TEDALDI, Pieraccio
– Non essendo in possesso di dati certi per ciò che riguarda la data di nascita di Pieraccio, essa va dedotta dalla sua partecipazione come soldato a cavallo alla battaglia di Montecatini (1315): essendo necessario avere almeno venticinque anni per svolgere attività pubbliche, nacque sicuramente prima del 1290 (S. Morpurgo, Le rime di Pieraccio Tedaldi, 1885, pp. 15 s.). Nella Cronica di Dino Compagni (II, 121), nella Nuova cronica di Giovanni Villani (VI, 39) e nel Centiloquio di Antonio Pucci (XCI, 54) i Tedaldi sono menzionati tra le famiglie più in vista della Firenze guelfa di fine Duecento.
Genericamente considerato un comico-realistico, nel ms. Vat. lat. 3213, che ne tramanda quasi tutto il corpus, il suo nome compare come «Pieraccio di Maffeo Tedaldi». L’attendibilità di tale denominazione, apposta come titolo corrente nell’intestazione del fascicolo (cc. 100r-112v), è però dubbia: è probabile che il padre di Pieraccio fosse quel Tedaldo che nel 1300 ricoprì a Firenze la carica di gonfaloniere (Ademollo, 1840, p. 125; Reumont, 1841, p. 33, dove si parla di un’origine fiesolana della famiglia) e che fu priore nel medesimo anno, se lo si identifica con il Tedaldo di Maffeo gonfaloniere (M. Rastrelli, Priorista fiorentino, 1783, p. 42). L’errore identificativo commesso dall’estensore del ms. Vat. lat. 3213 si spiega o immaginando un salto generazionale, dal momento che il padre di Tedaldo fu proprio un Maffeo giudice (S. Morpurgo, Le rime..., cit., pp. 12 s., che si rifà alle Memorie della famiglia de’ Tedaldi, scritte per Jacopo di Pietro di Maffeo Tedaldi l’anno 1500, Firenze, Biblioteca nazionale, Passerini, b. 192), o ipotizzando che il copista del codice vaticano – o della sua fonte – abbia confuso Pieraccio con il discendente Piero di Maffeo, poeta anche lui, nato nel 1385 e autore di due sonetti penetrati abusivamente nel fascicolo, cioè Oggi ab[b]iam lunedì, come tu sai e Tu sai la ’nfermità mia de l’altr’anno, tràditi anche dal ms. II.IV.250 della Biblioteca nazionale di Firenze (c. 56v), vergato da Girolamo de’ Pigli, destinatario del secondo (in Lirici toscani del Quattrocento, a cura di A. Lanza, II, 1975, pp. 659 s.).
O perché di famiglia ghibellina o perché schierato con i guelfi bianchi (cfr. rispettivamente S. Morpurgo, Le rime..., cit., p. 14, e P. Buoninsegni, Historia fiorentina, cit., p. 36), subì l’esilio ai primi del Trecento. Compagni (Cronica II, 121) annovera i Tedaldi tra coloro i quali nell’aprile del 1302 furono costretti a lasciare Firenze: nonostante l’amnistia promulgata dalla riforma di Baldo d’Aguglione, gli rimase impossibile tornare in città. In rappresentanza del sesto di S. Pietro Scheraggio, nella notte tra il 28 e il 29 agosto 1315 partecipò alla battaglia di Montecatini, nella quale i guelfi fiorentini furono sconfitti dai ghibellini di Uguccione della Faggiola: catturato, rimase prigioniero nella celebre «torre della fame» (A.F. Gori, La Toscana illustrata..., 1775, pp. 322-324).
Ebbe almeno un figlio: stando a quanto si legge nei Protocolli di ser Salvi Dini del biennio 1334-35 (S. Morpurgo, Le rime..., cit., p. 16) fu padre di un Bindo, a quell’altezza maggiorenne, che riceveva quaranta fiorini d’oro «per scritta fatta manu Andree eorum factoris». La notizia è confermata dal missivo Bindo, e’ non par che per me truovi figlio, cui Bindo rispose con Per che io non vi scriva come soglio: motivo del rimprovero forse ironico di Pieraccio è la scarsa cura dimostrata nei suoi confronti dal figlio, che a sua volta gli rinfaccia di aver dilapidato gli averi familiari, aderendo a uno dei topoi comici per eccellenza.
Informazioni biografiche si ricavano dai quarantuno sonetti trasmessi dal codice vaticano e dalle rubriche che li anticipano. In Se colla vita io esco si legge che fu castellano a Montopoli in vece di Filippo da Saggineto, che in quegli anni era vicario fiorentino per Carlo di Calabria: il tono spregiativo del testo si spiega tenendo conto che «anche le cariche più onorevoli potevano essere strumentali all’allontanamento di avversari politici» (Zaccarello, 2013, p. 24). Del resto Pieraccio avrebbe avuto diritto di lamentarsi, se crediamo a quanto afferma la rubrica che anticipa il sonetto S’io veggio il dì, che io disio e spero, ascrivibile al periodo 1340-46, che recita: «del detto [sc. Pieraccio] sendo stato venticinque anni fuori di Firenza e avendo grande desiderio di ritornare». Qualche dato utile a contestualizzare il soggiorno romagnolo lo fornisce il sonetto Bartolo e Berto, composto per raccontare ai destinatari «come lui godeva in Faenza» (così la rubrica). Se si possono dare per buone le notizie biografiche precedenti, persistono invece dubbi su un soggiorno lucchese, anch’esso indicato dalla rubrica che nel codice vaticano introduce il sonetto La gaia donna che, del mio paese: il tema è quello dell’innamoramento a Lucca per una fiorentina somigliante all’amata, ma è possibile che la rubrica romanzi la notazione al v. 4 («acconcia adornamente a la lucchese»).
Delle sue posizioni politiche dice qualcosa il sonetto Gran parte di Romagna e de la Marca, in cui Pieraccio critica le mire su Bologna avanzate da papa Giovanni XXII, sostenendo l’insurrezione del 1334 contro la legazione capeggiata da Bertrando del Poggetto. Non si trattò tuttavia di ghibellinismo militante, com’è evidente dai sonetti Ceneda e Feltro e San Marco e ’l doge, composti rispettivamente in favore di Firenze e Venezia per criticare Mastino II della Scala.
Per la data di morte non disponiamo di dati certi. Attraverso la consultazione di un documento del 1348 oggi perduto Salomone Morpurgo ipotizzò sia che Pieraccio potesse aver avuto due nipoti, tali «Johannes et Bernardi fil. Bindi Perotti» (considerato errore grafico per Peracci; cfr. S. Morpurgo, Le rime..., cit., p. 16), sia che, in assenza di olim o quondam, il terminus post quem potesse essere spostato dal 1340 – che è termine fornito dal sonetto La crudel morte nimica di vita, dove si parla di un’epidemia fiorentina avvenuta quell’anno – a dopo il 1348. Ciò non confligge con le indicazioni fornite da alcuni sonetti, in particolare in S’io veg[g]o il dì, ch’ i’ vinca me medesmo, dove Pieraccio dichiara di essere nel suo sessantatreesimo anno, o in Corretto son del tutto e gastigato, dove dice di essersi pentito (così la rubrica: «di Pieraccio avendo 64 anni»).
La tradizione assegna a Tedaldi quarantatré sonetti, attestati in blocco dal ms. Vat. lat. 3213 della Biblioteca apostolica Vaticana (ma traditi episodicamente anche da altre sillogi), e una canzone: spiccano per importanza i mss. Chigiano M.VII.142 della medesima biblioteca e il ms. 1118 della Biblioteca Riccardiana di Firenze, collaterali e affini del codice vaticano. Al di fuori di questa costellazione si collocano altri due testimoni: il primo è il seicentesco ms. Barb. lat. 4000, anch’esso nella Biblioteca apostolica Vaticana, trascritto da Federigo Ubaldini e contenente sia la breve ars metrica in forma di sonetto Qualunque vòl saper sia il sonetto Amor è giovenetto avente per argomento la raffigurazione di Amore; il secondo è il ms. 1103 della Biblioteca Riccardiana, latore del sonetto Io non trovo omo. Completa il corpus la canzone O morte, che la vita schianti e snerbi, assente dalle antologie (quelle di Mario Marti, 1956, e di Maurizio Vitale, 1956), di cui Morpurgo (Le rime..., cit., 1885) conobbe il solo congedo per averlo letto nel Catalogue de la partie réservée et la plus precieuse de la collection Libri (London 1862, p. 36). Oggi sappiamo che il testimone segnalato nel Catalogue è il ms. Acquisti e Doni 688 della Biblioteca Medicea Laurenziana di Firenze, contenente Triumphi e rime di Dante e altri trecentisti. Grazie alla recensio effettuata per l’edizione critica (E. Treccani, Pieraccio Tedaldi, Rime..., 2011-12, pp. 9-23) sappiamo inoltre dell’esistenza di altri tre testimoni: il ms. Magliabechiano VII.1040 della Biblioteca nazionale di Firenze, che reca il componimento senza congedo e lo assegna ad Antonio Beccari; il ms. Nouvelles Acqusitions Latines 1745 della Bibliothèque nationale di Parigi, che ne tramanda anepigrafe le prime due stanze; il ms. Chigiano M.IV.79 della Biblioteca apostolica Vaticana, che lo trasmette completo ma fraintende la sottoscrizione del congedo (leggendo «D’operation che dal dì di Fiorenza», anziché «di Peraccion Tedaldi da Firenza»). L’inclusione tra le rime di Beccari (Bellucci, 1967, pp. 134 s.), fondata sulla lezione del ms. Magliabechiano e di quello parigino, è stata dunque recentemente rigettata (E. Treccani, Pieraccio Tedaldi, Rime..., cit., pp. 235-237).
Sebbene non si possa parlare di ‘canzoniere’, è possibile isolare dei cicli: non è casuale che il codice vaticano tramandi piccole sequenze accomunate dall’argomento, a conferma sia del legame tematico sia di una circolazione per gruppi. Annullando il dato, le antologie di lirica comico-realistica che hanno accolto il corpus hanno ristrutturato l’ordinamento (conservato solo da S. Morpurgo, Le rime..., cit., ed E. Treccani, Pieraccio Tedaldi, Rime..., cit.), preferendo un’operazione di riordino su base tematico-cronologica (così A.F. Massera, Sonetti burleschi..., 1920; M. Vitale, Rimatori..., 1956 e con una singola deroga M. Marti, Poeti giocosi..., 1956, che sposta Qualunque vòl saper far un sonetto in apertura).
Tradizionalmente incluso tra i giocosi, è improprio ridurre la lirica di Tedaldi a questa dimensione. I testi che attingono al repertorio realistico sono una parte isolabile del corpus, come implicitamente conferma la selezione operata dalla più recente antologia di lirica comica medievale (M. Berisso, Poesia comica..., 2011): è questo il caso dei sonetti contro la moglie, caratterizzati da soluzioni stilistiche angiolieresche (nn. 8-11 dell’edizione Marti, ma i nn. 8-10 sono in sequenza già nel codice vaticano), o di quelli sulla povertà e sul discredito che ne consegue (nn. 12-16). Se la topica induce a dubitare del portato biografico di questi gruppi, la produzione rimanente crea meno problemi, trattando di questioni gnomico-moraleggianti: tali sono i sonetti 25-27, dedicati a problemi che spaziano dall’avarizia all’avidità umana, passando per questioni specifiche quali la gratuità del dono. Ancor più lontani dai toni comici sono i sonetti 29-36, che conservano di quel registro solo alcune peculiarità stilistiche, discutendo l’opportunità di redimersi in vecchiaia. I tratti realistici sono infine per forza di cose assenti nella sezione religiosa (38-41), costituita da testi di pentimento e da richieste di misericordia: non è da escludere una collocazione negli ultimi anni di vita.
Edizioni. S. Morpurgo, Le rime di Pieraccio Tedaldi, Firenze 1885; A.F. Massera, Sonetti burleschi e realistici dei primi secoli, II, Bari 1920, pp. 35-58 (con apparato alle pp. 113-115); senza i sonetti di Piero di Maffeo in M. Marti, Poeti giocosi del tempo di Dante, Milano 1956, pp. 713-758 e M. Vitale, Rimatori comico-realistici, II, Torino 1956, pp. 243-301 (che li riporta in appendice); E. Treccani, Pieraccio Tedaldi, Rime. Saggio di edizione critica e commento, tesi di dottorato, Università degli studi di Verona, a.a. 2011-12. Rime scelte in N. Sapegno, Poeti minori del Trecento, Milano-Napoli 1952, pp. 317-329 e M. Berisso, Poesia comica del Medioevo italiano, Milano 2011, pp. 337-344. I sonetti di Piero di Maffeo sono in Lirici toscani del Quattrocento, a cura di A. Lanza, II, Roma 1975, pp. 659 s.
Fonti e Bibl.: Firenze, Biblioteca nazionale, Passerini, b. 192, Memorie della famiglia de’ Tedaldi, scritte per Jacopo di Pietro di Maffeo Tedaldi l’anno 1500; P. Buoninsegni, Historia fiorentina, Firenze 1581, cc. 34-37; A. Pucci, Centiloquio, in Delle poesie di Antonio Pucci, celebre versificatore fiorentino del MCCC e prima della Cronica di Giovanni Villani ridotta in terza rima, a cura di I. di San Luigi, IV, Firenze 1773, pp. 177-187; A.F. Gori, La Toscana illustrata nella sua storia con vari e monumenti per l’avanti o inediti, o molto rari, Livorno 1775, pp. 322-324; M. Rastrelli, Priorista fiorentino, Firenze 1783, p. 42; Le rime di Maestro Antonio da Ferrara, a cura di L. Bellucci, Bologna 1967, pp. 134 s.; G. Villani, Nuova cronica, a cura di G. Porta, I, Milano 1991, pp. 269-271; D. Compagni, Cronica, a cura di D. Cappi, Roma 2011, pp. 74 s.
A. Ademollo, Marietta de’ Ricci, ovvero Firenze al tempo dell’assedio, Firenze 1840, p. 125; A. Reumont, Tavole cronologiche e sincrone della storia fiorentina, Firenze 1841, p. 33; G. Leone, Letteratura e verità nei sonetti di P. T., in Misure critiche, XIII (1983), pp. 21-33; G. Frasso - D. Graffigna, Da Petrarca a Pasquino, in Studi petrarcheschi, V (1988), pp. 155-289; M. Zaccarello, Appunti sulle rime di P. T., un exul inmeritus nell’italia del Trecento, in “Tristia”. Scritture dall’esilio, a cura di A.M. Babbi - C. Concina, Verona 2013, pp. 23-41; Id., Poesia comico-realistica, in Storia dell’italiano scritto, 1, Poesia, a cura di G. Antonelli - M. Motolese - L. Tomasin, Roma 2014, pp. 155-193.