeva la liberazione dei prigionieri: durante tali trattative il C. brigò incessantemente ma invano presso G. F. Gandolfo, vescovo di Ventimiglia, inviato da Carlo Emanuele, per poter pubblicare a Torino la sua storia in preparazione in quegli anni, pronto ad accontentare il "gusto di S. A.". Ottenuto comunque il favore dell'Olivarez, entrò al suo servizio come consigliere legale dell'ambasciatore spagnolo a Genova e ne ricevette unaprovvisione di 300 ducati. Rientrato in Italia a conclusione del processo Vachero (1633), coperto dalla protezione dell'Olivarez. continuò a scrivere la sua Historia ricevendo dalla Repubblica delle regalie via via che se ne fosse reso meritevole.
Nel 1638 pubblicò a Genova (Torino aveva rifiutato i servigi della sua penna) presso i tipografi G. Calenzano e G. M. Farroni la prima parte della Historia... dal MDXIII al MDCXXXIV, dedicata ad Ottavio Raggi, uditore di Camera di Urbano VIII.
Il tono del C. era ancora fortemente polemico: egli, nella narrazione della guerra del Piemonte contro Genova (1625), tacciava di viltà il duca di Savoia per l'impresa di Savona e la Serenissima per la sconfitta di Valeggio. Le reazioni delle vittime della penna del C. furono altrettanto violente: a Venezia si pensò di vendicarsi dell'affronto facendo pugnalare il C. da un sicario, ma all'ultimo momento Zaccaria Sagredo, che era stato il bersaglio principale degli strali del C., rinunciò a infierire contro il suo calunniatore. Inflessibile fu l'atteggiamento di Urbano VIII, cui spiaceva il tono filospagnolo della Historia e soprattutto gli apprezzamenti negativi sui cardinali nipoti Antonio e Francesco Barberini nonché sul cardinal Mazzarino. Il pontefice, con cui Genova stava svolgendo difficili negoziati per la questione delle "regie onoranze", tramite il cardinal Borghese, protettore della Repubblica, tentò di ottenere la modifica del testo dal libro VII alla fine. Le correzioni alla Historia del C. divennero così un altro elemento della trattativa in corso: Genova riconobbe il 25 febbr. 1639che il C. nella sua Historia "ha scritto molte inettie e cose senza fondamento o sostanza" e si dichiarò pronta a fare ammenda, pur osservando molto politicamente che qualsiasi rimedio avrebbe ormai corroborato anziché diminuito i sospetti. L'opera fu pertanto affidata per le correzioni a B. Viale e a R. Della Torre, storico e teorico della sovranità assoluta di Genova; veniva inoltre condannata "donec expurgetur" dall'Inquisizione di Stato e messa all'Indice; contemporaneamente, il 20 maggio 1639, le autorità genovesi scrissero allo Spinola, loro agente a Roma, "di vendere il negotio caro nella maniera che alla molta sua destrezza parerà".
Mentre la prima parte della Historia continuava ad essere rigorosamente vietata, il C. ottenne la licenza di pubblicare la seconda, comprendente gli anni dal 1634 al 1644, che si cominciò a stampare a Genova il 15 febbr. 1648. Frattanto in quegli anni, per mezzo di Giannettino Giustiniani, il C. aveva iniziato una corrispondenza con il cardinal Mazzarino per offrirgli i servigi della sua penna che in quest'ultima parte dell'Historia era già stata benevola nei confronti della Francia e della reggente del ducato di Savoia Cristina, vedova di Vittorio Amedeo I e figlia di Enrico IV, ostile al principe Tommaso e al cardinal Maurizio, fratelli del defunto duca.
Il cardinal Mazzarino accettò queste offerte di amicizia, pur essendo ben consapevole che "codesta sorta di gente che fa il mestiere di scrivere historie ma non la verità, bisognono di regali,... ma quello che vi è di buono è che se gli Spagnoli con seicento scudi hanno fatto mutare sei fogli, ancora saremo a tempo di fargliene cambiare sei altri coi nostri denari" (Lettere del card. G Mazzarino a G. Giustiniani, a cura di V Ricci, IV, Torino 1863, p. 116). Scrivendo direttamente al C. da Compagne il 9 giugno 1650 il Mazzarino chiarisce i suoi rapporti: "V. S. non ha bisogno di valersi dei comuni complimenti per assicurarmi del suo affetto, ella me lo dimostra con modi più particolari e da me più stimati che sono quelli che procedono dalla sua penna" (G. Claretta).
La terza parte dell'opera, composta di sei libri, in cui la narrazione giunge fino al 1650, fu forse commissionata da don Giovanni d'Austria per far celebrare la sua condotta nel Napoletano e venne pubblicata postuma nel 1663 dal figlio del C., Giambattista.
Ignota è la data della morte del C., avvenuta comunque dopo il 1656 e prima del 1663.
L'Historia ebbe larga diffusione non solo in Italia ma anche all'estero e conobbe traduzione in inglese ad opera del conte Henry of Monmouth. Tuttavia durissime furono le critiche alla venalità del C. che ne avrebbe danneggiato l'obiettività: "le penne degli scrittori bisognosi sono come l'ago dei naviganti che sentendosi vicini all'amato metallo a quello immantinente si rivolge e più non mostra il vero "ed ancora: "la vostra penna venale somiglia alla penna del pavone che ad ogni passo cangia colore, et perciò a voi non si dee credere né il falso né il vero perché vendete le verità e le menzogne a peso d'oro", affermava il Tesauro (Neri, p. 36). La critica settecentesca, pur nell'ambito di una valutazione complessivamente negativa della storiografia del XVII sec., attribuì al C. una certa dose di credibilità (G. Tiraboschi, Storia della lett. ital., IV, Milano 1831, p. 524), e lo stesso Muratori attinse, alla sua opera per la parte seicentesca degli Annali.
Fonti e Bibl.: T. Boccalini, Ragguagli di Parnaso, a cura di G. Rua, I, Bari 1934, pp. 193-97; Istruzioni e relaz. degli ambasciatori genovesi, a cura di R. Ciasca, II, Roma 1955, pp. 243 s., 253; R. Soprani, Gli scrittori della Liguria, Genova 1667, p. 242; V. Siri, Mem. recondite, VII, Ronco 1679, p. 118; G. B. Spotorno, Storia letter. della Liguria, III, Genova 1825, pp. 60-62; G. Claretta, Storia della reggenza di Cristina di Francia,duchessa di Savoia, II, Torino 1869, pp. 489-491; E. Ricotti, Storia della monarchia piemontese, V, Firenze 1869, pp. 63-70; A. Neri, Saggi storici intorno a P. G. Capriata e Luca Assarino, Genova 1875, pp. 1-40; F. Nicolini, Don Gonzalo Fernández de Cordoba e la cosidetta responsabilità della guerra del Monferrato, in Italia-Spagna, Firenze 1941, pp. 195-244; A. De Rubertis, La congiura spagnuola contro Venezia nel 1618, in Arch. stor. ital., CV(1947), p. 20; V. Vitale, Breviario della storia di Genova, I, Genova 1955, pp. 283-85.