Pier Pettinaio (o Pettinagno)
Pettinaio Secondo una serie di tradizioni, di cui si fanno eco i commentatori antichi di D., P. sarebbe nato in Campi presso Siena, recandosi poi in città ove avrebbe abitato il poggio Malavolti ed esercitato il commercio dei pettini, come sembra, per la tessitura. Rispettato dai cittadini per la specchiata onestà e per la vita santissima, morì in età assai tarda a Siena il 5 dicembre 1289.
Questi dati, che in parte si ripetono di commento in commento, in relazione ai versi 127-129 del canto XIII del Purgatorio, vanno integrati da notizie che ci vengono specialmente da autori francescani.
Da Ubertino da Casale (prologo dell'Arbor vitae crucifixae Iesu) risulta che P. restò qualche tempo, circondato da rispettosa venerazione, in Santa Croce di Firenze, ove visse come terziario francescano, nella considerazione di esempio vivo di virtù minoritiche anche per gli stessi frati: Ubertino ci racconta, infatti, che essendo venuto in Toscana per ragioni di studio vi trovò che " lo spirito di Cristo fermentava in molti " fra i quali " l'uomo pieno di Dio Pietro da Siena, pettinaio ".
Nei documenti senesi, inoltre, è documentata senza dubbio la venerazione di cui era circondato nella città: subito dopo la sua morte, infatti, il 19 dicembre 1289, il consiglio generale del comune di Siena approvava con duecentotrenta voti contro quattro contrari la proposta di dare duecento libbre di danari senesi perché " super tumulum sancti Petri Petenarii venerabilis civis senensis " si costruisse un " sepulchrum nobile " con un altare e un ciborio nella chiesa dei frati minori. Nel 1328 si disponeva una cerimonia solenne da tenersi annualmente.
Alla fine del Trecento, P. è ricordato nella grande raccolta di notizie francescane di Bartolomeo da Pisa, De Conformitate vitae Beati Francisci ad vitam Domini Iesu [Liber I, Fructus VIII, Pars II], in " Analecta Franciscana " IV (1917) 361, e n. 6).
Il rapido accenno a P. in D. non sembra casuale, riconducendoci ai rapporti fra D., Santa Croce e il mondo degli spirituali francescani. Che l'accenno di Ubertino da Casale si riferisca al gruppo degli spirituali, di cui P. e Cecilia di Firenze (altro esempio di rigorosa vita minoritica) furono modelli, non sembra dubbio, come neppure la circostanza che la menzione di D. riguardi persona di specchiata santità, le cui preghiere erano perciò accette e gradite a Dio tanto da abbreviare il periodo di permanenza nell'Antipurgatorio alla senese Sapìa.
Se questo è esatto, s'introduce, da parte di D., una precisa distinzione tra P., ‛ spirituale ' del terzo ordine, chiuso e silenzioso nella sua preghiera, accetto perciò a Dio, e l'altro ‛ spirituale ', il frate Ubertino, inquieto, aggressivo e perciò da D. indicato come esempio da evitare proprio sullo stesso piano della Comunità (o, come verranno poi detti, conventuali).
La menzione, allora, di P. diventa uno spiraglio che ci aiuta a meglio comprendere l'atteggiamento di D. verso il francescanesimo e, in particolare, verso gli spirituali.
Bibl. - Oltre alle indicazioni dei commentatori antichi, e i vari commenti moderni, si veda Davidsohn, Storia II II 369-370; G. Mengozzi, Documenti danteschi dal R. Archivio di Stato in Siena, in D. e Siena, Siena 1921, 159-160. Per i rapporti con Sapìa si veda: A. Lisini, A proposito di una recente pubblicazione su la " Sapia dantesca ", in " Bull. Senese St. Patria " XXVII (1920) 80.