PASINETTI, Pier Maria
PASINETTI, Pier Maria. – Secondo di due figli, nacque a Venezia il 24 giugno 1913, da Carlo, medico primario all’ospedale civile di Venezia e libero docente all’Università di Padova, e Maria Ciardi, figlia del pittore Guglielmo.
Trascorse la fanciullezza a Venezia, in un ambiente familiare vitale e sereno. Sul finire del 1917, tuttavia, in coincidenza con alcune fasi particolarmente gravi del primo conflitto mondiale, la famiglia fu costretta a spostarsi per alcuni mesi a Milano. A Venezia frequentò, come il fratello Francesco, il liceo Marco Polo e il liceo Marco Foscarini, dove si diplomò nel 1930. Si iscrisse alla facoltà di lettere dell’Università di Padova, mostrando da subito un interesse spiccato per le letterature straniere, laureandosi nel 1935 in letteratura inglese con una tesi dal titolo L’artista secondo James Joyce. Furono frequenti, in questi anni, i viaggi in Inghilterra e in Irlanda, fatti spesso in compagnia del padre, del fratello e dell’amata zia Emma, anch’essa pittrice, figura che assunse un ruolo importante dopo la morte della madre avvenuta nel 1928. Fu più volte a Dublino per studiare e fare ricerche sulla figura di Joyce.
Durante gli anni universitari fu tra gli animatori, assieme ad altri studenti veneziani, della rivista Ventuno, che ebbe nel fratello Francesco il principale promotore. Fondata nel 1932, inizialmente con il titolo di Gazzetta di poesia, e ispirata a un’idea di cultura dalla «valenza pedagogico e programmatica» (v. M. Reberschak, L’importanza sconfinata dei tempi. I fratelli Pasinetti alla ricerca della cultura, in Le parentele inventate, 2011, p. 103), la rivista attirò numerosi collaboratori nel corso dei suoi dieci anni di attività: tra gli altri Mario Tobino, Pietro Ingrao, Renato Guttuso, Franco Modigliani, Diego Valeri, Ardengo Soffici, Vasco Pratolini, Mario Luzi, Michelangelo Antonioni, Giovanni Comisso, Carlo Cassola, Giulio Carlo Argan. Pasinetti collaborò, in questi anni, anche con il Corriere padano.
Vincitore di una borsa di studio post laurea, nel 1936 conseguì il Master of Arts alla Louisiana State University, con una tesi dal titolo The tragic elements in Hawthorne’s works. Nello stesso anno si trasferì in California, all’Università di Berkeley, potendosi avvalere di una seconda borsa di studio in letteratura inglese.
Apparvero in lingua inglese, pubblicati in riviste straniere, i primi racconti di Pasinetti. Home coming, racconto lungo in cui affioravano già alcuni motivi della narrativa matura dell’autore – il tema del ritorno, il rapporto tra passato e presente, i personaggi femminili dalla forte personalità e dalla prorompente fisicità, le difficili vicende familiari e gli intrecci sentimentali spesso impossibili –, trovò spazio in The Southern Review nella primavera del 1937, grazie alla mediazione di Robert Penn Warren (poi in Primato con il titolo Un uomo d’ordine nel 1942). La stessa rivista ospitò, due anni dopo, il secondo racconto di Pasinetti, Family history, costruito attorno alle vicende di una famiglia borghese e di un giovane ambizioso ed egocentrico; successivamente notato da Edward J. O’Brien, venne incluso nella Best short stories del 1940, per poi confluire, con Il matrimonio e Il soldato Smatek, racconti scritti nel corso degli anni Trenta, nel primo libro a stampa di Pasinetti, L’ira di Dio (Milano 1942).
Nel 1938 si trasferì in Germania, senza tuttavia interrompere i contatti con l’Italia. Fu a Roma più volte: qui ritrovò il fratello Francesco, regista e direttore del Centro di cinematografia di Cinecittà, e collaborò con le riviste Cinema e Primato. Dalla Germania, dove rimase come studente a Berlino e lettore di italiano a Gottinga assistendo all’affermazione del nazismo, ottenne il trasferimento solo nel 1942. Raggiunse dapprima la Svezia, dove continuò a dedicarsi all’insegnamento e diresse l’Istituto italiano di cultura di Stoccolma; quindi, agli inizi del 1946, gli Stati Uniti, dove approdò finalmente per l’interessamento dell’amico Warren e di Allan Seager, scrittore conosciuto durante i viaggi giovanili a Oxford e poi nella prima permanenza statunitense (cfr. W. Bedford Clark, Warren and P.: a study in friendship, in The South Carolina review, 2006, vol. 38, n. 2, pp. 146-154). A Philadelphia proseguì i suoi studi ed ebbe un incarico da insegnante al Bennington College, nel Vermont; a Yale, nel 1949, ottenne il Ph.D. in comparative literature sotto la guida di René Wellek, con una tesi dal titolo Life for art’s sake: studies in the literary myth of the romantic artist, «un saggio di letteratura comparata» che abbracciava «il Werther e l’Ortis, Leopardi patriottico e i Sepolcri, Novalis, Hoffman, Baudelaire» (F. Bruni, Dalle lettere di René Wellek: P. e la «Norton Antology», in Le parentele inventate, 2011, p. 67), pubblicato solo molti anni dopo (New York 1985). Nel 1949 ottenne la cattedra di letteratura comparata all’Università della California di Los Angeles (UCLA); nello stesso anno perse il fratello Francesco, con il quale aveva mantenuto un rapporto di strettissima vicinanza affettiva e culturale.
Pasinetti trascorse la maturità dividendosi tra gli Stati Uniti e l’Italia e in particolare tra l’incarico universitario in California e l’amata Venezia.
Espressione più diretta del suo impegno accademico fu la rivista letteraria Italian quarterly, che fondò nel 1957 insieme con Dante Della Terza, Carlo Golino e Lowry Nelson Jr. Importante fu anche la sua collaborazione alla stesura della Norton anthology of world masterpieces, curata da Maynard Mack, per la quale si occupò di letteratura del Rinascimento.
Dopo l’Ira di Dio, Pasinetti non smise di dedicarsi all’attività narrativa. Lavorò per circa dieci anni al primo romanzo, Rosso veneziano (Roma 1959; poi Milano 1965, con consistenti tagli editoriali), storia di due famiglie, i Partibon e i Fassola, colte dinanzi agli eventi storici di poco precedenti lo scoppio della seconda guerra mondiale. Un ruolo di primo piano vi assumeva il dialogo, che divenne via via sempre più determinante nella strategia narrativa dello scrittore. Seguì La confusione (Milano 1964 e 1980, con il titolo Il sorriso del leone), ambientato tra Roma, Venezia e Los Angeles, non-luoghi di una intricata «geografia interiore», entro la quale i personaggi, e tra questi un Partibon, cercavano di chiarire uno stato di disorientamento esistenziale (cfr. D. Della Terza, Contemporary Italian novelists. Language and style in P.M. Pasinetti’s La confusione, in Italian quarterly, VIII (1964), 29, pp. 64-76). Con il Ponte dell’Accademia (Milano 1968), finalista al premio Campiello, Pasinetti approfondiva la propria riflessione sul linguaggio, inteso «come immagine e strumento umano della realtà morale e psicologica» (v. G. Pampaloni, Il Ponte dell’Accademia…, in Corriere della sera, 11 luglio 1968), mettendo in scena il conflitto interiore di un personaggio e quello tra due fazioni impegnate in una lotta per il potere all’interno di un istituto di ricerca americano sulla comunicazione. Con Domani improvvisamente (Milano 1971), riprese alcuni personaggi dal precedente romanzo e, attraverso un’ibridazione di tipo formale (lettere, pagine di diario, testimonianze), e l’intreccio di piani narrativi e punti di vista, restituì una realtà di solitudine e alienazione. In continuità con l’opera precedente, nel 1979 usciva Il Centro (Milano), «punto culminante della tecnica narrativa di Pasinetti per quanto concerne l’uso della plurivocità e il predominare del discorso sul narrato» (M. Cottino Jones, Il «Centro» nella strategia narrativa di P., in Italian quarterly, XXVI (1985), 102, p. 24), in cui veniva raccontata, da quattro punti di vista differenti, la vicenda di Arrigo Paolotti, direttore di un altro Centro di ricerca americano, simbolo di un tecnicismo vuoto e autoreferenziale. In Dorsoduro (Milano 1983), tornava invece un personaggio di Rosso veneziano, Giorgio Partibon, sorta di alter ego dell’autore; giovanotto nel primo romanzo, diveniva qui voce narrante delle vicende di altre famiglie veneziane del sestiere di Dorsoduro, da lui stesso conosciute e frequentate alla fine degli anni Venti. A distanza di un decennio, il romanzo Melodramma (Venezia 1993) tornava a interessarsi delle vicende della famiglia Partibon, a partire dall’esperienza repubblicana di Daniele Manin. Mescolando la storia vera prelevata dagli archivi con le invenzioni romanzesche e mostrando lo stesso atto della creazione letteraria, Melodramma svelava l’elaborazione ideologica celata dietro ogni discorso sul passato (cfr. C. Della Coletta, Il teatro della storia e il mondo del romanzo: “Melodramma” di P.M. P., in Studi novecenteschi, 1993, n. 45-46, pp. 237-262). Dopo l’appendice lagunare di Piccole veneziane complicate (Venezia 1996), con Astolfo (Spinea 2005) Pasinetti proseguiva il percorso cominciato con Il ponte dell’Accademia, proponendo una lingua carica di tecnicismi, neologismi e abbreviazioni, segno di una modernità sempre più sterile e impersonale.
Numerose furono le collaborazioni giornalistiche nel corso della sua lunga carriera. Lasciata alle spalle l’esperienza giovanile di Ventuno, dal 1933 divenne collaboratore per la Gazzetta del popolo; quindi, dopo la parentesi romana di Cinema e Primato, per Oggi e nel dopoguerra per Il Mondo di Pannunzio, Cronache e Settimo giorno. Inaugurata nel 1964 da una prima recensione dedicata a Il gruppo di Mary McCarthy, la collaborazione al Corriere della sera avvenne dapprima nelle pagine del domenicale Corriere letterario, poi, a partire dal 1966, nella più prestigiosa terza pagina, dove Pasinetti scrisse soprattutto di questioni americane. Dall’estrema America fu il titolo scelto per una raccolta di articoli apparsi nel Corriere, edita da Bompiani (Milano 1974).
Non di minore importanza fu l’attività di scrittura cinematografica, iniziata negli anni Trenta con la stesura del soggetto del lungometraggio Il canale degli angeli (1934) e proseguita l’anno dopo al fianco di Roberto Zerboni, che accompagnò nella stesura del soggetto e nella regia del cortometraggio Nuvola. Nel 1953 fu consulente tecnico per Julius Caesar di Joseph L. Mankiewicz e cosceneggiatore della Signora senza camelie di Michelangelo Antonioni. Lavorò a stretto contatto anche con il regista Franco Rossi: frutto di questa collaborazione furono Smog (1962), un’Eneide televisiva (1971) e la riduzione cinematografica che seguì (Le avventure di Enea, 1974). Pasinetti comparve nel ruolo di se stesso nel film di Francesco Rosi Lucky Luciano, del 1974, mentre l’anno dopo seguì la trasposizione televisiva del suo Rosso veneziano, per la regia di Marco Leto.
Conclusa l’esperienza accademica nel 1985, fece ritorno a Venezia, recandosi però più volte oltreoceano per visite e conferenze. Restò incompiuta l’autobiografia Fate partire le immagini, stesa probabilmente tra gli ultimi mesi del 1999 e i primi del 2001 e pubblicata postuma (Roma-Padova 2010).
Pasinetti morì a Venezia l’8 luglio 2006.
Fonti e Bibl.: Si servono dell’apporto delle carte autografe conservate dal Centro interuniversitario di studi veneti (CISVe), i contributi raccolti in Le parentele inventate. Letteratura, cinema e arte per Francesco e P.M. P., Atti del convegno internazionale, Venezia… 2009, a cura di A. Rinaldin - S. Simion, Roma-Padova 2011. Si vedano inoltre il numero monografico dedicato a P. dalla rivista da lui fondata Italian quarterly, XXVI (1985), n. 102, nonché il sito internet http://digilander.libero.it/pasinetti, che raccoglie informazioni biografiche, schede bibliografiche, testimonianze e ampi stralci di pubblicazioni e contributi critici dedicati all’autore.