Pasolini, Pier Paolo
La nostalgia dell’innocenza
Poeta, narratore, regista e polemista, Pier Paolo Pasolini è stato l’intellettuale più discusso, amato e criticato del Novecento italiano. Fu un provocatore nella vita e nelle opere e svolse un ruolo centrale nella società culturale dell’Italia contemporanea. Con ogni sua opera esprime la volontà di lottare, da solo, contro quelle istituzioni, persuasioni, persone che privano l’uomo della sua umanità
In un’intervista che Pasolini rilasciò poche ore prima di venire assassinato, il 3 novembre 1975, troviamo enunciati i principali temi della sua poetica: la censura del mondo borghese in cui tutti, più o meno consapevolmente, viviamo; e il bisogno ‘dell’autentico’, incarnato da un mondo primitivo e semplice fatto «di gente povera e vera».
Pasolini, fanciullo, aveva conosciuto questo mondo «primitivo e incontaminato» quando da Bologna, la città dove era nato nel 1922, si era trasferito con la madre e il fratello a Casarsa della Delizia, nel Friuli: «un vecchio borgo […] grigio e immerso nella più sorda penombra di pioggia, popolato a stento da antiquate figure di contadini e intronato dal suono senza tempo della campana».
A quel luogo incorrotto e puro egli resterà emotivamente legato per tutta la vita. Sarà in questi luoghi che troverà ispirazione per i primi componimenti poetici, caratterizzati da una precisa scelta linguistica: il dialetto friulano. Una lingua che appare, al poeta, pura e inedita, adatta a esprimere quel mondo primitivo e autentico che egli vuole rappresentare. Sarà ancora in questi luoghi che egli maturerà le principali scelte esistenziali: l’abiura di quella classe borghese da cui proveniva, l’iscrizione al Partito comunista e, soprattutto, la coscienza della sua omosessualità.
In una sera di gennaio del 1950 Pier Paolo è costretto a lasciare Casarsa con sua madre, per fuggire dall’infamia di un’accusa di corruzione di minorenne che gli era costata la perdita dell’insegnamento e la cacciata dal Partito comunista. Approda a Roma, dove, «per due anni» – ci racconta lui stesso – «fui un disoccupato disperato, di quelli che finiscono suicidi», poi riprende l’insegnamento e si trasferisce a vivere sulla Tiburtina: è qui che scopre il popolo della periferia; quella Roma delle borgate che diventerà lo scenario dei suoi romanzi di maggior successo: Ragazzi di vita (1955) e Una vita violenta (1959).
Il mondo del sottoproletariato romano gli ispira anche le raccolte poetiche di quegli anni, tra cui Le ceneri di Gramsci (1957). Il richiamo a Gramsci sottintende la volontà di condividere con questi l’ideale di uno scrittore vicino al popolo e quindi la scelta – che Pasolini non abbandonerà mai – di scrivere poesia civile.
A partire dal 1960 Pasolini si appassiona al cinema e nel giro di pochi anni firma, oltre a varie sceneggiature, la regia di numerosi film, inizialmente di scarso successo, ma che comunque impongono la sua figura sulla scena pubblica, suscitando spesso scandalo e polemica. Il cinema gli offre la possibilità di comunicare a un pubblico più vasto quei messaggi politico-sociali che aveva espresso, in parte, attraverso la scrittura, ma al tempo stesso gli consente un’ampia sperimentazione artistica, che emerge anche nel gusto per le citazioni figurative di quadri o di altri film e nell’impiego sapiente della musica.
Tra i suoi tanti film, da Accattone (1961) a Mamma Roma (1962) all’infernale Salò o le 120 giornate di Sodoma (1976, uscito postumo), Pasolini disse di amare di più Uccellacci e uccellini (1966), una sorta di favola surrealista sulla crisi del marxismo messa in scena con leggerezza e malinconia dall’amico Ninetto Davoli, attore da lui scoperto, e da un indimenticabile Totò.
Intanto, con la notorietà, si intensificano l’attività saggistica, gli interventi di polemica ideologica e le riflessioni politiche che egli rende pubbliche in numerosi articoli, usciti principalmente sul Corriere della sera, e poi raccolti, a un anno di distanza dalla morte, nei volumi Lettere luterane e Scritti corsari, entrambi del 1976. In questi scritti, rivelatisi con il trascorrere degli anni profetici, Pasolini, come un «corsaro», solitario e controcorrente, critica la vita e la cultura nazionale, scagliandosi contro tutto ciò che sente inautentico: il mondo borghese, il capitalismo e il neocapitalismo, la società di massa e il consumismo, l’omologazione, il villaggio globale, la televisione.