PASOLINI, Pier Paolo
PASOLINI, Pier Paolo. – Nacque a Bologna il 5 marzo 1922, primogenito di Carlo Alberto (ufficiale di carriera, appartenente al ramo secondario di una nobile famiglia ravennate, i Pasolini dall’Onda) e di Susanna Colussi (maestra elementare, originaria di Casarsa della Delizia, un borgo friulano alla cui antica fondazione la leggenda racconta che i Colussi abbiano partecipato).
Durante i primi anni di vita abitò in varie città dell’Italia del Nord, seguendo gli spostamenti del padre; nel 1923 la famiglia fu a Parma, nel 1924 a Conegliano, nel 1925 a Belluno, dove nacque il fratello Guido. Dopo qualche altra peregrinazione la famiglia si trasferì nel 1929 a Sacile, presso Pordenone. Dal 1932 al 1935 vissero a Cremona, poi ci fu un ennesimo trasferimento, a Scandiano (nella provincia di Reggio nell’Emilia); nel 1936, al ginnasio di Reggio Emilia, Pasolini conobbe Luciano Serra, primo amico della giovinezza con cui scambiare impressioni di lettura. Lo ritrovò l’anno dopo al liceo Galvani di Bologna, dove i Pasolini si trasferirono per restarvi fino alla fine del 1942. Saltato l’ultimo anno di liceo, si iscrisse alla facoltà di lettere nel 1939; in tutto questo periodo giovanile, nella girandola frastornante delle scuole diverse e dei traslochi, rimase una costante della famiglia l’usanza di trascorrere le vacanze estive a Casarsa.
Durante l’infanzia e l’adolescenza i due fratelli soffrirono dei rapporti non buoni tra il padre e la madre, che spesso sfociavano in litigi; il padre, d’indole passionale, talvolta violento, lamentava che la moglie lo disprezzasse e non lo amasse abbastanza; quando cadeva in crisi depressive, risolveva bevendo. La madre era più intellettuale e riservata e il piccolo Pier Paolo stava completamente dalla sua parte (salvo poi riconoscere, da adulto, un’oscura fascinazione per il solido e massiccio corpo paterno). Ma, a livello superficiale, l’immagine che si ricava da questi primi anni è quella di un ragazzo che la famiglia pone al centro di tutte le cure; adorato e riverito dal fratello, esaltato dai genitori per la precoce vocazione di poeta, capace di amicizie e desideroso di avventura. Un ragazzo forte e sportivo, che amava la scherma e il gioco del calcio, leader naturale di bande che giocano alla guerra.
All’Università si legò d’amicizia, oltre che con Serra, con Roberto Roversi e Francesco Leonetti, insieme ai quali immaginò una rivista (Eredi) che non vide mai la luce. Le sue materie preferite erano la filologia romanza e la storia dell’arte; udì le lezioni di Roberto Longhi (il corso sui Fatti di Masolino e di Masaccio) e decise di chiedergli la tesi. Studente brillante, scrisse articoli per Architrave, la rivista del Gruppo universitario fascista (GUF), e fu redattore de Il Setaccio, la rivista della Gioventù italiana del Littorio (GIL); il suo potenziale antifascismo fu tutto culturale, insofferenza per la chiusura e le censure del regime.
Nel 1942 pubblicò presso un piccolo editore di Bologna Poesie a Casarsa, scritte nel friulano della zona a ovest del Tagliamento, una lingua che non vantava tradizioni letterarie, una lingua vergine e in parte inventata per puri scopi letterari.
Da questo momento valse per Pasolini una ‘mania delle origini’ che lo spinse a ripartire da zero, a immaginarsi pioniere: una lingua mai scritta per la poesia, i dialoghi platonici come base per il teatro, un ritorno alla primitività sintattica per il cinema, colori ottenuti artigianalmente per la pittura, perfino note inaudite per una sua eventuale conversione alla musica. Le rivoluzioni politiche lo interessarono solo mentre erano allo stato nascente, tutto ciò che si istituzionalizzava gli sembrava corrotto. «Adulto? Mai – mai, come l’esistenza/ che non matura» scrisse in una poesia del 1950, e in questo eterno pensarsi adolescente sta la radice del suo sperimentalismo.
Il libretto casarsese, elogiato da Gianfranco Contini, gli cambiò la vita; da allora il suo destino si giocò sotto il segno della lirica, qualunque argomento sarà da lui affrontato en poète.
Chiamato alle armi pochi giorni prima dell’8 settembre 1943, il suo reparto fu fatto prigioniero dai tedeschi, ma lui riuscì a fuggire e si mise in salvo a Casarsa, dove intanto la famiglia si era trasferita per attendere al sicuro la fine della guerra. Nella fuga perse gli appunti della sua tesi di laurea, il che lo convinse a cambiarla: si laureò nel 1945 con una tesi su Giovanni Pascoli, relatore Carlo Calcaterra.
A Casarsa (da cui il padre era assente perché combattente in Africa Orientale, poi prigioniero in Kenia) si dedicò con passione all’insegnamento: dapprima in una scuoletta privata aperta da lui e dalla madre, poi con un incarico di insegnamento alla scuola media di Valvasone, nei pressi di Pordenone. La residenza continua in paese lo avvicinò agli abitanti e ai loro problemi sociali, il dialetto non era più soltanto una lingua per poesia, ma una lingua effettivamente parlata. Sposando le idee di Graziadio Isaia Ascoli sul friulano come ramo della lingua ladina e non come dialetto alpino, sostenne le ‘piccole patrie’ (come l’occitana e la catalana) e aderì, tra il 1945 e il 1947, ai movimenti autonomistici friulani. Intanto nel febbraio 1945 il fratello Guido, che era andato a combattere partigiano nella brigata azionista Osoppo, fu ucciso dai partigiani garibaldini che auspicavano un’adesione del Friuli alla Jugoslavia di Tito. Alla fine del 1947 Pasolini si iscrisse al Partito comunista italiano (PCI) e partecipò attivamente alle sue iniziative, come la campagna elettorale del 1948 e le manifestazioni della Camera del lavoro per l’applicazione del lodo De Gasperi (risarcimento dei danni di guerra ai contadini e obblighi sulla loro assunzione).
L’impegno politico produsse un cambiamento nella sua produzione letteraria: mentre fino a quel momento aveva affrontato la narrativa da un punto di vista lirico e autobiografico, nel 1947 mise in cantiere un ambizioso progetto di romanzo sociale, che doveva intitolarsi La meglio gioventù e che aveva al suo centro un prete, don Paolo, destinato a morire per salvare dalla polizia il fratello del ragazzo di cui è innamorato. Il romanzo fu poi pubblicato, molto tagliato e ridotto nelle ambizioni, nel 1962 con il titolo Il sogno di una cosa.
L’interesse per i giovani contadini era sempre stato sessuale oltre che linguistico: le gite in bicicletta e le sagre erano i luoghi di incontro privilegiati. Nel settembre del 1949 durante una festa si appartò con due ragazzini, ma il giorno dopo a uno dei ragazzi scappò qualche parola di troppo, qualcuno udì e informò i carabinieri: Pasolini fu denunciato per corruzione di minorenni e atti osceni in luogo pubblico. Il processo finì poi con il ritiro delle querele di parte e con un’assoluzione per insufficienza di prove, ma intanto era scoppiato lo scandalo con la sospensione dalla scuola e l’espulsione dal PCI. Il padre, che era tornato dalla prigionia sempre più depresso, non resse alla vergogna e si chiuse in casa in preda ad attacchi paranoidei; nel gennaio del 1950, non riuscendo più a sopportare la situazione, Pasolini e la madre decisero un improvviso trasferimento (quasi una fuga) a Roma, presso lo zio materno Gino Colussi. Un accenno a tutta la faccenda è contenuto in alcune poesie e in un romanzo (Il disprezzo della provincia) pubblicati postumi; ma è strano che l’episodio più romanzesco di tutta la sua vita non abbia mai trovato, nella sterminata produzione pasoliniana, un momento di piena espressione.
Dal 1950 fino alla morte Pasolini restò a Roma, in abitazioni diverse e sempre più confortevoli: da una prima stanza in affitto in piazza Costaguti a una casetta in borgata (a Ponte Mammolo, vicino al carcere di Rebibbia) dove li raggiunse il padre, poi in un appartamento in via Fonteiana, poi ancora in via Carini (nella casa dove abitava Attilio Bertolucci) e infine in un bel palazzo all’Eur (cui più tardi si aggiunsero una casa al mare a metà con Alberto Moravia, a Sabaudia, e una torre nel Viterbese, a Chia).
Una vita di lavoro, circondato dagli amici letterati, agitata soltanto dalle polemiche e dai processi che dovette affrontare, spesso pretestuosi ai limiti dell’assurdo; la vita erotica rimase sostanzialmente uniforme, legata ai fuggevoli incontri di borgata e alle spedizioni notturne, se si eccettua il grande e duraturo amore per Ninetto Davoli.
Gli inizi a Roma furono durissimi, la madre si impiegò come governante e lui fece qualche comparsata a Cinecittà; alla fine del 1951 (e fino al 1953) trovò un posto di insegnante presso la scuola media parificata di Ciampino (tra i suoi alunni ci fu Vincenzo Cerami). Si legò d’amicizia con Sandro Penna e con Giorgio Caproni, poi con Moravia ed Elsa Morante. Grazie a Bertolucci gli furono commissionate da Guanda due ponderose antologie: una dedicata alla poesia dialettale del Novecento e l’altra alla poesia popolare italiana. Al 1954 risale il primo lavoro cinematografico: fu tra gli sceneggiatori di La donna del fiume, un film di Mario Soldati con la giovane Sophia Loren. Collaborò come sceneggiatore con Mauro Bolognini e con Federico Fellini (sia per Le notti di Cabiria sia per la Dolce vita).
Gli anni Cinquanta furono per lui il periodo di massimo entusiasmo creativo: un periodo di grazia in cui l’impegno civile coincise con l’annullamento mistico e l’esclusione dal mondo con un’inesausta esplorazione del brusio vitale. Tra il 1950 e il 1951 cercò di sistemare la sua precedente produzione friulana: i due romanzi autobiografici, altri tentativi romanzeschi caratterizzati da un superficiale ma evidente proustismo, le poesie in friulano e in lingua. Contemporaneamente, con la guida ideale di Dante e di Giuseppe Gioachino Belli, ci fu la scoperta del sottoproletariato romano e della sua ‘infernale’ bellezza: alla fine degli anni Cinquanta era diventato un autore noto e scandaloso, esperto di teddy-boys e ‘gioventù bruciate’.
Nel 1954 uscì il volume di tutte le poesie friulane, che aveva scippato al romanzo il titolo La meglio gioventù; nel 1955 Garzanti pubblicò Ragazzi di vita, favorito da un notevole successo di pubblico anche grazie al processo per oscenità da cui risultò assolto. Nel 1957 pubblicò la raccolta di poemetti Le ceneri di Gramsci, che lo qualificò come comunista eretico per l’atteggiamento critico nei confronti della dirigenza del PCI, dopo l’invasione dell’Ungheria e il XX Congresso del Partito comunista dell’Unione Sovietica (PCUS), nel 1956.
Dal 1955 al 1959 diresse, insieme con Leonetti, Roversi, Franco Fortini e Angelo Romanò, la rivista bolognese Officina: rivista di realismo critico e sperimentale, ponte tra il neorealismo e le nascenti avanguardie. L’editore Bompiani decise di chiuderla dopo lo scandalo suscitato da un epigramma pasoliniano contro Pio XII. Nel 1959 Garzanti pubblicò Una vita violenta, secondo romanzo romano più programmatico e ideologico del primo.
Gli anni Sessanta furono per Pasolini gli anni dello smarrimento e dell’incertezza: venutagli meno la fiducia nella griglia interpretativa marxiana, il mondo cominciò ad apparirgli come un gigantesco caos in cui la borghesia (intesa più come malattia che come classe sociale) occupava l’intero orizzonte e delineava un’oscura ‘nuova preistoria’. Di fronte a un’integrazione progressiva del proletariato, Pasolini cercò un’alternativa sempre più a Sud e più lontano: dal ‘Terzo Mondo accampato nelle nostre periferie’ passò alle ‘Casiline del mondo’. Nel 1961 fece un viaggio in India con Moravia e la Morante, dal 1962 in poi (spesso ancora con Moravia) viaggiò soprattutto in Africa. Il cinema, divenuto ormai la sua occupazione principale, gli forniva l’alibi del viaggio con la necessità dei sopralluoghi. Ninetto Davoli (conosciuto nel 1962 e amato fino alla morte) divenne l’angelo che lo conduceva nel nuovo mondo ignoto. Nel 1966 fece un viaggio negli Stati Uniti, dove si confermò nell’idea che i movimenti ribellistici giovanili altro non fossero che una guerra civile interna alla borghesia, una lotta edipica dei figli contro i padri. Così visse il Sessantotto in Italia, pur riconoscendo l’importanza e la positività del movimento studentesco.
Dal punto di vista letterario, la necessità di confrontarsi con il magma prende l’aspetto della sparizione della griglia metrica in poesia; dopo il tour de force rabbioso di La religione del mio tempo (1961), in Poesia in forma di rosa (1964) cerca l’informale, o i calligrammi, o un montaggio nevrotico da nouvelle vague, per arrivare con Trasumanar e organizzar (1970) alla poesia che divora se stessa esibendo lacune e rifacimenti. Lo stile espressionista, con cui si cercava di catturare l’intensità della vita, cede il posto a un mezzo più potente che è la macchina da presa; sono gli anni del cinema, da Accattone (1961) e Mamma Roma (1962) fino alla Ricotta (che subì un processo per vilipendio alla religione di Stato, finito stavolta con una condanna a quattro mesi con la condizionale); l’aperto del mondo nuovo è affrontato direttamente in Uccellacci e uccellini (1965) e con la metafora arcaizzante di Medea (1969). La narrativa non può proseguire sulla linea ‘oggettiva’ dei romanzi romani, ma si aggroviglia negli esperimenti del non-finito e della metanarrativa: da La divina mimesis (1963) ad Alì dagli occhi azzurri (1965), testi in cui il percorso conta più dell’opera e la persona dell’autore è una componente del significante.
Costretto in ospedale da un’emorragia d’ulcera, nel 1966 buttò giù in un mese il progetto di sei tragedie (che scrisse e sviluppò negli anni successivi): documento, oltre che di una quasi incredibile capacità lavorativa, di uno scavo freudiano sempre insoddisfatto di sé.
Gli anni Settanta furono gli anni della disperazione: Pasolini credette di constatare una mutazione antropologica che lo allontanava da ciò che aveva sempre amato. Volle parlarne a tutti: nel 1973 cominciò una collaborazione con il Corriere della sera che proseguì fino alla morte e gli offrì ancora più visibilità pubblica. La vitalità popolare si era rivelata un’illusione, o meglio una ferita che aveva trasformato le vittime in carnefici. Ninetto, annunciandogli alla fine del 1971 il suo fidanzamento, lo aveva gettato in una depressione nerissima. Nel terribile Salò (1975) non volle accanto sul set né Ninetto né Laura Betti, l’amica e complice di una vita. Il mondo gli appariva ormai un universo concentrazionario; nella Nuova gioventù (1974) ebbe modo di tessere un’amara palinodia delle sue prime poesie friulane mentre lavorava accanitamente a Petrolio, un non-romanzo che si addentra nei misteri e nei complotti della recente storia italiana.
Nella notte del 1° novembre 1975 Pasolini venne assassinato all’idroscalo di Ostia.
Al processo l’unico imputato, Pino Pelosi, venne condannato «in concorso con ignoti». All’inizio la pista più accreditata sembrò quella omosessuale: la vendetta di alcuni ragazzi, o dei loro protettori, che volevano ‘dargli una lezione’ per il modo scorretto e violento di interpretare il rapporto mercenario. Recentemente si è fatta strada la ‘pista Cefis’: ossia che Pasolini sia stato ucciso con l’aiuto della mafia siciliana, dietro mandato di Eugenio Cefis (ex presidente dell’ENI e allora presidente della Montedison), perché aveva intenzione di scrivere in Petrolio la verità sull’attentato aereo che era costato la vita a Enrico Mattei. Solo da ultimo è stata presentata istanza per la riapertura delle indagini.
Opere. Ove non si diano gli estremi bibliografici è perché si tratta di opere non uscite in volume durante la vita dell’autore, per esse si rimanda alla raccolta delle Opere complete («I Meridiani»), I-X, Milano 1998-2003: Poesie a Casarsa, Bologna 1942; I Turcs tal Friùl, 1944; Diarii, San Vito al Tagliamento 1945; Poesie, San Vito al Tagliamento 1945; I pianti, Casarsa 1946; Amado mio, 1947; Atti impuri, 1947; Il cappellano, 1947; Dov’è la mia patria, Casarsa 1949; Il disprezzo della provincia, 1951; Operetta marina, 1951; Poesia dialettale del Novecento, Parma 1952; Tal còur di un frut, Tricesimo 1953; Dal diario, Caltanissetta 1954; La meglio gioventù, Firenze 1954; Il canto popolare, Milano 1954; Ragazzi di vita, Milano 1955; Canzoniere italiano, Parma 1955; Le ceneri di Gramsci, Milano 1957; L’usignolo della Chiesa cattolica, Milano 1958; Una vita violenta, Milano 1959; Passione e ideologia, Milano 1960; Roma 1950, Milano 1960; Sonetto primaverile, Milano 1960; La religione del mio tempo, Milano 1961; L’odore dell’India, Milano 1962; Il sogno di una cosa, Milano 1962; Poesia in forma di rosa, Milano 1964; Alì dagli occhi azzurri, Milano 1965; Poesie dimenticate, Udine 1965; Pilade, 1966; Orgia, 1966; Affabulazione, 1966; La terra vista dalla luna, 1966; La sequenza del fiore di carta, 1969; Poesie, Milano 1970; Trasumanar e organizzar, Milano 1971; Empirismo eretico, Milano 1972; Calderòn, Milano 1973; Bestia da stile, 1974; Appunti per un film su San Paolo, 1974; Petrolio, 1974; Il padre selvaggio, Torino 1975; Scritti corsari, Milano 1975; La nuova gioventù, Torino 1975; La Divina Mimesis, Torino 1975; Lettere luterane, 1976.
Filmografia. Accattone, 1961; Mamma Roma, 1962; La ricotta, 1963 (episodio nel film Ro.Go.Pa.G.); Il Vangelo secondo Matteo, 1964; Uccellacci e uccellini, 1966; Che cosa sono le nuvole?, 1967 (episodio in Capriccio all’italiana); Edipo re, 1967; Teorema, 1968; Porcile, 1969; Appunti per un’Orestiade africana, 1970; Medea, 1970; Il Decameron, 1971; I racconti di Canterbury, 1972; Il fiore delle mille e una notte, 1974; Salò o le 120 giornate di Sodoma, 1975.
Fonti e Bibl.: La maggior parte dei manoscritti pasoliniani è conservata a Firenze, presso l’Archivio contemporaneo del Gabinetto Vieusseux; alcuni si trovano insieme a molti documenti scritti e filmati sull’opera di Pasolini, nel fondo Centro studi - Archivio Pier Paolo Pasolini conservato presso la Biblioteca Renzo Renzi della Cineteca di Bologna. Altri, soprattutto legati al periodo friulano, sono nel fondo Pier Paolo Pasolini di Casa Colussi, a Casarsa della Delizia; altri ancora, soprattutto legati alla produzione teatrale, sono conservati nella Biblioteca nazionale di Roma; una piccola parte è a Pavia, presso il fondo Manoscritti di autori contemporanei dell’Università. Per l’epistolario, Lettere, a cura di N. Naldini, Torino 1988.
Si indicano qui solo alcune voci della sterminata bibliografia pasoliniana: G. Contini, Al limite della poesia dialettale, in Corriere del Ticino, 24 aprile 1943; P. Citati, Ritratto di P., in L’Approdo letterario, 1959, n. 6, pp. 14-18; A. Asor Rosa, Scrittori e popolo, Roma 1965, pp. 433-544; C. Garboli, Il male estetico, in Paragone, XVI (1965), 190, pp. 72-77; C. Segre, La volontà di P. ‘a’ essere dantista, ibid., pp. 78-91; C. Salinari, Preludio e fine del realismo in Italia, Napoli 1967, pp. 55-59; G. Fofi, P., in Id., Il cinema italiano: servi e padroni, Milano 1971, pp. 113-126; S. Petraglia, P.P. P., Firenze 1974; L. Baldacci, P., in Paragone, 1976, n. 312, pp. 86-91; G.C. Ferretti, P. l’universo orrendo, Roma 1976; A. Ferrero, Il cinema di P.P. P., Venezia 1977; Interpretazioni di P., a cura di G. Borghello, Roma 1977; E. Siciliano, Vita di P., Milano 1978; S. Snyder, P.P. P., Boston 1980; A. Zanzotto, P. poeta, in P.P. Pasolini, Poesie e pagine ritrovate, Roma 1980, pp. 201-212; D. Bellezza, Morte di P., Milano 1981; P. Brevini, Per conoscere P., Milano 1981; J. Linder, P. als Dramatiker, Frankfurt a.M. 1981; P.V. Mengaldo, P. critico e la poesia italiana contemporanea, in Revue des études italiennes, 1981, aprile-settembre, pp. 47-60; R. Rinaldi, P., Milano 1982; T. De Mauro, P. critico del linguaggio, in Galleria, 1985, 1-4, pp. 16-22; E. Golino, P., il sogno di una cosa, Bologna 1985; G. Santato, P.P. P.: l’opera, Vicenza 1987; P. Bellocchio, L’autobiografia involontaria di P., in La parte del torto, Torino 1989, pp. 146-166; A. Berardinelli, P.: stile e verità, in Id., Tra il libro e la vita: situazioni della letteratura contemporanea, Torino 1990, pp. 149-169; S. Casi, Desiderio di P., in Omosessualità, arte e impegno intellettuale, Torino 1990, pp. 23-60; Le regole di un’illusione, a cura di L. Betti - M. Gulinucci, Roma 1991; F. Fortini, Attraverso P., Torino 1993; G. Raboni, Ma quanto durerà la poesia di P.?, in Corriere della sera, 23 dicembre 1993; G. Conti Calabrese, P. e il sacro, Milano 1994; N. Naldini, P.P. P.: vita attraverso le lettere, Torino 1994; E. Golino, Tra lucciole e Palazzo, Palermo 1995; H. Joubert Laurencin, P.: portrait du poète en cinéaste, in Cahiers du cinéma, 1995, pp. 34-46; G. Zigaina, Hostia. Trilogia della morte di P.P. P., Venezia 1995; A partire da «Petrolio»: P. interroga la letteratura, a cura di C. Benedetti - M.A. Grignani, Ravenna 1995; M. Fusillo, La Grecia secondo P.: mito e cinema, Firenze 1996; M.A. Bazzocchi, P.P. P., Milano 1998; C. Benedetti, P. contro Calvino, Torino 1998; R. de Ceccatty, Sur P.P. P., Paris 1998; W. Siti, Tracce scritte di un’opera vivente, in P.P. Pasolini, Romanzi e racconti, I, Milano 1998, pp. IX-XCII; F. Angelini, P. e lo spettacolo, Roma 2000; P. Voza, Tra continuità e diversità: P. e la critica, Napoli 2000; F. La Porta, P.: uno gnostico innamorato della realtà, Firenze 2002; A Tricomi, Sull’opera mancata di P., Roma 2005; G. D’Elia, Il petrolio delle stragi, Milano 2006; M.A. Bazzocchi, I burattini filosofi, Milano 2007; G. Borgna - A. Baldoni, Una lunga incomprensione. P. fra destra e sinistra, Firenze 2011; C. Benedetti - G. Giovannetti, Frocio e basta, Milano 2012.