WELBY, Piergiorgio
WELBY, Piergiorgio. – Nacque a Roma il 26 dicembre 1945, secondogenito di Alfredo, calciatore di origini scozzesi, e di Luciana Cerquetti.
Appena adolescente manifestò i sintomi della distrofia muscolare, che gli fu diagnosticata nel 1963, ma in modo molto approssimativo, perché invece della forma facioscapolomerale, lentamente progressiva, gli fu accertata quella di Duchenne, dalla progressione rapida. Convinto di dover morire poco più che ventenne, Welby cadde in un terribile stato di afflizione che lo spinse a interrompere gli studi di ragioneria e abbracciare il credo hippy: affascinato dalle utopie del Sessantotto e dall’altrove delle droghe, tra il 1969 e il 1971 viaggiò senza una meta precisa per l’Europa.
Nel 1973 conobbe a Roma Wilhelmine Schett (chiamata Mina), nativa dell’Alto Adige, con la quale si sposò nel 1980. L’incontro sancì una svolta per la sua vita, perché nella moglie trovò l’inseparabile compagna e la musa ispiratrice che lo aiutarono a liberarsi dalla tossicodipendenza e a sublimare nell’arte i traumi della malattia. Nonostante la perdita della capacità deambulatoria e crescenti difficoltà agli arti superiori, iniziò per lui uno straordinario periodo creativo che durò fino alla metà degli anni Novanta con risultati sorprendenti, per spiccata predisposizione all’eclettismo e formidabile capacità di adattamento. Welby adibì la propria camera a laboratorio fotografico e atelier di pittura, sperimentando sistemi di stampa (in particolare macrofotografie di fiori e insetti) e cimentandosi con diverse tecniche artistiche, dal disegno a sanguigna e a carboncino all’olio su tela, dall’acquerello all’incisione su linoleum.
Nel luglio del 1997, per sopperire all’insufficienza polmonare, fu sottoposto alla terapia ventilatoria meccanica. Il coma, la tracheotomia e quarantacinque giorni di rianimazione non piegarono la sua ostinazione: l’uomo e l’artista reagirono ancora una volta con straordinaria resilienza. Il portatile e il touchpad si sostituirono all’obiettivo fotografico e ai pennelli, consentendogli così di praticare i molteplici percorsi della grafica computerizzata. Con il programma Corel Welby realizzò nuove opere, ispirate alle concezioni del virtuale, e ne rielaborò molte altre degli anni prima, disegni e scatti rigenerati dalla forza di una ritrovata vitalità con la quale poté dedicarsi sistematicamente anche alla scrittura.
Nel novembre del 2001 le sue condizioni si aggravarono per una polmonite ab ingestis che rese necessaria l’alimentazione artificiale con il sondino nasogastrico. Le pesanti cure antibiotiche debilitarono un organismo duramente provato e Welby maturò la convinzione di porre fine a un accanimento terapeutico ormai inaccettabile approfondendo indagini e ricerche già cominciate all’indomani della tracheotomia. Il 1° maggio 2002 ufficializzò l’impegno politico aprendo sul sito dei Radicali italiani un forum dedicato all’eutanasia e alle problematiche di fine vita e contemporaneamente avviò un suo blog, ‘il calibano’, dove sostenne con altrettanta lucidità i propri convincimenti laicisti, primi tra tutti la libertà di ricerca scientifica e l’autodeterminazione del malato. Nel giugno del 2005, in occasione dei referendum per la procreazione assistita, si attivò in favore della legge sul voto a domicilio per i disabili intrasportabili mettendo in atto un gesto dimostrativo: in carrozzella e attaccato al respiratore si fece accompagnare al seggio elettorale da Emma Bonino e Marco Pannella. Alla militanza radicale affiancò quella per l’Associazione Luca Coscioni di cui fu consigliere generale (settembre 2002) e copresidente (febbraio 2006). Nell’agosto del 2006, durante una riunione della dirigenza, Welby chiese per la realizzazione del suo proposito un sostegno esplicito che trovò in Marco Cappato, da quel momento in poi suo referente politico. Di lì a poco, il 22 settembre, rese pubblica la decisione di voler ricorrere all’eutanasia con una lettera appello al presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, che rispose prontamente manifestandogli vicinanza e auspicando un serio confronto istituzionale.
Riprodotta da un sintetizzatore vocale e trasmessa in un video in cui lui stesso compariva, la lettera innescò un dibattito politico, religioso, scientifico e giuridico senza precedenti che contagiò i media italiani e internazionali. Sull’onda di questa escalation mediatica Welby ribadì a più riprese la volontà di rinunciare alla ventilazione assistita chiedendone il distacco previa sedazione per non incorrere nelle sofferenze della dispnea. Al rifiuto oppostogli dal medico curante si appellò alla magistratura con un ricorso che fu respinto dal tribunale civile che riconobbe l’esistenza di un diritto soggettivo a interrompere la terapia, ma evidenziò la mancanza di una normativa specifica sui trattamenti di fine vita. Di fronte al prolungarsi dello stallo legislativo, Welby annunciò che avrebbe fatto comunque ricorso all’eutanasia pur di garantire il proprio diritto a una morte dignitosa indicando esplicitamente la disobbedienza civile come unica via percorribile.
Nelle stesse settimane in cui riaffermò la propria irremovibilità pubblicò Lasciatemi morire (Milano 2006), un emozionante assemblaggio di testi, tra loro anche molto diversi per scrittura e ispirazione, ma tutti comunque tesi a ribadire le ragioni della propria scelta e a rivendicarne l’obiettivo dando prova di padroneggiare con abilità letteraria e discernimento filosofico istanze autobiografiche, attualità politica e competenze di carattere legale, mettendo a frutto poesie, pagine di diario, spunti narrativi e interventi condivisi con blogger e forumisti. Il libro, di cui si esaurirono diverse edizioni in pochi giorni, contribuì ad alimentare nell’opinione pubblica (anche di matrice cattolica) un affetto spontaneo che sfociò nelle veglie Per e con Piergiorgio Welby organizzate il 16 dicembre in molte piazze italiane ed europee, in una catena di solidarietà che culminò a Roma in una performance di Giorgio Albertazzi che ne lesse alcuni passi in Campidoglio.
Deciso a combattere una battaglia non solo per sé, ma per ottenere una legge in grado di garantire tutti i cittadini, Welby declinò soluzioni clandestine che pure gli vennero proposte accettando la disponibilità dell’anestesista Mario Riccio. Verificata la sussistenza delle condizioni terminali e la volontà precisa del paziente, Riccio lo sedò e interruppe la terapia ventilatoria. Gli restarono accanto la moglie, la madre, la sorella Carla e i compagni radicali, Cappato e Pannella.
Welby morì il 20 dicembre 2006.
Quattro giorni dopo i suoi funerali si svolsero con la partecipazione di migliaia di persone nello spazio antistante alla chiesa di S. Giovanni Bosco, per il divieto espresso dal Vicariato generale per la diocesi di Roma, che negò la funzione religiosa richiesta dalla famiglia alla quale offrirono invece disponibilità la Chiesa battista, quella ortodossa e la valdese. La condotta di Riccio deontologicamente e giuridicamente fu considerata ineccepibile: nel luglio del 2007 la magistratura archiviò il suo caso confermando quanto sostenuto qualche mese prima dall’Ordine dei medici di Cremona, e lo prosciolse con formula piena dall’accusa di omicidio di consenziente.
La morte di Welby non spense i riflettori sulla sua vicenda ma la prolungò rafforzandola, con il passare degli anni, grazie al mondo della cultura che alla sua vita e alle sue opere continuò a riservare importanti tributi. Nel 2007 Lasciatemi morire ispirò l’atto unico di Ugo De Vita andato in scena a Bruxelles, nella sede del Parlamento europeo, con un commovente cameo di Gianfranco Funari nel ruolo del padre. Ma fu soprattutto con la pubblicazione postuma di Ocean Terminal (Roma 2009), l’incompiuto romanzo autobiografico che Welby volle affidare al nipote Francesco Lioce, che si compresero più a fondo i tratti di una persona fuori dal comune il cui messaggio di libertà fu capace di rielaborare l’immaginario psichedelico e lo spirito contestatario di un’intera generazione, proiettando interrogativi di più ampia portata sulla condizione stessa del genere umano e sulla tragica fragilità del suo destino. A partire dal 2012 anche Ocean Terminal diventò fonte d’ispirazione per la scena teatrale nell’omonimo monologo diretto e interpretato da Emanuele Vezzoli, abilissimo a riproporre la stanza-mondo di Welby come spazio esemplare di un’opera destinata a incidere artisticamente e politicamente sull’intera società civile. Autore con Lioce della drammaturgia, Vezzoli si avvalse dei movimenti scenici di Gabriella Borni e della direzione artistica di Giorgio Taffon per allestire uno spettacolo con cui per anni incarnò in Italia e all’estero la vita di Welby. Attinsero al repertorio artistico e letterario anche Francesco Andreotti e Livia Giunti che con il film Love is all. Piergiorgio Welby, autoritratto (menzione speciale ai Nastri d’argento 2017) restituirono un profilo biografico di rara intensità, impreziosito da materiali di archivio e fonti inedite. Nel 2016, in occasione del decimo anniversario della sua scomparsa, il complesso museale della Würth di Capena dedicò alla produzione figurativa di Welby una retrospettiva con decine di opere in gran parte inedite.
Fonti e Bibl.: M. Cappato, La strumentalizzazione di W., in P. Welby, Lasciatemi morire, Milano 2006, pp. 143-147; F. Lioce, Scandalo di una morte esemplare, in pubblic/azione, 5, 2007, pp. 188-194; Id., «...per le avversità verso le stelle», in P. Welby, Ocean Terminal, Roma 2009, pp. 151-163; F. Lioce, Bisogna essere vivi, in línfera, III (2010), 8, p. 3; M. Welby - P. Giannini, L’ultimo gesto d’amore, prefazione di E. Bonino, postfazione di B. Englaro, Chieti 2010; F. Andreotti - L. Giunti, Gradi di coscienza: raccontare P. W., in Quaderno del cinema reale, I (2014), 1, pp. 6-48, 149 ss.; IrriducibilMente: l’attività grafica e pittorica di P. W. (catal.), Capena 2016; M. Soldano, A dieci anni dalla morte di P. W., in Bioetica, XXIV (2016), 4, pp. 595-598.