BUONACCORSI, Piero
Nacque a Firenze il 17 luglio 1410 da Buonaccorso di Piero, notaio, e da una monna Antonio di casato ignoto.
Compiuti gli studi giuridici presso l'università cittadina, s'indirizzò anch'egli alla professione di notaio, iniziando a rogare nel 1429. Alla morte del padre i residui del patrimonio familiare - che Buonaccorso aveva dovuto intaccare per mantenere la numerosa famiglia - erano così gravati di debiti che gli eredi furono in dubbio se rinunciare all'eredità; l'unico che lucrasse qualcosa tra i fratelli era il B., su cui venne quindi a cadere, nonostante fosse il secondogenito, la responsabilità del sostentamento di tutti. Notaio prima dell'arte dei vinattieri e poi del Comune, passò tutta la vita al servizio dei suoi familiari, in lotta quasi continua contro le difficoltà finanziarie e i rovesci della sorte. Solo verso il 1468 la situazione della famiglia sembra essersi ristabilita, il B. continuò ad ogni modo a lavorare e a rogare fino all'anno della morte. Unico suo conforto fu l'amore per Dante, che studiò con passione fin dalla giovinezza: nel 1430 aveva trascritto di suo pugno la Commedia e aveva dato a miniare il manoscritto (probabilmente il Riccardiano 1038, alla cui fine si trova una redazione del Cammino di Dante del B.); nel 1440 aveva terminato una trascrizione del Paradiso, corredata di schizzi astronomici e di note marginali (Firenze, Bibl. Laurenziana, cod. Gadd. 131 pp. XC sup.).
La passione per Dante è alla radice di tutti i suoi scritti: di essi il primo e il più notevole è una lettera dedicata al commento e all'esposizione della Divina Commedia e indirizzata prima del 1440 a frate Romolo de' Medici, conventuale in S. Croce di Firenze; intitolato Cammino di Dante, lo scritto riassume felicemente l'ordito del poema seguendo il percorso compiuto da Dante, ed è illustrato da quattro tavole a piena pagina e da molti disegni in margine rappresentanti la topografia dei tre regni, tentativi tra i primi di raffigurazione del mondo dantesco. Alla fine il B. offre al Medici di leggere e meditare insieme per un'ora al giorno la Divina Commedia; segue la lettera una breve appendice che studia sino al cielo di Venere la cronologia del viaggio - il cui inizio è posto nella notte tra il 24 e il 25 marzo 1299-1300 stile fiorentino - ed è tra i primi scritti sull'annosa questione. Assai meno interessanti sono le altre due operette che il B. ci ha lasciato, il Quadragesimale e il Tractato. Il Quadragesimale (Firenze, Bibl. Riccardiana, cod. 1402) è scritto in una prosa che il B. definisce "versificha", trascritta cioè come poesia e ricca di assonanze e di versi; iniziato il 19 febbr. 1463, primo giorno di Quaresima - onde il titolo -, è una sorta di visione allegorico-didascalica, ad imitazione della Divina Commedia, divisa in quindici giornate. In un linguaggio rozzo e senz'arte, appesantito da prolisse citazioni scritturali e paetristiche, il Quadragesimale narra di come Fulgenzia (la grazia) sia apparsa al poeta e lo abbia condotto prima in Parnaso ad incontrare i sapienti dell'antichità per mostrargli che vana è la scienza senza la fede, e poi in Paradiso per spiegargli l'essenza di Cristo e mostrargli la Trinità. Affine al Quadragesimale è il Tractato di sustantie et di certe gentilezze et altre verità della natura, secrete et manifeste in diversi corpi (Firenze, Bibl. nazionale centrale, cod. Palatino 704), dedicato a un ser Antonio rettore della chiesa di S. Donato al Cischio di Mugello: steso anch'esso in una prosa che sa di poesia e pieno di reminiscenze dantesche, tratta in forma di visione varie questioni di scienze naturali; il testo è accompagnato da disegni e seguito da un breve ricettario.
Il B. morì a Firenze il 1º giugno 1477 e fu sepolto nella chiesa di S. Lorenzo.
Bibl.: M. Barbi, Della fortuna di Dante nel secolo XVI, Pisa 1890, p. 132; I Codici Palatini della R. Bibl. Nazionale Centrale di Firenze, II, Roma 1890, pp. 253-55; G.Bruschi, Ser P. B. e il suo "Cammino di Dante", in Il Propugnatore, n. s., IV (1891), pp. 5-39 (a pp. 308-48 è pubblicato dal Riccard. 1122 il Cammino di Dante); Il notariato nella civiltà italiana, Milano s.d. (ma 1961), p. 106.