MOLINELLI, Pier Paolo
– Nacque il 2 marzo 1702, nella frazione di Bombiana del Comune di Gaggio Montano, presso Bologna, da Silvestro e da Maria Maddalena Giacomazzi.
Rimasto orfano, ancora fanciullo, ebbe come tutore un lontano congiunto Pier Giovanni Molinelli, autore di alcuni consulti medici rimasti manoscritti (Bologna, Biblioteca universitaria, Mss., 1088, vol. I: Gemina consultatio medica, altera de dolore coxendicum, altera de facultatis et functionum animalium torpore). Il M. fu designato erede universale, salvo alcuni legati, dallo zio Domenico, fratello del padre e rettore della chiesa di S. Nicolò di Monteacuto delle Alpi, presso Bologna, morto il 17 ott. 1711. Non trova, invece, riscontro la notizia di un lascito pervenutogli alla morte di Pier Giovanni (21 ag. 1751).
Dopo aver compiuti gli studi elementari presso i gesuiti, seguì a Bologna i corsi di filosofia di Lelio Trionfetti, di matematica di Geminiano Rondelli e di retorica di Francesco Bottazzoni. Iscrittosi nell’università degli artisti, si laureò in filosofia e medicina il 18 dic. 1727. Nel corso degli studi aveva avuto modo di dimostrare le sue doti, comunicando all’Accademia dell’Istituto delle scienze di Bologna alcune osservazioni sulla reattività delle meningi e sulla cause e la terapia delle emiplegie, dimostrando che queste sono sempre dal lato opposto al lobo cerebrale leso (Experimenta anatomica et incisiones observationesque nonnullae, in De Bononiensi Scientiarum et Artium Instituto atque Academia Commentarii, I [1731], pp. 139-141). Pure un caso di calcolosi vescicale in un vecchio settantenne, che aveva determinato la formazione di una fistola tra vescica e perineo aveva attratto il suo interesse (De morbis variis et miris quibusdam in humano corpore observatio, ibid., pp. 151-155).
In quell’epoca era consuetudine a Bologna che gli studenti di medicina, prima della laurea, espletassero un servizio di tre anni in qualità di medici-astanti presso l’ospedale di S. Maria della Vita o di S. Maria della Morte, ancora non unificati nell’ospedale Maggiore. Gli astanti avevano fra le altre mansioni quella di accogliere i nuovi pazienti. È probabile che questa esperienza abbia portato il M. a rilevare i casi descritti in Observationes medica tres (ibid., II [1745], parte 1a, pp. 157-160).
Nella prima osservazione il M. riferì di una donna, che affetta da itterizia e vomito incoercibile, venne rapidamente a morte. Il riscontro autoptico dimostrò la presenza di un voluminoso tumore duodenale metastatizzato al fegato. Nella seconda illustrò quanto accaduto a un paziente, che da solo, si era tolto un corpo estraneo, cavo, e contenente al suo interno, oltre alle feci, alcuni calcoli della grandezza di grani di frumento. Questa formazione determinava gravi alterazioni del transito intestinale, che cessarono una volta rimosso l’ostacolo meccanico. Nella terza, infine, approfondì le relazioni esistenti fra ferite suppuranti del capo e lo sviluppo di ascessi in vari organi, in particolare fegato e polmoni.
Nel corso del 1729 si manifestò nella campagna bolognese, al confine con i territori di Ferrara e di Ravenna, tra i fiumi Reno e Sillaro, un’epidemia, probabilmente di origine malarica. Il Senato incaricò il M. e Giuseppe Azzoguidi di recarvisi per prestare soccorso alle popolazioni. Il M. individuò nella «corteccia peruviana» (chinino) il farmaco più idoneo a contrastare quelle febbri e in poco tempo ne ebbe ragione. Lo utilizzò, poi, anche, per la terapia delle cancrene con risultati che lo incoraggiarono a proseguirne la somministrazione in questa patologia (De antinecrotica peruviani corticis vi, ibid., pp. 196-211).
In possesso di una approfondita cultura scientifica e di una notevole esperienza, nonché di un acuto spirito di osservazione, grazie a una lettera di presentazione di Girolamo Maria Donduzzi, di cui era assistente all’ospedale di S. Maria della Vita, il M. decise nel 1730 di recarsi a Parigi presso la scuola di Sauveur-François Morand, che lo chiamò a far parte, in qualità di socio corrispondente, della prestigiosa Académie de chirurgie. Prima di ritornare in Italia visitò anche la facoltà di medicina di Montpellier per apprendere le tecniche chirurgiche là utilizzate. Al suo rientro il Senato bolognese istituì per lui, il 25 nov. 1732, un nuova lettura De chirurgicis operationibus, assegnandoli un onorario doppio di quello normalmente concesso ai docenti dello Studio, 400 lire bolognesi. Ricoprì questa lettura sino all’anno accademico 1750-51, quando passò a quella di Ad praticam medicinae supraordinariam, che resse sino alla morte.
Tra le novità che il M. introdusse a Bologna, di ritorno dalla Francia, ci fu l’insegnamento agli studenti delle tecniche chirurgiche attraverso la dissezione dei cadaveri. Questa esperienza didattica fu da lui condensata in una relazione inoltrata al Senato bolognese il 14 giugno 1741, nella quale proponeva di istituire una cattedra al fine di mantenere ai massimi livelli a qualità della scuola chirurgica bolognese (Archivio di Stato di Bologna, Assunteria di Studio, Requisiti dei lettori, b. 18, f. 35). L’invito fu raccolto dalle istituzioni bolognesi e dallo stesso pontefice Benedetto XIV, che con motu proprio del 23 ag. 1742 istituì un insegnamento di Ostensione delle operazioni chirurgiche.
Grazie ai buoni uffici dell’archiatra pontificio Antonio Leprotti, sollecitato dai senatori bolognesi Filippo Aldrovandi e Paolo Magnani, il pontefice ordinò, per il nuovo insegnamento, un ricchissimo armamentario di ferri chirurgici al celebre artigiano parigino Lapeyronie. Luigi XIV conosciuta la commessa pontificia, volle personalmente disporre che questi ferri venissero forgiati nel migliore dei modi, facendone successivo dono al pontefice. Nonostante le particolari precauzioni adottate dal papa affinché questo patrimonio non andasse disperso, oggi di esso sono superstiti solo alcuni pezzi esposti nei Musei di Palazzo Poggi (Bologna). Le lezioni del corso dovevano tenersi due volte l’anno per un periodo di venti giorni ciascuno. Le esercitazioni avevano luogo nel mese di dicembre presso l’ospedale di S. Maria della Vita (a quell’epoca nella nuova sede di via Riva Reno, oggi non più esistente in quanto distrutta dai bombardamenti durante la seconda guerra mondiale), mentre nel mese di febbraio avvenivano nell’ospedale di S. Maria della Morte, attuale sede del Museo civico archeologico. Nella lezione inaugurale del corso (Ad pubblicam chirurgicarum operationum in cadaveribus ostensionem. Oratio, Bologna 1742), il M. sostenne con grande fervore la giustezza della sua idea, ricordando i suoi maestri.
In quegli anni M. affrontò in varie dissertazioni problemi anatomo chirurgici di grande attualità. Propose un suo metodo operatorio per intervenire sulle vie lacrimali in caso di fistole, richiedendo al grande ceroplasta Ercole Lelli di preparare una tavola con l’anatomia di esse (De fistula lacrimali, in De Bononiensi Scientiarum et Artium Instituto atque Academia Commentarii, II [1745], parte 1a, pp. 161-174); studiò gli aneurismi secondari alle lesioni delle arterie nei salassi, nonché il circolo collaterale che seguiva alla legatura dell'arteria stessa (De brachii aneurysmate e laesa in mittendo sanguine arteria, ibid., pp. 178-184; De aneurysmate a laesa brachii in mittendo sanguine arteria, ibid., II [1746], parte 2a pp. 65-106); indagò la funzionalità dei nervi lesi o recisi (De ligatis sectisque nervis octavi paris, ibid., III [1755], pp. 280-297). Dimostrò, anche, che i capi prossimale e distale lacerati del tendine di Achille potevano ricongiungersi senza alcun intervento (De vulnerato Achillis tendine, ibid., II [1745], parte 1a pp. 189-196) e ideò un apparecchio per sostenere l’arto inferiore in caso di frattura della rotula (De rupto patellae tendini, ibid., V [1767], parte 2a, pp. 9 s.). Per le lussazioni dell’osso joide consigliò tecniche di intervento diverse a seconda che queste fossero anteriori o posteriori (Observationes aliquot medicae: observatio prima. De ossis hyoidis luxatione, ibid., pp. 1-6). Tentò di scagionare il rame, materiale presente, allora, nella maggior parte delle pentole e dei tegami di uso quotidiano, dalle accuse di procurare frequentemente degli avvelenamenti, con un esperimento che creò scalpore nell’intera città di Bologna. Infatti fece cuocere in vasi di rame stagnati e non stagnati manicaretti a base di piccioni, grasso di maiale e sale. Offrì questa prelibatezza a diciotto individui, facendo loro intingere alcuni pezzi di pane nel grasso, raschiando il fondo delle teglie. Nessuno di loro, alcuni dei quali affetti da precedenti patologie, ebbe a patire da questo esperimento. Certo il M. non tenne conto che solo in alcune condizioni come la cottura di sostanze acide si ha lo scioglimento di particelle di metallo, dannose alla salute umana (De venefica aeris indole, ibid., pp. 7 s.).
Cultore, sin dalla gioventù, di studi di fisica, compendiò le sue ricerche sulla caduta dei corpi nell’acqua in un saggio sull’argomento (De gravium corporum descensu in aqua, ibid., V [1767], parte 2a, pp. 280-290). Accanto a queste opere a stampa sono ancora da ricordare i due volumi manoscritti di consulti, conservati nella Biblioteca universitaria di Bologna (Mss., 1088, vol. II-III; il vol. I contiene vari consulti raccolti probabilmente dallo stesso M., memorie del suo tutore Pier Giovanni). Per la sua fama fu nominato, il 20 apr. 1749, socio corrispondente della Royal Society di Londra.
Nel 1733 aveva sposato Elena, figlia del suo protettore Girolamo Maria Donduzzi. Dal matrimonio nacquero cinque figli: uno di questi, Giovanni Pietro (1741-1812), seguì le orme paterne, succedendogli nell’insegnamento delle Ostensioni delle operazioni chirurgiche; di lui si conoscono due manoscritti conservati a Bologna nella Biblioteca comunale dell'Archiginnasio, contenenti uno lezioni di chirurgia (Mss., B.2568), l'altro lezioni sulle ulcere (ibid., B.1858).
Colpito nel 1763 da una apoplessia che gli aveva paralizzato gli arti inferiori, il M. morì a Bologna il 12 ott. 1764.
Fonti e Bibl.: G. Roberti, Orazione funebre a P.P. M. bolognese, Bologna 1765; G. Fantuzzi, Notizie degli scrittori bolognesi, V, Bologna 1786, pp. 37-41; M. Medici, Elogio di P.P. M., in Memorie dell’Accademia delle Scienze dell’Istituto di Bologna, V (1854), pp. 337-389; A. Corradi, Della chirurgia in Italia dagli ultimi anni del secolo scorso fino al presente. Commentario, Bologna 1871, ad nomen; E. Veggetti, P.P. M. e la prima cattedra italiana di medicina operatoria, in Studi e memorie per la storia dell’Università di Bologna, IX, Bologna 1926, pp. 110-143; M. Merlini, Maestri di chirurgia nell’Ateneo bolognese. P.P. M., in La Clinica, IV (1938), pp. 303-307; G. Forni, La chirurgia nello studio di Bologna. Dalle origini a tutto il secolo XIX, Bologna 1948, pp. 132-136, pp. 142 s.; V. Busacchi - F. Lollini, Dalla istituzione della cattedra di medicina operatoria ad opera di Benedetto XIV alla creazione della industria italiana dei ferri chirurgici, in Sette secoli di vita ospitaliera in Bologna, Bologna 1960, pp. 169-182; M. Pantaloni - R. Bernabeo, P.P. M. e l’istituzione della cattedra di medicina operatoria in Bologna, in Atti della V Biennale della Marca e dello Studio Firmano ...1963, Fermo 1963, pp. 369-385; Enc. It., XXIII, p. 563; Biographisches Lexikon der hervorragenden Aerzte, IV, p. 260.