BRESCHI, Pier Giulio
Nacque a Finale Pia (Savona) il 28 nov. 1874 da Ottavio e da Enrichetta Barrili. A 15 anni fu iniziato al giornalismo dallo zio Anton Giulio Barrili nel quotidiano genovese Colombo; nel 1896 entrò con Luigi Arnaldo Vassallo al Secolo XIX, nel quale si occupò di critica teatrale, di commenti alle questioni del giorno e di altre rubriche che egli talvolta illustrava con propri disegni.
Spirito eclettico, ebbe diversi interessi: fu pittore, incisore e fondatore del Gruppo romano incisori artisti; compose musiche per violino e piano, per piano e orchestra; scrisse, in collaborazione con A. Orsi, il dramma Un ospite qualunque, rappresentato la prima volta in Roma dalla comp. Monaldi nel 1924.
Nel 1903, anno di fondazione del Consorzio autonomo del porto di Genova, fu chiamato dal generale Stefano Canzio a collaborare come capogabinetto alla sua creazione e direzione; dopo la morte del Canzio, avvenuta nel 1908, vi rimase ancora un anno col senatore Ronco. Passò poi nel 1910 all'attività di armatore marittimo e fluviale a Roma: sua fu la linea marittima fluviale Civitavecchia - Roma, che disimpegnò largamente servizi di approvvigionamento durante la guerra.
Nel 1919, diventato consigliere delegato della società "L'Editrice", proprietaria del Messaggero, si dedicò interamente all'incremento del giornale divenendone il direttore fino al 1931, succedendo al Cesana. Nell'incerto e confuso periodo tra il 1924 eil '25 mantenne dalle colonne del giornale un atteggiamento cauto verso il fascismo, preferendo non compromettere apertamente Il Messaggero, come tentavano invece di fare altri giornalisti tra cui il Gayda.
Dal gennaio 1925 l'allineamento del B. divenne più scoperto ed egli iniziò rapporti personali di amicizia con Mussolini, dal quale fu in quell'anno nominato cavaliere di gran croce della Corona d'Italia. Ma, nonostante ciò, non mancarono attacchi violenti, specie da parte del quotidiano fascista romano IlTevere, che nel 1926 lo accusava di essere un massone e un falso sostenitore del regime. Si delineò fin d'allora un atteggiamento diffidente del partito fascista verso il B., considerato troppo legato ai Perrone, proprietari del Messaggero, piuttosto che al fascismo.
Tuttavia, quando nel 1931 i Perrone lo licenziarono dal giornale accusandolo di cattiva amministrazione, egli entrò al Popolo di Roma di cui divenne redattore. Nel 1933 chiese l'iscrizione al partito fascista che rispose con indugi, tanto che l'anno successivo non gli era stata ancora concessa la tessera. La vertenza con i fratelli Perrone, iniziatasi all'atto del suo licenziamento, esplose nel 1934 quando il B. chiese la proprietà del Messaggero in base a un contratto del periodo giolittiano. Egli sosteneva che i motivi della vertenza erano dipesi non da ragioni amministrative, ma dalla sua fedeltà al regime, che contrastava con i disegni dei Perrone, i quali desideravano tenere svincolato il giornale dal fascismo.
La controversia fu troncata dalla morte del B., avvenuta il 12 ag. 1937 a Santa Margherita Ligure.
Fonti e Bibl.: Arch. Centrale dello Stato, Segreteria Particolare del Duce, Carteggio conservato 1922-43, b. 50: Il Messaggero; La casa di S. Giorgio, Memorie e documenti, a cura di U. Villa, Genova 1905, pp. 75-77; L. Lodi, Giornalisti, Bari 1930, pp. 230-35; Chi è?, Roma 1936, ad vocem.