Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Pasolini incarna per l’Italia la figura dello scrittore che imprime un forte impegno intellettuale all’intera sua opera. Nato come poeta, in realtà Pasolini sperimenta tutte le forme espressive concesse alla parola scritta, scavalcandola a un certo punto verso l’immagine filmica. Se c’è un filo rosso che percorre la sua smisurata produzione, questo è da individuare nell’opposizione costante al mondo borghese neocapitalista, nel tentativo di lanciare gridi d’allarme sulla trasformazione di un Paese che nel giro di pochi anni vede modificarsi irrimediabilmente la propria tradizione culturale attraverso quella che Pasolini, sulle orme di Gramsci, definisce “mutazione antropologica”.
Generi e linguaggi
Pier Paolo Pasolini
Ragazzi di vita
Il Riccetto s’alzò, fece qualche passo ignudo come stava giù verso l’acqua, in mezzo ai pungiglioni e lì si fermò a guardare quello che stava succedendo sotto i suoi occhi. Subito non si capacitò, credeva che scherzassero; ma poi capì e si buttò di corsa giù per la discesa, scivolando, ma nel tempo stesso vedeva che non c’era più niente da fare: gettarsi a fiume lì sotto il ponte voleva proprio dire esser stanchi della vita, nessuno avrebbe potuto farcela. Si fermò pallido come un morto. Genesio ormai non resisteva più, povero ragazzino, e sbatteva in disordine le braccia, ma sempre senza chiedere aiuto. Ogni tanto affondava sotto il pelo della corrente e poi risortiva un poco più in basso; finalmente quand’era già quasi vicino al ponte, dove la corrente si rompeva e schiumeggiava sugli scogli, andò sotto per l’ultima volta, senza un grido, e si vide solo ancora per un poco affiorare la sua testina nera. [...] “Tajamo, è mejo” disse tra sé il Riccetto che quasi piangeva anche lui, incamminandosi in fretta lungo il sentiero, verso la Tiburtina.
P.P. Pasolini, Ragazzi di vita, Torino, Einaudi, 1979
L’intero percorso artistico di Pasolini può essere considerato sotto due punti di vista opposti e complementari: o la ripresa continua di temi definiti fin dalle origini della sua attività e poi variati in opere sempre diverse o il tentativo di adottare soluzioni tecniche sempre diverse, per allargare i confini del proprio mondo poetico. Sia nel primo caso che nel secondo, il nucleo dell’opera vastissima di Pasolini rimane lo stesso: la volontà di esprimere il rapporto tra sé e il mondo, in un continuo e inalterato atto di appropriazione amorosa che produce contemporaneamente dolore e desideri di autodistruzione. In questo Pasolini si colloca nella scia dei grandi poeti moderni (Baudelaire, Leopardi, Pascoli) anche se le sue scelte stilistiche e formali sono spesso orientate verso un’epoca che precede la modernità.
Sono tre le aree in cui può essere divisa l’attività di Pasolini: un periodo giovanile, pressapoco dal 1940 al 1950, che si svolge in area emiliana e friulana, un periodo centrale, dal 1950 in poi, in area romana, a cui si accompagna, dall’inizio degli anni Sessanta in poi, un’attenzione sempre maggiore per realtà culturali extraeuropee (l’Africa, l’India, l’Oriente). E su queste tre aree si possono anche distribuire i cambiamenti di generi che caratterizzano l’opera: la poesia di natura tardosimbolista e la confessione in prosa nel periodo friulano, il romanzo e la poesia antiermetica nel periodo romanesco, la scrittura cinematografica e la prosa saggistica e politica nella terza fase, quella di evasione dal mondo italiano. In realtà, tutto l’insieme dell’opera pasoliniana può essere visto come un enorme e disperato tentativo di muoversi nella tradizione della mescolanza dei generi, assumendo come modello, fin quasi dall’inizio, l’opera dantesca in opposizione alla linea della lirica pura di origine petrarchesca.
La primissima produzione artistica di Pasolini si caratterizza per la varietà dei generi e delle tecniche sperimentate dall’autore. Dal 1940 al 1945 scrive di tutto: diari, saggi letterari, abbozzi di romanzo (Atti impuri, Amado mio, pubblicati postumi), poesie in italiano e friulano (Poesie a Casarsa è la raccolta più famosa, del 1942), interventi politici e pedagogici, teatro (Il cappellano, opera poi a lungo rimaneggiata). Non va dimenticato che Pasolini si dedica anche alla pittura, attività che saltuariamente pratica per tutta la vita, con discreti risultati (famosi sono i ritratti che dedicherà ad alcuni amici, come Maria Callas e Andrea Zanzotto). Nel 1945 Pasolini si laurea in Lettere all’Università di Bologna con una tesi dedicata a Giovanni Pascoli, un poeta cui resterà legato a lungo, fino al saggio di apertura della rivista “Officina”, nel 1955.
Quando nel 1950, a seguito di uno scandalo di natura sessuale, Pasolini decide di abbandonare Casarsa, insieme alla madre, e di rifugiarsi a Roma, inizia per lui il vero periodo di un’attività artistica caratterizzata dal trasferimento nella realtà delle borgate romane dei problemi letterari già affrontati in Friuli. La lettura di Gramsci si sovrappone così alla passione per la critica stilistica di Spitzer e Contini: esplode l’amore per le realtà umili, popolari, da portare dentro il mondo della letteratura inseguendo la passione per le lingue minori e i dialetti. L’attività creativa di Pasolini si distribuisce così su due filoni paralleli: l’italiano di natura pre-ermetica per la poesia, un impasto dialettale per la prosa, mentre gli interessi critici (per Ungaretti, Gadda, Penna, la poesia popolare) stanno in mezzo a fare da collante.
Per quanto riguarda la poesia, Pasolini sperimenta un’originalissima forma di poemetto narrativo e ragionativo, spesso in terzine, che può risalire a Pascoli ma anche a Baudelaire, che viene usato come contenitore per descrivere paesaggi o parti della città, dove il poeta si muove ansiosamente cercando di capire la natura del suo rapporto con coloro che, proprio in quanto proletari, egli sente suoi simili nella diversità dal mondo borghese. Le ceneri di Gramsci è il titolo della raccolta che esce nel 1957 e che determina subito la fama del poeta. Due anni prima è uscito il romanzo Ragazzi di vita, in realtà più che romanzo insieme di quadri ambientati nella Roma delle periferie dove si muovono le vite di ragazzi poveri e disadattati, rappresentanti di un’umanità primitiva destinata a essere schiacciata dal mondo del capitalismo nascente. Inizia qui quell’epica della gioventù sacrificata che, secondo il filosofo francese Michel Foucault, caratterizza tutta l’opera di Pasolini.
Contemporaneamente, lo scrittore lavora anche per la nascente industria cinematografica, e collabora alla stesura di sceneggiature di film famosi (si ricordano quelli con Mauro Bolognini e Federico Fellini).
Nel 1960 Pasolini pensa di poter trasferire in una nuova esperienza tecnica quello che ha già fatto con la scrittura poetica e narrativa. Progetta così un film, Accattone, che traspone sulla pellicola lo stesso mondo delle borgate dei romanzi, utilizzando però le suggestioni della poesia e le memorie artistiche che derivano dagli studi con il grande storico dell’arte Roberto Longhi. Il film, in bianco e nero, rappresenta i personaggi del popolo con lo stile della pittura primitiva (Giotto e Masaccio) e con l’elementarietà del cinema delle origini (Dreyer e Mizogouchi). Ne esce un esperimento interessantissimo, anche se un amico come Fellini si rifiuta di produrlo.
Nasce così una nuova attività artistica che, oltre a fare di Pasolini in breve tempo un uomo ricco, gli dà fama internazionale. Ma il cinema è per lui soprattutto un luogo di massima libertà sperimentale, tanto è vero che solo nei suoi film Pasolini riuscirà a protrarre la volontà di scandalo che sembra ormai esaurita con l’esperienza letteraria. Al cinema si aggiunge, in una breve ma importante parentesi, l’esperienza teatrale, che in un certo senso completa quella cinematografica mescolandola alla poesia. I temi del teatro di Pasolini sono sempre ispirati alla ribellione contro il mondo borghese, ma particolarmente intenso e insistito è ora l’aspetto della sessualità, con la messa in scena di perversioni (Orgia), conflitti edipici (Affabulazione), ribellioni giovanili (Porcile), tormenti politici (Pilade). Attraverso la scena, che è il luogo in cui si esibiscono corpi reali, Pasolini pensa di poter raggiungere un livello di espressività ancora maggiore che con il cinema, ma l’esperienza rimane quasi sopraffatta proprio dal cinema, sul quale vengono spese molte energie teoriche. Il cinema, sostiene Pasolini in numerosi interventi saggistici raccolti poi nel volume Empirismo eretico (1972), consente di rappresentare la realtà con la realtà stessa: da qui la sua superiorità rispetto alla scrittura, che è un sistema simbolico astratto. Ma bisogna comunque notare che, anche nei momenti di impegno più assiduo sul set, Pasolini non trascura mai di praticare la scrittura poetica, pubblicando una dopo l’altra le raccolte La religione del mio tempo (1961), Poesia in forma di rosa (1964), Trasumanar e organizzar (1971), e infine La nuova gioventù (1975). In questi testi risalta sempre più la mescolanza tra parola scritta ed evocazione di immagini, con continue allusioni alla pittura manierista e barocca (altro riferimento colto che viene da Longhi), fino allo stravolgimento del discorso poetico nella direzione dell’afasia e del gioco con il linguaggio, in parallelo alle posizioni dei nemici neoavanguardisti del Gruppo 63, e sempre in polemica con il vecchio Montale, di cui Pasolini recensisce ferocemente la raccolta Satura.
Il grande cinema degli anni Sessanta è costituito da riscritture dei nuclei mitici del teatro greco: Edipo re (1967), Medea (1969), Appunti per un’Orestiade africana (1969), film attraverso cui Pasolini rilegge ancora la propria posizione di ribelle che si scontra con la modernizzazione del mondo industriale e guarda sempre più insistentemente alle figure di un passato arcaico. Del 1968, in concomitanza con la contestazione giovanile, è il film Teorema, dal quale viene anche ricavata una versione scritta, a metà tra racconto e sceneggiatura. Attraverso un’allegoria inconsueta (i membri di una famiglia altoborghese vengono sedotti uno dopo l’altro da un misterioso ospite che poi li abbandona nella disperazione e stravolge così i loro destini), Pasolini lancia il suo atto d’accusa definitivo contro la famiglia e la società che lo circondano.
Un passo ulteriore, sempre nella mescolanza tra codice letterario e codice cinematografico, è costituito dalla Trilogia della vita, tre film ricavati da tre grandi opere narrative del passato (Il Decameron di Boccaccio, I racconti di Canterbury di Chaucer e Le mille e una notte), dove viene esaltato per l’ultima volta il valore eversivo e scandaloso del corpo giovane, fino a raggiungere la rappresentazione pornografica.
Subito dopo il successo di questi film, Pasolini capisce che il sistema del capitalismo si è impadronito anche della forza eversiva della sessualità, e termina la sua carriera artistica girando il cupo e angosciante Salò o le 120 giornate di Sodoma, metafora dell’uso assoluto e distruttivo dei corpi giovani da parte del potere. Il film esce quando Pasolini è già stato ucciso, nella notte del 2 novembre 1975, in circostanze che ancora oggi restano oscure. Stava lavorando alla sua opera definitiva, un lungo romanzo che è uscito postumo col titolo Petrolio e che raccoglie tutti i temi politici e letterari degli ultimi cinque anni della sua vita. Una specie di testamento che ha aspettato più di vent’anni per essere letto.