BANDINI, Pierantonio
Nato a Firenze nel 1504, fu il principale esponente di uno tra i più importanti gruppi finanziari agenti in Roma nella seconda metà del sec. XVI. Sin dal marzo 1550 il B. figura, insieme con Alamanno Bandini, probabilmente suo fratello, tra i titolari delle trentuno case bancarie di Roma che firmarono l'editto con il quale veniva fissata la giornata di venerdì per effettuare i cambi. Nel 1555 acquistò un'importante quota dei "luoghi" del "Monte novennale"; l'anno successivo venne nominato console fiorentino di Roma, prescelto a questa carica, vero tribunale mercantile autonomo, dai capi delle case mercantili fiorentine residenti a Roma. La grande importanza raggiunta dalla casa Bandini tra i mercanti fiorentini di Roma è provata anche dal fatto che due anni più tardi, nel 1558, fu Alamanno ad essere nominato console.
Importanti relazioni il B. mantenne sin da questo periodo con la Camera apostolica, che nel 1561 lo incaricò di pagare i lavori per la costruzione di Porta Pia, e con il collegio dei cardinali, che nel 1559 lo nominò proprio depositario, ufficio che il B. mantenne per ben trentadue anni, sino al 1591. Il banco del B. fece anche notevoli anticipi per la costruzione della chiesa del Gesù in Roma. A partire dal 1564, quando il cardinale Carlo Borromeo cominciò a esercitare un protettorato sul Monte di Pietà di Roma, il B. figura anche tra i "provisori" di questo istituto. Nel 1569 aprì una succursale a Napoli insieme con Carlo del Nero: versarono a favore del nuovo banco 200.000 scudi di cauzione Marcantonio Colonna, Ascanio Della Cornia, il duca d'Urbino e il duca di Parma. Questa succursale fu chiusa il 30 ott. 1571, essendo stati soddisfatti tutti i creditori. I nomi dei garanti, tuttavia, mostrano le potenti relazioni sulle quali poteva contare il B., che nel gennaio del 1576 risulta associato al figlio Orazio. Nel febbraio di quello stesso anno il B. si associò con Bernardo Olgiati per ottenere l'appalto delle dogane romane di terra, di Ripa e di Ripetta, concessogli per nove anni in cambio di un versamento annuo alla Camera apostolica di 130.000 scudi. Dal 1584, poi, il B. fu depositario del duca di Sora, figlio naturale di Gregorio XIII, col quale sembra che entrasse in frequenti contrasti determinati dalle spese del duca, superiori alle rendite.
Il culmine della fortuna finanziaria del B. e della sua casa fu raggiunto probabilmente nel 1587: in quell'anno egli sancì con due significativi matrimoni, quello del figlio Orazio con una figlia del banchiere genovese Giuseppe Giustiniani e quello di una figlia con un membro della famiglia Corsi, i suoi legami con il mondo finanziario fiorentino e genovese, ed è particolarmente significativa la sua intesa con i banchieri genovesi, in quanto i rapporti tra Genovesi e Fiorentini erano tradizionalmente assai tesi a Roma. Ma soprattutto gli interessi della famiglia Bandini si svilupparono in Spagna, dove essa figura nel 1581 tra i creditori di Filippo II, ed in Francia.
Qui il più autorevole esponente della casa, responsabile delle filiali di Lione e di Parigi, fu Mario, figlio del B. e di Cassandra Cavalcanti Bartolommei. Visse a lungo alla corte dei Valois e svolse le sue operazioni finanziarie all'ombra di questa. Nel 1582, associato a Raffaello Martelli e a madame Del Bene, partecipò all'appalto dell'imposta sul sale. Nello stesso periodo fece gravosi prestiti - raggiunsero un totale di 300.000 scudi - ad Enrico III. Da questo fu nominato gentiluomo ordinario di camera ed inviato a Roma, nel 1585, per richiedere a quella corte un soccorso finanziario. Da una lettera di Caterina de' Medici risulta che il 29 genn. 1588 egli si trovava di nuovo a Roma, incaricato di un'altra ambasceria. Fu personaggio noto anche per le sue abitudini fastose e per le sue relazioni con dame della corte: madame de Carnevalet, madame de Beaulieu, madame de Birague.
Anche Pierantonio Bandini fu un assiduo corrispondente di Enrico III e nel 1587 Caterina de' Medici dispose che fosse affidata a lui l'amministrazione di alcuni suoi beni.
Forse proprio questa vastità di interessi determinò la brusca decadenza delle fortune della casa. Le filiali francesi subirono perdite ingentissime a causa dei conflitti che sconvolgevano in quegli anni la Francia; alla morte di Enrico III, poi, Mario Bandini, che non ottenne il rimborso del credito presso il re, fu imprigionato come debitore moroso di 200.000 scudi dovuti al duca d'Epemon. L'episodio segnò il tracollo delle succursali francesi dei Bandini ed espose nello stesso tempo la "casa" di Roma al rischio del fallimento. Il B., più energico o più fortunato di altri banchieri fiorentini di Roma, che in quegli stessi anni furono travolti dal fallimento dei loro corrispondenti francesi - la casa di Claudio Venturini, fallita nel 1585, quella di Marcantonio Ubaldini e quella Tassini-Orlandini, fallite ambedue nel 1588 -, riuscì a far fronte ai propri impegni, vendendo alcune proprietà e soprattutto ottenendo l'aiuto dei banchieri genovesi: i Giustiniani gli misero a disposizione 15.000 scudi e i Pinelli 18.000. Si calcolò che il B. dovesse rimborsare in una sola giornata circa 120.000 scudi di depositi. Subito dopo annunziò di volersi ritirare definitivamente da ogni attività mercantile e chiuse il banco (luglio 1588). Questo fu riaperto nel dicembre dello stesso anno senza tuttavia che i Bandini riuscissero a riacquistare negli anni successivi la loro antica importanza.
Il B. morì a Roma il 15 ag. 1592 e fu sepolto a S. Silvestro al Quirinale.
Mario riottenne la libertà da Enrico IV nel 1596. Un decreto del Consiglio di Stato del 3 dicembre di quell'anno gli assegnò la somma di 59.500 scudi, in considerazione tanto della sua precedente attività bancaria a favore di Enrico III, quanto della morte eroica del fratello, colonnello Bandini, ucciso sotto Narbonne.
Fonti e Bibl.: Ricevute di numerosi prestiti fatti dai B. al tesoro francese sono conservate a Parigi, Bibliothèque Nationale, Manuscrits français n. 26666; una Instruction baillie au Sieur Mario Bandini envoié par le Roy a Rome pour traitter avec le Pape d'un secours d'argent que desiroit de luy pour la guerre contre les Huguenots et maintien de la religion (1585) è conservata nella stessa biblioteca, Manuscrits français 15870, ff. 2127; Négociations diplomatiques de la France avec la Toscane,IV,Paris 1872, a cura di G. Canestrini e A. Desjardins, pp. 420, 499, 543; P. L'Estoile, Mémoires-J0urnaux,a cura di G. Brunet, A. Champollion, E. Halphen, P. Lacroix, Ch. Read, T. Larroque, II (J0urnal de Henri III),Paris 1875, pp. 304, 375; Inventaire des arrêts du Conseil d'Etat (Règne d'Henri IV),a cura di N. Valois, I, Paris 1886, p. 212; Lettres de Cathérine de Médicis,a cura di Baguenault de Puchesse, IX, Parìs 1905, pp. 258, 268, 308, 326, 449; Il primo processo di S. Filippo Neri,a cura di G. Incisa della Rocchetta e N. Vian, Città del Vaticano 1957, p. 244; E. Picot, Les Italiens en France au XVIème siècle,Bordeaux 1901, p. 119; M. Tosi, Il Sacro Monte di Pietà di Roma e le sue amministrazioni,Roma, 1937, p. 47; F. Braudel, La Méditerranée et le monde mediterranéen à l'époque de Philippe II,Paris 1949, p. 323; R. Ehremberg, Le siècle des Fugger,Paris 1955, p. 148; J. Delumeau, Vie écon. et sociale de Rome dans la seconde moitié du XVIe siècle,I,Paris 1957, p. 209; II, ibid. 1959, pp. 856, 857, 858, 861, 877, 879, 884, 889, 900, 901, 911 s.; C. Belloni, Diz. stor. dei banchieri italiani, pp. 27 s.